Gazzetta n. 52 del 3 marzo 2000 (vai al sommario)
MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI
CIRCOLARE 1 dicembre 1999, n. 12999
Art. 23, commi 4 e seguenti, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 - D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238 - Art. 2 della legge 7 agosto 1999, n. 290 - Art. 28 della legge 30 aprile 1999, n. 136 - Concessioni in sanatoria, decorrenza canoni demaniali e durata concessioni.

Al Magistrato delle acque
Ai provveditorati alle opere
pubbliche
e, per conoscenza:
Ai presidenti delle regioni tramite
i commissari di Governo
Giungono da piu' parti richieste di chiarimento in ordine alla applicazione delle ultime innovazioni normative in materia di concessioni di derivazione di acqua, specie con riguardo alla nuova disciplina delle concessioni esercitate senza titolo ed alla fissazione di nuove decorrenze per il pagamento dei relativi canoni demaniali.
1. Con l'art. 23, commi 4 e seguenti, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, viene in primo luogo data una nuova formulazione all'art. 17 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, soppresso il secondo comma dell'art. 54 del medesimo testo unico n. 1775/1933, e dettata una disciplina transitoria per far fronte agli effetti immediati della nuova normativa, volta come e noto a regolare la complessa fattispecie delle utenze di derivazione di acqua pubblica in atto senza il prescritto atto autorizzativo o concessorio da parte della pubblica amministrazione.
Per una migliore comprensione del nuovo assetto occorre in primo luogo procedere ad un suo corretto inquadramento, ricapitolando la relativa disciplina, cosi' come si e' andata evolvendo dopo l'entrata in vigore del testo unico delle acque del 1933.
L'art. 17 del cennato testo unico, nella sua originaria formulazione statuiva:
"Per le derivazioni ed utilizzazioni in tutto o in parte abusivamente in atto, l'utente che all'uopo diffidato, non presenti nel termine assegnatogli domanda di concessione in via di sanatoria o non firmi nel termine assegnatogli il disciplinare per la concessione, e' tenuto al pagamento dei canoni per l'uso esercitato, nella misura prevista dalla presente legge, nonche' al versamento della somma dovuta a norma dell'art. 7, comma secondo, ed al rimborso all'amministrazione per le spese d'istruttoria e per quelle di esecuzione d'ufficio, salvo ogni altro adempimento e comminatoria stabiliti dalle leggi.
I limiti dell'uso e i conseguenti oneri stabiliti dalle leggi sono determinati con decreto del Ministro dei lavori pubblici di concerto con quello delle finanze.
La stessa disposizione si applica per le derivazioni e utilizzazioni in atto in virtu' di autorizzazioni provvisorie ai sensi della presente legge.
Resta fermo il disposto dell'art. 54.".
I primi due commi dell'art. 54 del testo unico n. 1775/1933, poi, prevedevano che:
"Nelle grandi derivazioni che riguardino rilevanti interessi pubblici, qualora si verifichino interruzioni o sospensioni ingiustificate, il Ministro dei lavori pubblici, sentito il consiglio superiore, fatti eseguire i controlli e le contestazioni del caso, diffida l'utente ad eseguire, entro congruo termine, le riparazioni necessarie. Ove l'utente non provveda entro il termine prefissato, il Ministro dei lavori pubblici, sentito il consiglio superiore e di concerto con il Ministro delle finanze, puo' disporre l'esercizio di ufficio a spese dell'utente, previa presa di possesso delle opere principali ed accessorie, ricadenti entro e fuori l'ambito demaniale.
Lo stesso provvedimento puo' essere applicato nel caso di derivazioni esercitate abusivamente o in contravvenzione alle norme della presente legge.".
