Gazzetta n. 21 del 26 gennaio 2001 (vai al sommario)
REGIONE VENETO
DELIBERAZIONE 15 novembre 2000
Piano per il Parco nazionale dolomiti bellunesi. (Deliberazione n. 60).

IL CONSIGLIO REGIONALE

Vista la deliberazione della Giunta regionale n. 2881, approvata nella seduta del 3 agosto 1999, con la quale e' stato adottato il Piano per il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi;
Preso atto della pubblicazione del piano per il Parco, disposta con la succitata deliberazione della Giunta n. 2881/1999 a seguito della quale, nei termini previsti, sono pervenute le osservazioni da parte dei soggetti interessati;
Visto il parere espresso dall'Ente Parco sulle osservazioni con deliberazione del Consiglio direttivo n. 98 del 9 dicembre 1999;
Vista la nota di trasmissione del Piano adottato e della documentazione n. 249/30134 del 18 gennaio 2000 a firma del Presidente della Giunta regionale;
Visto il parere favorevole espresso all'unanimita' dalla Seconda Commissione consiliare nella seduta del 19 ottobre 2000 e acquisiti gli atti di intesa dell'ente Parco e dei comuni interessati;
Udita la relazione della Seconda Commissione consiliare, relatore il Presidente della stessa, consigliere Raffaele BAZZONI;
Visto l'articolo 12 della legge 6 dicembre 1999, n. 394;
Visti gli articoli 5, 8 e 9 dello Statuto della Regione Veneto;
Viste le leggi 28 giugno 1939, n. 1497, 8 agosto 1985, n. 431 e il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490;

D'intesa con:
- l'Ente Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi:
- nota del 7 febbraio 2000 prot. 624 (ns prot. 1253 del 10 febbraio 2000);
- nota del 10 febbraio 2000 prot. 721 (ns prot. 1287 dell'11 febbraio 2000);
- nota del 18 ottobre 2000 prot. 5618 (ns prot. 12144 del 19 ottobre 2000);
- nota del 23 ottobre 2000 prot. 5763 (ns prot. 13359 del 15 novembre 2000);
-e con i Comuni interessati:
- Comune di Sospirolo nota del 25 gennaio 2000 prot. 648 (ns prot. 1303 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Sovramonte nota del 25 gennaio 2000 prot. 360 (ns prot. 1302 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Santa Giustina nota del 24 gennaio 2000 prot. 656 (ns prot. 1301 dell'11 febbraio);
- Comune di San Gregorio nelle Alpi nota del 24 gennaio 2000 prot. 248 (ns prot. 1300 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Sedico nota del 22 gennaio 2000 prot. 1522 (ns prot. 1299 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Rivamonte Agordino nota del 24 gennaio 2000 (ns prot. 1298 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Ponte nelle Alpi nota del 24 gennaio 2000 prot. 1607-1688 (ns prot. 1297 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Pedavena nota del 22 gennaio 2000 prot. 494 (ns prot. 1296, 1295 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Longarone nota del 25 gennaio 2000 (ns prot. 1294 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di La Valle Agordina nota del 24 gennaio 2000 (ns prot. 1293 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Gosaldo nota del 24 gennaio 2000 prot. 291 (ns prot. 1292 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Forno di Zoldo nota del 25 gennaio 2000 prot. 483 (ns prot. 1291 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Feltre nota del 24 gennaio 2000 prot. 1438 (ns prot. 1290 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Cesiomaggiore nota del 24 gennaio 2000 (ns prot. 1289 dell'11 febbraio 2000);
- Comune di Belluno nota del 24 gennaio 2000 (ns prot. 1288 dell'11 febbraio 2000);
con votazione palese,

Delibera:

1) di approvare il Piano per il Parco dell'Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi nel testo allegato alla presente deliberazione del quale fa parte integrante composto dei seguenti elaborati:
A) Relazione;
B) Norme d'attuazione;
C) Allegati:
1) Al Norme per la conservazione degli elementi costruttivi e architettonici dei manufatti e per il loro recupero funzionale e strutturale;
2) A2 Schede normative per le zone D;
3-4) A3 Schede analitico - progettuali relative alle zone D (A3- 1 e A3-2);
5) B Elenco e destinazioni d'uso dei principali fabbricati presenti nel parco e funzionali alla sua attivitA';
6) C Elenco delle strade silvo pastorali e dei sentieri, delle loro caratteristiche, delle funzioni ammesse e degli interventi su di essi eseguibili;
7) D Schede dei rifugi forestali per la sorveglianza;
8) E Criteri per l'attribuzione dei valori naturalistici;
9) F Opere di captazione idrica;
10) G Le ricerche del parco; D) Elaborati cartografici;
1) Cartografie di sintesi:
Tav. 11 Valori floristici e vegetazionali;
Tav. 12 Valori faunistici;
Tav. 13 Valori dei beni storici, culturali e ambientali;
Tav. 14 Valori scenografici e monumentali naturali;
Tav. 15 Valori geologici, paleontologici e geomorfologici;
Tav. 16 Sintesi dei valori naturalistici;
Tav. 17 Sensibilita' dei sistemi ecologici e delle loro componenti;
Tav. 18 Generatori di rischio antropico;
2) Cartografie di progetto:
Tav. 19 Vulnerabilita' attuale;
Tav. 20 Zonizzazione funzionale;
Tav. 21 Sistema di percorrenza e di appoggio logistico;
Tav. 22 Sistema delle strutture di informazione e dei percorsi guidati
2) di disporre la pubblicazione del piano per il parco nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto, ai sensi dell'articolo 12 della legge 6 dicembre 1991, n. 394(*)

Venezia, 15 novembre 2000

Il presidente: Cavaliere Il consigliere-segretario: Campion

(*) N.B.: gli elaborati di cui alle lettere C) e D) allegati alla presente deliberazione non saranno pubblicati nella Gazzetta Ufficiale Italiana e nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto. Se ne potra' prendere visione presso: - la segreteria della Seconda Commissione consiliare, Consiglio regionale, S. Marco 2322, Venezia, tel. 041/2701328; - Direzione urbanistica - Servizio beni ambientali e parchi, Cannaregio 99, Venezia, tel. 041/2792139; - Ente Parco Dolomiti Bellunesi, piazzale Zancanaro 1, Feltre (BL).
 
Allegato

CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO

SETTIMA LEGISLATURA

PIANO PER IL PARCO NAZIONALE DOLOMITI BELLUNESI.

Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi

PIANO PER IL PARCO ART. 12 L. 394/1991

RELAZIONE

Dr. Michele Cassol-forestale progettista e coordinatore tecnico Prof. Franco Viola consulente scientifico

COLLABORATORI: Dr. Eva Casanova - architetto patrimonio storico ed edilizio Dr. Guido Fabbrica - architetto patrimonio storico ed edilizio Dr. Lando Toffolet - geologo geologia e geomorfologia

1. IL PIANO E IL PARCO

Premessa

Alla scadenza dei sei mesi fissati dalle convenzioni, viene depositato presso la sede dell'Ente il Piano per il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Esso consta di relazioni, tavole, norme e schede di progetto, secondo quanto stabilito dalla legge 394/91 e nella forma e nelle misure deliberate dal Consiglio direttivo del Parco.
Nell'insieme si tratta di elaborati asciutti nella forma, ma certo non poveri nella sostanza, benche' i tempi stretti imposti alla elaborazione di dati e di idee e alla stesura di tavole e di testi non abbia consentito di abbondare in quegli elementi di grafica e di parole che troppo spesso sono considerati l'essenza del lavoro compiuto.
Giovera' dunque ricordare che il via alla redazione del Piano e' stato dato con delibera del Consiglio direttivo in data marzo 1996, la conclusione dei lavori venne fissata per la fine del mese di settembre. Tempi dunque assai ristretti, che trovano giustificazione nella articolata discussione sui contenuti e sui metodi del Piano, argomenti sui quali non vi e' stata, per molti mesi, concordanza d'idee.
Contro una posizione, sostenuta anche da esperienze maturate a livello nazionale, secondo la quale un piano deve poggiare su solidissime basi di conoscenza intorno agli aspetti ambientali, naturalistici, storici e, in genere, sociali dell'area protetta, si e' imposta la volonta' di produrre un documento di direttive generali, da affinare poi gradualmente attraverso specifici e mirati progetti di settore.
Di certo la prima istanza muove dal desiderio, alimentato da ogni professionista chiamato a scelte fondamentali, di disporre d'ogni conoscenza utile al suo impegno, ovvero capace di ridurre al minimo il rischio di scelte non sufficientemente maturate o supportate da esperienze pregresse. Il campo della pianificazione ecologica soffre piu' di altri di questo tipo di insicurezza, essendo generalmente poco noti i meccanismi di causa-effetto che agiscono su molti dei processi sinecologici e ambientali su cui il Piano e' destinato ad incidere.
Per contro, la scelta compiuta dal Consiglio direttivo era mossa, e ampiamente giustificata, dalla necessita' di disporre nel piu' breve tempo possibile di una guida sicura per la gestione ordinaria del parco, che dalla sua istituzione si basa esclusivamente sul valore scientifico o sull'esperienza amministrativa dell'uno o dell'altro dei membri del Consiglio direttivo.
Per dare dunque al governo dell'area protetta l'ormai indispensabile unitarieta' di intenti e l'inderogabile coordinamento tra gli interventi secondo una visione strategica a medio e a lungo periodo, fu decisa la redazione d'un "piano essenziale", ma non per questo mancante di quanto la legge prescrive che un piano di parco contenga.
In questi termini, alla sua redazione doveva dunque giovare, piu' che l'abbondanza di nuove, impegnative, raffinate e costose ricerche, l'esperienza d'un progettista-generalista che bene conoscesse la natura composita del parco e fosse capace di coagulare in una sintesi efficace ogni valida conoscenza pregressa.
Alle iniziali concezioni di Piano di Parco, formulate anche sulla base di quanto via via veniva discusso negli ambienti scientifici e tecnici interessati a questo tipo di pianificazione, s'e' sostituita una nuova idea, che vede il Piano organizzato su poche, ma essenziali conoscenze, organizzate e strutturate secondo un metodo che desse all'Ente, e agli altri Organismi incaricati della valutazione finale, la possibilita' di cogliere la bonta' del cammino seguito e la validita' delle elaborazioni compiute. In sintesi, secondo questa scelta, e come piu' avanti meglio si vedra', il Piano avrebbe dovuto:

- determinare gli assetti naturalistici più importanti,
localizzandone le emergenze di spicco per mezzo di cartografie
redatte a scale sufficientemente di dettaglio; - classificare e ordinare, secondo una gerarchia basata
sull'importanza, o sul valore, le categorie di emergenze che
qualificano quei fondamentali assetti naturalistici
(zonizzazione strutturale); - determinare i fattori dell'ambiente che nel passato hanno creato
condizioni di rischio per il mantenimento di quegli stessi
assetti; - individuare le attività umane e gli altri fattori ambientali che
oggi sono in grado di modificare gli assetti naturali e
ambientali di maggior pregio (vulnerabilità attuale); - definire per ogni luogo del parco le categorie di attività
compatibili e i vincoli necessari a tutelare i sistemi o gli
ambiti di maggior pregio e quelle più vulnerabili (zonizzazione
funzionale); - definire anche le attività e gli interventi necessari a
mantenere elevati i valori oggi posseduti dalle diverse zone del
parco.

1.1 Il Piano e il territorio

Per aiutare la lettura e l'interpretazione del documento vanno pero' anche ricordati alcuni passi fondamentali della legge 394/91, quelli che informano la pianificazione nelle aree protette e ne definiscono i contenuti. In particolare, si rammenta che il Piano deve disciplinare la zonizzazione interna al parco (per forme di uso, di godimento delle risorse e di tutela naturalistica, ovvero per tipi di attivita' concesse o vietate) attraverso le norme d'attuazione che stabiliscono i vincoli e le destinazioni dei sistemi territoriali e delle risorse contenute nel parco, ovvero ne definiscono i modi e le forme di compatibilita' con gli obiettivi posti all'area protetta. Il Piano poi, ancora attraverso le sue norme d'attuazione, individua i sistemi d'accessibilita' e quelli delle attrezzature e dei servizi e definisce gli indirizzi e i criteri per gli interventi sulla flora e sulla fauna.
La legge stabilisce anche che il Parco si doti di un regolamento, necessario a disciplinare l'esercizio delle attivita' consentite dal Piano; per sua natura il Regolamento e' conseguente al Piano, di cui deve necessariamente recepire le direttive, specificandole in termini di luogo, di tempo e di quantita', e ponendole di fatto in essere.
Anche il piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attivita' compatibili, che e' il terzo documento di gestione del Parco, e' collegato al Piano per il parco, essendo destinato a compensare, con gli strumenti propri dell'economia, i limiti allo sviluppo che verrebbero patiti, nel parco e nelle aree ad esso adiacenti, a seguito delle inevitabili limitazioni imposte dal Piano al libero uso delle risorse.
Soprattutto il Piano e il Regolamento dovranno essere, anche nelle future revisioni, strumenti assolutamente interattivi e sintonici. La norma che impone al Regolamento la definizione delle tipologie edilizie e costruttive, che ha spessore di norma tecnico -paesistica, non puo' infatti essere scollegata dalle valutazioni ambientali-paesaggistiche espresse dal Piano. Analogamente, non esistendo connessioni giuridiche e normative tra Piano e procedure per la sua approvazione, alcuni temi da esso trattati debbono essere trasferiti, a livello normativo, al Regolamento. Sono tali, ad esempio, le norme regolamentari circa la fauna. Inoltre, i nulla-osta di competenza dell'Ente Parco possono essere rilasciati solo previa verifica di compatibilita' col Piano e col Regolamento, che non possono dunque essere in contrasto; anzi, soprattutto a livello urbanistico, paesistico e di gestione delle risorse biologiche, il Regolamento deve essere la normativa del Piano.
Vanno ancora sottolineati alcuni temi che il Piano non potra' ne' affrontare, ne' risolvere, ma che comunque e' tenuto a segnalare perche' vengano affrontati nelle sedi opportune, soprattutto a livello politico.
Il piu' importante e' la confinazione del parco, con i conseguenti cambiamenti delle dimensioni dell'area protetta. Come piu' avanti si vedra', in alcuni casi si prospetta l'opportunita' di adeguamenti funzionali alla gestione dell'area e al controllo delle attivita' compatibili; e' quasi soltanto una questione di riconoscimento facile e univoco del dentro-fuori, utile alla gestione di molte risorse, ma anche a livello della mera amministrazione e della sorveglianza. Ma in altri casi e' stata manifestata l'esigenza, soprattutto per questioni economico-sociali, di qualche piu' sostanziale aggiustamento, non solo con riduzione della superficie protetta, ma qualche volta anche con annessione al parco di nuovi territori. Piu' avanti, in questa stessa relazione, si cerchera' di trasmettere con la dovuta ampiezza le motivazioni, soprattutto di indole scientifica, che potranno giustificare una nuova perimetrazione.
Il Parco dovra' confrontarsi con Enti o con istituzioni incaricati di piani che si pongono, secondo il parere di alcuni, al medesimo livello del Piano per il Parco. Si collocano in questo contesto l'Autorita' di Bacino Alto Adriatico, incaricata di un piano che coinvolgera' l'uso delle acque interne al parco. Ma analogo problema e' posto da ENEL, che gestisce alcuni bacini interni al Parco e controlla alcune importanti "derivazioni", e dal Ministero della Difesa, che ha in concessione un poligono ai margini dell'area protetta.
Solo apparentemente meno pressante puo' sembrare il conflitto circa l'uso di alcune risorse o di certe opportunita' d'interesse collettivo, come le acque potabili o necessarie all'irrigazione di ricchi comprensori agricoli, i siti per antenne e ripetitori, l'attraversamento di reti tecnologiche, e quant'altro sia utile, talvolta indispensabile, ad una collettivita' piu' ampia rispetto a quella gravitante intorno al parco e che, contrariamente a questa seconda, non potrebbe beneficiare di nessuna misura di sovvenzione o di compensazione per il mancato godimento di risorse di cui finora poteva disporre.
Solo apparentemente specifici di quest'area particolare sono i problemi, cui s'e' cercato di dare positive soluzioni, relativi al mantenimento del paesaggio colturale in relazione al pascolo e al caricamento delle malghe, al recupero delle numerose strutture edilizie connesse agli antichi usi rurali del territorio del parco, al miglioramento degli assetti strutturali e funzionali dei boschi, in buona parte pubblici, ma non pochi privati e finora sottratti a validi indirizzi selvicolturali e a un coordinamento tecnicamente coerente nelle utilizzazioni.
Nel caso dei sistemi di prato e di prato-pascolo, in cui lo sfalcio da tempo e' stato dismesso innescando processi di profonda modificazione floro-faunistica, con conseguente decadimento di parte dei primitivi valori naturalistici e paesaggistici, il problema sta nella scelta tra strategie di tutela attiva (conservare gli originali sistemi) o di tutela passiva (salvaguardare i processi successionali).
Talvolta questo problema assume una dimensione umana, di natura insieme economica e sociale, quando i sistemi a struttura erbacea siano ancora supporto di una attivita' zootecnica basata sulla monticazione di capi bovini, certamente al limite della convenienza economica, non ostante l'elargizione di sussidi, ma anche certamente meritevole di continuare per gli indubbi benefici di natura ecologica, culturale e paesaggistica.
Particolare e' invece il caso del pascolo ovino, e quello della transumanza, entrambe attivita' che, in assenza di forme di controllo, possono arrecare fondamentali e irrecuperabili danni agli assetti vegetazionali e faunistici dell'area protetta.
Circa le foreste e la gestione selvicolturale non pare che il problema, da affrontare comunque con piu' approfondite conoscenze, sia limitato a scelte tecniche, pur se con molteplici dimensioni, di volta in volta economiche, paesaggistiche, tutelari e culturali.
Ci si imbatte infatti in altri aspetti della questione, gia' altrove conosciuti, che hanno contemporaneamente natura sociale (chi interviene?) tecnica e tecnologica (quali mezzi adottare?), cronologica (in quali periodi e con quali impatti?), tenendo comunque nel debito conto che, trattandosi d'un parco, piu' che una rapida e semplice soluzione va prima ricercata la conoscenza dei meccanismi che producono equilibrio, pur se colturale, che sono differenti secondo i molti assetti compositivi dei boschi, eterogenei quanto e' l'ambiente nell'area delle Dolomiti Bellunesi.
Donde molte opportunita' di studio e di sperimentazione, da cogliere attraverso l'organizzazione di "aree di saggio totalmente funzionali alla selvicoltura naturalistica".
Il Parco ha gia' lanciato importanti programmi di ricerca scientifica. Essa, peraltro, e' tra gli obiettivi che la legge trasmette alle aree protette. Il Piano, che ha caratteri di continuita' e di ciclicita', affida a questi studi e ad altri che vi sono puntualmente definiti, il compito fondamentale d'essere solida base per le sue future revisioni.

1.2 La pianificazione nelle aree protette

Nel dibattito culturale che con la legge 394/91 s'e' acceso intorno ai temi della pianificazione per le aree protette, con autorevolezza si e' da poco inserito anche il Ministero dell'Ambiente attraverso la diffusione, presso il mondo scientifico e accademico, di alcuni brevi documenti di indirizzo scientifico.
Pur se diffusi in forma di bozza, questi documenti offrono anche al pianificatore importanti spunti di riflessione, ribadendo con forza alcuni fondamentali principi intorno:

- all'interdisciplinarità, che viene segnalata come unico
strumento capace di produrre una analisi territoriale veramente
efficace alla stesura del Piano; - alla scientificità dei metodi d'analisi e di valutazione
ambientale, che per quanto possibile dovrebbero essere
codificati per essere universalmente condivisi; - alla completezza delle informazioni raccolte, che dovrebbero
spaziare su tutto lo scibile capace di influssi sulla gestione
del territorio (ad esempio, geologia, geomorfologia, pedologia,
idrologia, climatologia, flora e vegetazione, fauna,
antropogeografia, usi del suolo, infrastrutture, storia e
cultura, socio-economia, amministrazione); - alla necessità di una sintesi interpretativa che conduca con
chiarezza e con univocità alla zonizzazione per aree omogenee
(ad esempio attraverso l'individuazione degli elementi del
paesaggio), come richiede la legge.

Benche' vengano finalmente sanciti alcuni importantissimi principi, cui da tempo la pianificazione avrebbe dovuto adeguarsi, restano ancora alcune delle storiche lacune di questa disciplina e delle sue applicazioni, che paiono assai rischiose quando si debba passare dal livello urbanistico a quello ambientale.

Ad esempio:

- Gli studi (ambientali, naturalistici, socio-economici), pur
nella varietà d'aspetti con cui dovrebbero caratterizzare la
"lettura del territorio", non esauriscono il Piano, né possono
essere confusi con esso, come spesso è accaduto in passato. Essi
ora dovranno essere ancor più selezionati, dimensionati e
organizzati secondo le effettive necessità di conoscenza per
essere mirati ad obiettivi ben precisi, definiti per ogni area
protetta nella misura e col dettaglio che lo staff di
pianificazione è tenuto a precisare. - l'idea di conservazione portata dalla Legge non è più quella che
un tempo ancora recente richiamava l'immagine della
"cristallizzazione" dei sistemi ecologico-territoriali. Nella
legge quadro domina piuttosto la volontà di mantenere i
meccanismi naturali e il loro equilibrato dinamismo, anche se su
di essi ormai agisce ubiquitariamente, per via diretta o per via
mediata, l'uomo. Il territorio e i suoi sistemi ecologici non
possono dunque essere solo osservati e descritti nella loro
attuale struttura; vanno invece studiati e compresi soprattutto
i meccanismi che ne regolano le funzioni, e in particolare modo
quelli che direttamente o indirettamente dipendono dalla
presenza e dalle attività antropiche. - Nella pianificazione interna ai parchi va esaltata la
interpretazione diacronica delle strutture, ovvero va ribadita
l'importanza dei processi che ne improntano il divenire. Il che
imporrebbe studi ben articolati nel tempo, e richiederebbe agli
specialisti la capacità di cogliere la dimensione degli
equilibri tra strutture biologiche e ambiente nonché la
conoscenza dei meccanismi che ne regolano le dinamiche
temporali. Non ponendosi la possibilità di obbligare la gestione
pianificata del parco ad attese poliennali, si prospetta dunque
l'opportunità di produrre in tempi brevi piani snelli,
sancendone le revisioni a scadenze rapide, una volta che siano
stati attivati i necessari strumenti di controllo dei risultati
ottenuti dal Piano. - In questa maniera si esalta anche la differenza tra i due
aspetti della zonizzazione, quello strutturale e quello
funzionale. Il primo deriva dalla sintesi interpretativa operata
sulle informazioni circa il territorio e le sue componenti
sistemiche. Essa porta all'individuazione di un certo numero di
ambiti, omogenei per forme e per "struttura ecologica", ovvero
per tipi di sistemi ecologici, ai quali pare corretto abbinare
il concetto di "elementi del paesaggio", cosi come è richiamato
nei documenti proposti dal Ministero. La zonizzazione funzionale
costituisce invece lo strumento operativo del Piano; attraverso
di essa se ne dovrebbero realizzare gli obiettivi, stabilendo
gradazioni di priorità e livelli d'intensità d'azione in base a
precisi ed univoci elementi di valutazione (ad esempio, valori e
rischi, attuali e futuri) che facciano riferimento agli elementi
conoscitivi esplicitati con la zonizzazione strutturale.

Mentre con la zonizzazione strutturale si individuano le risorse portanti del parco, con quella funzionale se ne precisano, localizzandoli sul territorio, gli usi consentiti e gli interventi di tutela, di ripristino o di valorizzazione.

2. IL PIANO PER IL PARCO DELLE DOLOMITI BELLUNESI

2.1 La logica del metodo

La tutela della natura e' l'obiettivo primario di un'area protetta, al cui perseguimento viene destinato il piano per il parco. A questo primo obiettivo, solo in seconda istanza, si associano quelli dello sviluppo di piu' equilibrati rapporti tra uomo e natura, della ricerca e della educazione ambientale e quelli della difesa idraulica e idro-geologica.
Poiche' un parco nasce per dare tutela ad una singolare concentrazione di importanti emergenze naturalistiche, al pianificatore si pone il problema di stabilire quali tra queste piu' meritino tutela, ovvero quali ne debbano essere le forme e quale l'intensita', tra l'estremo della conservazione passiva e la gamma di diverse possibilita' offerte dalla conservazione attiva.
Si tratta, dunque, di cogliere la stabilita' delle strutture, il livello degli equilibri da esse guadagnati, la natura dei fattori di un possibile passato degrado, quella degli interventi necessari al suo recupero nei tempi piu' brevi, il valore, non solo ecologico, posseduto dagli attuali sistemi e di quelli che saranno il probabile punto di arrivo dei cambiamenti in atto, i fattori naturali e quelli di origine antropica che influiscono sul processi, e tantissimi altri aspetti, di svariatissima natura, che sono conoscenze fondamentali per scegliere e per decidere nel migliore dei modi.
La questione e' dunque stabilire, nell'ordine, cosa conservare, perche', con quali criteri e con quali strumenti.
Per dare risposta ai primi due quesiti sono necessarie appropriate ed approfondite indagini, che, in ossequio ai principi ormai universalmente accettati dell'interdisciplinarita', andranno condotte da specialisti nei differenti campi delle scienze naturali applicate, con criteri e con metodi che consentano l'integrazione, all'interno dello staff di pianificazione, delle loro conoscenze e della loro esperienza.
Si hanno, al riguardo, buoni esempi di passate applicazioni, alcune giunte a buon fine con risultati veramente apprezzabili. In particolare si deve far tesoro di quelle che hanno segnato la strada per dedurre, dai dati elementari, valutazioni e interpretazioni olistiche del territorio, cioe' provviste del crisma della piu' moderna ecologia del paesaggio, la disciplina piu' prossima ai fondamenti applicativi della pianificazione ecologica del territorio.
Da queste esperienze si ricavano i principi informatori, basati sui concetti di valore e di sensibilita' dei sistemi, che paiono condurre ad applicazioni assolutamente sintoniche coi dettati della legge quadro sulle aree protette.

Il valore delle risorse del parco

L'art. 12 della legge quadro affida al Piano la tutela dei valori naturali e ambientali del parco. Il valore di una risorsa, qualunque ne sia la natura, anche se in parte economica, ha sempre forti elementi di soggettivita', tali per cui ben difficilmente si riesce a far collidere differenti posizioni espresse da piu' persone chiamate a esprimere un giudizio al riguardo. Nel caso poi di sistemi ecologici, e ancor piu' nel caso di sistemi territoriali, l'espressione del giudizio diviene ancora piu' complessa, in ragione della coesistenza, all'interno d'una stessa area, di piu' componenti, tutte provviste di un proprio singolare valore.
Il primo problema sotteso dall'enunciato della legge sta dunque nello stabilire concordemente, all'interno dello staff incaricato del Piano, un criterio universale di giudizio, capace di far superare le differenze tecniche e culturali legate alle discipline coinvolte nel processo e alla eterogenea sensibilita' di chi vi partecipa, che come persona e' sempre soggetto ad umori e a passioni, anche mutevoli nel tempo.
Oggi generalmente si conviene di valutare separatamente, e con tecniche specialistiche, sia le diverse entita' elementari presenti in un sito, sia i sistemi da esse edificati, sia ancora l'ambiente che ne condiziona gli assetti.
L'area cui si riferisce il giudizio, quale risulta nelle relative cartografie, dipende ancora dalle tecniche di rilevamento, adottate dagli specialisti nelle analisi territoriali.
Dunque si va da localizzazioni puntiformi, quali sono quelle, ad esempio, di un "monumento vegetazionale" o di un sito archeologico, od ancora di un campionamento entomologico, fino ad aree anche molto vaste, come possono essere quelle di pertinenza di una formazione geologica, o di una singolarita' geomorfologica, di una formazione vegetale, o del demotopo occupato da una popolazione d'ungulati.
Anche i criteri che ciascun specialista applica possono essere tra loro molto diversi. A titolo di esempio, e per citare quelli piu' facilmente intuibili, si hanno algoritmi che tengono conto, in una sorta di addizione o di prodotto, della rarita' d'una specie, delle sue capacita' di adattamento all'ambiente, delle sue possibilita' d'espansione, dell'equilibrio che essa ha organizzato con il resto del sistema. Talvolta si tiene conto anche di aspetti meno "naturalistici" che rientrano, in una certa misura, nella sfera "sociale". Cosi' vengono impiegati, ad esempio per le valutazioni circa la fauna superiore (uccelli, mammiferi, ecc.), indici di "gradevolezza", di "contattabilita'" ed altre espressioni ancora, che in qualche maniera cercano di quantificare il gradimento della gente verso queste importanti componenti del paesaggio animato.
Anche i sistemi ecologici, nel loro complesso, hanno un valore, che e' somma di piu' addendi separati. Una parte di questo valore deriva dalla integrazione di quelli portati dalle singole componenti che concorrono ad edificare il sistema; una seconda parte del valore complessivo deriva da giudizi che vengono espressi, ad esempio, intorno al suo equilibrio complessivo, o al livello di maturita', alla biodiversita', ed ancora alla rarita' o alla singolarita' delle forme con cui si manifesta, nella sua interezza.
Si deve comunque provvedere a questa integrazione tra i giudizi espressi per le diverse componenti dei sistemi ecologici. Come ormai e' prassi corrente nelle procedure di Studio di Impatto Ambientate, il raccordo tra i diversi metodi adottati dallo staff di pianificazione viene ottenuto con tecniche cosiddette di "normalizzazione". La piu' comune prevede che i valori espressi da ciascun specialista vengano ricondotti ad una omogenea dimensione relativa, variabile, ad esempio, tra 1 e 100 (essendo il valore nullo, per definizione, impossibile in natura). Oppure, come avviene nel nostro caso, si stabilisce che la variabilita' interna a ciascuna categoria di giudizio sia ricondotta a cinque classi, corrispondenti a locuzioni del tipo: eccezionale, elevatissimo, elevato, medio, discreto, con riferimento, ovviamente, al valore della singola componente, o a quello dell'intero sistema. Ad ogni classe corrisponde un numero ordinale, che consente l'integrazione (somma) dei valori elementari nel valore di complesso del sistema ecologico, oppure di ogni altra unita' territoriale cui si faccia riferimento.
Quella adottata e' una procedura che ad ogni applicazione di continuo si affina e si perfeziona, ma che ancora soffre di alcune "sbavature", soprattutto a causa di una certa soggettivita' che pesa sulle scienze naturali piu' che su quelle fondamentalmente tecniche. Essa ha tuttavia il pregio d'essere "visibile", ovvero riapplicabile da chiunque voglia saggiare la correttezza delle operazioni compiute da ogni specialista.
E' un primo elemento, pur se rozzo, di quella razionalita' che la scuola anglosassone, la piu' antica ed accreditata, vuole qualifichi ogni processo di pianificazione.
La sensibilita' dei sistemi e delle foro componenti
La tutela cui la legge quadro fa riferimento ha motivo d'essere pianificata solo in presenza di risorse naturalistiche fragili, ovvero sensibili a fattori di disturbo. E' a tutti noto che ogni ecosistema, ed ogni sua componente, ha una specifica sensibilita' verso i fattori dell'ambiente. Tale sensibilita' si coglie, nel caso dei sistemi ecologici, attraverso i suoi cambiamenti di composizione, ovvero di struttura prodotti da concomitanti cambiamenti dell'ambiente. Nel caso, invece, di componenti elementari degli ecosistemi, come di organismi viventi e di loro collettivita', la sensibilita' all'ambiente si esprime perlopiu' con modificazioni del ritmi vitali e con variazioni dei tassi di sopravvivenza. Tutto cio', come e' noto, puo' essere indicato ricorrendo al concetto di valenza ecologica. Per questo motivo gli organismi (o le specie) stenovalenti, che meno tollerano la variabilita' dei fattori dell'ambiente, sono anche quelli che piu' patiscono il rischio di scomparire a seguito d'una delle molte perturbazioni degli assetti fisico-biologici del territorio o di vedervi ridotte le possibilita' di sopravvivenza.
In altri termini, corrono il rischio di perdere il valore loro attribuito.
E' prassi corrente quantificare la sensibilita' di un sistema attraverso la frequenza dei cambiamenti di cui esso e' stato soggetto in passato, essendone conosciute anche le cause e l'intensita' d'azione. Anche in tal caso, tenuto conto delle esigenze di carattere applicativo che si hanno nella redazione di un piano, diversamente che in uno studio squisitamente scientifico, conviene tenere conto solo dei cambiamenti che producono variazioni sensibili nel valore dei sistemi. Cio' significa porre attenzione alle emergenze individuali e alle specie collocate nelle prime classi di valore, e agli aspetti ecosistemici di pregio che piu' qualificano gli assetti territoriali del parco.
E' proprio in questo contesto che si rendono necessarie forti conoscenze sulle dinamiche ecologiche e ferrate competenze sugli indicatori, di diversa natura, capaci di individuare i trend evolutivi in atto e i possibili punti d'arrivo.
Non sempre, infatti, cambiamento significa perdita di valore; spesso gli assetti cui mira un sistema in evoluzione possono essere provvisti di caratteri piu' pregevoli rispetto a quelli attuali, e l'evoluzione in corso puo' essere concepita come processo accettabile, se non anche da agevolare.
In altre situazioni, invece, si hanno assetti ecosistemici in cui una qualunque variazione produce danno; in questi casi si potrebbe intervenire per bloccare sul nascere ogni possibile sintomo di mutazione ambientale.
Ancora puo' succedere che un sistema manifesti i segni di un profondo degrado dal quale, stanti alcuni fattori limitanti, non sia in grado di progredire; donde l'opportunita' di valutare possibili azioni di recupero e di valorizzazione ambientate. Altre volte s'e' notato che col cessare di alcune tradizionali attivita', come alcune tra quelle agricole, selvicolturali e zootecniche condotte in area montana, si sono generati risultati ambientali e sistemici di minor valore rispetto a quelli del passato; da cui la volonta' del recupero di alcune tradizioni, non certo con obiettivi economici, ma quasi soltanto ambientali.
S'e' di fatto delineata la gamma dei possibili significati dei regimi di tutela previsti dall'art. 12 della legge quadro sulle aree protette, alle cui scelte giova piu' una valutazione attendibile degli assetti futuri che la puntuale e rigorosissima definizione di quelli presenti.

La vulnerabilita' dei sistemi

Molti parchi e molte aree protette comprendono, o si collocano, in territori provvisti di caratteri ambientali al limite delle condizioni idonee alla vita. Anzi, sono proprio gli aspetti spettacolari dell'ambiente limitante e delle modalita' con cui la vita vi si manifesta, che rendono opportuna e condivisibile l'istituzione di un regime di tutela. Si pensi alle crode o alle cime, oltre al confine superiore della vegetazione arborea, o alle fasce ecotonali, in cui tutto cambia col divenire continuo di condizioni favorevoli all'uno o all'altro dei sistemi che si contendono quell'unico spazio. In queste condizioni ogni azione umana capace di mutare anche uno solo dei caratteri ambientali risulta determinante nel negare ulteriori possibilita' di vita per molte delle specie che popolano quei particolarissimi ecosistemi. Di qui la necessita' di saper distinguere, per ogni sito e per ogni condizione d'ambiente, le azioni e i comportamenti non leciti, cioe' le strategie di Piano.
I principi che informano la "teoria della vulnerabilita'" bene si prestano a definire un criterio di scelta per queste strategie. Ammesso infatti che il danno che patisce un territorio, a seguito d'un cambiamento, sia pari al valore (V) per esso perduto, se ne potrebbe stimare il rischio (R) attraverso la probabilita' (p) che si verifichino cambiamenti capaci di generare quel danno. In tal caso l'algoritmo che quantifica il concetto e':
R = V * P

Sono pertanto fattori di rischio tutti quelli che rendono possibili cambiamenti dannosi. Ognuno d'essi genera un rischio (Rj). Il rischio complessivo, a livello di sistema o di elemento del paesaggio, e' dato dalla sommatoria dei rischi parziali, calcolati, si intende, solo sulle componenti di maggior valore:
SIGMA R = SIGMA(V * P )
J J J

L'uomo, attraverso le sue attivita', e' agente diretto e indiretto di cambiamenti, i piu' cospicui e i piu' incisivi che si realizzino sul pianeta, fatte salve le naturali ed eccezionali catastrofi.
Pare facile comprendere le modalita' di questi cambiamenti e vi e' la presunzione di poterli con altrettanta facilita' controllare; forse per questo s'e' convenuto di definire col termine "vulnerabilita'" la sensibilita' ecologica dei sistemi e delle loro componenti verso questi fattori antropici di rischio, la cui dimensione sarebbe comunque minore perche', appunto, controllabile.
Nella costruzione del Piano e' dunque fondamentale individuare, e registrare in una apposita cartografia, l'attuale distribuzione dei fattori di impatto antropico. Per essa diviene possibile definire il quadro dell'attuale vulnerabilita' e comprendere, attraverso di essa, i meccanismi e i tempi di molti degradi.
Per altri versi, invece, stabilire un regime di tutela per i sistemi di un sito, ovvero calarli entro un tipo di riserva e definirvi gli usi possibili, significa valutare la vulnerabilita' che con cio' si produce su tutte le risorse del luogo ed accettare il relativo rischio. Per farlo a ragion veduta bisogna prima conoscere il valore delle risorse e quello dei sistemi e poi saper valutare gli effetti a breve e a medio termine di ogni azione e d'ogni uso consentito.
Tutte le azioni e gli interventi antropici che sortiscono effetti sulla qualita' dell'ambiente fisico-biologico e sulla struttura dei sistemi ecologici interni al parco, sono fattori che originano rischio. Tra questi possono anche essere comprese anche le "non azioni", ovvero i mancati interventi, poiche' ad esse possono seguire risultati negativi per la conservazione di alcuni pregevoli assetti del parco. In tale contesto, a titolo di esempio, si colloca la sospensione della pratica dello sfalcio dei prati, l'abbandono del pascolamento e la mancata "cura" dei boschi.
Sotto questo profilo possono essere individuate diverse categorie di "sorgenti di rischio", ad esempio in riferimento agli insediamenti, alle aree di fruizione turistico-ricreativa, a molte pratiche sportive, come lo sci, il deltaplano, la mountain-bike, ma anche la viabilita' e i sentieri impiegati per il turismo e l'escursionismo. Ciascuno di questi fattori esercita un possibile effetto negativo, il cui valore tuttavia cambia con la frequenza con cui il fattore si rende attivo. Il rischio ha la stessa dimensione del danno, e quindi dipende dal valore della risorsa, oltre che dalla probabilita' che esso vada perduto. Benche' quasi sempre, all'interno del parco, le attivita' legate all'utilizzazione delle risorse forestali e all'esercizio del pascolo siano condotte con criteri di ottima compatibilita', non puo' essere escluso, in alcuni luoghi e in alcuni momenti, un loro possibile effetto negativo, per altro recuperabile con appositi e semplici interventi.
Quando i cambiamenti sono determinati da azioni umane, che possono essere controllate e regimate, invece di rischio si parla di vulnerabilita', dando al termine significato piu' ampio, e piu' pregnante, rispetto a quello, quasi sinonimo, di sensibilita'. La vulnerabilita' ha dunque la stessa dimensione del rischio, ma essendo i danni prodotti dall'uomo, essa si presta ad essere controllata, mitigata o annullata, attraverso precise scelte di Piano, che trovano concreta espressione nella zonizzazione funzionale cui tra poco si fara' riferimento.

2.2 L'applicazione e i risultati

Il processo di pianificazione attivato per il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi si e' informato al metodo fin qui sommariamente delineato.
Come e' stato riportato nelle premesse, una scelta tecnico-politica compiuta dagli organi di governo del Parco ha imposto tempi molto stretti alla costruzione del Piano, che cosi' poggia su pregresse conoscenze, da altri acquisite, ma tuttavia da ritenere valide e in quantita' bastante per compiere le scelte di fondo e a indirizzare una corretta gestione ordinaria del territorio e delle sue risorse.
Benche' non ancora formalmente acquisite, molte informazioni utili sono derivate dalie ricerche promosse e finanziate dal Parco a partire dal 1995 e di cui piu' avanti si dira'.
Molte informazioni mancanti, ritenute necessarie alla redazione del Piano, sono state appositamente rilevate dallo staff con specifici, speditivi sopralluoghi.
Non ostante questo impegno, il processo non ha tuttavia potuto beneficiare di tutti quegli studi che solitamente son ritenuti necessari ad affrontare e a risolvere i problemi affidati alla pianificazione, alla cui soluzione pero' gia' ora si provvede con alcune apposite norme.
Il Piano, infatti, viene organizzato in modo che da un lato sia ad esso sequenziale un processo di controllo delle dinamiche in atto e di quelle stimolate dalle direttive che ora vengono dettate, mentre dall'altro lato detta norme perche' sia avviato un processo di affinamento dei criteri gestionali, che diverranno migliori via via che si acquisiranno le necessarie conoscenze.

Documentazione cartografica

La documentazione grafica del Piano viene presentata alla scala di riferimento 1:50.000, con alcuni dettagli sviluppati a scala maggiore.
La scala di riferimento e' imposta dalla scelta politica di cui prima s'e' riferito. Essa e' conseguenza del dettaglio delle informazioni disponibili, che hanno potuto essere rese omogenee e interattive solo a questo livello di dettaglio cartografico. I documenti a scala maggiore derivano invece dalle osservazioni specifiche compiute dallo staff di pianificazione, e sono relative a particolari problemi, la cui soluzione non poteva essere posticipata all'approvazione del Piano.
Oltre alla documentazione puntualmente e ufficialmente elencata nell'elaborato che riporta le Norme di attuazione, e che costituisce la base per l'individuazione dei sistemi analizzati e delle loro componenti, per la loro valutazione, per la localizzazione delle direttive, dei regolamenti ad esse conseguenti, delle azioni e degli interventi, nonche' per la valutazione dello stesso Piano da parte degli Organi di Controllo, al Piano sono collegate altre cartografie e altri documenti di conoscenza e di valutazione, depositati presso la sede del Parco e disponibili per le successive fasi di controllo e di revisione del processo.
Come indicato nel capitolo dedicato al metodo, i documenti grafici concepiti per esplicitare nella maniera piu' efficace le conoscenze acquisite e le deduzioni su di esse compiute, si dividono in tre gruppi con differente significato:

Carte dello stato di fatto

Si tratta dei documenti di analisi predisposti per trasmettere all'Ente, e al lettore, le informazioni di base circa gli assetti dell'area protetta; esse trattano di geomorfologia, di acque, flora e vegetazione, fauna, proprieta' e usi del suolo, fruizione delle risorse, presenza ed attivita' storiche dell'uomo, e di altri aspetti ancora, la cui conoscenza era ritenuta basilare per gestire correttamente la tutela naturalistica.
Una particolare attenzione e' stata posta sull'analisi degli usi del suolo, esclusivamente selvicolturali e zootecnici nel settore primario, ma articolati in una discreta gamma di attivita', non solamente turistiche, nel comparto terziario. Questi usi possono costituire importanti fattori di rischio, e per tale motivo si e' dedicata buona cura al loro riporto cartografico.
Alcuni di questi documenti hanno livello di informazione sufficiente alla redazione del Piano, ma non adeguato all'organizzazione di un efficiente sistema di monitoraggio. Per questi si suggerisce l'avvio di un processo di documentazione appropriato alla revisione del Piano, per cui i dati saranno raccolti con qualita' e in quantita' stabilite dagli schemi procedurali e metodologici stabiliti dal Parco. Si suggerisce altresi' all'Ente di non rendere accessibile al pubblico, se non per documentati motivi scientifici, il materiale conoscitivo che per tale motivo e in tal modo si raccogliera'. Cio' e' ritenuto necessario ad evitare possibili azioni di inopportuna e incontrollata raccolta di reperti naturalistici, che verrebbe agevolata dalla precisa segnalazione, in cartografia, dei siti in tal senso piu' interessanti.

Carte di sintesi interpretativa

Esse costituiscono il riferimento topografico alle valutazioni compiute in merito ai sistemi ecologici del parco e alle loro componenti elementari. Nel processo di piano queste carte, e le informazioni che esse riportano, conducono alla zonizzazione strutturale, che, nella sua piu' efficace espressione, e' data dal valore integrato dei sistemi ecologici e/o delle unita' di paesaggio.
Altre espressioni della sintesi interpretativa compiuta sulla struttura ecologica del territorio del parco sono riferite alla sensibilita' dei sistemi e alla presenza di fattori di rischio.
Tutti questi documenti cartografici derivano da altri documenti di interpretazione, che potremo definire ancora analitici, in quanto riferiti a singole componenti, come la flora, la vegetazione, la fauna, e ad altri ancora ritenuti importanti ai fini di un giudizio sui valori reali del parco, cosi' come chiede la legge.
Gli elementi di rischio, la cui intensita' d'azione e' generalmente decrescente nello spazio col crescere della distanza dalla "sorgente d'impatto" sono stati considerati coagenti in aree piu' ampie di quelle sottese da ognuno d'essi, ma significative e sufficienti a renderle gestibili dal Parco attraverso una o piu' possibili azioni di Piano.

Carte di progetto

Le carte di progetto si dividono in due categorie. La prima giova a riportare in forma areale, e quindi localizzandolo, il giudizio dello staff di piano in merito alla vulnerabilita' dei sistemi e delle loro componenti, stimata in merito alle attivita' che oggi si conducono nel territorio del parco. Come prima indicato, essa deriva dall'incrocio delle informazioni relative al valore delle risorse, alla loro sensibilita' e ai rischi generati dalle attivita' antropiche, interagenti con la naturale variabilita' dell'ambiente.
Il secondo tipo di documenti, che e' diretta derivazione del primo, riporta le scelte strategiche del Piano, ovvero la zonizzazione funzionale. In esso sono quindi individuate le diverse aree omogenee e le riserve del parco, al cui interno sono incentivati, consentiti, o condizionati gli usi del suolo e le attivita' di cui sara' trattato nel documento di norme, nei suoi allegati e nel Regolamento del Parco.

La classificazione dei "temi" cartografati

Le carte analitiche, che riportano la distribuzione sul territorio dei sistemi e delle loro componenti, non richiedono alcuna particolare descrizione, essendo sufficiente la lettura della legenda ad esse allegata.
Per rendere per quanto possibile "trasparente" il giudizio di valore espresso sulle diverse componenti del territorio del parco (componenti botaniche e faunistiche, ecosistemi, storia e paesaggio, ecc.), e' invece necessario fare cenno ai criteri adottati per esprimere il giudizio e il significato delle classi entro cui la variabilita' e' stata ripartita. In allegato sono riportate tabelle riassuntive dei criteri adottati per flora, vegetazione, fauna.
Gli assetti storico-culturali sono invece stati stimati in base alla "attrattivita'" scenica, allo stimolo alla contemplazione, al significato storico, sociale e delle tradizioni colturali del sito, ovvero al significato simbolico di molti segni della vita e del lavoro dedicato alla gestione della terra del parco, ecc..

Valore naturalistico integrato

Esso e' stato definito come somma dei valori attributi ad ogni area elementare, in quanto contenitore di emergenze botaniche, faunistiche, geomorfologiche, storico-culturali, ecc.. Ma si e' anche tenuto conto delle condizioni di naturalita' e di equilibrio ecologico posseduto dai sistemi, facendo riferimento a criteri molto generali, come la distanza dallo stato ritenuto terminale nella serie successionale in cui si colloca la vegetazione nel sito.
Tra gli addendi nella somma che "simula" il meccanismo logico del giudizio pesano di piu' quelli di indole ecologico-ecosistemica, seguiti da quelli antropologico-culturale, essendo questo l'ordine di priorita' che la legge trasmette negli obiettivi di tutela affidati ai Parchi.
Prima classe, valore eccezionale. Gli addendi elementari del giudizio complessivo, ovvero il valore attribuito a flora, vegetazione, fauna, morfologia e componenti antropiche sono quelli sopra indicati, che in questo caso, assumono il valore piu' elevato tra tutti quelli espressi.
Il giudizio integrato su tutto il sistema si basa sulle condizioni di equilibrio complessive stimate in base alla complessita' biocenotica del sistema, alla frequenza di componenti elementari di elevatissimo pregio naturalistico, non trascurando la variabilita' a piccolo raggio delle condizioni d'ambiente e la risposta fisionomica che flora e vegetazione danno nel dipingere il paesaggio locale.
Seconda classe, valore elevatissimo. Per le componenti elementari dei sistemi i criteri di giudizio non differiscono rispetto quelli prima indicati, variandone solo la collocazione nella predefinita scala di valori.
Il giudizio sul valore complessivo dei sistemi territoriali in questo secondo caso si basa, oltre che sugli elementi prima elencati, anche su un metro "colturale", legato cioe' alla gestione delle risorse biologiche e di quelle fisiche e ai risultati ottenuti sul piano ecologico. Influisce molto sul giudizio la presenza (o la mancanza) di segni significativi di degrado.
Terza classe, valore elevato. In tal caso il giudizio puo' essere ecologico e tecnico insieme. Nel primo caso si fa riferimento a sistemi che, pur non accogliendo elementi strutturati singolarmente dotati di valore eccezionale, ne accolgono motti di discreto valore. Il giudizio "tecnico" si basa su valutazioni legate alla possibilita' del sistema di recuperare piu' validi assetti ecologici, con riferimento al modello naturale, attraverso appropriati interventi di ripristino e di valorizzazione naturalistica.
Quarta classe, valore medio. Nei sistemi di questa classe si colgono elementi di degrado delle componenti naturali tali per cui si intuisce la necessita' di interventi di manutenzione e di controllo, coi quali e' prevedibile un pronto recupero a piu' validi assetti ecologici.
Quinta classe, valore discreto. In essa restano contenute tutte le restanti parti del parco.

Le aree con valore eccezionale sono:

- La zona delle Vétte Feltrine, a partire dal M. Vallàzza fino
al M. Ramezza. - I versanti meridionali del M. San Mauro e la sommità del
M. Gràve. - La zona del Sass de Mura-Piz de Sagrón. - La zona di Erera-Campotoróndo, nell'accezione più ampia del
termine, fino cioè ai monti Pizzócco, Agnelèze, Pallóne, Pala del
Lenzuolètto. - I versanti meridionali e sud occidentali del M. Sèrva. - La zona del Van de Zità - M. Talvèna - La Varètta - Vescovà. - Il Van de la Gardesana e le aree limitrofe.

Esternamente al Parco vanno segnalate, quali aree di eccezionale valore, la torbiera di Prà Torónd, la torbiera di Lipoi e la parte sommitale del monte Cóppolo, orientativamente oltre quota 1700 m s.l.m.

Ben rappresentate sono anche le aree con valore elevatissimo;
esse comprendono:

- La zona delle Vètte Feltrine non compresa nella classe precedente
(M. Tavernàzzo, Vallóne d'Àune, zona attorno al Passo Croce
d'Àune, boschi di forra in Val di Lamèn, zona compresa fra lo
Scalón di Piètena - malga Ramèzza - M. Ramèzza). - I versanti prativi dei monti San Mauro e Gràve non compresi nella
classe precedente. - Le zone sommitali fra il Passo Finestra e il Passo Alvìs. - Parte della Valle di San Agàpito. - Una fascia pressoché continua attorno all'area di eccezionale
valore di Erèra Campotoròndo. - L'Alta Val Scura, il M. Pizzócco e i versanti prativi esposti a
Sud, fino al M. Fornèl. - II Vallone di Campotórondo. - La parte terminale della Val del Mis. - Tutti gli ambienti di forra del bacino del T. Mis. - I circhi glaciali dei Monti del Sole (M. Alt, Piz di Mezzodì,
alta Val Pegolèra). - Il fondovalle e il lato destro della Val Pegolèra. - Alcuni boschi in Valle Imperina e sul Col Pizón. - Tutti gli ambienti di forra lungo la Val Cordèvole. - L'alta Val Vescovà (Casera Castelàz, Van dello Schiàra, Forcella
Nervìlle, Cime della Scala). - I versanti meridionali dei monti Schiàra e Pelf e il Circo del
Fontanón. - Il corso del T. Ardo. - Gli abieteti della valle dell'Ardo e della Valle del Rui Frèt. - I versanti meridionali e orientali del M. Sèrva non compresi
nella categoria precedente. - La conca di Caiàda. - I boschi della Val del Grìsol e della Val Costa del Nàss. - La zona compresa fra il limite del Parco in Val Prampér e il
M. Talvéna.