Il complesso delle norme citate venne posto con tutta evidenza per permettere alla P.A. di sanare, anche in forma coattiva, quelle utilizzazioni abusivamente poste in essere, ma che ugualmente rivestissero un interesse pubblico tale da rendere inopportuna la loro cessazione. Nella prassi amministrativa, in cio' non contraddetta dalla giurisprudenza, si e' ritenuto applicabile il disposto dell'art. 17 a tutte le utenze abusive, anche sorte dopo l'entrata in vigore del testo unico n. 1775/1933, ferma restando naturalmente, la facolta' della P.A. di procedere direttamente sanzionando l'abuso e di ordinare la cessazione dell'utenza illegittimamente posta in essere. Cio' peraltro non stava a significare che l'utente abusivo dovesse o potesse esser posto in una situazione di preferenza rispetto ad altri potenziali utilizzatori, cosi' da configurare un inammissibile favor legis nei suoi confronti: sino a che non venisse assentita la concessione in sanatoria a suo favore l'utente abusivo non avrebbe potuto vantare alcuna posizione giuridica privilegiata ne' nei confronti dei terzi ne' tantomeno verso la P.A.
Nella nuova formulazione dell'art. 17 data dall'art. 23, comma 4, del decreto legislativo n. 152/1999, salvo alcune ipotesi residuali, "e' vietato derivare o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio dell'autorita' competente" pena "l'immediata cessazione dell'utenza abusiva" e il pagamento a carico del contravventore di una sanzione amministrativa che puo' arrivare sino a 50 milioni.
In proposito occorre precisare che "l'atto autorizzativo" che in alternativa alla concessione legittimerebbe l'utenza, non puo' in alcuna misura essere ricondotto all'autorizzazione provvisoria all'inizio dei lavori della derivazione di cui all'art. 13 del testo unico n. 1775/1933, in quanto tale ultimo provvedimento non abilita in alcun modo al prelievo di risorse idriche. Il riferimento della nuova norma e' quindi, con tutta evidenza, principalmente alla autorizzazione di cui all'art. 50 del medesimo testo unico n. 1775/1933, ove e' previsto che nei casi di accertata urgenza possa essere permesso "in via provvisoria che siano attuate variazioni nelle derivazioni e nelle utilizzazioni di acqua pubblica".
Al comma 5 del medesimo art. 23 del decreto legislativo n. 152/1999 viene poi prevista la soppressione dell'art. 54, comma 2, del testo unico approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, con cio' non consentendo in alcun modo la prosecuzione delle utenze abusive anche quando queste rivestano un rilevante interesse pubblico.
Il rigore della nuova normativa viene temperato dal comma 6 dell'art. 23, ove e' previsto che:
"Fatta salva la normativa transitoria di attuazione dell'art. 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, per le derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica, in tutto a in parte abusivamente in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto la sanzione (...) e' ridotta ad un quinto qualora sia presentata domanda in sanatoria entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. La concessione in sanatoria e' rilasciata nel rispetto della legislazione vigente e delle utenze regolarmente assentite. In pendenza del procedimento istruttorio della domanda di concessione in sanatoria l'utilizzazione puo' proseguire, fermo restando l'obbligo del pagamento del canone per l'uso effettuato e il potere dell'autorita' concedente di sospendere in qualsiasi momento l'utilizzazione qualora in contrasto con i diritti dei terzi a con il raggiungimento ed il mantenimento degli obiettivi di qualita'.".
Una prima questione applicativa emerge con riferimento alla estensione della nuova normativa in materia di concessioni in sanatoria, se cioe' essa trovi applicazione anche per le domande di concessione e di riconoscimento relative a risorse idriche non ancora inserite in elenchi delle acque pubbliche. Una soluzione alla questione puo' essere utilmente ricavata dalla deroga posta all'inizia del comma 6 dell'art. 23, ove e' fatta espressamente salva la normativa di attuazione dell'art. 1 della legge n. 36/1994, normativa che si e' poi tradotta nel recente decreto del Presidente della Repubblica 18 febbraio 1999, n. 238 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 26 luglio 1999, n. 173). Tale ultimo regolamento, con il quale si e' data attuazione al principio della pubblicita' generalizzata di tutte le acque, prevede all'art. 1, comma 4, che per le acque pubbliche soggette a concessione, e che non siano ancora iscritte negli elenchi delle acque pubbliche, "puo' essere chiesto il riconoscimento o la concessione preferenziale di cui all'art. 4 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775", con cio' escludendo tulle le acque non ancora iscritte negli elenchi dalla applicazione della disciplina dell'art. 17 del tu. n. 1775/1933 nella sua nuova formulazione, e della relativa norma transitoria. Per delle acque infatti trova applicazione l'istituto del riconoscimento o della concessione preferenziale, in forza del quale l'interessato dovra' presentare apposita domanda entro un anna dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 238/1999.