Esternamente al Parco vanno segnalate quali aree di elevatissimo valore: La Val Prampér, la forra del T. Maè, la forra del T. Grìsol e la zona degli abieteti sub montani, i versanti arido rupestri in destra Piave fra Longarone e Ponte nelle Alpi, le forre del T. Ardo, la torbiera di Antole, il M. Peron, le torbiere di Làc Torónd, le Masière e il lago di Vedana, i boschi della Valle di San Agàpito, la zona umida tra Menìn e Can, alcuni ambienti in Val di Canzòi (troi de le Scalétte, fame di S. Eustàcchio, fasce ripariali), i prati del Comune di Pedavena dove è stata accertata la presenza del re di quaglie, alcune aree sul M. Cóppolo. Diffuse su tutto il territorio sono le aree classificate nel valore elevato; esse comprendono la totalità del territorio del Parco, al di fuori delle zone classificate nelle prime due categorie.
Esternamente al Parco vanno segnalate quali aree di elevato valore: alcuni versanti aridi in Val Desedàn, la zona del Prà de Santi, i prati umidi del Col di Roànza, il T. Ardo nei tratti non compresi nelle precedenti categorie, il T. Cordèvole, il T. Mis a valle dello scarico della centrale, le zone umide delle Torbe di Vedàna, il M. Piz, un breve tratto del T. Vesés, le zone umide in comune di Cesiomaggiore (Dorgnàn, Palùch), i torrenti Caoràme e Stién.
Gli ambiti con valore medio e discreto non sono rappresentati all'interno del perimetro del Parco.
Esternamente al Parco vanno segnalate quali aree di medio valore i torrenti Vesés, Salménega e Colméda nei tratti di valle.
Un ragionamento a parte merita il procedimento d'attribuzione di valore al patrimonio storico-architettonico. Infatti, l'estensione e le caratteristiche dei luoghi fanno sì che i manufatti e le testimonianze antropiche abbiano peculiarità e funzioni profondamen- te diverse e, per questo, siano difficilmente confrontabili tra loro.

La distinzione che si è ritenuto di dover operare è motivata dal tipo di testimonianza che questi beni trasmettono; all'interno di ciascuna categoria si è quindi provveduto ad applicare uno specifico sistema di valutazione, prevalentemente in base alla storicità e alla integrità del manufatto.

Sono state, in definitiva, considerate queste categorie di beni
storici:

- storico-architettonico, relativo ad edifici nei quali si
riconosce, oltre alla connotazione storica, la qualità
architettonica e la colta progettazione. Si tratta, in genere,
di edifici non legati in maniera diretta all'uso del territorio,
ma che hanno destinazione religiosa o di rappresentanza; - storico, ambientale e documentale: pur non avendo particolari
qualità architettoniche, gli edifici di questa categoria
costituiscono patrimonio della tradizione, tramandando la storia
del territorio e dei suoi usi. Si tratta di edifici in genere
poveri, legati a funzioni agricole e silvo-pastorali, e che
racchiudono nelle loro forme e nei magisteri costruttivi tutta
la sapienza di chi traeva le sue risorse dall'uso della terra; - storico-testimoniale, quando gli edifici divengono testimonianza
di storiche tecniche e tecnologie, essendo manufatti legati a
specifiche funzioni, come quelle proto-industriali, minerarie,
militari, ecc..

Naturalmente, l'attribuzione del valore non è mai riferita al manufatto preso singolarmente, ma all'oggetto inserito all'interno di un preciso contesto funzionale.

Il risultato delle analisi compiute con questi criteri può essere compendiato in questa tabella:

Valore eccezionale: - storico-architettonico: Certosa di Vedàna; - storico-ambientate: pendana e casera Brendòl, nell'ambiente
dei Piani Eterni; - storico-testimoniale: Centro minerario Valle Imperìna.

Valore elevatissimo: - storico-architettonico: Candàten, S. Martino, S. Mauro
(Arson), S. Rosia, S. Agàpito, S. Mauro (Val Scura), S. Felice,
S. Michele, S. Giuliana, S. Gottardo, S. Giorgio, S. Andrea,
ponte medioevale in Val Cordévole; - storico-ambientate: Malga Monsampiàn, Casera Erèra, Casere i
Rònch (Longarone), i centri di Montagne, Gèna Alta, S. Gottardo,
Grìsol de Dentro, il nucleo de la Fòssa, casere di Órza a
gradoni; - storico-testimoniale: il nucleo della Stua (Valle del Mis), il
sistema difensivo de I Castèi, le calchère, le strade militari
Passo Croce d'Áune-rifugio Dal Piàz, Passo Finestra-tratto di
monte, Alvìs, Erèra sopra al bivio del Porzìl, Renzìn, Planàz e
Monte Celo.

Valore elevato: - storico-architettonico: Villa Bertón (stazione Forestale Pian
d'Avéna), Le Ágre; - storico-ambientale: casera Alvìs, casera Campotoróndo, Salèt,
casera Cirvói, Palughèt, casere di Caiàda, La Varéta, Pian de
Fontàna, casera di Prampèret, malga di Prampèr, Le Prèse,
Saladèn, i centri di Gèna Media e Pattìne, gli elementi puntuali
come fontane, abbeveratoi, capitelli, ecc.(non cartografati); - storico-testimoniale: la centrale idroelettrica ed il villaggio
annesso de La Stanga, miniere di Vallàlta, Casermetta di
Forcella
Moschesìn, strade militari di Forcella Moschesìn, Erèra sotto al
bivio del Porzìl, Passo Finestra-tratto di valle, Busa delle
Vètte-Busa del Piétena, Busa del Cavarén-Busa di Monsampiàn.

Valore medio: - storico-ambientale: malga Vétte Grandi, casere Rombàldi, Pian
dei Violini, Ramèzza Alta, malga Scàrnia, Canséch, Guarda,
casere Bernàrdi, Cimónega, Piscalòr, Col de Fòia, Nusièda Alta,
casera d'Igoli, casera Rònch (Sèrva), casera Pian del Fiòch,
Vallunga, casere della Val Clusa, la Stua (Val Canzói); - storico-testimoniale: La Stanga (stazione di posta).

La sensibilita', i fattori di rischio e la vulnerabilita'

La sensibilita' dei sistemi e delle componenti sistemiche presenti nel parco e' stata stimata, come prima si e' detto, in base a elementi di giudizio sintetico riconducibili al concetto di valenza ecologica. Per certi versi il giudizio ha dimensione statistica, legato alla frequenza, che va conosciuta, con cui singole componenti sistemiche o sistemi nella loro interezza sono scomparsi o si sono alterati in seguito al mutare dei fattori dell'ambiente. Nella classe piu' elevata di sensibilita' sono stati collocati quei sistemi che vivono al limite del loro range di tolleranza (endemismi, ecotoni, specie legate ad ambienti particolari, ecc.) e che sono cosi' sottoposti ai maggiori rischi di estinzione, almeno in quest'area delle Dolomiti Bellunesi. Nell'ultima classe son posti tutti i sistemi che hanno ampia od amplissima diffusione, quelli in assetto colturale stabile e quelli che vanno considerati di origine antropica e percio' stesso dipendono solo da scelte colturali.
Sono state individuate tre classi di diversa sensibilita': alta, media e bassa.
Tra le aree a sensibilita' elevata sono collocati i biotopi umidi, particolarmente delicati in considerazione dei regimi udometrici, delle oscillazioni delle falde, dei livelli di concentrazione delle sostanze circolanti, ecc.; le fasce intorno ai torrenti a rischio per gli eventi di piena; le arene di canto e le aree di svernamento dei tetraonidi; le aree delle covate dei galifformi; i campi degli amori dei cervi, le aree di massima concentrazione dei camosci e delle marmotte, ecc..
Tra i sistemi a media sensibilita', rientrano i pascoli e i boschi che occupano ambienti particolarmente mutevoli per assetti climatici e pedologici, ovvero per l'azione limitante di alcuni fattori ecologici. Rientrano in questa categoria i territori storicamente utilizzati a prato falciato o a campigolo, in quanto inseriti "artificiosamente" nell'originario paesaggio del bosco.
Tra i sistemi a bassa sensibilita' vi sono i boschi in assetto colturale, i laghi, che hanno assetti pesantemente condizionati dal regime artificiale delle acque, le rupi, le rupi boscate.

Le zone ad alta sensibilità comprendono le zone cacuminali delle Vétte Feltrine; i prati dove è stata accertata la presenza del re di quaglie nei Comuni di Sovramonte e Pedavena; l'area di canto del forcello del Col dei Cavài; i boschi con cedrone e francolino di monte sul Tonàl; il M. San Mauro; le arene di canto del forcello della conca di Néva e di Alvìs; la zona del Caserìn-Cimónega; la zona di Erera-Campotoróndo, fino ai monti Pizzòcco, Agneléze, Pala del Lenzuolétto; numerosi ambienti a prato (M. Fornèl, Gèna Alta, vallata del Piave); i boschi con cedrone in Comune di Rivamònte; parte della Val Pegolèra; la zona di Casera Castellàz; il M. Sèrva; le cime dei monti Schiàra e Pèlf; il Circo del Fontanón; la zona di Forcella Nervìlle; la conca di La Varetta e il M. Talvéna; l'alta Val Prampèr verso F.lla Moschesìn; il Pian de Palùi, tutti i corsi d'acqua e i laghi.
Al di fuori del perimetro del Parco vanno segnalati, quali ambiti ad alta sensibilità, la torbiera di Prà Torónd, le zone con vipera dal corno alla testata della Val Clusa; la torbiera di Àntole; il lago di Vedana; la palude lungo il T. Buda; la torbiera di Lipoi; i prati del re di quaglie in comune di Pedavena; le zone umide di F.lla Aurìne; tutte le sorgenti.
Come s'è prima indicato, la vulnerabilità si distingue dalla sensibilità per l'origine "antropica" dei fattori di variabilità d'ambiente. Per estensione, poi, essa vene assimilata al rischio, essendo dimensionalmente Valutata coi prodotto tra la probabilità di alterazione e il valore della risorsa su cui l'alterazione agirebbe.
Secondo questa accezione, in cartografia sono state riportate quattro classi di vulnerabilità: La prima classe comprende: i prati dove è stata accertata la presenza del re di quaglie nel Feltrino; un bosco popolato dal gallo cedrone e dal francolino di monte in Comune di Sovramonte; tutti gli ambienti di cresta sulle Vétte Feltrine, gli ex pascoli di malga Ramézza Alta, gli ex prati di Saladén e del M. Gràve, l'arena di canto del forcello in Pinèa, le zone al di sopra del limite del bosco al Bósc dei Bói, i catini della Val Brenton, il T. Cordévole a valle della derivazione della Stanga, la cresta del M. Sèrva, alcuni ex prati pingui/pascoli della conca di Caiàda, in Val Vescovà, a Pramperet.
La seconda classe interessa: alcuni versanti del M. Tavernàzzo, le fasce lungo i sentieri nelle Vétte Feltrine, la zona attorno alla chiesa di San Mauro (Arsón), le fasce lungo i sentieri nel gruppo del Cimónega-Sass de Mura e nella zona di Erèra-Campotoróndo, le aree riproduttive del gallo forcello nella conca di Néva, numerosi ex prati o ex pascoli (Canséch, Faibón, Fràssen, Nusièda, Casere della Val Clusa, ecc.), gli ambiti ripariali del T. Cordévole compresi fra il corso d'acqua e la strada statale, i versanti sud occidentali del M. Sèrva, la fascia ai margini della strada di Caiàda, fra il Pian de le Stèle e la Casera Palughét, una fascia a lato dei sentieri maggiormente frequentati in Val Pramper. La terza classe di vulnerabilità si individua: nelle buse delle Vétte Feltrine (Busa delle Vétte, Busa di Val Càneva-Busa di Cavarén, Busa di Monsampiàn); in alcune aree interessate dalla presenza di casere private (Vallone d'Áune, zona di Soladén-Stalle Camògne, Caiàda); nelle fasce lungo alcuni itinerari a frequentazione modesta (sentiero di S. Antonio, Val delle Gràve, Val del Caoràme, Vallone di Campotoróndo, Valle dell'Ardo, Val dei Róss); nelle zone dove sono presenti ancora prati stabili regolarmente falciati (Salét, Candàten, Àgre); nelle zone a più elevato rischio di incendio (Val del Mis, Val Cordévole, versanti del M. Sèrva); in tutta la conca di Caiàda; nelle zone interessate dalla presenza di cavità carsiche di eccezionale interesse (Piazza del Diavolo, Cìmia); lungo tutto il perimetro del Parco, nei tratti in cui questo appare poco o mal definito/definibile sul terreno, nelle aree circostanti tutti i rifugi del parco e tutte le malghe del Parco, nelle aree a valle di tutte le captazioni idriche (non cartografate nella carta della vulnerabilità).
Le aree meno vulnerabili, infine, comprendono la rimanente parte del territorio del parco.

2.3 La zonizzazione strutturale del parco

Nel lavoro di impostazione metodologica che in questi mesi si sta sviluppando intorno alla pianificazione per le aree protette, interessante, e certamente stimolante, e' la proposta di ricondurre la zonizzazione strutturale alla variabilita' degli elementi percepibili del paesaggio vegetale (Universita' di Camerino). Sicuramente l'eterogeneita' degli assetti paesaggistici, pur con la gradualita' del passaggio da un elemento all'altro, e' testimone della coazione di tutti i fattori dell'ambiente, uomo compreso, e dunque trasmette all'osservatore, e al pianificatore, un complesso, completo e importante messaggio ecologico.
Pur tuttavia, essendo la zonizzazione strutturale elemento discriminante di valutazione per le scelte che portano alla zonizzazione funzionale, si e' nel nostro caso ritenuto essenziale privilegiare, rispetto agli aspetti compositivi della struttura del paesaggio, che e' fatta di sistemi ecologici, gli aspetti relativi al valore di questi sistemi, alla loro sensibilita' e alla vulnerabilita' attuale che ne deriva. In altre parole cio' significa che ciascuno dei documenti cartografici predisposti per distinguere e localizzare i sistemi ecologici in base al valore, alla sensibilita' e alla vulnerabilita', assume pienamente anche il significato di zonizzazione strutturale.
Per altri versi sarebbe opportuno tenere nel debito conto anche le condizioni di equilibrio interne ai sistemi ecologici, da valutare sia in termini strutturali (composizione e dinamismo successionale), sia in termini funzionali (relazioni tra componenti autotrofe ed eterotrofe, suoli, ecc.). L'uomo, con la sua presenza e le sue attivita', rientra nell'una e nell'altra parte di questa valutazione, e avrebbe gran peso in un giudizio circa la naturalita' o il degrado delle diverse zone dell'area protetta.
Come e' stato riferito in premessa, il livello delle conoscenze disponibili per la redazione del Piano e' da ritenersi sufficiente per l'individuazione delle linee essenziali di gestione del territorio del parco e per la formulazione delle direttive circa i sistemi di servizio e di accessibilita'.
Ad evitare sui sistemi piu' vulnerabili impatti non tollerabili prodotti dalle attivita' che possono essere previste entro i confini del parco, attivita' che sono prevalentemente silvo-pastorali e turistico-culturali, bastano le indicazioni delle cartografie allegate al Piano, essendo demandato al completamento di specifici studi l'affinamento d'un giudizio con maggiore dettaglio.
Del resto la rappresentazione delle minute cellule del paesaggio vegetale, che in larga misura e' conoscenza gia' in possesso dello staff di piano, non porterebbe ne' alla zonizzazione strutturale, ne' poi a quella funzionale, alcun elemento di piu' sicura scelta rispetto a quanto gia' abbiano dato i documenti a questo scopo predisposti.
Soltanto per alcuni interventi previsti dal Piano e' stata avvertita la necessita' di produrre documenti grafici a scala maggiore; e' il caso delle attivita' di educazione ambientale e naturalistica, che richiedono sentieri capaci di portare il pubblico a contatto con elementi sistemici di grande interesse naturalistico, pur evitando di accrescere la loro attuale vulnerabilita'. Donde la richiesta di valutazioni piu' approfondite rispetto a quelle ora compiute, pur restando inalterato il significato dell'attuale zonizzazione strutturale.
Questi ed altri approfondimenti delle conoscenze gioveranno alle future revisioni del Piano per il Parco, che sara' comunque tenuto a segnalare eventuali cambiamenti di struttura ecologica (componenti, valori e sensibilita' dei sistemi) prima di definire nuove funzioni per le diverse zone del parco. 2.4 La zonizzazione funzionale del parco La zonizzazione funzionale e' lo strumento attraverso il quale vengono definite, localizzandole in cartografia, le disposizioni, le direttive e le prescrizioni con cui l'Ente affronta la gestione del territorio del Parco, vi promuove gli interventi e vi organizza le attivita' di propria competenza, mirando a perseguire gli obiettivi di tutela, di valorizzazione, di educazione e di equilibrato sviluppo che gli vennero trasmessi con l'atto istitutivo.
Recependo quanto dettato dall'art. 12 della legge 394/91, sono state individuate le quattro fondamentali categorie di aree funzionalmente omogenee:

- zone di riserva integrale, dove la natura deve essere preservata
nella sua attuale integrità; - zone di riserva generale orientata, dove è vietata ogni forma di
trasformazione del territorio, ma sono ammesse le tradizionali
attività colturali, purché esse non arrechino danno
all'ambiente; - aree di protezione, dove possono continuare le attività primarie
e quelle artigianali di qualità; - aree di promozione economica e sociale, scelte tra le più
degradate del parco, e dove pertanto sono ammesse le attività
produttive che danno sostegno alle popolazioni residenti.
La scelta circa i regimi di tutela e le attivita' compatibili pare dunque vincolata alla qualita' dell'ambiente e alle possibilita' che i suoi valori vengano compromessi dalle attivita' umane. Il continuo riferimento che la legge fa a quelle del comparto primario richiama l'idea, piu' volte ripresa nella legge, che il mondo rurale, con le sue attivita' e le sue tradizioni di governo accorto del territorio, possa essere anche fattore di regolazione dei sistemi ecologici e non solo elemento di rischio per gli equilibri naturali.
La gradazione dei regimi di vincolo e di tutela con cui vengono elencate le quattro categorie della zonizzazione va dunque letta sia come raccomandazione a tenere conto della naturalita' esistente nel parco, qualora di naturalita' si possa parlare, sia delle potenzialita' di degrado insite nelle attivita' umane, da quelle del tradizionale mondo contadino a quelle che producono impatti piu' sensibili rispetto a quelli generati dall'artigianato "non di qualita'".
E' sembrato dunque conveniente recuperare sia le informazioni portate dalla zonizzazione strutturale (i valori del parco), sia quelle inerenti l'attuale vulnerabilita' (i rischi da eliminare o da controllare gia' oggi). Ad esse sono state quindi integrate le attese manifestate dalle comunita' locali, quelle trasmesse nel corso di una numerosissima serie di incontri con soggetti e associazioni a diverso titolo autorizzati ad esprimerle in nome di diversi gruppi sociali attivi nell'area del parco, con Enti e con varie Istituzioni, nonche' con le indicazioni di opportunita' che via via si raccoglievano durante l'elaborazione e la verifica dei dati e delle informazioni scientifiche e tecniche necessari alla redazione del Piano.
In tale maniera nelle riserve integrali sono confluiti i territori contenenti sistemi provvisti dei piu' elevati valori naturalistici. In alcuni casi sono state inserite in questa categoria di tutela alcune aree che contengono, in forma diffusa, numerose emergenze puntiformi, la cui dimensione e' tale da escludere l'opportunita' di destinarle singolarmente a riserva integrale. Nell'insieme, tuttavia, esse costituiscono una struttura di eccezionale valore. Tra le riserve integrali s'e' anche collocata quella storicamente considerata la "riserva del parco" (Piazza del Diavolo), benche' essa appaia solo in alcuni limitati settori, alla sperimentazione compiuta, ricca di eccezionali pregi ecosistemici o biocenotici.
E' importante sottolineare come alcune scelte di fondo in merito alla zonizzazione funzionale si siano compiute non solo in base al valore dei sistemi ecologici o delle loro componenti, ma anche in base al modo con cui l'uomo s'e' con essi storicamente rapportato e in base ai vincoli che, in tale senso, la legge impone.
E' stato soprattutto il caso di alcune aree nelle quali il tradizionale esercizio del pascolo si coniuga con valori eccezionali di natura botanica o faunistica. Non essendo prevista dalla legge la conduzione di attivita' colturali in regime di riserva integrale, ne' potendosi nemmeno prospettare la cessazione del pascolamento che fino ad oggi ha generato e tenuto alti quei valori che si intende tutelare, s'e' necessariamente compiuta la scelta di escludere i pascoli attivi dal novero delle riserve integrati, per collocarli tra le riserve orientate. Si e' scelto inoltre di "derubricare" dal sistema delle riserve integrali per inserirlo tra le riserve orientate, l'insieme dei luoghi provvisti di elevatissimo o di eccezionale interesse naturalistico e paesaggistico, benche' da lunghissimo tempo esso sia interessato da attivita' escursionistiche e alpinistiche. I modi con cui sempre si sono esercitate queste pratiche del tempo libero e il carico modesto d'alpinisti e di escursionisti in quei luoghi aspri e lontani dalle principali strutture d'accoglienza turistica, mai, fino ad oggi, ne ha messo a rischio il valore naturalistico. Ma la legge vieta nelle riserve integrali qualsiasi presenza umana che non sia giustificata da esigenze scientifiche; ma neppure si puo' ragionevolmente concepire di impedire alle genti del parco di vivere la montagna come da sempre si fa in queste contrade. Di qui la scelta di portare quelle "riserve integrali" al rango di "riserve generali orientate" (pur se di tipo B2), impedendovi per latro, l'esercizio di ogni attivita' che possa interferire coi naturali processi ecologici.
In tutta la restante parte delle riserve orientate (riserve generali orientate) confluiscono invece i territori del parco provvisti di valori molto elevati, pur se non eccezionali, in quanto risentono, a livello biocenotico, degli effetti dell'antica tradizione colturale. Si sono verificate molte situazioni in cui "l'algoritmo" del giudizio circa il valore ha prodotto risultati omologhi partendo da elementi di calcolo differenti. In alcuni casi, infatti, si e' attribuito valore elevato ai processi ecologici e sinecologici in atto, che generalmente sono progressione di sistemi erbacei verso assetti che in un futuro piu' o meno lontano saranno forestali; in altri casi, invece, si e' attribuita importanza ad assetti colturali e sociali che meritano d'essere mantenuti anche a dispetto delle condizioni locali d'ambiente e di mercato che rendono antieconomica la gestione del bosco e del pascolo.
Nelle aree di protezione vengono collocate tutte le parti del territorio del parco in cui si esercita correntemente la gestione delle risorse primarie, quasi esclusivamente forestali. Si sono distinte, anche in tal caso, due diverse situazioni legate alla "qualita'" selvicolturale delle strutture sistemiche. Un primo caso denuncia l'opportunita' che il Parco si faccia promotore d'una azione di miglioramento strutturale e funzionale dei sistemi, attraverso cambiamenti di governo e di trattamento dei boschi, o attraverso il miglioramento dei pascoli, da ottenere soprattutto con lo strumento degli incentivi economici a presentazione di uno specifico progetto. Nel secondo caso rientrano invece tutti quei sistemi che gia' oggi godono di corrette ed efficienti forme di gestione, che vanno mantenute, o al piu' perfezionate, anche col sostegno dell'Ente.
Il Piano dunque avverte nel dettato della legge, che prevede per la tutela del parco solo quattro zone omogenee ai fini dei possibili regimi d'uso e di difesa, un limite culturale e un limite operativo. Oltre al problema gia' prima affrontato e risolto con la "declassazione" delle riserve integrali, ne sorge un altro di segno opposto. Sarebbe infatti opportuno definire una quinta zona, quale insieme di molte e disgiunte piccole superfici, scelte a campione dei principali ecosistemi del parco, entro la quale organizzare ed avviare lo studio dei processi di naturale e spontanea maturazione ecologica, una volta che essi possano essere sottratti ad ogni possibile fonte di disturbo colturale o generato d'altre forme d'uso antropico. In particolare a queste riserve, non necessariamente permanenti, meriterebbero d'essere destinate parti di bosco delle differenti tipologie individuate all'interno del parco, al fine di potervi determinare, nel corso di alcuni decenni, i parametri piu' efficaci a definire gli ottimali "modelli colturali" e, soprattutto, a quantificare i livelli di equilibrio raggiunto, che sono metro essenziale, e perlopiu' sconosciuto, ad ogni seria valutazione dello stato ecologico di un territorio. Tali piccole superfici dovrebbero dunque essere sottoposte ad un regime analogo a quello delle riserve integrali, benche' se ne prospetti l'istituzione graduale nel tempo e senza possibilita' di riporto cartografico. Il particolare regime di riserva potrebbe, del resto, essere sospeso una volta che si esaurisse l'interesse scientifico che ne aveva suggerito l'istituzione.

Come appare nella specifica tavola di progetto, tra le riserve integrali rientrano parte del territorio delle Vétte Feltrine (creste e zona ad est della Busa delle Vétte, fino a comprendere l'attuale riserva integrale Piazza del Diavolo), la zona dei Caserin, nel gruppo del Cimonega-Sass di Mura, la zona del Monte Brandol, i Piani di Erèra, con l'esclusione dell'area pertinente ai pascoli caricati, il Monte Talvena. Complessivamente le riserve integrali interessano circa 2.500 Ha.

Le zone di promozione economica e sociale sono ben poca cosa all'interno dell'area protetta, i cui confini hanno di fatto escluso ogni forma di forte antropizzazione urbanistica. Rientrano in questa categoria solo alcune zone in Comune di Pedavena (Pian d'Avena, Passo Croce d'Aune, Casera dei Boschi); i fondovalle della Val di Canzoi, della Val del Mis, della Val Cordevole; i borghi di Gena Media, Gena Alta, Pattine, San Gottardo; la certosa di Vedana; il complesso minerario di Valle Imperina. Ai fine di garantire la possibilità di effettuare alcuni interventi su strutture a supporto dell'attività dell'Ente, sono stati infine inseriti in zona D alcuni altri edifici, identificati nell'allegato B del Piano.

3. IL TERRITORIO E LA SOCIETA' FUORI PARCO

Esula dagli obiettivi di Piano effettuare una disamina approfondita delle caratteristiche geografico-territoriali, ambientali, sociali , economiche dei territori immediatamente esterni all'area protetta, pur tuttavia appare comunque importante delineare il contesto generale nel quale il Parco e' inserito.
Per quanto concerne i caratteri spiccatamente naturatistici, il tema e' sviluppato in altra parte della relazione (paragrafo 22 "L'applicazione dei risultati" e paragrafo 4.1: "I confini") nonche' negli elaborati grafici. In questa sede e' opportuno invece descrivere, in modo sia pur sintetico, alcuni aspetti legati alla presenza dell'uomo nel territorio e alle sue attivita'.
La situazione, al proposito, appare molto differenziata e non potrebbe essere altrimenti, considerate le caratteristiche geografiche di questo parco, a contatto con aree di fondovalle e con distretti dolomitici interni, zone che, per quanto oggi in stretta comunicazione, sono caratterizzate da vicende storiche e sociali anche molto diverse.
Con riferimento a tali questioni, una prima, importante sottolineatura riguarda il fatto che il territorio del parco, nel suo limite meridionale, risulta caratterizzato da un'articolata sequenza di paesi, borghi rurali, piccoli agglomerati urbani che, a partire da Ponte nelle Alpi per arrivare a Sovramonte, si susseguono praticamente senza soluzione di continuita'. Si tratta di insediamenti storicamente legati all'uso primario del suolo, dove ancor oggi, pur con fenomeni di abbandono piu' o meno marcato, si concentra una discreta quantita' di aziende agricole. A questo proposito va rilevato che, un tempo, i versanti meridionali del parco, con le loro superfici agrarie e forestali, costituivano risorse di primaria importanza nell'economia agricola di questi paesi (taglio della legna, produzione di fieno, ecc.), mentre oggi questo legame risulta molto affievolito, vuoi per l'inevitabile abbandono di molte attivita' primarie non piu' proponibili, vuoi per una evidente e progressiva modifica nelle caratteristiche occupazionali della forza lavoro, legata in larga misura al settore secondario e in parte al settore terziario. Va peraltro rilevato che, nelle aree immediatamente esterne all'area protetta, le pratiche selvicolturali legate alla produzione della legna da ardere sono ancora molto vitali.
In questo settore meridionale del Parco, i poli di Belluno e Feltre, ma un po' tutta la rete urbana che li collega, con la concentrazione di uffici e servizi che li caratterizza, costituiscono il punto di riferimento su cui gravita la popolazione residente nella fascia pedemontana.
Caratteristiche diverse hanno altri territori attorno all'area protetta, che coinvolgono singolarmente peraltro superfici piu' modeste. In particolare, nella zona di Longarone e di Agordo assume un'importanza del tutto particolare la presenza di una gran quantita' di attivita' industriali e artigianali (es. occhialerie), che, con le opportunita' occupazionali offerte, hanno di certo contribuito a far mutare le abitudini dei residenti, accelerando in alcuni casi l'abbandono delle originarie attivita' primarie. Va tuttavia rilevato che, soprattutto in alcune zone dell'Agordino quali Gosaldo e anche Rivamonte, permane evidente uno stretto "legame con la terra" da parte dei residenti che si ripercuote, sia pur ormai solo localmente, in una lodevole cura del territorio.
Per quanto concerne la Val di Zoldo, e' noto che l'assetto sociale ed economico del territorio risulta caratterizzato, da un lato, dal fenomeno dell'emigrazione stagionale (gelatai) che coinvolge la quasi totalita' della popolazione, dall'altro, da una consolidata economia turistica, sia invernale che estiva, rispetto alla quale il territorio del parco rimane comunque ancora marginale.
Un discorso a se' merita la zona di Sovramonte dove, piu' che in altri territori limitrofi all'area protetta, si conservano molte delle antiche attivita' ed abitudini e dove permane un legame con il territorio, nella globalita' delle sue manifestazioni e implicazioni, altrove ormai molto ridotto. Qui infatti alcune aree, sia pur disagiate, sono ancora conservate nella loro originaria integrita' ed anche i fenomeni di abbandono, sia pur presenti, non coinvolgono in modo massivo il territorio, come avvenuto in altre parti.

Un sintetico cenno va effettuato rispetto all'economia turistica nelle aree esterne al parco che, con l'eccezione della Val di Zoldo e solo in parte di altre porzioni limitate di territorio (es. Croce d'Àune), può essere considerata del tutto irrilevante nonostante una potenzialità che appare non trascurabile, basti pensare alle carat- teristiche del paesaggio agrario della Val Belluna, al sistema di ville padronali che caratterizzano la fascia pedemontana tra Pedave- na e Belluno (che meriterebbe certo di essere valorizzato mediante un percorso tematico), alle caratteristiche ambientali del territorio del Comune di Sovramonte, alle potenzialità in termini di qualità ambientale dell'alta Val del Mis, per citare solo alcuni aspetti. Si tratta, con ogni probabilità, di occasioni ancora inesplorate, vuoi per la concorrenza, ritenuta a torto forse impari, con i più blaso- nati comprensori dolomitici, vuoi per una mancanza di tradizioni in questo senso, vuoi per una disponibilità di possibilità occupazio- nali che inibisce l'avvio di nuove attività imprenditoriali legate al turismo.
La presenza del Parco, rispetto alle questioni accennate, dovrebbe poter favorire, attraverso una serie di azioni dirette ed indotte (alcune delle quali descritte nel Piano per il Parco, altre da demandare al Piano pluriennale di sviluppo economico e sociale), il mantenimento o il ripristino di tutta una serie di operazioni di manutenzione e gestione del territorio, in forme compatibili con il permanere di assetti equilibrati e stabili, nonche' l'avvio di forme di turismo naturalistico, legate anche e soprattutto alle stagioni altrove "morte" (autunno e primavera), su cui si potrebbe innescare una serie di ulteriori attivita' per occasioni imprenditoriali, oggi solo ipotizzabili, che potrebbero invece favorire la creazione di posti di lavoro, la realizzazione di interessanti introiti economici nonche' una crescita culturale diffusa.

4.1 PROBLEMI DEL PARCO E LE PROPOSTE DI SOLUZIONE

4.1 I confini

La confinazione del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, cosi' come e' stata definita dal Decreto Ministeriale istitutivo, e' il frutto di discussioni pluriennali, di mediazioni, di analisi territoriali, sociali, economiche e anche, soprattutto per quanto concerne i piu' recenti ampliamenti, di provvedimenti improvvisi non discussi con la cittadinanza.
Il Piano non entra nel merito del complesso iter che ha condotto alla confinazione attuale ma intende stimolare una prospettiva di medio e lungo termine, ed una di breve termine, con lo scopo di delineare i criteri per una possibile riperimetrazione dell'area protetta, tesa a perseguire nel miglior modo possibile le finalita' istitutive del Parco.
Rispetto all'attuale confinazione, e' possibile proporre alcune considerazioni:

- il Parco è nato come sommatoria di svariate Riserve Naturali,
istituite agli inizi degli anni '70, i cui confini sono stati
raccordati, con l'inserimento nel settore nord-orientale (Comuni
di Longarone e Forno di Zoldo) di ampie superfici di proprietà
non demaniale; - restano pressoché completamente esclusi dall'area protetta i
territori assimilabili concettualmente a quelle che la legge
quadro definisce come aree di promozione economica e sociale,
e ciò pone oggettivi problemi nel perseguire l'obiettivo di
creare migliori condizioni di vita per le genti delle zone
montane interessate, che in questo Parco può avvenire solo per
via indotta, non potendo l'Ente intervenire direttamente su
aree esterne, a meno di interventi molto particolari (centri
visita); - alla luce di quanto sopra sottolineato, assume una particolare
importanza, nelle strategie ed azioni del Parco, la Comunità del
Parco, che ha come finalità anche la promozione di iniziative
atte a favorire lo sviluppo economico e sociale nelle aree
esterne al Parco; - dal punto di vista dell'accessibilità e della percorribilità si
può affermare che le condizioni non sono idonee a ricevere grandi
masse di turisti, e ciò sostanzialmente per i seguenti motivi: - la morfologia del territorio protetto è tale per cui esistono
pochi accessi facilmente praticabili (con vetture o dopo brevi
passeggiate); - alcuni di tali accessi (Val di Canzói, Val del Mis) hanno già
raggiunto livelli di saturazione tali da non potervi immaginare
un ulteriore aumento del flusso turistico nei periodi di punta.
Il Piano non intende promuovere un incremento della pressione
antropica nella zona protetta, ma indica invece quale via da
perseguire la riqualificazione delle forme di fruizione, anche
attraverso fa creazione di presupposti che possano consentire un
uso del territorio nel corso dell'intero anno; il Piano individua
invece nelle aree attigue al Parco l'ambito per il quale possono
essere previste forme di incentivi all'attività turistica,
naturalisticamente orientata; - altri accessi (Caiàda) presentano caratteristiche ambientali
tali per cui si rende necessario prestare le massime attenzioni
affinché i valori naturalistici non vengano intaccati da eventuali
nuove forme d'uso del territorio; - il perimetro del Parco coincide in molti casi con il limite di
aree di eccezionale o elevatissimo interesse naturalistico
(Pizzòcco, settore occidentale, M. San Mauro - M. Gráve), spesso
le interseca frammentandole (M. Sèrva, Val del Grìsol, pendii
arido rupestri nella valle del Piave, ecc.), e manca all'interno
del Parco una fascia cuscinetto di raccordo fra aree di minor
valore/sensibilità ed ambiti di importanza più rilevante.
Le norme per la gestione ambientale e territoriale di questa
indispensabile fascia non sono quindi controllabili che molto
parzialmente dall'Ente Parco; - rimangono escluse dal parco alcune aree di rilevante interesse
naturalistico, quali i biotopi umidi della Val Belluna, le
Masiére di Vedàna, vaste aree dove si è ancora meravigliosamente
conservato nella sua integrità l'ecosistema agrario. Questi
ambienti ospitano specie, soprattutto animali, assenti o molto
rare all'interno del perimetro dell'area protetta (raganella
italiana, rana agile, tritone crestato, tritone punteggiato
meridionale, torcicollo, picchio verde, civetta, ecc.). Il
possibile ampliamento mirato del Parco a comprendere almeno
alcuni biotopi aprirebbe la prospettiva di un improvviso e
non trascurabile aumento dei livelli di biodiversità dell'area
protetta.
Un discorso, per quanto sintetico, intorno ai confini del parco non puo' inoltre prescindere da una valutazione attenta di quali sono gli indirizzi, a scala locale, nazionale e internazionale, rispetto alla politica di tutela ambientale. A questo proposito, per quanto riguarda le idee culturalmente piu' avanzate in campo non solo nazionale, si ricorda una proposta che e' andata delineandosi negli ultimi anni, quella dei cosiddetti corridoi ecologici. Nella consapevolezza infatti del progressivo incremento del tessuto urbanizzato nella montagna alpina, anche nei suoi ambiti piu' interessanti e vulnerabili (per esempio, sviluppo del demanio sciabile, strade di arroccamento, ecc.), si e' capita la necessita' di garantire la presenza sul territorio di fasce a spiccata naturalita', che possano consentire il libero movimento della fauna fra ambiti anche molto distanti fra loro (dalla Slovenia, al Veneto, al Trentino, all'Austria). L'interesse nei confronti di questa prospettiva e' legato soprattutto alle trasformazioni ambientati del secondo dopoguerra ed alla conseguente progressiva espansione dai paesi dell'EST di alcuni predatori, quali la lince, l'orso, il lupo, lo sciacallo dorato.
Il problema tocca direttamente anche il Parco delle Dolomiti; basti pensare alle continue segnalazioni di linci, che con ogni probabilita' fanno parte della popolazione gravitante sui Lagorai; alla comparsa sporadica dell'orso nella Val Bo'na, a pochi chilometri dal confine nord orientale del Parco delle Dolomiti e dal confine occidentale del Parco delle Prealpi Carniche; allo sciacallo dorato, avvistato a Rivamonte Agordino. Ma in misura minore il problema interessa anche fauna di piu' ridotto interesse, che si muove, ad esempio, all'interno della Val Belluna (si pensi allo spostamento dei cervi dalla sinistra Piave al parco, ad alcuni uccelli dipendenti dalle zone umide, ai piccoli carnivori, ecc.).
Il Piano individua, quindi, il tema della creazione di corridoi ecologici verso le aree protette attigue (a grande scala) e verso il fondovalle (F. Piave in particolare, lungo i corsi d'acqua), come uno degli argomenti piu' importanti sotto il profilo applicativo e culturale, da sviluppare in una prospettiva di medio-lungo termine.
Prima di entrare direttamente nel merito delle proposte di Piano rispetto alle possibili modifiche dei confini, e' opportuno sottolineare anche questi aspetti:

- la dotazione finanziaria dei Parchi nazionali appare incongrua
rispetto alla necessità di perseguire in modo organico le
finalità istitutive e i criteri di assegnazione dei fondi, sulla
base della superficie complessiva e del numero dei residenti,
appaiono inadeguati alle caratteristiche dei parchi alpini. Alla
luce di questa considerazione, stante l'attuale politica
finanziaria in merito alle aree protette, non si può essere
certi che ad eventuali ampliamenti possano corrispondere
adeguate risorse per far fronte alle legittime richieste che,
nel caso dell'inclusione di aree urbanizzate, verrebbero a
ragione avanzate dai più diversi soggetti. Ciò anche in
relazione all'imprescindibile sviluppo della politica
finanziaria governativa; - alla luce di quanto sopra accennato, il Piano sottolinea
l'importanza che, quanto meno i fondi riservati nell'ambito dei
Piani triennali ai Comuni aventi parte del territorio
all'interno dell'area protetta, possano effettivamente venir
proficuamente impiegati in azioni e interventi legati
direttamente alle finalità istitutive del Parco, e non venir
dirottati verso altri progetti che, per quanto comunque
necessari (es. fognature e depuratori), dovrebbero poter trovare
fonti di finanziamento su altri capitoli di spesa; - Il Piano sottolinea la necessità che, rispetto a possibili
ampliamenti, vengano privilegiate quelle aree che presentano i
valori naturalistici più rilevanti, o per interesse oggettivo, o
perché caratterizzate da tipologie ambientali poco o nulla
rappresentate all'interno dell'area protetta, così come
attualmente definita; l'inclusione di biotopi di riconosciuto
interesse naturalistico viene considerata quindi dal Piano
azione prioritaria; - Il Piano valuta gli attuali confini sufficienti a dimostrare in
tempi brevi l'efficacia che la destinazione a parco di un
territorio può avere rispetto al perseguimento delle finalità
istitutive, salvo che per quanto concerne la possibilità di
migliorare sensibilmente le condizioni di vita delle popolazioni
locali, per la quale valgono i ragionamenti già svolti; - il Piano considera fondamentale la necessità che eventuali
modifiche (locali ampliamenti o riduzioni) all'attuale
perimetrazione vengano effettuate sulla scorta di un consenso
quanto più ampio possibile, tenendo conto del parere dei
Consigli Comunali, fatta salva l'imprescindibile posizione di
garantire la tutela dei valori naturalistici; - Il Piano sottolinea altresì la necessità che eventuali modifiche
ai confini dell'area protetta non comportino comunque riduzioni
della superficie complessiva del Parco e che si possa
scientificamente dimostrare che, con la nuova eventuale
perimetrazione, il livello di biodiversità dell'area protetta
aumenti.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte il Piano, rispetto al tema della confinazione, apre due prospettive, una a medio-lungo termine, l'altra a breve scadenza.

- Il Piano individua quali prospettive a medio-lungo termine. - il raccordo con il Parco Panevéggio - Pale di San Martino; - l'estensione del perimetro nella zona meridionale, fino a
comprendere l'area a nord della strada provinciale pedemontana e
quelle che il Piano definisce come le porte del Parco, fra le
quali appare di particolare interesse l'abitato di Montagne; - l'inclusione nel Parco dei principali corsi d'acqua, fino al
Piave, così da garantire la tutela di corridoi ecologici di
vitale importanza per la fauna; - l'estensione dei confini nel settore orientale fino alla strada
statale di Alemagna; - l'estensione dei confini a Nord Est, fino a raccordarsi,
attraverso un corridoio, con il Parco delle Prealpi Carniche; - l'estensione dei confini a Nord, fino alla valle del Maè, a
Forno di Zoldo, e al Passo Duràn; - l'estensione dei confini fino a comprendere le piccole frazioni
e le case sparse nei comuni di Rivamonte, Gosaldo, Sagron del
Mis, nell'alto bacino del Mis.

Nell'impossibilità, per i più svariati motivi, di perseguire una politica di ampliamento del Parco nella direzione sopra descritta, il Piano individua comunque, quale necessità prioritaria, l'attiva- zione, di sinergie fra Ente Parco e gli altri soggetti abilitati alla pianificazione (Provincia, Regione, Comuni) affinché le aree sopra descritte possano essere gestite secondo criteri conservativi.

Il Piano individua quali prospettive a breve termine: - l'inclusione nel Parco: - dei boschi della Valle di San Agàpito; - della zona delle Masiére e del Lago di Vedàna; - della forra del T. Ardo, fino alla ex centralina idroelettrica; - della gola del T. Desedàn; - della forra del T. Grìsol; - della forra del T. Maè; - della prima parte della Val Clusa, sopra La Muda; - della Riserva Naturale della Val Tovanèlla con valutazione della
possibilità di collegamento al Parco attraverso un apposito
corridoio ecologico; - di alcune aree sommitali del M. Cóppolo, di rilevante interesse
naturalistico; - dei principali biotopi esterni, con particolare riferimento
alle zone umide quali la R.N. Vincheto di Celarda, collegabile
al Parco attraverso i corridoi ecologici lungo il Caorame; - delle proprietà demaniali regionali (ARF); - la rettifica puntuale dei confini per rispondere meglio alle
necessità di sorveglianza e controllo; - la rettifica dei confini in corrispondenza delle aree dove si
siano manifestate forti tensioni sociali, sempre che eventuali
riduzioni non insistano su aree di particolare
valore/sensibilità/vulnerabilità.

Un'importante sottolineatura che il Piano ribadisce, e che costituisce un presupposto essenziale dell'intera fase progettuale, riguarda le ricadute sul territorio esterno che la sommatoria delle azioni previste da questo documento potra' sortire. Nel prospettare il disegno del futuro Parco, infatti, si e' prestata costante attenzione affinche' molti degli interventi proposti potessero avere effetti diretti anche sulle aree al di fuori della zona protetta, sotto il profilo culturale, sociale, economico, naturalistico. E' il caso del sistema informativo/educativo, delle attivita' di ricerca, delle azioni in campo forestale e agricolo-zootecnico, per citare solo alcuni esempi. Il perseguimento degli obiettivi indicati, secondo questa linea strategica, dovrebbe poter condurre alcune Amministrazioni a richiedere l'inclusione di parte dei propri territori all'interno dei confini del Parco; l'area protetta avrebbe cosi svolto nel migliore dei modi il ruolo assegnatole con la sua istituzione.
Il Piano si muovera' affinche' il Parco non venga inteso, cio' che sempre e' avvenuto in passato, come insieme di vincoli e di restrizioni. Nel campo degli interventi sulle componenti agricole, zootecniche e di foresta, il Piano propone all'Ente di sviluppare misure energiche di incentivazione volte al miglioramento funzionale dei sistemi colturali. Di queste misure dovrebbero beneficiare non solo le proprieta' interne all'area protetta, ma tutte quelle che, a parita' di condizioni, si trovano oltre i confini del parco. La strategia di fondo vede, a tal proposito, il prevalere assoluto dei benefici sui limiti, che dovrebbero essere anzi inesistenti. Spetta cosi' alle Amministrazioni comunali valutare l'opportunita' di una scelta che fino ad oggi e' stata di negazione verso l'ingresso nei parchi; potrebbe essere questa l'occasione per rivalutare a fondo l'opportunita' di una scelta diversa che di fatto non produce alcun svantaggio.

4.2 Il patrimonio edilizio

Il Piano individua nel progetto speciale per la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio edilizio lo strumento necessario all'approfondimento dei diversi aspetti legati alla storica presenza dell'uomo nell'area protetta, tanto in termini di censimento puntuale delle risorse, quanto in riferimento agli interventi consentiti sul singolo manufatto.
Il Piano individua comunque fin da ora nel patrimonio edilizio esistente una risorsa da tutelare, ne effettua una prima classificazione, ne promuove la valorizzazione in riferimento:

- al suo interesse storico architettonico; - al suo interesse storico-ambientale documentario; - al suo interesse storico testimoniale; - all'importanza rivestita nell'ambito degli usi primari ancora in
atto; - al ruolo di supporto per le attività che il Parco promuove; - al ruolo svolto nel mantenimento di forme di manutenzione del
territorio, in corrispondenza di case e casere private.

Il Piano individua in apposite cartografie i beni culturali e ne effettua una classificazione in base al valore. Sono stati identifi- cati quali beni culturali i: - centri storici (centri storici, centri storici minori, borghi
rurali); - beni di interesse storico-architettonico: - edifici religiosi (monasteri, chiese, oratori); - edifici civili (ville, case padronali); - attrezzature della strada (ospizi, stazioni di posta, osterie); - beni di interesse storico-ambientale: - nuclei o manufatti legati all'attività silvo-pastorale; - beni di interesse storico-testimoniale. - archeologia industriale (nuclei storici legati all'attività
estrattiva, siti minerari, tracciati ferroviari non più
esistenti, insediamenti legati alla produzione idroelettrica,
mulini, calchère), - manufatti militari (siti fortificati, strade militari,
casermette); - cippi confinari; - beni archeologici (siti archeologici, strade e ponti
medioevali),

Il Piano individua inoltre in cartografia gli usi attuali del suolo e li distingue in: residenziali (residenza stabile, residenza temporanea), produttivi (attività ed attrezzature primarie, attività ed attrezzature secondarie, attività ed attrezzature terziarie, pub- blici esercizi), turistici (albergo, campeggio, area pic-nic, senti- ero segnalato), di collegamento (viabilità), parcheggi, servizi ed impianti di interesse comune (istituzioni religiose, istituzioni culturali e associative, servizi pubblica sicurezza).

Ai fini di consentire la tutela e la valorizzazione del patrimo- nio edilizio, il Piano individua alcune tipologie (descritte nelle schede allegate) costituite da: - casa a ballatolo di tipo Feltrino, diffusa per lo più nel
fondovalle, dalla forma allungata lungo le curve di livello, è
caratterizzata dalla presenza del ballatoio in legno, sostenuto
dall'alto, che si sviluppa per l'intera altezza del manufatto
permettendo l'accesso indipendente ai locali dei piani
superiori; - casa a ballatoio di tipo Bellunese, come la prima è diffusa
soprattutto nel fondovalle e lungo la bassa Val Cordevole,
anch'essa si sviluppa parallela alle isoipse ed è caratterizzata
da un ballatoio esterno in legno, abbastanza profondo; si
differenzia dalla prima soprattutto per la presenza del portico
al piano terra; - casa della valle del Mis, diffusa nell'alta Val del Mis, è
disposta perpendicolarmente rispetto al pendio; il ballatoio è
presente solo all'ultimo piano e le scale sono sempre interne; - casera ed annessi (pendana, stallone, casello del latte),
edifici tipici dell'economia silvo-pastorale delle aree montane,
presentano forme diverse a seconda dell'epoca di costruzione e
dell'altitudine, ma sono costanti le caratteristiche dei locali
che le compongono.

Le tipologie individuate costituiscono il riferimento per la comprensione dei manufatti minori all'interno del contesto fisico e culturale del territorio del Parco ed una guida al riconoscimento degli elementi costitutivi il patrimonio edilizio, fondamentale per la realizzazione degli interventi di valorizzazione e di restauro.
Ad integrazione delle tipologie sopra elencate, il Piano individua gli elementi costruttivi ed architettonici che sono comunque da considerarsi caratterizzanti il patrimonio edilizio (costanti tipologiche), e quindi meritevoli di tutela, anche quando inseriti in contesti di pregio diverso.
Tra gli elementi costitutivi dell'edilizia storica, anche minore, sono individuati: le murature tipiche, le aperture, le pavimentazioni, i solai, le coperture, i ballato, gli elementi delle pertinenze (analizzati nelle schede allegate alle norme di Piano).
La salvaguardia e la valorizzazione dei manufatti con i loro caratteri tipologici, costruttivi, architettonici costituiscono il mezzo attraverso cui tramandare la storia e la cultura locale, i modi di vita, l'organizzazione sociale e produttiva, il rapporto con l'ambiente, le tradizioni della popolazione.
Il Piano indica quali interventi da privilegiare quelli di restauro e risanamento conservativo, eventuali sovvenzioni accordate dal Parco per il recupero del patrimonio edilizio privato saranno subordinate a convenzioni specifiche attraverso le quali verranno garantite forme di riqualificazione ambientale in termini, ad esempio, di sfalcio annuale di una certa superficie a prato, di sistemazione di muretti a secco, di recupero di una fontana o di un lavatoio, ecc..