Ma anche avendo a riferimento le utilizzazioni di acque gia' pubbliche alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 152/1999, occorre chiarire che la nuova normativa in materia di concessioni abusive non appare applicabile anche alle seguenti categorie di utilizzatori, la cui posizione giuridica viene in varia misura tutelata dall'ordinamento.
Utenze relative a domande di riconoscimento o di concessione preferenziale (art. 2, lettere a) e b) e art. 4 testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775). Si ci riferisce a quelle istanze, naturalmente relative ad utenze in esercizio, che, sebbene presentate nei termini previsti dalla vigente normativa, non abbiano ancora dato luogo ad un provvedimento formale di riconoscimento o concessione preferenziale. E' noto che tali ultimi provvedimenti, a differenza del decreto di concessione, che ha effetti costitutivi, rappresentano atti di mero accertamento dichiarativo di un diritto preesistente, ed infatti il relativo procedimento amministrativo e' finalizzato alla sola ricognizione del verificarsi dei presupposti richiesti dalla legge (effettiva esistenza dell'utenza e delle sue modalita' in connessione ad un titolo legittimo od a un godimento preesistente). In tale contesto la continuazione dell'utenza nelle more del rilascio dello svolgimento dell'istruttoria per il rilascio del provvedimento formale di riconoscimento o di concessione preferenziale non appare in nessuna misura assimilabile ad un prelievo abusivo di acqua pubblica.
Utenze il cui titolo a derivare sia scaduto e per le quali sia stata presentata nei termini domanda di rinnovo. Parimenti escluse dalla applicazione della nuova normativa in materia di concessioni in sanatoria si ritiene debbano essere le utenze per le quali sia stata presentata domanda di rinnovo e il cui esercizio prosegua, con le stesse modalita' previste dal titolo scaduto, in pendenza delle determinazioni della P.A. in ordine al rinnovo. Questo in quanto la posizione giuridica del richiedente il rinnovo, anche se non riconducibile ad un diritto soggettivo perfetto, e' ugualmente tutelata dall'ordinamento in quanto la discrezionalita' della P.A. nel rinnovare la concessione e' molto meno ampia di quella che si esplica in sede di rilascia di nuove concessioni, dovendosi la P.A. limitare alla verifica delle condizioni imposte dalla legge per il rinnovo stesso. Anche in tale caso, quindi, la prosecuzione dell'utenza non potra' essere considerata abusiva in quanto, in mancanza di una diversa determinazione dell'autorita' concedente, la titolarita' da parte dell'utente di una posizione giuridica tutelata dall'ordinamento in ordine al rinnovo, sia pure subordinatamente alla ricorrenza delle condizioni richieste dalla legge, ne legittima la prosecuzione fino all'emanazione del decreto con il quale verra' disposta la continuazione o la cessazione dell'utenza.
Un'altra e piu' complessa questione si pone in ordine alla applicabilita' della disciplina del comma 6 dell'art. 23 alle derivazioni in esercizio sine titulo, ma per le quali sia gia' stata presentata domanda di concessione in sanatoria prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 152/1999. Si pone il problema di chiarire se in questo caso l'interessato, per usufruire della deroga disposta dalla norma transitoria, debba produrre anche esso una nuova domanda di concessione in sanatoria nel termine semestrale fissato dalla norma o se sia sufficiente per ottenere tale effetto la domanda gia' a suo tempo presentata.
Dato il tenore letterale della norma, che sembra collegare in maniera diretta ed esclusiva la domanda in sanatoria presentata nel termine dei sei mesi con la possibilita' di proseguire con l'utilizzo e vedersi irrogata una sanzione ridotta, appare necessario anche in tale caso che l'interessato presenti nel termine prescritto la domanda in sanatoria, che non sembra in nessun modo possa essere sostituita da domande sia pure "in sanatoria" presentate in precedenza.