4.3 Gli accessi speciali e le porte del parco

Gli accessi speciali

Il territorio del Parco, per caratteristiche morfologiche ed idrografiche, risulta accessibile per lo piu' attraverso sentieri; alcune aree, tuttavia, possono essere normalmente raggiunte anche con le vetture.

Il tema degli accessi si pone quindi sotto un duplice aspetto: da un lato, infatti, alcuni di essi (i primi) sono rivolti anche al turista occasionale, che raggiunge il Parco quasi involontariamente, per motivi che prescindono dalla presenza dell'area protetta (il caso della Val del Mis e della Val Cordévole sono esemplificativi al proposito); dall'altro lato vi sono gli accessi frequentati da chi invece subordina ad una scelta ragionata (escursione, osservazione floristica o faunistica, ricerca, studio, didattica) la sua visita al territorio.

Va sottolineato che, con il temine di accessi, il Piano intende far riferimento a percorsi, valli, fasce che, a partire dalle aree esterne, consentano di "entrare" nel Parco.
Il Piano individua quindi due tipi di accessi: gli accessi turi- stici e gli accessi naturalistici e per essi individua progetti e azioni diversificate.
Gli accessi turistici hanno la prerogativa di consentire l'in- gresso in Parco con mezzi motorizzati; gli accessi naturalistici vengono individuati all'interno di quei percorsi fra esterno e in- terno che presentino le caratteristiche di comoda percorribilità e sono stati quindi esclusi tutti gli itinerari su sentieri impegnativi.
Gli obiettivi di fondo che il Piano pone come prioritari possono così essere sintetizzati:
Per gli accessi turistici. - necessità di riqualificare l'offerta rispetto alla situazione
attuale attraverso progetti specifici, azioni, direttive, norme; - opportunità di localizzare gli accessi turistici in aree a minor
valore/sensibilità/vulnerabilità ambientale; - necessità di garantire un minimo di infrastrutturazione; - necessità di poter controllare il traffico veicolare durante i
mesi e/o le giornate di punta.

Per gli accessi naturalistici - opportunità di localizzare gli accessi naturalistici lungo
itinerari qualitativamente pregevoli; - opportunità di ridurre al minimo le infrastrutture di servizio
intese in senso classico (parcheggi, aree di sosta, ecc.), o
quanto meno di localizzarle nelle aree esterne al Parco; - necessità di prevedere lungo gli accessi naturalistici percorsi
guidati.

Precisando che il Piano non crea, né annulla alcun accesso al parco, di modo che ogni strada e ogni sentiero che immettano nella area protetta hanno la dignità e l'importanza che la storia ha loro destinato, è sembrato opportuno distinguere delle funzioni priorita- rie da attribuire a qualcuna di queste preesistenti vie di entrata.

Così, gli accessi turistici che il Piano individua sono i seguenti: - Zona di Àune -Passo Croce d'Àune. - Val di Canzói. - Val del Mis. - Val Cordévole.

Gli accessi naturalistici che il Piano individua sono i seguenti: - Val di Lamén. - Val di San Martino. - Valle dell'Ardo. - Caiàda. - Val del Grisòl. - Val Prampér.

Di seguito vengono presi in esame i diversi accessi, sottolinean- done in modo sintetico le caratteristiche e descrivendo gli obietti- vi che il Piano si pone per la loro valorizzazione.

Accessi turistici

Zona di Aune -Passo Croce d'Àune

Accesso caratterizzato dalla presenza di una strada statale, rap- presenta il punto di partenza privilegiato per il raggiungimento dei santuari naturalistici delle Vétte Feltrine. Il perimetro del Parco, in questa parte di territorio, è tale per cui non sembrano presen- tarsi particolari problemi gestionali. La qualificazione dell'offer- ta è demandata, in questo caso, ad una serie di iniziative che vanno attivandosi fra le quali il recupero della Casera dei Boschi, la riqualificazione della zona del Pian d'Avena (area pic-nic ed edifici della stazione forestale), la sistemazione della rete sentieristica.

Val di Canzòi

Il discorso sulla Val di Canzói appare molto complesso in ragione del suo valore naturalistico e delle modalità di frequentazione attualmente in uso. Si assiste infatti, nei periodi di massima frequentazione turistica, a modalità di fruizione del territorio incompatibili con la destinazione a Parco di questo ambito. Il Piano individua quali azioni prioritarie da intraprendere per la Val di Canzói:

- la tutela di tutte le aree di fondovalle di interesse
naturalistico (T. Caoràme, sue rive, biotopi umidi, ecc.); - la realizzazione di momenti di informazione e di educazione
ambientale (percorsi guidati, punti informazione, depliant); - la sistemazione di manufatti di pregio storico/ambientale
(calchère); - la manutenzione ambientale (sfalcio dei prati di fondovalle,
cure colturali nei rimboschimenti); - la razionalizzazione di alcune infrastrutture di servizio
(parcheggi); - la realizzazione di un percorso pedonale di fondovalle; - l'attivazione di uno studio sui flussi turistici; - la regolamentazione del traffico veicolare all'interno del
Parco nei periodi di punta; - la promozione, anche nelle aree esterne, di interventi, azioni
e forme d'uso della risorsa in linea con i provvedimenti adottati
all'interno dell'area protetta (a questo proposito va sottolineata
la necessità che eventuali interventi favoriti dal Parco in aree
esterne (es. ulteriori spazi informativi) vadano subordinati
all'accettazione degli standard di qualità previsti per le aree
interne).

Con riferimento a quest'ultimo aspetto, la Val di Canzói rappre- senta un accesso singolare in quanto il limite del Parco rappresenta una soluzione di continuità amministrativa, ma non certo naturali- stica o funzionale. Da ciò la necessità che ogni progetto relativo al fondovalle venga per quanto possibile considerato unitariamente.

Val del Mis

La Val del Mis, insieme con la Val Cordévole, costituisce l'unica via di attraversamento in senso Sud-Nord del Parco ed è caratteriz- zata quindi da due accessi. In verità, per la presenza del lago e delle attività attorno a questo sviluppatesi, l'ingresso principale può essere considerato quello in Comune di Sospirolo.
Il Piano rileva che molte delle forme d'uso attuali, complessi- vamente intese, sono per larga parte incompatibili con la destina- zione a Parco del territorio, non sempre per i contenuti che le caratterizzano, quanto per le modalità con cui si esplicano. Il valore naturalistico del territorio presenta infatti in alcuni casi i caratteri dell'eccezionalità (catini della Val Brentón); la Val del Mis è inoltre l'unico sito all'interno del Parco raggiungibile con mezzi di trasporto collettivo che presenti una vasta gamma di spunti per momenti qualificati di didattica ambientale.
Il Piano valuta dunque la Val del Mis come l'accesso turistico di maggior importanza all'interno del Parco e individua, quali azioni prioritarie da intraprendere:

- la regolamentazione puntuale di tutte le attività; - la riqualificazione e Valorizzazione dei monumenti naturali
(catini della Val Brentón, cascata della Soffia, sorgenti
carsiche, ecc.), - la minimizzazione delle variazioni di livello del lago; - la realizzazione di una pista ciclo-pedonale a lato della
provinciale fra il Pian della Falcìna e il ponte di Gèna Bassa; - l'acquisizione dell'area del Pian della Falcìna; - la riorganizzazione degli spazi e delle funzioni nell'area del
Pian della Falcìna; - l'apertura di un punto informazioni al Pian della Falcìna; - la realizzazione di altri momenti di informazione e di
educazione ambientale (percorsi guidati, spazi espositivi,
depliant, ecc.); - la realizzazione di alcune infrastrutture di servizio al Pian
della Falcina (parcheggio, area pic-nic) e lungo la valle
(piazzole attrezzate, ecc.); - l'attivazione di uno studio sui flussi turistici; - la regolamentazione del traffico veicolare all'interno del Parco
nei periodi di punta e l'eventuale attivazione di un servizio
bus-navetta; - l'acquisizione dell'opificio alla Stua (sua sistemazione e
valorizzazione).

Molte di queste azioni sono già state sviluppate ad un livello di sufficiente dettaglio nello studio sulla Val del Mis redatto dall'Ente Parco, che il Piano recepisce. Relativamente all'elettrificazione della valle, il piano indica la necessità di approfondire la ricerca di soluzioni compatibili con la vocazione del territorio e con le sue caratteristiche ambien- tali, valutando, area per area, le diverse possibilità alternative.

Val Cordévole

La Val Cordévole è un accesso turistico del tutto particolare. La sponda destra del torrente ha infatti i caratteri dell'ambiente naturale selvaggio (boschi e forre dei Monti del Sole) e/o curato dall'uomo (Salèt, Le Àgre); sul lato sinistro della valle, che rappresenta l'oggetto di discussione (secondo la definizione di accesso turistico fornita in precedenza), è presente la strada statale agordina.
Il problema che si pone riguarda la presenza, all'interno del Parco, di un corpo (la strada) in un certo qual modo non controlla- bile e non gestibile, le cui caratteristiche sono indipendenti da direttive e norme, ma rispondono a regole che travalicano le azioni di Piano e che sono invece legate alle complesse, mutevoli, talora imprescindibili regole del mercato turistico, sociale, economico.
Il flusso di vetture verso l'Agordino è ad esempio subordinato alla presenza di neve nel corso dell'inverno, all'andamento meteoro- logico durante l'estate, alla congiuntura economica, alla rete stra- dale esistente o da realizzarsi al di fuori del perimetro del Parco, tutti fenomeni evidentemente non controllabili.
Non si può neppure affermare che il traffico veicolare lungo l'Agordina sia privo di ripercussioni sull'ambiente, che invece appaiono molto articolate, come di seguito esposto:

- inquinamento acustico (il rumore dei mezzi in transito (moto in
particolare) si ode fino a quote ragguardevoli lungo i sentieri
che percorrono la valle); - inquinamento atmosferico; - inquinamento idrico (perdite di oli e carburanti, sale, possibili
incidenti a mezzi che trasportano rifiuti e/o sostanza
pericolose); - pericolo di incendi (colposi e dolosi); - abbandono di rifiuti (sia al margine della strada che nei boschi
ripariali);

Il Piano non sottovaluta questi problemi e anzi, attraverso alcune proposte mirate, cerca di trasformare una via di semplice attraversamento in un'occasione di avvicinamento alla natura.
L'obiettivo rimane comunque quello di indurre pause brevi, in luoghi interessanti ma non particolarmente vulnerabili.
Il Piano individua quali azioni prioritarie da intraprendere per la Val Cordévole:

- la conferma del punto ricreativo di Candàten e la sua
qualificazione mediante la realizzazione di un punto
informazioni; - la realizzazione di altri momenti di informazione e di educazione
ambientale (percorsi guidati, spazi espositivi, depliant, ecc.),
per lo più dislocati sulla riva destra della valle; - la valorizzazione di alcuni monumenti naturali (forre, cascate); - la valorizzazione di alcune emergenze di interesse storico (ponte
medievale); - la valorizzazione del sistema difensivo dei Castèi; - la riqualificazione degli ambienti ripariali lungo il Cordévole,
mediante un risanamento di tutte le piccole discariche e la
chiusura mediante sbarra degli accessi al torrente; - la riqualificazione paesaggistica dell'intero tratto mediante la
rimozione dei pannelli pubblicitari e l'eliminazione del piazzate
di deposito inerti alla Pissa; - il monitoraggio dei livelli di inquinamento acustico,
atmosferico, idrico; - la posa in opera di grandi tabelloni che indichino la presenza
del Parco, le emergenze e i monumenti naturali da osservare e/o
visitare lungo la valle.

Accessi naturalistici

Val di Lamén

Accesso quasi per intero esterno al perimetro del Parco. Il Piano individua all'interno della valle un itinerario tematico, segnala l'assoluta compatibilità delle attività agricolo - zootecniche e ricettive in atto, indica nel foro mantenimento una delle azioni di prioritaria importanza nell'ambito della cosiddetta fascia dipre- parco.

Val di San Martino

Il Piano individua all'interno della valle un sentiero natura multitematico.

Valle dell'Ardo

Il Piano individua nella valle dell'Ardo il principale accesso naturalistico al Parco in relazione al valore ambientale della zona, alla sua facile percorribilità, al notevole bacino di utenza poten- ziale costituito, oltre che da residenti e turisti, dai numerosissi- mi studenti che frequentano il capoluogo. Il Piano sottolinea l'as- soluta compatibilità dei progetti in corso e individua la realizza- zione del sentiero natura lungo l'Ardo quale una delle azioni prio- ritarie nella cosiddetta fascia di pre parco.

Caiàda

La classificazione della zona di Caiàda quale accesso naturali- stico e non turistico risponde alla necessità di preservare un pa- trimonio naturale di notevole valore/sensibilità/vulnerabilità.
Il Piano individua all'interno dell'area un itinerario tematico, indica fra le azioni prioritarie da intraprendere l'acquisizione del complesso pascolivo e forestale di Palughet, detta norme in merito alla chiusura del traffico veicolare per i non residenti al Pian de le Stèle.

Val del Grìsol

Il Piano individua nella Val del Grìsol, fino alla casera Costa Granda, un sentiero natura di collegamento fra il centro visitatori di Igne e l'area interna al Parco, ne promuove la valorizzazione attraverso azioni diversificate, indica la Val del Grìsol quale accesso orientale del Parco.

Val Prampèr

Il Piano individua nella Val Prampér, fra Forno di Zoldo e il rifugio Pramperèt un sentiero natura multitematico, segnata la necessità di una tutela integrale del biotopo della torbiera di Pra Torónd, indica la Val Prampèr quale accesso settentrionale al Parco.

Le porte del parco

Con il termine "porte del Parco" si intende far riferimento ad aree esterne alla zona protetta, dove si concentrano attività resi- denziali, agricolo - zootecniche, forestali, imprenditoriali, turi- stiche. Esse coincidono con la zona di promozione economico e socia- le, così come definita nella Legge quadro, che rimane quasi comple- tamente esclusa dal perimetro del Parco. Il Piano individua le porte del Parco in relazione anche a criteri geografici e storicofunzio- nali: si tratta delle aree più prossime alla zona protetta che, prima del tracollo delle tradizionali forme d'uso del territorio (sfalcio dei prati, pascolo, taglio del bosco, attività minerarie) mantenevano i più stretti legami con il territorio a Parco, nella molteplicità delle risorse sfruttate.
Il Piano individua le seguenti porte del Parco (da intendersi estese al territorio compreso fra le località citate):

- Zorzói- Sèrvo - Àune. - M. Avéna - Nòrcen. - Lamèn - Prèn - Vignùi. - Lasén - Arsón - Montàgne. - Soranzén - Toschiàn - Cesiominore - Cesiomaggiore. - Cergnài - San Gregorio nelle Alpi - Roncói - Padèrno. - Frazioni del Comune di Sospirolo fra San Zenòn e Pascoli. - Zona delle Tórbe e delle Masiére di Vedàna. - Mas - Perón - Bolàgo - Libàno - Bàrp. - Giazzói - Tisói - Bolzàno Bellunese - Le Valli - Soracròda. - Fortogna - Faè - Igne - Soffranco. - Forno di Zoldo - Pralòngo. - La Valle Agordina. - Rivamonte - Tisèr. - Gosàldo - Sagron del Mis.

Rispetto alle porte del Parco il Piano individua, come azioni prioritarie da approfondire in sede di redazione del Piano di Svi- luppo economico e sociale:

- il censimento dei biotopi, la loro tutela e valorizzazione a
scopi didattici; - la catalogazione e la tutela degli altri valori naturalistici; - l'individuazione di corridoi ecologici per lo spostamento della
fauna; - la definizione di forme di gestione ambientale e faunistica
compatibili con la destinazione a Parco dell'area attigua, con
particolare riferimento alle specie animali di maggior pregio
(re di quaglie, aquila reale, gufo reale) e a quelle le cui
popolazioni trascorrano parte dell'anno al di fuori del Parco
(muflone, cervo, volpe, pesci, uccelli migratori, ecc.); - il censimento e la riqualificazione dei siti degradati; - il recupero delle zone agricole abbandonate, con particolare
riferimento alla tutela dei valori florisfici e vegetazionali
(sfalcio dei prati); - il controllo dei livelli di inquinamento; - l'indicazione delle attività ricreative e produttive non
compatibili; - la promozione di forme di gestione forestale in linea con quanto
previsto all'interno del Parco; - la promozione delle attività agricole e agrituristiche; - la promozione delle attività artigianali; - la promozione di attività culturali; - il recupero del patrimonio edilizio rurale secondo le linee
direttive adottate all'interno dell'area a Parco; - la catalogazione e il recupero di manufatti minori (muri a
secco, terrazzamenti, fontane, strade selciate, capitelli,
opifici, ecc.); - l'attivazione di un sistema di ricettività diffusa; - l'organizzazione di infrastrutture per la ricettività in
corrispondenza dei Centri visitatori e dei Punti informazione
previsti dal Piano; - la realizzazione di eventuali altri punti informativi, così come
definiti dal Piano; - la realizzazione di ulteriori aree attrezzate, così come
definite dal Piano; - il monitoraggio e la manutenzione dei percorsi (antiche
mulattiere, sentieri, ecc.) - la definizione di una strategia per il coinvolgimento del
volontariato e a favore dell'occupazione giovanile.

Il Piano indica nell'Ente Parco, attraverso la Comunita' del Parco, il possibile referente per l'attivazione di progetti che possano accedere a finanziamenti nazionali (Piano triennale, ecc.) o comunitari (Reg. CEE, progetti LIFE, ecc.). Detti progetti dovranno rispondere a standard di qualita' compatibili con la destinazione a Parco dell'area attigua, indicazione comunque valida per qualunque intervento nell'area esterna sostenuto dal Parco.
Il Piano distingue le porte del Parco dalla zona di pre Parco; quest'ultima va intesa come la complessa serie di azioni/relazioni che la presenza dell'area protetta puo' attivare. Il pre Parco non assume quindi sempre connotazioni geografiche (e, anche quando puo' essere inteso in senso areale, non appare univocamente definibile) ma puo' variare, ad esempio, dall'insieme dei boschi che i progetti speciali predisposti dal Parco possono condurre verso forme di gestione piu' razionale e naturalisticamente orientata, ai territori all'interno dei quali alcune popolazioni animali del Parco trascorrono periodi dell'anno, all'insieme di possibili soggetti che possono fruire dei risultati delle ricerche e delle sperimentazioni attivato all'interno dell'area protetta, alla giobalita' delle attivita' imprenditoriali che possono trovar giovamento dalla presenza del Parco, ecc..

5. LE AZIONI PROPOSTE DAL PIANO

5.1 La ricerca e le collaborazioni tra Enti

Per la redazione del Piano e' fondamentale una buona disponibilita' di informazioni scientificamente corrette circa i sistemi del parco e i loro assetti ecologici e colturali. Anche nel piu' recente passato molti piani "ambientali" si sono qualificati come ricche collezioni di dati, frutto di indagini e di studi talvolta sofisticati e costosi. Non sempre, tuttavia, se ne e' potuta constatare la necessita' ai fini delle scelte strategiche, e di quelle tecniche, che il piano e' tenuto a compiere. In questo caso, sia per la ristrettezza dei tempi, sia per una precisa volonta' del Consiglio Direttivo, si e' privilegiata la rapidita' del processo sulla quantita' dei dati ad esso destinati, lasciando a successivi approfondimenti il compito di muovere e di alimentare piu' puntuali interventi.
Cio' significa che il Parco e' chiamato a proseguire, con rinnovato impegno, sulla strada gia' intrapresa, che vede la conoscenza del territorio tra gli obiettivi fondamentali delle sue azioni.
Il Parco infatti ha provveduto alla attivazione di una speciale Commissione, composta da qualificati membri del Consiglio Direttivo, cui venne affidato il compito di coordinare e di direzionare le indagini necessarie al completamento della conoscenza strutturale del parco, non trascurando anche le opportunita' legate alla redazione e alla revisione del piano.
Cosi', fin dal 1995, si provvide ad una serie nutrita di rilevamenti, che spaziarono dalla botanica, sensu lato, alla zoologia, dalla idrologia alle scienze agro-zootecniche. Sono gia' disponibili i dati conseguenti alla riorganizzazione e informatizzazione dei dati floristici e vegetazionali derivanti da studi preesistenti, non trascurando funghi e licheni. Con eguali criteri il Parco promosse alcune indagini faunistiche, privilegiando rilevamenti di consistenza e di distribuzione dei principali ungulati senza tuttavia trascurare le relazioni tra specie indigene e specie alloctone, ne' quelle tra selvatici e animali domestici.
Non meno importanti paiono gli studi promossi sull'avifauna, e in particolare sui tetraonidi, cui viene riconosciuto un particolare significato come elementi diagnostici della qualita' dei sistemi, nonche' le indagini sul rettili, sui micromammiferi e sugli invertebrati terrestri.
Altre importanti indagini stanno riguardando la Lince europea, l'orso e lo sciacallo dorato, le cui presenze nel parco e ai suoi confini suscitano un interesse che va ben oltre gli aspetti scientifici.
Grande interesse ha suscitato l'avvio di una ricerca sulla diffusione delle zecche e sui rischi legati alle patologie trasmesse da alcune specie, che sono oggi uno dei piu' sentiti problemi intorno alla fruizione del parco e un limite importante per molte delle attivita' che si potrebbero programmare al suo interno.
Il piano di certo non puo' entrare nel merito delle scelte passate del Parco, ne' i membri dello staff sono in grado di esprimere giudizi circa il valore degli studi compiuti. La Commissione del Parco propone tra i suoi membri eccellenza di competenze scientifiche nei campi che piu' coinvolgono le scienze naturali pure ed applicate. Giovera' solo raccomandare l'estensione degli studi verso altri settori specialistici, come quelli sociologici, ingegneristici, tecnologici ed economico-colturali, al fine di completare il quadro di conoscenze necessario alle future revisioni del piano. A cio' non guasterebbe la cooptazione, in seno alla Commissione, di altre figure scientifiche capaci di apportare nuovi suggerimenti di studi appropriati e specifiche capacita' critiche da riversare sui risultati ottenuti.
Si suggerisce altresi' che si valuti l'opportunita' di passare gradualmente ad un livello di studi che faccia prevalere gli aspetti della ricerca scientifica su quelli della mera conoscenza degli assetti territoriali. Per quanto piu' direttamente riguarda il trasferimento delle conoscenze acquisite alle esigenze gestionali, si suggerisce di non trascurare gli aspetti propri della "ecologia delle funzioni", soprattutto per quanto riguarda gli equilibri tra le componenti degli ecosistemi e le relazioni dinamiche tra queste e l'ambiente che le condiziona.
Tornando alle lacune di una adeguata conoscenza avvertite in sede di redazione del piano, si deve ricordare che s'e' dovuto fare ricorso a dati e a informazioni preesistenti, di cui s'e' spesso solo potuto saggiare la validita' con metodo campionario, soprattutto in relazione ai cambiamenti avvenuti nel tempo, a partire dal momento del loro rilevamento. Solo in alcuni casi s'e' potuto, o dovuto, procedere a qualche particolare rilevamento, per aggiornare dati obsoleti o per colmare qualche lacuna, ma sempre relativa a informazioni essenziali senza le quali il piano sarebbe risultato carente in qualche sua parte.
Restano dunque da completare alcune indagini, spesso importanti, delle quali il Piano suggerisce il pronto avvio, in quanto necessarie sia alla redazione dei "Progetti speciali", sia alla revisione del Piano stesso.
Alla Commissione scientifica del Parco spetta il compito di definire puntualmente i contenuti degli studi e di stabilire gli standard qualitativi dei risultati attesi.
Anche per la revisione del Piano, alle scadenze stabilite, sara' necessaria una consistente messe di informazioni e di conoscenze di buon livello scientifico. Ad esse dovrebbe provvedere lo stesso Parco, sia attraverso l'aggiornamento degli studi che ora sono in corso, sia attraverso il continuo monitoraggio del territorio e dei suoi caratteri naturalisticamente piu' interessanti, quelli cioe' che, come prima s'e' indicato, servono a redigere le carte dei valori, della sensibilita', dei rischi e della conseguente vulnerabilita': in altri termini, della zonizzazione strutturale.
E' dunque necessario che il Parco, con la Commissione scientifica, provveda ad organizzare un servizio di monitoraggio territoriale, stabilendone, con apposito protocollo, i metodi operativi piu' appropriati, gli standard qualitativi delle osservazioni, le loro cadenze e i sistemi di archiviazione e di elaborazione dei dati.
Si sono colte molte voci circa l'opportunita' che il parco promuova campagne di ricerca ad ampio respiro, in interazione con qualificati Centri od Istituti, e su argomenti che solo in un'area protetta, e nei particolari regimi di tutela cui possono essere sottoposte alcune sue porzioni, hanno motivo d'essere studiati a fondo. Spiccano, tra tutti, quelli relativi alle dinamiche dei sistemi lasciati a naturale evoluzione, agli equilibri ecologici propri degli assetti ecosistemici naturali e agli indicatori che meglio ne qualificano la natura e ne quantificano il livello, alle relazioni inter- ed intraspecifiche interne alle biocenosi che gradualmente si assestano verso i livelli di capacita' portante imposti dall'ambiente, o dal territorio nel suo insieme, alla stessa definizione di capacita' portante, che, tra tutti, e' uno dei temi piu' controversi e culturalmente piu' affascinanti, alle relazioni tra suoli e foreste, in assetto prossimo-naturale, e tanti altri ancora che via via il Parco vorra' definire, tenendo conto delle risorse a sua disposizione.
Tuttavia, pur mirando a privilegiare progressivamente la ricerca scientifica sull'indagine, in riferimento alle necessita' della pianificazione intesa come processo ciclicamente continuo, la Commissione non dovrebbe trascurare:

- gli studi utili alle future revisioni del piano; - le indagini capaci di produrre risultati più prontamente
trasferibili sul piano operativo e idonee ad agevolare in
qualche modo la gestione del parco; - lo sviluppo e la taratura di indicatori che testimonino lo stato
dell'ambiente, soprattutto in rapporto agli interventi mossi dal
piano e attuati dal Parco. Questi indicatori saranno lo
scheletro del sistema di monitoraggio e di valutazione dei
risultati che il piano otterrà attraverso la realizzazione degli
interventi da esso promossi.