Questo sia per beneficiare della sanzione ridotta sia per ottenere che "in pendenza del procedimento istruttorio" l'utilizzazione possa proseguire, qualora non in contrasto con i diritti dei terzi o con il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualita'. E' del tutto evidente, peraltro, e rispondente al principio di economia dell'azione amministrativa, che nel caso di specie la domanda potra' non essere presentata coi contenuti e con le forme previste dall'art. 7 del testo unico n. 1775/1933 ma potra' richiamarsi nel contenuto e negli allegati alla domanda a suo tempo gia' presentata.
Qualora la nuova domanda non venga presentata, l'interessato sara' soggetto al pagamento della sanzione intera e dovra' cessare immediatamente l'utilizzazione, pur restando impregiudicate le definitive determinazioni della P.A. in ordine alla domanda di concessione in sanatoria originariamente presentata.
Si raccomanda agli uffici di prestare la massima attenzione nel verificare l'applicazione della nuova normativa e nel disporre ove necessario l'applicazione delle sanzioni ivi previste. In proposito vale appena la pena di ricordare che la norma ha a riferimento anche le derivazioni solo in parte abusive, nelle quali, ad esempio il prelievo ecceda quello gia' autorizzato in virtu' di titolo legittimo; e' evidente come in tale caso le sanzioni avranno a riferimento il solo maggiore uso abusivo e non anche la derivazione nel suo complesso.
Si raccomanda inoltre di definire nel piu' breve tempo possibile le istruttorie relative alle concessioni in sanatoria, ricorrendo, ove se ne presenti il caso, alle procedure semplificatorie previste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni, cio' anche per garantire un passaggio di consegne il piu' possibile ordinato con gli uffici delle regioni e degli enti locali cui, come e' noto, e' stata conferita dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, la quasi totalita' delle attribuzioni amministrative in materia.
2. Con l'art. 28 della legge 30 aprile 1999, n. 136, e' stato stabilito che nel caso di riconoscimento o concessione preferenziale relativa ad acque che siano divenute pubbliche dopo l'entrata in vigore del cennato regolamento 18 febbraio 1999, n. 238, la decorrenza del pagamento del relativo canone demaniale e' stabilita in ogni caso dal 3 febbraio 1997, con cio' derogando a quanto stabilito in materia dal testo unico n. 1775/1933.
Ma se tale norma non comporta particolari difficolta' applicative, diverso e' il caso di quanto disposto dall'art. 2, comma 1, della legge 17 agosto 1999, n. 290, contenente un'altra deroga in merito alla decorrenza del pagamento dei canoni. La norma suddetta, nel riaprire il termine, ormai trascorso, per la denuncia del pozzi fissato dall'art. 10 decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, e gia' svariate volte prorogato con altre norme, stabilisce anche che "in caso di richiesta di riconoscimento o concessione, i canoni di derivazione irrigua sono dovuti dalla data di accoglimento della relativa domanda".
Innanzitutto occorre verificare il campo di applicazione della nuova disciplina, ossia se questa sia applicabile a tutte indistintamente le concessioni ed i riconoscimenti ad uso irriguo. Il tenore letterale della norma e la sua collocazione immediatamente dopo la norma sulla proroga del termine in materia di pozzi fa ritenere il suo campo di applicazione limitato alle concessioni ed ai riconoscimenti di derivazioni attuate mediante pozzi, e non estensibile quindi a quelle da acqua superficiale ne' a domande di concessione presentate in occasioni diverse da quella della denuncia dei pozzi ai sensi dell'art. 10 del decreto legislativo n. 275/1993.
Per quanto riguarda poi il momento dal quale far decorrere il canone demaniale, si ritiene che la terminologia atecnica usata dal legislatore, che fa riferimento "alla data di accoglimento della relativa domanda" possa essere ricondotta alla data di emanazione del relativo provvedimento di concessione o di riconoscimento.
Quanto poi agli effetti della nuova disciplina, il citato comma 1 dell'art. 2 della legge n. 290/1999 espressamente prevede che "la disposizione di cui al presente comma ha efficacia dal 1o luglio 1995" con cio' dando un effetto retroattivo alla normativa di favore, che dovra' quindi trovare applicazione per tutte le domande di derivazione ad uso irriguo mediante pozzi che comunque derivino dalla dichiarazione gia' prevista dall'art. 10 del decreto legislativo n. 275/1993 dal 1o luglio 1995.