Restano ancora da segnalare alcuni argomenti che si ritiene gio- veranno all'organizzazione delle attività culturali e di educazione ambientale previste dal piano, tra cui:

- le vicende storiche nell'area del parco, con particolare
riguardo agli insediamenti umani, alle infrastrutture e la
attività che vi si sono compiute; - le popolazioni del parco, con particolare riferimento agli
aspetti sociali, demografici ed economici, alla cultura, agli
usi e ai costumi, alle tecniche e alle tecnologie per
trasformare e sfruttare il territorio e per abitarlo. In questo
settore appare d'estremo interesse l'approfondimento delle
tematiche relative allo studio, conservazione e valorizzazione
delle antiche varietà coltivate e delle specie vegetali
spontanee utilizzate per scopi diversi. Una specifica attività
in tal senso è già stata avviata dal Parco; - le acque e la sicurezza idraulica, in relazione agli eventi
meteorici, ai deflussi, alle piene, al rischio di dissesto, la
opere idrauliche, e agli interventi compiuti nel passato e a
quelli che, in linea di principio, si ritiene siano necessari a
ridurre l'attuale vulnerabilità dell'area protetta, ecc.; - gli assetti geologici e geomorfologici, prevalentemente
analizzati sotto il profilo della stabilità dei versanti, ma
anche sotto quello legato alla fruizione e all'utilizzazione
delle risorse del parco; - gli assetti vegetazionali del parco, soprattutto quelli inerenti
i sistemi arborei, che andranno classificati mirando alla
definizione dettagliata di tipologie forestali da ricondurre ad
una apposita normativa selvicolturale; per gli assetti
vegetazionali si avverte anche la necessità di disporre d'una
cartografia di dettaglio, alla scala 1/10000, traducibile in un
documento dei tipi paesaggistici; - gli assetti pedologici, che andranno definiti in relazione alla
distribuzione dei litotipi superficiali e della vegetazione,
mirando a cogliere le condizioni di equilibrio tra le componenti
dell'ambiente, di cui il terreno è un buon indicatore; - gli assetti faunistici e zoocenotici, a complemento delle
ricerche attualmente in corso, tenendo in conto gli aspetti
legati anche alle specie non stanziali, alle vie di migrazione e
di trasferimento, alle relazioni tra interno e esterno del
parco, agli effetti che i cambiamenti del paesaggio vegetale
inducono sulle componenti faunistiche; - gli assetti idrobiologici e ittiologici nei sistemi acquatici
del parco, tenuto conto dei diversi fattori di impatto
antropico, sia di quelli di origine fisica e chimica
(sbarramenti, derivazioni, cambiamenti di regimi idraulici,
inquinamenti, ecc.), sia di quelli di natura biologica, come
l'immissione di razze alloctone con conseguente perdita dei
genotipi locali); - lo sviluppo di tecnologie a basso impatto e ad alto valore
"ecologico", in ossequio ai principi della crescita sostenibile,
per il recupero energetico, per lo smaltimento dei rifiuti e dei
reflui, per la trasformazione e la conservazione dei prodotti,
per l'utilizzazione e l'esbosco, nonché per la gestione dei
servizi d'accoglienza, rispettivamente nei settori della
zootecnia (progetto malga modello), della selvicoltura e del
turismo, relativamente ai rifugi. In questo ambito rilevante
interesse riveste il progetto "Fossil Free", che mira a
promuovere una penetrazione capillare delle più avanzate
applicazioni energetiche alternative, per fare del Parco un'area
dimostrativa "libera" dalle fonti fossili di energia.

Per alcune di queste tematiche ora solo sommariamente elencate, e per altre che rientrano tra le attivita' che il Parco ha gia' promosso (flora e vegetazione, fauna e ecologia dei sistemi), il piano allega una scheda in cui si riportano, con maggior dettaglio, gli obiettivi cui la ricerca dovra' mirare. L'Ente, per parte sua, attraverso l'apposita Commissione, provvedera' a definire gli standard qualitativi e i relativi protocolli cui gli incaricati delle indagini e delle ricerche dovranno adeguarsi.
Benche' il Piano non abbia titolo per entrare nel merito dei rapporti tra il Parco e gli altri Enti, Istituzioni e Organizzazioni attivi nella ricerca e nel controllo dei processi naturali, parrebbe inopportuno non portare qualche considerazione circa le possibili interazioni mirate alla miglior conoscenza dell'area protetta.
Alla ricerca che si sta conducendo intorno alla diffusione delle zecche e alle patologie legate ad alcune specie di ixodidi, si dedica, con specifiche competenze in materia, l'USSL di Belluno. Ne' si puo' ipotizzare che questa collaborazione possa avere termine, giuste le gravi implicazioni che l'estendersi dell'area a rischio per il morbo di Lyme riversa sulle attivita' promosse dal Parco. Donde il vincolo ad un monitoraggio attento e continuo, organizzato su chiari protocolli tra Parco e Unita' sanitaria. Si suggerisce altresi' l'avvio di studi finalizzati al controllo della diffusione di patologie legate alle zecche.
Allo stesso livello si pone il monitoraggio da estendere alle zoopatie che colpiscono la fauna di maggior pregio naturatistico, soprattutto se associate alla condivisione del territorio e delle relative nicchie ecologiche, con popolazioni di interesse zootecnico. Un attento controllo veterinario, da riversare su tutti i capi portati nel parco od autorizzati al suo attraversamento, pare una delle strategie che a, breve scadenza, l'Ente dovra' attivare.
Come altrove s'e' indicato, e come s'e' riportato nelle norme d'attuazione (Artt. 11 e 17), il Parco dovra' porre in essere un servizio veterinario, prevalentemente appoggiandosi a strutture esterne, quali l'USSL, l'istituto Zooprofilattico o gli Istituti Universitari competenti in materia, come quelli collegati con le facolta' di Medicina Veterinaria.
L'Universita' e gli altri Istituti di ricerca, quali il CNR, gli Istituti del MIRAF, i centri di studio attivati della Regione, come quello in Arabia, non potranno non essere coinvolti nelle attivita' di ricerca promosse dal Parco. Gia' sono attivi ottimi livelli di cooperazione, ma si ritiene essenziale che il rapporto Parco-Universita' divenga asse portante per lo sviluppo di ricerche ambientali ad ampio respiro che non si riducano, cioe', alla semplice esecuzione di indagini che esauriscono il loro scopo con la raccolta di dati, pur se di ottimo livello.
Attraverso l'Universita', e i suoi Centri periferici, saranno del resto agevolate e potenziate le occasioni di qualificati rapporti internazionali, dai quali anche l'immagine delle aree protette, e la "politica" ad esse associata, potrebbe risultare esaltata con importanti ricadute, anche d'indole economica.
Molti problemi tecnici, non per questo di modesto spessore, toccano insieme, coinvolgendoli in maniera serrata, e talvolta conflittuale, il Parco e molti altri Enti territoriali. E' il caso dei Comuni e della Provincia di Belluno, che trovano, pero', nella Comunita' del Parco la sede ideale, e istituzionale, per rendere il confronto costruttivo. In Particolare la Provincia e' in alcuni campi deputata a funzioni analoghe a quelle del Parco, condotte appena fuori dei suoi confini, ma evidentemente riverberantesi all'interno di quelli. E' il caso della caccia, della pesca, delle scelte strategiche di ripopolamento e di molte atre, sulle quali e' fondamentale il confronto piu' schietto e piu' costruttivo, quale si puo' organizzare anche su attivita' di ricerca e di monitoraggio condotte sinergicamente tra i due Enti.
Un caso particolare e' costituito dall'Autorita' di Bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave e Brenta-Bacchiglione, comunemente detta "Alto Adriatico", che ingloba nel territorio di sua competenza l'intera area del parco. Per legge (n. 183/89) l'Autorita' di bacino e' chiamata a pianificare la difesa del suolo, da ottenere attraverso interventi di differente natura, spesso ingegneristici, ma talvolta anche riconducibili alla conservazione della natura o all'uso razionale e equilibrato delle risorse biologiche.
L'Autorita' ha anche il compito di provvedere alla programmazione dell'uso della risorsa idrica, e alla definizione di regole efficaci di risparmio e di tutela qualitativa dell'acqua, una volta definitone il bilancio a livello di bacino.
In quest'ottica vanno interpretati alcuni degli studi avviati dall'Autorita' e mirati alla valutazione dei rischi, sia quelli piu' propriamente di natura idraulica e idrogeologica (piene, erosione, dissesti, ecc.), sia quelli che investono la qualita' della risorsa (inquinamenti di diverso tipo), sia, infine, quelli connessi alla vita che nell'acqua si conduce o che da essa trae motivi d'essere. Derivazioni dai fiumi e torrenti, captazione di sorgenti, sbarramenti, reti acquedottistiche, impianti di depurazione, ecc. sono argomenti per i quali si prospettano nuove direttive, che interesseranno, direttamente o indirettamente, anche l'area del parco.
Al di la' delle questioni giuridiche e istituzionali, ad esempio sulla prevalenza, nell'interesse del Paese, dell'una o dell'altra legge, sulla quale il piano non ha motivi d'entrare, giova ricordare l'interesse che suscitano argomenti come l'escursione del livello d'invaso nei bacini artificiali o la dimensione del deflusso minimo vitale (o minimo deflusso vitale?). Il piano, informato indirettamente di studi in proposito e ormai in avanzata fase di completamento, segnala nelle norme valori di riferimento cui adeguare il regime delle utilizzazioni idroelettriche e quello delle captazioni per le reti irrigue, e dati per dimensionare i rilasci idrici a valle dei sistemi di derivazione e degli sbarramenti.
Ma il piano suggerisce anche all'Ente e all'Autorita' di bacino di valutare l'opportunita' di studi e di monitoraggi congiunti sull'una e sull'altra questione, approfittando del particolare significato che viene idealmente attribuito all'acqua di un parco.
Il tema del monitoraggio ambientale non investe solo aspetti di grande coinvolgimento emotivo (dissesti, patologie, diffusione di animali ecc.), esso puo' riguardare particolari della struttura territoriale minuti, ma non per questo trascurabili ai fini della programmazione dell'uso delle risorse. E' il caso della meteorologia e del continuo rilevamento delle grandezze e dei parametri che definiscono il "tempo", sempre richiesti da chi affronta analisi scientifiche o valutazioni tecniche. L'area del parco e' pressoche' scoperta da questo punto di vista; per contro molto importanti, ai fini della definizione degli assetti fioristico-vegetazionali, per l'inquadramento tipologico selvicolturale, per la determinazione degli equilibri suolo-vegetazione-acqua, per l'organizzazione della difesa contro il fuoco, per la valutazione di modelli idrologici e idraulici necessari alla difesa idrogeologica, e per molti altri ancora, sarebbero dati rilevati all'interno dell'area protetta, in stazioni rispondenti ai requisiti imposti dalla disciplina e distribuite in modo tale da rispecchiare la variabilita' correlata alla morfologia del territorio.
Il piano suggerisce, allo scopo, l'attivazione di un protocollo di collaborazione con qualificati Istituti che si dedicano a questo tipo di rilevamenti, ed in particolare col Centro Sperimentale di Arabba e con il Centro di Agrometeorologia di Teolo, entrambi funzionalmente dipendenti dall'Ammiministrazione regionale.
Non si puo' dimenticare il contributo che nel passato hanno fornito numerose associazioni protezionistiche attive per la tutela e la conoscenza del territorio, e dal cui contributo e' iniziato l'iter di istituzione del Parco. Ad esse l'Ente dovra' far continuo riferimento in merito ai sicuri suggerimenti che da queste associazioni verranno e alle iniziative di collaborazione che esse vorranno promuovere.
Un'ultima considerazione merita la Fondazione Giovanni Angelini, che da alcuni anni si impegna, con notevoli risultati, nella promozione della "cultura della montagna" e nella difesa della sua natura. La Fondazione s'e' a piu' riprese mossa in direzione del Parco, proponendosi come punto di riferimento per la raccolta e la gestione della documentazione storica, naturalistica, ambientale, sociale e, genericamente, culturale relativa anche all'area protetta. In altro contesto, la Fondazione ha per suo conto attivato linee di ricerca che si pongono tendenzialmente in sinergia con quelle attivate dal Parco.
E' soprattutto per tali motivi che, senza con cio' voler limitare, direttamente o indirettamente, la liberta' di scelta politica che compete all'Ente e ai suoi organi di governo, il Piano individua nella Fondazione Angelini uno dei principali soggetti da coinvolgere nelle attivita' culturali e scientifiche del Parco.

5.2 L'informazione e l'educazione nel parco

In linea con quanto previsto dalla Legge Quadro, il Piano individua una serie di attivita' per l'avvio di progetti e di azioni volti a garantire la piu' corretta e adeguata informazione nonche' per la creazione di opportunita' qualificate per impostare un programma articolato di educazione ambientale rivolto alla piu' vasta gamma di fruitori, dai residenti, ai bambini e ragazzi in eta' scolare, ai ricercatori e appassionati, ai turisti occasionali.
Nella strutturazione dell'offerta informativa ed educativa si e' tenuto conto di alcuni aspetti, come di seguito indicato per punti:

- necessità di dislocare le diverse strutture in modo omogeneo
all'interno di tutto il territorio a parco; - opportunità di privilegiare i luoghi più facilmente
raggiungibili, anche in relazione ai lunghi inverni che
caratterizzano il territorio che, di fatto, rendono
impercorribili molte aree del parco; - scelta di non interessare gli ambiti a maggior sensibilità
ambientale, nell'accezione definita nei capitoli relativi al
processo metodologico di Piano; a questo proposito l'intera zona
di Erera è stata pressoché esclusa dal novero delle località e
degli itinerari da valorizzare, in relazione all'elevata
sensibilità e vulnerabilità da mettere in relazione la
presenze faunistiche che la caratterizzano; - necessità di differenziare l'offerta, articolandola in base la
caratteristiche dei possibili fruitori.

Il presupposto attraverso il quale si possono realizzare le azio- ni di informazione e di educazione ambientale consiste:

- nella sistemazione di alcune strutture e percorsi (edifici per
centri visita, sentieri, rifugi, ecc.); - nella predisposizione di materiali di lettura della realtà
ambientale (pubblicazioni divulgative, video, mostre, depliant,
ecc.); - nell'attivazione di un programma di educazione attraverso il
coinvolgimento di scuole, associazioni protezionistiche, esperti
locali.
Il Piano, in due cartografie, individua separatamente le strutture per le attivita' che si possono definire didattiche da quelle a carattere piu' esclusivamente escursionistico. Queste ultime, anche se in modo non mirato, devono comunque rispondere alla necessita' di fornire strumenti conoscitivi a chi dovesse percorrere il territorio per motivi indipendenti dalla presenza del Parco (alpinisti in senso stretto, escursionisti occasionali, fruitori delle Alte Vie, ecc.).
Tra tutte le azioni che il piano e' tenuto a segnalare per l'importanza e il valore delle ricadute sul tessuto naturalistico e su quello economico-sociale del Parco, e' necessario prospettare una graduatoria, una sorta di priorita', in ragione di alcuni elementi di giudizio non controvertibili. Le scelte che il Parco dovra' compiere non dovranno tuttavia essere condizionate solo dall'onerosita' degli interventi, ma dovranno essere valutate prioritariamente la natura e la quantita' degli obiettivi da raggiungere. Alcune azioni, ad esempio, hanno costi modestissimi e sono mirate ad ottenere risultati fondamentali, pur se scarsamente visibili. E' il caso degli interventi destinati a deviare possibili flussi di visitatori dai luoghi piu' fragili dell'area protetta. Altri interventi, invece, possono avere costi elevati e produrre risultati macroscopici in tempi medi e lunghi. E' il caso tipico delle ristrutturazioni e dei recuperi edilizi, quando siano destinati prevalentemente alla informazione e alla educazione ambientale. Qui infatti si scontra il dualismo cultura-economia, sul quale deve evidentemente esprimersi, a piena dimensione politica, il Consiglio direttivo dell'Ente.
Il Piano individua nelle seguenti strutture e attivita' gli elementi necessari per l'avvio di una corretta informazione ed educazione ambientale:

PER LA PARTE DIDATTICA

- Centri visita. - Punti informazione. - Aree attrezzate. - Sentieri natura multitematici. - Itinerari tematici. - Spazi espositivi. - Appoggi logistici. - Emergenze puntuali lungo i sentieri natura e gli itinerari
tematici. - Attivazione di un programma didattico. - Predisposizione di strumenti per la didattica.

PER LA PARTE INFORMATIVA GENERALE

- Il foglio del Parco.

Di seguito si descrivono brevemente alcune caratterisfiche delle strutture ed attività sopra menzionate.

Centri visita

Con il termine "centri visita" si intende far riferimento a strut ture ampie e complesse, nelle quali i percorsi educativi ed informa- tivi siano realizzati secondo le più moderne acquisizioni in termine
di strumenti e metodi per la didattica. Al loro interno dovranno trovar sede, a seconda delle superfici disponibili, spazi espositi- vi, sale di proiezione, banche dati interattive, ecc.. Per alcuni centri, in particolare per quello dedicato alla fauna, si dovranno allestire spazi esterni (recinti per ungulati, voliere, ecc.).
Il Piano individua la necessità di realizzare 5 centri visitatori che potrebbero essere così dislocati:

- Pedavena (ex Municipio). - Salét - Sospirolo, Sedico (Azienda di proprietà ex ASFD). - Valle Imperìna - Rivamonte (Villaggio minerario - centro
visitatori stagionale). - Belluno (ex caserma dei vigili del fuoco). - Igne - Longarone (ex scuole).

Solo due centri ricadono per intero all'interno del perimetro del parco (Salet e Valle Imperina); ciò risponde ad una precisa scelta di mantenere all'estemo dell'area protetta alcune attività che, se da un lato possono generare un certo impatto, dall'altro non si esclude possano avere ricadute economiche indotte di un certo interesse.
In relazione alla necessità di offrire una gamma quanto più vasta possibile di opportunità conoscitive, in base alle caratteristiche dei diversi territori si rende opportuno tematizzare i diversi centri visita, come di seguito esposto:

Pedavena: flora, vegetazione, le giaciazioni, la fauna non vertebrata. Salét: la fauna vertebrata. Valle Imperìna: la geologia e l'attività mineraria. Belluno: centro multitematico. Igne: la foresta.

Va sottolineato il fatto l'effettiva realizzazione dei Centri Visitatori previsti dal pino dovrà tener conto anche della disponi- bilità da parte delle Amministrazioni Locali a compartecipare ai costi di gestione.

Punti informazione

Con il termine "punti informazione" si intende far riferimento a
strutture più modeste rispetto ai Centri visita, non necessariamente da tener aperte tutto l'anno, all'interno delle quali vengano forni- te opportunità conoscitive di carattere generale sulla realtà del parco. I materiali informativi e didattici possono essere gli stessi per i diversi Punti informazione. La dislocazione di queste struttu- re si basa su criteri geografici, sulla possibilità di renderli ope- rativi in breve tempo, sull'opportunità di intercettare il maggior numero di fruitori (in corrispondenza delle aree di maggior frequen- tazione turistica).

Il Piano individua i seguenti Punti informazione: Col dei Mìch - Sovramonte. Sede Ente Parco -Feltre. Alla Santina - Val Canzói - Cesiomaggiore. Cansech - Val Canzoi - Cesiomaggiore. Serravèlla - Cesiomaggiore (stabile del Museo etnografico). Pian della Falcìna - Lago del Mis - Sospirolo. Gosaldo. La Valle Agordina - Municipio. Candaten -Sedico. Belluno nella zona di Bolzano Bellunese - Tisoi. Soccampo - Forno di Zoldo.

Solo tre punti informazione ricadono all'interno del perimetro del Parco (Canséch, Pian della Falcìna, Candàten), è ciò e dovuto alle motivazioni già esposte per i Centri visitatori. E' evidente che, per le strutture esterne, il Piano ha valore di semplice indi- rizzo.
Per quanto concerne la struttura di Col del Mìch, la stessa potrà costituire un punto di riferimento anche per la commercializzazione di prodotti tipici della zona, siano essi legati all'attività agricolo-zootecnica o artigianale.

Aree attrezzate

Con il termine "area attrezzata" si intende far riferimento ad una superficie di minima estensione all'interno della quale siano poste in opera una serie di modeste strutture quali panche, tavoli, pan- nelli riportanti la cartografia del parco. L'area attrezzata minima può comprendere solo il pannello con la cartografia, che rappresenta lo strumento informativo fondamentale.
L'Ente Parco ha già attivato un progetto di allestimento di aree attrezzate in tutto il territorio, iniziando a realizzarne alcune. Il Piano individua all'interno e fuori di questo primo elenco i siti di primaria importanza in cui realizzare le aree attrezzate. Essi coincidono con le partenze di molti sentieri, con l'accesso ad alcu- ne valli, con i luoghi di sosta in cui verranno valorizzate alcune emergenze, ecc..
Le aree attrezzate individuate dal Piano sono le seguenti: 1 Àune 2 Passo Croce d'Àune 3 Rif Vedèrna 4 Rif. Fónteghi 5 Pian d'Avéna 6 Val di Lamén 7 Val di San Martino 8 Mutten 9 Orsèra 10 Lago della Stua 11 Campèl Alto 12 S. Felice 13 Rif. Ere 14 Lago di Vedana 15 San Michele ai Pascoli 16 La Stua (Val del Mis) 17 Pattìne 18 Titèle 19 Forcella Franche 20 Imbocco strada per Le Àgre
21 La Muda 22 Sbocco Val Vescovà 23 Candàten 24 Pian dei Castàldi 25 Pian de Regnàch 26 Case Bortòt 27 Col di Roànza 28 Cargadór 29 Pian de le Stèle (Caiàda) 30 Val dei Róss 31 Val Costa dei Nàss 32 Val Prampèr 33 Passo Duràn 34 Pian de Càlleda.

Sentieri natura multitematici

Con il termine "sentiero natura multitematico" si intende far riferimento ad un itinerario, accessibile a tutti, lungo il quale possano essere collocati pannelli didattici in grado di fornire una chiave di lettura della realta' ambientale attraversata. Sono rivolti per lo piu' ad un pubblico generalizzato e alle scuole; dispongono di attrezzature adeguate a rendere agevole la passeggiata (scalette in legno, panche, staccionate, punti coperti, ecc.); sono percorribili in un massimo di mezza giornata ed agibili in tutte le stagioni (salvo gli inverni piu' nevosi).
Nella prospettiva di una frequentazione elevata, si e' cercato di coniugare la necessita' di attraversare aree di pregio naturalistico, escludendo quindi itinerari banali, con l'opportunita' di non incidere su aree sensibili.

Il concetto ispiratore è stato quello di privilegiare le aree dove già allo stato attuale si concentrano i turisti (Val di Canzói, Val del Mis, Val Cordévole) e gli itinerari che consentano di entrare nel parco a partire da aree esterne. Sono stati esclusi a priori i percorsi completamente esterni all'area protetta, che potranno venir delineati nell'ambito dei processi di pianificazione della cosiddet- ta area di pre parco (Piano di Sviluppo economico e sociale).
Alcuni dei sentieri natura multitematici proposti già esistono (sentiero Zanardo in Val Cordévole); altri sono parzialmente in fase esecutiva (T. Ardo): altri ancora sono già dotati di progetto esecutivo e di risorse finanziarie atte alla loro realizzazione (Val Canzói, Val del Mis); per altri infine già sono stabiliti i percorsi (Val di San Martino, Rif. Bianchét, Val del Grìsol, Val Prampèr).
Il Piano individua i seguenti sentieri natura multitematici:
Val di San Martino: a partire da Vignùi fino alle sorgenti del T. Stieén.
Val di Canzói: percorso ad anello a partire dal confine del Parco fino al lago della Stua.
Rif. Bóz: percorso ad anello attorno al Rifugio.
Val Falcìna: percorso ad anello dal Pian della Falcìna alla confluenza del T. Burt nel Falcìna.
Sentiero Zanardo: piccolo anello in ambiente di forra.
Rifugio Bianchét: percorso ad anello attorno al rifugio.
Valle dell'Ardo: a partire da Fistèrre fino alla località Mariàno
Val del Grìsol: a partire dal centro visitatori di Igne fino alla zona del Grìsol di Dentro.
Val Prampèr: a partire da Forno di Zoldo fino al Rifugio Pramperet.

Itinerari tematici

Con il termine Itinerario tematico" si intende far riferimento ad un percorso, che generalmente richiede alcune ore di cammino su sentieri che il piu' delle volte sono gia' tracciati (per lo piu' della rete CAI), lungo il quale sia possibile prendere diretta visione di alcune delle principali peculiarita' del parco. E' da sottolineare il fatto che alcuni di questi itinerari sono accessibili solo ad escursionisti esperti, in grado di sapersi muovere in ogni condizione atmosferica su percorsi talora impegnativi sotto i( profilo tecnico e dell'orientamento. Fra le diverse possibili opportunita' si e' cercato di effettuare una scelta in modo che l'itinerario tematico scelto fosse, all'interno del perimetro dell'area protetta, quello che in modo piu' esemplificativo rappresentasse il fenomeno a cui e' dedicato l'itinerario stesso. Lungo tali percorsi non va prevista alcuna attrezzatura, salvo che in prossimita' di apposite strutture che sono descritte nel seguito (spazi espositivi e altri appoggi logistici). Ogni itinerario tematico dovra' essere dotato di una guida sintetica; eventuali fermate dovranno essere contrassegnate sul terreno con modesti segni (paletto piantato con un numero), senza ricorrere all'uso di pannelli esplicativi.
Si e' cercato di ripartire in modo omogeneo i diversi itinerari tematici che vengono elencati nel seguito:

La flora: Rif. Dal Piàz - Busa delle Vétte - Sella delle Cavallàde - Vétte Grandi - Rif. Dal Piaz, Percorso di eccezionale interesse floristico e vegetazionale già approfondito nei suoi contenuti (circa 30 punti di osservazione) dal Prof. S. Pignatti nel 1976.
I circhi delle Vétte: Rif. Dal Piàz-Busa di Val Càneva-Busa di Cavarén - Busa di Monsampiàn -Passo Pavióne - circhi a nord delle Vétte - Forcella di Vallón - Busa di Pietena - Busa delle Vétte.
Percorso di interesse fioristico, vegetazionale, morfologico, stratigrafico, paleontologico, paesaggistico, per escursionisti esperti.

La paletnologia: ripari sotto roccia della Val di Lamén.

I prati falciati: Mùtten - chiesa di S. Mauro - versanti prativi del M. San Mauro - Ramézza Bassa. Lunga attraversata di interesse etnografico e naturalistico su prati un tempo regolarmente falciati (per escursionisti esperti).
La grande guerra: Faibón - Casera Alvìs - Col del Demonio - Passo Alvìs - Pass de Mura - Rif. Bòz - Passo Finestra - Canséch. Itinerario che si sviluppa lungo strade militari ancora per gran parte in buono stato di conservazione.
L'acqua: diga Val del Mis - marmitte della Val Brentón - Cascata della Sóffia - opificio de La Stua - sorgenti carsiche de La Stua - forra del T. Mis - Titèle. Percorso lungo strada che sviluppa il tema dell'acqua, nei suoi usi trascorsi e attuali e nelle sue valenze naturalistiche (idrologiche, idrogeologiche, fioristiche).
I siti minerari: primo itinerario: Pattine - I Salt - Vallalta - ingresso delle miniere; secondo itinerario: villaggio minerario di Valle Imperina - ingresso delle miniere.
La via degli ospizi: Certosa di Vedana, S. Gottardo - (Perón)- Salét - Candàten - Le Àgre. Itinerario che si sviluppa lungo l'antica via degli ospizi che ritmavano il procedere del viandante e del pellegrino lungo la Val Cordévole. Nel tratto fra Candàten e
Le Àgre è possibile prevedere la realizzazione di un percorso in alveo, magari provvisorio, che possa in qualche modo riproporre le precarie condizioni di percorribilità della valle nei tempi passati.
La storia dell'alpinismo: Case Bortòt - Rif. 7° Alpini - Cima dello Schiara - Rif. Bianchét. Itinerario di notevole interesse naturalistico, paesaggistico, alpinistico che consente di raggiungere la massima cima del parco (attraverso alcune vie ferrate; solo per escursionisti esperti).
La foresta: Pian de le Stèle - Caiàda - Casera Palughét. Percorso facile, attraverso boschi di notevole interesse forestale e natura- listico, già sfruttati dalla Serenissima e patrimonio in epoche successive del Demanio Forestale Asburgico e del Regno d'Italia.
L'alpeggio: Grìsol di Dentro - Casere I Rónch - Rif. Pian de Fontàna - Teàz sui Vari de Zità. Percorso che ripropone il sistema di sfruttamento alpicolturale della montagna, con dimore temporanee, maiolere, malghe.
La geologia e la geomorfologia: Rif. Prampèret - Piazediài - Van de Zità. Itinerario di interesse stratigrafico, tettonico, struttu- rale, morfologico.
Le chiesette: itinerario che si sviluppa fra Parco e pre parco, a partire dalla valle di San Martino fino a Polpèt, attraverso l'innumerevole serie di caratteristiche chiesette che si affacciano sulla Val Belluna dai contrafforti meridionali dei monti del parco.

Spazi espositivi

Come accennato, gli itinerari tematici non saranno attrezzati con pannelli didattici che invece troveranno posto, in alcuni casi, all'interno di apposite strutture allo scopo individuate. L'idea è quella di mettere a disposizione del fruitore dell'itinerario tematico strumenti di lettura del territorio (rispetto all'argomento specifico che caratterizza il percorso) aggiuntivi rispetto alla piccola guida di cui ogni percorso dovrà essere dotato. Gli spazi espositivi individuati dal Piano, (per ognuno dei quali si indica in corsivo l'itinerario tematico collegato) sono i seguenti: Casera Monsampian: I circhi delle Vétte. La struttura utilizzabile è costituita dalle pendane.
Plan d'Avena: lo spazio espositivo va realizzato nella ex stalla/ fienile. Casera Alvìs: La grande guerra. La struttura utilizzabile è costituita dalla pendana e/o dallo stallone.
Pendana di Brendòl: nessun itinerario tematico. Va comunque utilizzata quale spazio espositivo, considerato l'elevato numero di fruitori della conca di Erèra.
La Stua (Val del Mis): L'acqua. Lo spazio espositivo va realizzato all'esterno o in uno stabile del complesso da ristrutturare, diverso dall'opificio.
Le Àgre: La via degli ospizi. La struttura utilizzabile è l'anti- ca chiesa sconsacrata.
Casere Palughét: La foresta. La struttura utilizzabile non viene individuata. Da valutare l'opportunità di sfruttare il Teàz.
Casere I Rónch: L'alpeggio. Le strutture uglizzabili sono il casello del latte e le stalle.
Casera Pramperét: La geologia e la geomorfologia. La struttura utilizzabile è lo stallone.

Appoggi logistici

Oltre che sugli spazi espositivi, gli itinerari tematici devono poter contare sulla presenza di appoggi logistici, la cui funzione è quella di offrire riparo, possibilità di sosta e in alcuni casi ri- storazione. Queste strutture assumono importanza strategica nelle azioni di educazione e informazione ambientale, vanno opportunamente recuperate e valorizzate, quando necessario, e comprendono solo in parte quelli che andremo a definire come appoggi logistici per l'at- tività escursionistica.
Il Piano individua come appoggi logistici lungo i sentieri natura e gli itinerari tematici le seguenti strutture, (per ognuna delle quali si indica in corsivo il sentiero natura o l'itinerario tema- tico collegato):
Rif. Dal Piàz: La flora; I circhi delle Vétte,
Rif. Bòz: sentiero natura multitematico attorno al rifugio; La grande guerra.
Casera La Stua: sentiero natura multitematico della Val di Canzói
Casera di proprietà ex ASFD a Vallalta: I siti minerari.
Ruderi Val Falcìna: sentiero natura multitematico della Val Falcìna.
Teàz Col della Féda: sentiero natura multitematico della Val Falcìna.
Rif. 7° Alpini e Biv. Lussàto: La stotia dell'alpinismo.
Rif. Bianchét sentiero natura multitematico attorno al rifugio;

La storia dell'alpinismo.

Casera Costa Granda: sentiero natura multitematico della Val del Grìsol.
Rif. Pian de Fontàna: L'alpeggio.
Rif. Prampèret: La geologia e la geomorfologia.
Santuario Santi Vittore e Corona: Le chiesette.
Centro di Spiritualità Papa Luciani: Le chiesette.

Alcune strutture utilizzate anche come spazi espositivi, sono considerate anche come appoggi logistici, prevedendo tuttavia con questa destinazione edifici in qualche caso diversi rispetto a quelli utilizzati per la didattica. Tali strutture sono:
Casera Monsampiàn: I circhi delle Vétte. La struttura utilizzabi- le come appoggio logistico è costituita in questo caso della casera e dalle pendane.
Casera Alvìs: La grande guerra. La struttura utilizzabile è costituita ancora dalla pendana e/o dallo stallone.
Casere I Rónch: L'alpeggio. La struttura utilizzabile è in questo caso la casera.
Casera Prampèret La geologia e la geomorfologia. La struttura utilizzabile è la casera.

Emergenze puntuali lungo i sentieri natura e gli itinerari tema- tici lungo gli itinerari natura e i sentieri tematici sono presenti alcune emergenze che, più di altre risultano importanti per arric- chire i percorsi sotto il profilo didattico/educativo. Solo alcune di esse coincidono con le strutture già sopra citate; tutte costitu- iscono realtà da tutelare, valorizzare, riqualificare. Il criterio ispiratore che ha portato alla definizione dell'elenco sotto riportato è stato quello di evidenziare tutte le emergenze di maggior rilievo fruibili non solo a chi percorra gli itinerari del Parco, ma anche a chi voglia trascorrere solo qualche ora nel territorio protetto o che vi transiti episodicamente.

Le modalità con cui si attua la valorizzazione di queste emer- genze varia in relazione alle caratteristiche delle stesse. Si può andare dall'acquisto degli immobili (es. opificio de La Stua), alla ristrutturazione degli edifici (es. Monsampiàn), alla sistemazione complessivamente intesa (es. sistema difensivo del Castei), alla descrizione nell'ambito delle guide dei singoli itinerari tematici (Rif. Pian de Fontàna); alla riqualificazione delle aree prossime alle singole emergenze (es. eliminazione del deposito di inerti presso le cascate della Val del Mus e della Sòffia, a lato della statale), alla predisposizione di piccoli parcheggi (es. forre della Val Vescovà e della Val di Piero), alla semplice segnalazione con un piccolo cartello esplicativo (es. abete bianco di Caiàda o le chiesette), all'arresto forzato del crollo dei ruderi (es. Teàz sui Van de Zità).

L'elenco di tali emergenze puntuali viene riportato nel seguito:

Chiesette: S. Martino, S. Mauro (Arsón), S. Ròsia, S. Agàpito, S. Mauro (Val Scura), S. Felice, S. Michele, S. Giuliana, S. Gottardo, S. Giorgio, S. Michele, S. Andrea. Costituiscono i punti di riferimento privilegiato lungo l'itinerario delle Chiesette.
Casera Monsampiàn, Casera Alvìs, Casere e pendane di Erèra-Bren- dòl: rappresentano esempi ben conservati delle strutture malghive tipiche della montagna feltrina.
Sorgenti T. Stién: il primo tratto del T. Stién, per la portata che lo caratterizza, il suggestivo scenario, la presenza di casca- telle e piccole marmitte costituisce una delle emergenze di maggior rilievo lungo il sentiero natura della Val di San Martino. Bus del Caorón: monumento naturale unico lungo il sentiero natura della Val di Canzói.
Diga della Val del Mis: emergenza significativa sotto il profilo didattico lungo l'itinerario tematico dedicato all'acqua.
Tratto fra Pascoli e la Val Falcìna: ambito a notevole valenza didattica (aspetti floristici, vegetazionali e stratigrafici). Cascata e forra della Val Sóffia: monumento naturale lungo l'itinerario dedicato al tema dell'acqua.
Marmitte della Val Brentón: monumento naturale unico lungo l'itinerario dedicato al tema dell'acqua.
Opificio della Stua: costituisce l'unico opificio all'interno del perimetro del parco e come tale costituisce un'importante emergenza da salvaguardare lungo l'itinerario dedicato al tema dell'acqua.
Sorgenti carsiche della Stua: monumento naturale lungo l'itinera- rio dedicato al tema dell'acqua.
Titèle: ambito a notevole valenza didattica (aspetti stratigrafi- ci e tettonici). Ingresso miniere di Vallàlta: emergenza legata all'archeologia industriale, punto di arrivo di uno degli itinerari dedicati al tema delle miniere. Ingresso miniere Valle Imperìna: emergenza legata all'archeologia industriale, punto di arrivo dell'altro itinerario dedicato al tema delle miniere.
Sistema difensivo del Castèi: complesso di notevole pregio, rappresenta un ambito da valorizzare quale testimonianza delle attività belliche svolte nel territorio nel corso della prima e della seconda guerra mondiale.
Le Àgre: segnalato come sito dov'era ubicato un antico ospizio. Cascata della Val del Mus (e cascata della Pissa): monumenti naturali lungo la Val Cordévole.
Forra e cascata della Val Vescovà: monumento naturale lungo la Val Cordévole.
Villaggio ENEL e centrale della Stanga: emergenze di interesse storico legate al periodo di maggiore attività della SADE. Forra e cascata della Val di Piero: monumento naturale lungo la
 
Val Cordévole. Candàten: complesso di notevole interesse storico architettonico.
Ponte storico in Val Cordévole: emergenza puntuale di interesse storico lungo la Val Cordévole.
Salét: segnalato per la presenza di dimore rurali tipiche.
Certosa di Vedàna: uno dei più interessanti monumenti della provincia di Belluno, si trova lungo gli itinerari tematici delle chiesette e degli antichi ospizi.
Bus del Busòn: monumento naturale di eccezionale interesse alle porte del Parco, lungo il sentiero natura della Valle dell'Ardo.
Abete bianco di Villa Scotti: monumento naturale lungo l'itinera- rio tematico dedicato alla foresta.
Cippi confinari a Palughét: si tratta di alcuni cippi confinari risalenti al 1712 e al 1868 (Regno d'Italia), emergenze da valorizzare nell'ambito dell'itinerario dedicato al tema della foresta.
Bosco misto con abete bianco a Palughét: ambito forestale di notevole pregio lungo l'itinerario dedicato alla foresta. Grìsol di Dentro: borgo rurale al di fuori del limite del Parco, di notevole interesse storico, architettonico, paesaggistico. Casere i Rónch, Rif. Pian de Fontàna, Teàz sui Van de Zità: emergen- ze che, anche con le modifiche nelle destinazioni d'uso attuate su una di esse (rifugio), consentono di leggere ancora perfettamente le modalità con cui si svolgeva l'attività di alpeggio (distribuzione altimetrica delle strutture e spaziale degli edifici).

Attivazione di un progetto per la didattica

Il Piano individua nell'organizzazione delle attività didattiche un'occasione insostituibile per sensibilizzare ai temi ambientali il maggior numero di persone. Oltre che attraverso l'allestimento di centri visitatori, punti informazione, percorsi natura, itinerari tematici, si rende opportuno sviluppare un progetto, articolato in due sotto-progetti, che possa rendere permanente la presenza del Parco, anche al di fuori del suo perimetro.
Il riferimento è alla necessità di stimolare e sostenere la qua- lificazione professionale di esperti, in grado di organizzare incon- tri, conferenze, visite guidate.
Si tratta, in pratica, di promuovere momenti didattici rivolti distintamente:

- alle scuole di ogni ordine e grado;

- agli adulti, turisti o residenti che siano.

Per quanto riguarda l'attività didattica nelle scuole, il Piano individua nel territorio delle cinque Comunità Montane l'ambito di intervento privilegiato per quanto concerne gli interventi in classe, mentre il bacino di utenza per eventuali settimane, gite scolastiche o periodi prolungati nel parco può essere esteso.
Al di fuori delle strutture private già disponibili, il Piano individua negli abitati di Canséch e delle Àgre gli stabili da destinare a foresterie, dove cioè sia possibile ospitare per più giorni studenti e ricercatori.
Al fine di sostenere le attività didattiche già in corso, il Par- co dovrà raccordarsi con le strutture già operative (associazioni protezionistiche, C.A.I., cooperative) in modo da ottimizzare gli sforzi e qualificare questo tipo di offerta, che si ritiene fondamentale in relazione agli scopi istitutivi.
Le attività didattiche si svolgeranno anche attraverso l'utilizzo di materiali, così come descritto al punto seguente.

Strumenti per la didattica e l'informazione

Il Piano considera strumenti priontari per la didattica e l'informazione:

- la guida del Parco. - il depliant del Parco. - I materiali esposti nel centri visitatori e nei punti
informazione. - Le guide degli itinerari tematici. - Il video del Parco. - La realizzazione di proiezioni di diapositive aventi per oggetto
gli stessi temi degli itinerari tematici. - La predisposizione di materiaie didattico per le scuole avente
per oggetto gli stessi temi degli itinerari tematici. - La pubblicazione di depliant relativi alla Val del Mis, alla Val
di Canzói, alla Val Cordévole.

Il foglio del parco

Il Piano individua la necessità che il Parco pubblichi con perio- dicità un giornale nel quale possano essere riassunte le attività dell'Ente e della Comunità del Parco, aperte discussioni intorno alle problematiche dell'area protetta, descritte le caratteristiche del territorio sotto i diversi aspetti, riportate iniziative che si svo- lgono in altri Parchi del Veneto e d'Italia, stimolate azioni da parte dei privati anche al di fuori dell'area protetta.

5.3 L'escursionismo e la ricreazione

Il Piano individua nelle attività escursionistiche di tipo clas- sico opportunità non secondarie di avvicinamento alla natura e in ragione di ciò propone la valorizzazione delle realtà esistenti attraverso:

- la promozione di un lungo percorso di attraversamento dell'area
protetta (Trans Parco); - il monitoraggio e la manutenzione della rete sentieristica del
CAI. - Il monitoraggio e la manutenzione della rete sentieristica
minore; - la valorizzazione di una serie di appoggi logistici.

La trans parco

Con il termine di "Trans Parco" si intende far riferimento a un percorso di attraversamento dell'intero territorio, lungo sentieri in quota, a carattere escursionistico. Per alcuni tratti esso coin- cide con gli itinerari tematici ma va considerato in modo differen- ziato da questi per gli obiettivi che si pone. E' rivolto infatti per lo più a persone che desiderino prendere visione in pochi giorni dell'intero territorio, nei suoi ambiti più caratteristici e selvag- gi, senza dover soffermarsi su particolari temi (per i quali appunto sono stati previsti gli itinerari tematici).
La Trans Parco può essere suddivisa in due tratti come di seguito descritto.

1° TRATTO: si sviluppa nel gruppo dello Schiara; le tappe che lo caratterizzano sono: Forno di Zoldo - Malga Prampèr - Rif. Prampèret - Piazediài - Van de Zità - Rif. Pian de Fontàna - Forcella La Varétta - Rif. Bianchét - cima dello Schiàra - Rif 7° Alpini - Case Bortòt. Ricalca per intero gli itinerari tematici della geologia-geomorfoiogia e della storia dell'alpinismo e per un tratto quello dedicato al tema dell'alpeggio. Coincide con l'Alta Via N. 1.
Per quanti non se la sentissero di salire la cima dello Schiàra è prevista una variante che, a partire dal Rif. Pian de Fontana scende in Val del Grìsol, sale alle Sette del Gravedèl, attraversa la conca di Caiàda e, dopo aver raggiunto le forcelle Palughét e Cirvói, scende in Valle dell'Ardo. In questo caso, l'itinerario tematico dedicato all'alpeggio viene percorso per intero a scapito di quello della storia dell'alpinismo. La variante ricalca per un tratto il percorso dell'alta Via N. 3. Importanti varianti a questo tracciato base sono costituite dalle vie di accesso da La Valle Agordina (Conaggia, malga Foca, F.lla Giaon, Pezedei) e dal Passo Duran (Pian di Calleda - F.lla Moschesin).

2° TRATTO: si sviluppa nel gruppo del Cimónega e delle Vétte Feltrine, le tappe che lo caratterizzano sono: Pattine - Campotoróndo - Erèra - Passo dell'Omo - Cimónega - Caserìn - Pass de Mura - Rif. Bòz - Sasso Scàrnia - Piazza del Diavolo - Busa di Pieténa - Busa delle Vétte - Rif. Dal Piàz - Passo Croce d'Àune. Ricalca per brevi tratti gli itinerari tematici dedicati alla grande guerra, alla flora, ai circhi glaciali delle Vétte nonché l'Alta Via N. 2.

Il monitoraggio e la manutenzione della rete sentierisfica del CAI

La rete di sentieri CAI (riportati nell'apposita cartografia) costituisce la trama fondamentale sulla quale si sviluppano la maggior parte degli itinerari proposti dal Piano. ti Parco ne promuove quindi la manutenzione, ordinaria e straordinaria, su tutto il territorio, potendo prevedere anche interventi al di fuori del perimetro dell'area protetta, sempre che i sentieri eventualmente da sistemare conducano all'interno del Parco (es. Val Clusa). Il monitoraggio dello stato di manutenzione dei sentieri costituisce un'azione di primaria importanza; le priorita' vanno assegnate a quegli itinerari che svolgano una pluralita' di funzioni (es. itinerari tematici).

Il monitoraggio, e la manutenzione della rete sentieristica minore

Al di la' della rete sentieristica del CAI, il territorio del Parco e' caratterizzato da un'innumerevole, quantita' di percorsi, spesso ormai ridotti a labili tracce. Essi rappresentano una delle ultime testimonianze dell'attivita' dell'uomo su questi monti (boscaioli, carbonai, pastori, cacciatori, contrabbandieri) e costituiscono gli unici itinerari rimasti per accedere a molte zone del Parco (es. Monti del Sole), Attraverso progetti specifici per settori geografici, si rende necessaria una catalogazione di questi percorsi, prevedendo interventi di manutenzione al fine di evitare la scomparsa di un patrimonio di grande valore storico e geografico. In linea di massima tali progetti possono interessare analiticamente i seguenti settori:

- Val Prampèr - Val Clusa. - Bacino del T. Grìsol (Val del Róss, Val Costa del Nàss,
contrafforti settentrionali M. Pelf). - Caiàda - Pelf - Sèrva - Schiara Sud. - Val Vescovà. - Settore orientale dei Monti del Sole. - Settore occidentale dei Monti del Sole. - Territorio del Comune
di Rivamonte. - Territorio del Comune di Gosaldo. - Versante destro del bacino del Mis. - Versanti meridionali dal M. Speróne alla Val di Canzó. - Versante sinistro del bacino del T. Caoràme. - Versante destro del bacino del T. Caoràme. - Monte San Mauro-Monte Gràve. - Bacino del T. Stién. - Bacino del T. Colméda. - Settore compreso fra il Vallone d'Aune e la Val Cesìlla
(Sovramontino).

Gli appoggi logistici per l'escursionismo

Anche nell'ambito dei percorsi escursionistici, complessivamente intesi, il Piano individua una serie di appoggi logistici; molti di essi coincidono con le strutture già evidenziate in precedenza nell'ambito della descrizione degli itinerari tematici e dei sentieri natura, che assumono quindi una duplice valenza, agli altri viene riconosciuto comunque un importante significato al di fuori delle strutture dedicate all'educazione ambientale. Fra i primi si ricordano: Casera Monsampiàn, Rif. Dal Piàz, Rif. Bòz, Casera Alvìs, Pendana di Brendòl, Rif. 7° Alpini e Biv. Lussato, Casere I Rónch, Rif. Bianchét (e bivacco), Rif. Pian de Fontana e Biv. Dal Mas, Rif. Prampèret (e bivacco). Fra le strutture da sistemare e/o valorizzare con funzione esclusivamente escursionistica si ricordano: Malga Tavernazzo, Casera Le Prése, Casera di Ramézza Alta, Chiesa di San Mauro (Arsón), Casere di Saladén, Malga Scarnia, Biv. Feltre/Bodo, Casera Bósc dei Boi, Tettoia Chiesa di S. Mauro (Val Scura), Biv. Palia, Casera Campo, Casera di Nusiéda Alta, Casere Col de Fòia-Piscalór, Biv. Valda, Casera I Rónch (valle dei Rui Frét), Biv. Medàssa, Biv. Sperti, Biv. Màrmol, Biv. Dalla Bernardina, Casera Pian del Fiòch, Teàz di Nervìlle, Casera La Varétta, Casera Costa dei Nass, Biv. Carnièlli, Casermetta F.lla Moschesìn, Casera di Mezzo di Val Clusa, Casera Prima di Val Clusa.

Alcune di queste strutture ospiteranno anche i rifugi forestali per la sorveglianza.
Un'attenzione particolare meritano i bivacchi: quelli annessi ai rifugi, versano spesso in uno stato poco decoroso non in sintonia con l'importante ruolo che svolgono nel lunghi mesi in cui i rifugi sono chiusi; per gli altri la situazione generalmente appare migliore, anche in questo caso con le dovute eccezioni (es. Biv. Valdo).
Per quanto concerne le attivita' piu' propriamente "ricreative", va sottolineato il fatto che il territorio del parco, per proprie caratteristiche, non si presenta particolarmente vocato alle attivita' turistiche genericamente intese.
Il Piano individua tuttavia in alcune aree ai margini dell'area protetta le condizioni per rendere compatibili tali attivita', come di seguito esposto:
Pian d'Avena: il Piano conferma la destinazione ad area pic-nic e a parcheggio delle strutture gia' esistenti. Non va effettuato alcun intervento di modifica o di ampliamento, in relazione alla presenza nel prato attiguo di alcune coppie di re di quaglie, che abbiamo visto essere una delle specie di fauna vertebrata piu' interessanti e vulnerabili dell'intero Parco.
Val Canzói: il Piano recepisce le indicazioni riportate nello studio a suo tempo realizzato dall'Ente Parco e sottolinea, in modo particolare, la necessità di realizzare una pista pedonale a fianco dell'attuale rotabile, al fine di rendere percorribile la valle ai pedoni che attualmente transitano sulla strada. A fianco della stessa potranno essere previste (sulla sinistra entrando) modeste piazzole attrezzate per la sosta (gruppi di tavoli e panche) e dovranno essere razionalizzati i parcheggi a valle dell'albergo Bòz e alla partenza del sentiero per Passo Finestra.
Val del Mis: il Piano recepisce le indicazioni riportate nello studio a suo tempo redatto dall'Ente Parco. Si ritengono dunque compatibili nell'area in esame:

- la realizzazione di una pista pedonale e ciclabile a lato della
Provinciale, tra il Pian della Falcìna e il ponte di Gèna Bassa; - la realizzazione di un'area pic-nic con punti fuoco nell'area
del Pian della Falcìna; - la realizzazione di un punto di ristoro al Pian della Falcìna; - la realizzazione di un parcheggio della capacità massima di un
centinaio di vetture al Pian della Falcìna e la riorganizzazione
di una piazzola esistente prima del ponte di Gèna Bassa; - la riorganizzazione degli spazi e delle strutture al Pian della
Falcìna, secondo lo schema riportato nel piano citato.