E' opportuno rimarcare in questa sede che la domanda di concessione in sanatoria allegata alle denunce dei pozzi, sia essa a fini irrigui od ad altri usi, puo' naturalmente valere anche quale domanda di concessione in sanatoria ai sensi dell'art. 23, comma 6, del decreto legislativo n. 152/1999, ma questo solo a condizione che essa venga presentata entro il termine di sei mesi previsto dalla norma medesima a nulla rilevando, in tale sede, il maggior termine, di durata annuale, stabilito dalla legge n. 136/1999.
3. Un'ultima questione emerge con riferimento ai commi 7 e 8 dell'art. 23 del d.lgs. n. 152/1 999, che prevedono:
"7. Il primo comma dell'art. 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (...) e' sostituito dal seguente: "Salvo quanto disposto dal secondo comma tutte le concessioni di derivazione sono temporanee. La durata delle concessioni, ad eccezione di quelle di grande derivazione idroelettrica, per le quali resta fermo quanto disposto dall'art. 36 della legge del 24 aprile 1998, n. 128, e relativi decreti legislativi di attuazione della direttiva 96/92/CE, non puo' eccedere i trenta anni ovvero i quaranta per uso irriguo .
8. Il comma 7 si applica anche alle concessioni di derivazione gia' concesse. Ove le stesse, per effetto del medesimo comma 7 risultino scadute, possono continuare ad essere esercitate sino alla data di scadenza originaria, purche' venga presentata domanda di rinnovo entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto fatta salva l'applicazione dell'art. 22.".
Riguardo alla durata delle concessioni di grande derivazione ad uso idroelettrico, la nuova disciplina rinvia alla normativa di recepimento della direttiva n. 96/92/CE relativa alla liberalizzazione del mercato elettrico, poi effettivamente emanata e contenuta nel decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79. Detto decreto all'art. 12, commi 1, 2 e 3, nel definire una nuova procedura per il rinnovo di tali concessioni stabilisce che il rinnovo medesimo debba avere una durata trentennale. Anche se nulla e' invece specificatamente previsto dal decreto legislativo n. 79/1999 in ordine alla durata delle nuove concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico si ritiene che detto termine debba essere applicato anche in sede di rilascio delle nuove concessioni di derivazione a tale scopo destinate, per le quali, diversamente opinando, mancherebbe una disciplina normativa in ordine alla scadenza.
Una diversa questione emerge in ordine al campo di applicazione del comma ottavo dell'art. 23, che prevede una riduzione della durata delle concessioni gia' rilasciate i cui termini di scadenza, in vigenza della precedente formulazione dell'art. 21 del testo unico n. 1775/1933, erano per molti usi di sessanta anni od oltre. La drasticita' della nuova disciplina e' peraltro temperata dalla successiva norma transitoria, che consente per tali concessioni il loro proseguimento sino alla scadenza originaria, a condizione che venga presentata entro un anno apposita domanda di rinnovo. Si richiama l'attenzione degli uffici su una puntuale applicazione di tale norma che, nonostante qualche apparente ambiguita' lessicale, trova applicazione non solo alle concessioni che in forza della riduzione della durata a trenta anni risultino scadute alla data del decreto legislativo n. 152/1999, ma anche a quelle che lo saranno in un momento successivo.
Di conseguenza anche chi attualmente esercisce una concessione la cui originaria durata sessantennale, andava ad esempio dal 1980 al 2040, e che in forza della riduzione a trenta anni operata dalla nuova disciplina veda tale durata conseguentemente ridotta al 2010, per continuare ad esercire la derivazione sino al termine originario (l'anno 2040) dovra' presentare domanda di rinnovo nel termine annuale previsto dall'art. 23, comma 8 del decreto legislativo n. 152/1999, fatte salve, naturalmente le eventuali riduzioni di portata disposte dall'autorita' concedente anche prima di tale termine in forza di quanto previsto dall'art. 22 del medesimo decreto n. 152/1999, che prevede, come e' noto, una revisione generalizzata di tutte le concessioni.
Il Ministro: Micheli Registrata alla Corte dei conti il 26 gennaio 2000 Registro n. 1 Lavori pubblici, foglio n. 31
 
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