Val Cordévole: il Piano conferma la destinazione ad area pic nic, a parcheggio e a percorso vita delle strutture già esistenti presso Candàten.
Altri parcheggi e piazzole: l'apposita cartografia riporta l'ubicazione degli altri parcheggi interni e/o immediatamente esterni all'area protetta, ritenuti funzionali alle attività del Parco (Val dei Róss, Pian de le Stèle in Caiàda, piazzole lungo la Val Cordévole, piazzola in Val di San Martino, ecc.).

5.4 Le attività primarie e il recupero di assetti colturati di
pregio

Proposte per le attivita' forestali Il Piano individua nel Progetto speciale: selvicoltura e riassetto forestale lo strumento necessario all'approfondimento delle diverse tematiche relative agli ecosistemi forestali, secondo gli obiettivi stabiliti dall'art. 10 delle norme di attuazione.
Essi sono in linea con lo scopo della pianificazione forestale regionale, che viene identificato nella: modellazione del bosco in strutture ecosistemiche che, utilizzando le naturali risorse dell'ambiente (energia radiante, disponibilita' idriche e trofiche), abbiano assicurata nel tempo la massima stabilita' compatibile con le funzioni dirette (economiche) e indirette (sociali) di cui sono capaci.
Sotto il profilo gestionale il Piano distingue i boschi del parco a seconda del regime di proprieta'/uso, come di seguito esposto:

- demanio forestale statale;
- demanio forestale regionale;
- boschi comunali;
- boschi soggetti ad uso civico;
- boschi privati.

Demanio forestale statale
La gran parte dei boschi del Parco è inserita nelle Riserve Statali istituite negli anni '70 ed è gestita dall'ex ASFID. Tale situazione costituisce per l'area protetta un notevole punto di forza in considerazione del fatto che tali boschi sono ormai da alcuni decenni gestiti secondo criteri molto conservativi, essendo stati per la maggior parte deliberatamente lasciati all'evoluzione naturale. Gli interventi più urgenti sono stati realizzati o sono in via di prossima esecuzione sulla scorta di fonti di finanziamento derivanti dal programma PRONAC e dal Piano Triennale per l'Ambiente.
Tali interventi, in alcuni casi, oltre ad accelerare l'evoluzione del bosco verso equilibri più stabili e duraturi, hanno consentito di qualificare anche dal punto di vista paesaggistico alcuni settori del parco, attraversati da sentieri a frequentazione piuttosto elevata (valga per tutti l'esempio della faggeta di Campedèi, nella Val di Canzói, lungo il sentiero che conduce nell'altopiano di Erèra-Brendòl).

Il Piano indica quindi quale strategia complessiva per i boschi dell'ex ASFD, l'effettuazione di conversioni e tagli colturali solo in aree localizzate, di non difficile accesso, secondo peraltro le linee direttive che gli uffici competenti dell'Azienda gia' perseguono. Per la restante parte del patrimonio forestale demaniale il Piano indica, quale norma generale, l'abbandono all'evoluzione naturale. Il Piano indica altresi' l'opportunita' di procedere comunque alla redazione di un Piano di riassetto, secondo le linee guida indicate in altra parte della Relazione (i progetti speciali).

Demanio forestale regionale

Consiste in modeste porzioni di territorio gestite dail'ARF attraverso un Piano di riassetto.
Il Piano assimila questi boschi, in riferimento alle strategie complessive di gestione, a quelli sopra descritti (eventuali interventi localizzati ed evoluzione naturale).

Boschi comunali

I Comuni provvisti di Piano di Riassetto sono quelli di Gosaldo, Rivamonte, La Valle Agordina, Forno di Zoldo, Longarone, Belluno.
Si tratta per lo piu' di boschi di protezione, nei quali l'abbandono all'evoluzione naturale e' condizione gia' attuata. In alcuni casi (Forno di Zoldo, Longarone, Belluno soprattutto) esistono particelle di produzione il cui interesse, anche economico, non e' da trascurare per i bilanci delle diverse Amministrazioni. Il Piano riconosce ai Piani di Riassetto in vigore la compatibilita' naturalistica dei criteri di gestione.

Boschi soggetti ad uso civico

Sono localizzati al limite del Parco, nella zona di Caiada e nella valle dell'Ardo. Il Piano demanda allo specifico Progetto speciale l'approfondimento del tema (di concerto con le Amministrazioni comunali di Longarone e Belluno), soprattutto in relazione alla complessa vicenda degli usi civici degli abitanti di Fortogna.
Andra' in particolare approfondita la natura dell'uso civico ed effettuata una verifica di compatibilita' delle attuali forme di utilizzo della foresta con le norme di Piano.

Boschi privati

Costituiscono una componente minoritaria in termine di superficie e di valore economico oggettivo, ma rappresentano un'importante fonte integrativa di reddito, che il Piano riconosce, per le popolazioni che abitano il settore meridionale del Parco. Il Piano indica la necessita' di procedere alla redazione di un Piano di Riassetto dei boschi privati, da estendersi anche all'area fuori Parco. Tale piano potra' riguardare, separatamente, porzioni diverse dell'area protetta, magari coincidenti con i territori comunali e/o delle Comunita' Montane. li riferimento tecnico per la redazione di tale/i piano/i puo' essere considerata la normativa vigente in materia della Regione Veneto.

Forme di gestione per tipi forestali

Il Piano adotta le Tipologie Forestali della Regione Veneto, come descritte nel volume Vegetazione Forestale del Veneto - II Edizione - anno 1993 - Libreria Progetto Editore, quale strumento guida per la definizione degli assetti da perseguire e delle modalita' tecniche di gestione.
Piu' in particolare, il Piano distingue le forme di gestione da adottare nelle zone di promozione economica e sociale (denominate nello schema che segue come Fuori Riserva) e in quelle di Riserva. Le indicazioni fornite per queste ultime valgono anche per i boschi del demanio forestale statale e regionale, a prescindere dalla zona in cui ricadano (nello schema che segue vengono indicate unitariamente come Riserva, ARF e ex ASFD).
Le indicazioni gestionali vengono di seguito elencate

ORNO OSTRIETO TIPICO (con carpino bianco) Fuori Riserva: - Ceduo matricinato con 200-250 matricine
per ettaro.
- Evoluzione naturale. Riserva, ARF e ex ASFD: - Evoluzione naturale,

OSTRIETO DI RUPE Evoluzione naturale.

OSTRIETO DI FORRA Evoluzione naturale.

CARPINETO CON OSTRIA Fuori Riserva: - Ceduo matricinato con 150-200 matricine
per ettaro; turno: 20-25 anni.
- Passaggio a ceduo composto: 200-400
allievi/ha da un quarto a metà dei quali
da rilasciare nei cicli successivi.
- Conversione a fustaia: 1500-2000 allievi
per ettaro (a partire da diametri di
cm 4-5 e altezze di m 4-6).
- Evoluzione naturale.

Riserva, ARF e ex ASFD: - Conversione a fustaia.
- Evoluzione naturale.

ACERO FRASSINETO Avviamento alla fustaia.

ACERO TIGLIETO Evoluzione naturale controllata.

FAGGETA SUB-MONTANA TIPICA Fuori Riserva: - Ceduo matricinato con 200-300 allievi/ha;
turno: 25-30 anni.
- Conversione a fustaia, ove possibile, con
invecchiamento o con matricinatura
intensiva (2000-2500 soggetti/ha a 30 anni
dall'ultimo taglio).
- Evoluzione naturale.

Riserva, ARF e ex ASFD: - Conversione a fustaia.
- Evoluzione naturale.

FAGGETA SUB-MONTANA CON OSTRIA Fuori Riserva: - Ceduo matricinato con 200-300 allievi/ha;
turno 30-35 anni.
- Conversione a fustaia (è problematica).
- Evoluzione naturale.

Riserva, ARF e ex ASFD: - Evoluzione naturale.

FAGGETA PIONIERA AZONALE Evoluzione naturale.

FAGGETA MONTANA XERICA Fuori Riserva: - Ceduo con turni di 35-40 anni.
- Evoluzione naturale.

Riserve, ARF e ex ASFD: - Evoluzione naturale.

FAGGETA MONTANA TIPICA A DENTARIA

Fuori Riserva: - Ceduo con turno di 20 anni e 100
allievi/ha.
- Conversione a fustaia
- Tagli successivi uniformi in fustaia
- Evoluzione naturale

Riserva, ARF e ex ASFD: - Conversione a fustaia (pag. 98).
- Tagli successivi uniformi in fustaia.
- Evoluzione naturale.

FAGGETA MONTANA CON ABETE BIANCO

Fuori Riserva: - Conversione a fustaia del faggio;
perseguimento di una struttura mista
polistratificata; bosco normale 300-340
mc/ha; stature m 30-32 per le conifere,
m 26-28 per il faggio.

Riserva, ARF e ex ASFD: - Come sopra o evoluzione naturale.

FAGGETA ALTIMONTANA TIPICA E A MEGAFORBIE

Fuori Riserva: - Ceduo con turno 25-30 anni; 100
allievi/ha.
- Conversione a fustaia.
- Tagli successivi uniformi.
- Evoluzione naturale.

Riserva, ARF e ex ASFD: - Come sopra escluso il ceduo

FAGGETA ALTIMONTANA DEI SUOLI DECALCIFICATI Evoluzione naturale

PICEO-FAGGETI Evoluzione della faggeta attraverso la riduzione controllata della picea

PECCETA MONTANA Tagli successivi o a gruppi per favorire la rinnovazione naturale e la stratificazione

PINETA ESALPICA A PINO SILVESTRE Evoluzione naturale

ABIETETO SUB MONTANO Taglio saltuario

ABIETETO DEI SUOLI CARBONATICI Taglio a scelta per pedali o a gruppi

LARICETO TIPICO Evoluzione naturale controllata a favore del larice

LARICETO A MEGAFORBIE Evoluzione naturale

ALNETA - ONTANO BIANCO - Diradamento selettivo per successione di Aceri frassineto - Evoluzione naturale per motivi naturalistici - Taglio integrale in ostruzioni idrauliche

SALICETI

- Evoluzione naturale - Taglio integrale in ostruzioni idrauliche

RIMBOSCHIMENTI ARTIFICIALI DI RESINOSE - Sfolli e diradamenti per mantenere la stabilità - Tagli successivi destinati a favorire il recupero di una
composizione naturale. - Evoluzione naturale.

Il Piano segnala inoltre l'opportunità di:

- favorire, nell'ambito delle matricine, le specie minoritarie e
di maggior interesse ambientale; - preservare al taglio, nel ceduo, i soggetti più maestosi (nella
misura indicativa di 3-10/ettaro); - tutelare gli elementi puntuali e i lembi di bosco che abbiano
particolare interesse paesaggistico (grandi alberi) o faunistico
(siti di nidificazione di uccelli rapaci diurni e notturni e di
picchi; arene di canto del cedrone e siti riproduttivi del
cedrone e del francolino di monte, ecc.).

L'adozione delle Tipologie forestali quali riferimento per la gesti- one dei boschi pone due ordini di problemi:

- assenza di personale qualificato in grado di effettuare
un'analisi tipologica del bosco; - difficoltà a seguire le indicazioni fornite, nel caso di piccole
proprietà private di bosco ceduo.

Con riferimento al primo aspetto, alla stregua di quanto gia' effettuato nel passato, il Piano segnala l'opportunita' di attivare specifici corsi, rivolti al personale del Coordinamento Territoriale per l'Ambiente, ai tecnici del Parco, a professionisti esterni, con lo scopo di creare le basi culturali per un corretto riconoscimento delle tipologie forestali. Anche in questa prospettiva, il Progetto speciale individuera' nel territorio esempi didatticamente esemplificativi di tutte le tipologie forestali presenti all'interno del Parco.
Per quanto concerne il secondo aspetto, va sottolineato che il riferimento alle Tipologie non e' sempre sufficiente per applicare il trattamento indicato al di sotto di una certa soglia di superficie o dendrometrica (appezzamenti privati di poche centinaia o migliaia di metri quadri). Cio' anche in relazione al fatto che esiste una soglia economica del legnatico che, essendo gia' ai limiti del mercato, non puo' essere ulteriormente abbassata. Non secondaria inoltre la considerazione che, soprattutto nel ceduo, l'apertura di piccoli spazi tagliati in modo intensivo puo' favorire una pregevole diversita' faunistica all'interno del bosco. In relazione anche a tali aspetti si puo' intuire l'importanza della redazione del Piano di Rassetto dei boschi privati che possa, al di la' della frammentazione delle proprieta', prospettare un piano dei tagli che, nel suo insieme, risponda a quanto previsto dalle indicazioni di Piano. In relazione all'interesse economico che alcuni boschi comunali e privati assumono, il Piano indica la necessita' di attivare un sistema di indennizzi e di sovvenzioni.

Gli indennizzi sono legati a:
- minor produzione derivante dall'applicazione di norme piu' restrittive di quelle dei Piani di Riassetto o delle Prescrizioni di Massima;
- minori introiti derivanti da modalita' di esbosco piu' onerose;
- abbandono all'evoluzione naturale di boschi produttivi.

Nel caso dei boschi comunali di particolare interesse, la via puo' essere quella di acquistare i lotti lasciandoli in piedi o procedendo, dopo l'acquisto, a martellate piu' leggere svolte direttamente dall'Ente Parco.
Le sovvenzioni vanno invece previste, per i soli boschi privati, nei casi in cui si intenda migliorarne le caratteristiche; vanno ovviamente sovvenzionati solo gli interventi non imposti (per gli interventi imposti sono infatti previsti gli indennizzi) quali:

- la trasformazione del ceduo matricinato in ceduo composto; - la conversione a fustaia; - l'abbandono all'evoluzione naturale (quando utile e non
imposto); - le cure colturali nei rimboschimenti;

Pur demandando per gli approfondimenti necessari al Progetto speciale, il Piano individua sin da ora alcune Riserve forestali, e alcune aree all'interno delle quali le stesse vanno individuate, come di seguito esposto:

- bosco del Péz (abieteto), sul versante nord orientale del
M. Tèrne, nel bacino del T. Ardo; - bosco del Col delle Bréghe (abieteto), sul versante nord
occidentale del M. Sèrva, nel bacino del Rui Frét; - aree di schianto comprese fra il Pian d'Avéna e Soladén; - conca di Palughét; - Val del Grìsol - Val dei Róss (abieteto sub montano); - alveo del T. Cordévole (alnete). - aceri-tiglieto-frassineto in Val di Lamén

Il Piano individua altresì, fin da ora, alcune aree di partico- lare interesse da destinare alla sperimentazione e alla didattica, elenco da integrare in sede di stesura del Progetto speciale:

- lariceto della Val Prampèr; - abieteto sub montano della Val del Grìsol; - abieteti della conca di Caiàda; - alnete della Val Cordévole; - boschi di forra nel bacino del T. Ardo; - boschi della Valle Imperìna-Casera Mandre; - aceri-tiglieto-frassineto in Val di Lamén

Proposte per le attivita' alpicolturali

Il territorio del Parco e' costellato da una notevole quantita' di edifici funzionali allo svolgimento di attivita' di tipo primario - zootecnico, che con la regressione del comparto agricolo hanno per lo piu' perso la destinazione d'uso originaria e si trovano oggi in uno stato di manutenzione diversificato. Alcuni di essi sono ormai ridotti a ruderi, altri sono stati trasformati in rifugi forestali per la sorveglianza; vengono ancora utilizzati per le attivita' alpicolturali o fruiti periodicamente a scopo ricreativo dai proprietari.
La funzionalita' della maggior parte di queste strutture per lo svolgimento di attivita' agricolo - zootecniche e' ormai venuta meno, anche in relazione alle trasformazioni ambientali che, nel corso degli anni, hanno subito le praterie e i pascoli un tempo sfruttati da bovini, ovini, caprini. Il tutto e' da mettere ovviamente in relazione alle condizioni minime oggi necessarie per lo svolgimento di attivita' economicamente sostenibili e ambientalmente compatibili.
Il Piano considera il mantenimento delle attivita' zootecniche residue, a seconda delle zone e nell'ambito di puntuali norme regolamentari, un'attivita' compatibile e da sostenere, in relazione ai positivi effetti che puo' avere a livello ambientate, alle ricadute economiche sulle popolazioni locali, agli effetti paesaggistici e scenografici che sortisce, al ruolo anche "testimoniale" che riveste.

Pascolo bovino

Allo stato attuale, per quanto concerne i pascoli ancora sfruttati, si osserva che gli alpeggi caricati/caricabili sono ormai molto ridotti, come di seguito esposto:
Casera dei Bo'schi: la malga, di proprieta' del Comune di Pedavena, viene regolarmente caricata con una cinquantina di vacche da latte, che vengono fatte pascolare su cinque appezzamenti di terreno, di cui tre completamente esterni al perimetro del parco e due in parte all'interno dei confini dell'arca protetta. Presso le strutture della malga e' in funzione un servizio di ristorazione. La zona, accessibile con normali automezzi, e' ubicata in un punto di transito verso il monte Avena e risulta quindi fruita da un elevato numero di turisti tanto nella stagione estiva che, neve permettendo (sono presenti impianti per lo sci alpino), in quella invernale. Il Piano auspica che il pascolo possa ancora venir monticato e in questo senso ritiene compatibili gli eventuali interventi di spietramento, decespugliamento, arresto dell'avanzata del bosco, riqualificazione della cotica che si dovessero rendere necessari, nonche' il miglioramento delle strutture edilizie per renderle piu' funzionali allo svolgimento di attivita' alpicolturali, informative e ricettive.

Malga Vétte Grandi: caricata con vacche da latte (Busa delle Vétte), vacche asciutte e manze (Buse di Val di Càneva, Cavarén, Monsampiàn, Piétena). Il Piano considera compatibile tale attività, con esclusione delle zone di Riserva integrale (Busa di Piétena) e auspica lo sviluppo delle migliori tecnologie e l'applicazione delle tecniche a più basso impatto per adeguare le attività zootecniche e quelle di trasformazione del latte agli standard qualitativi d'ambi- ente attesi in un'area protetta. Considerato il contesto di eccezio- nale interesse naturalistico e ambientate, sono da evitare interven- ti di spietramento, decespugliamento, miglioramento della cotica me- diante trasemine e va prestata la massima attenzione alle operazioni di spargimento di liquame e letame. Detti interventi potranno essere consentiti solo per aree circoscritte nella Busa delle Vétte.

Malga di Eréra: caricata con vacche da latte, vacche asciutte, manze, è ubicata in un'area che associa ad un notevole interesse naturalistico una spiccata vulnerabilità, soprattutto in relazione alle presenza faunistiche. li Piano considera compatibile tale attività, in virtù del ruolo che svolge nel rallentare il degrado del cotico e alla funzione ricettiva assunta nel corso dei mesi estivi, anche in relazione all'attività agrituristica che vi si svolge e che il Piano considera compatibile. Stante l'elevatissimo interesse storico ambientale rivestito dalle strutture della malga (casera e stallone), non si considerano accettabili modifiche sostanziali nelle forme e dimensioni degli edifici (stallone compreso), anche se funzionali alla miglior razionalizzazione delle attività zootecniche, in quanto il Piano, in caso di conflittualità per ora non manifesta, considera prioritario in questa zona il man- tenimento delle peculiarità paesaggistiche e naturalistiche rispetto all'attività economica che vi si svolge. In questo senso non sono considerati compatibili interventi di spietramento, decespugliamen- to, e anche l'eventuale miglioramento della cotica deve essere limi- tato alle aree dove vi sia sviluppo abnorme di vegetazione nitrofi- la. Come per la Busa delle Vétte, va prestata la massima attenzione alle operazioni di spargimento di liquame e letame.

Malga Palughét: solo da poco tempo non più caricata, rappresenta l'unico pascolo ancora sfruttabile nella conca di Caiàda (in quelli del Pian de le Stèle, Caiàda, Col del Bróli, Col d'Igoi, Càneva l'avanzata del bosco in seguito a interventi artificiali o alla na- turale evoluzione ha ormai ridotto al minimo le superfici di prate- rie). Il Piano individua nella struttura di Palughét un possibile sito ottimale per attivare una malga modello, che dovrà porre fra i suoi obiettivi prioritari lo sviluppo di tecnologie per:

- l'impiego di fonti alternative d'energia; - il recupero energetico dei residui delle lavorazioni e delle
biomasse altrimenti non recuperate; - lo smaltimento dei reflui zootecnici; - l'abbattimento dell'inquinamento delle acque conseguenti
l'attività zootecnica;

Tali tecnologie potranno poi essere trasferite alle altre malghe del Parco.

Considerate le caratteristiche ambientati della zona, il Piano ritiene compatibile la realizzazione degli interventi necessari, sulle strutture edilizie e sul pascolo, all'ottimizzazione produtti- va dell'attività zootecnica, nel rispetto comunque delle norme sta- bilite per la zona. In particolare, viene auspicato l'arresto dell'avanzata del bosco nella conca e, sul pascolo di versante, solo nei casi in cui il cotico non appare irrimediabilmente compromesso.

Malga Prampèr: dopo pochi anni di abbandono, la malga è oggi caricata, grazie anche ai contributi erogati dall'Ente Parco e presenta ancor oggi interesse economico-produttivo. Il Piano auspica che il pascolo possa ancora venir monticato e in questo senso ritiene compatibili gli interventi di spietramento, decespugliamento, arresto dell'avanzata del bosco, miglioramento della cotica che si dovessero rendere necessari. La prospettiva di poter aprire un'attività agrituristica è vista positivamente, sempre che possa avere i caratteri della stagionalità.

Malga Pramperèt: da alcuni anni non più caricata con bovini, è ubicata in un contesto di notevole pregio ambientale. In relazione alle peculiarità naturalistiche del sito (è presente, tra l'altro, un'arena di canto del forcello), il Piano indica per le strutture della malga destinazioni anche diverse rispetto a quelle zootecniche (spazio espositivo; appoggio logistico lungo l'itinerario tematico geologico geomorfologico; rifugio forestale per la sorveglianza).

Pascolo ovino

Il problema del pascolo ovino è andato assumendo, negli ultimi anni, un'importanza non trascurabile in relazione, da un lato all'impatto paesaggistico e naturalistico che ha indotto in porzioni limitate di territori (peraltro anche di eccezionale valore), dall'altro ad un ritorno di interesse verso questa forma di integra- zione di reddito da parte delle popolazioni locali.
Gli obiettivi che il Piano si pone rispetto a questo problema sono quelli di:

- regolamentare il pascolo degli ovini; - garantire il mantenimento di questa forma di sfruttamento delle
risorse;

Per capire i contorni del problema, e le soluzioni che il Piano propone, è opportuno effettuare una sintetica precisazione su come si sono evolute le forme di pascolamento delle pecore nel Parco.
Questo territorio è stato infatti da sempre ampiamente sfruttato attraverso il pascolo ovino; esso veniva svolto tuttavia solo nell'- ambito delle praterie più disagiate, non utilizzando quindi i pasco- li migliori (riservati ai bovini), né i prati pingui e spesso anche
aridi, tutti regolarmente falciati. Le greggi inoltre, quando di una certa consistenza numerica, erano sempre custodite da un pastore che le guidava saggiamente a rotazione (anche nella stessa giornata) su zone diverse (prati più o meno grassi, quote diverse a seconda della stagione, ecc.), raccogliendole per la notte in recinti.
Dopo il pressoché totale abbandono di questa forma di sfruttamen- to dei pascoli, si è sviluppato un rinnovato interesse nei confronti della pecora, sia quale fonte integrativa di reddito, sia quale potenziale mezzo per la manutenzione territoriale, sia anche in ra- gione dell'importanza attribuita (a cui conseguono sovvenzioni) agli ovini, con particolare riferimento alle razze considerate in estin- zione (lamonese, alpagota, ecc.).
Si sono andate sviluppando quindi iniziative private, anche di notevole interesse (cooperative), e si è ricominciato a monticare gli ovini.
Le condizioni sono tuttavia mutate rispetto al passato e, in particolare, le pecore possono oggi pascolare anche sugli ex prati (M. Sèrva) e non vengono più custodite dal pastore, il cui manteni- mento porterebbe certamente tale attività fuori mercato.
Questa nuova situazione ha due tipi di implicazioni da mettere in relazione all'abitudine delle pecore a salire pascolando lungo i versanti prativi, fino a raggiungere le creste, dove poi stazionano per lunghe parti della giornata. Si assiste infatti da un lato ad una forma di pascolamento non più razionale, con uno sfruttamento arbitrario del pascolo, dall'altro ad una forte pressione sulle creste e sulle cime (M. Sèrva e M. Pavióne in particolare) che, oltre ad essere frequentate dai turisti, ospitano specie e associazioni vegetali di eccezionale interesse naturatistico (Geranium argenteum sul M. Sèrva), che vengono compromesse nella loro integrità non dal pascolamento in senso stretto, ma dal calpestio e dall'accumulo di sterco.
Tale breve premessa si rendeva necessaria per inquadrare correttamente le soluzioni che il Piano propone. In particolare è previsto:

- l'obbligatorietà dell'accompagnamento delle greggi da parte di
un pastore, così da consentire una razionalizzazione delle
modalità di pascolamento e la salvaguardia del siti più
vulnerabili; - che l'ente Parco possa sostenere, almeno in parte, il costo per
la custodia delle greggi; - la possibilità di utilizzare cani per la custodia delle greggi,
anche nelle zone di Riserva generale orientata; - l'esclusione della possibilità di pascolo nelle zone di riserva
integrate; - il divieto di stazionare sulle creste e sui ghiaioni; - la destinazione di alcune strutture a rifugio per i pastori,
come specificato nel seguito.

Le zone ultimamente interessate dal pascolo ovino sono le
seguenti:

Pascoli delle Vétte: il Piano ritiene compatibile il pascolo ovino, limitatamente alle zone di Riserva generale orientata (con esclusione quindi delle creste sommitali e della zona a Est della Busa delle Vétte), secondo la regolamentazione descritta. La casera di Monsampiàn viene individuata quale struttura destinata, fra le altre funzioni, ad ospitare il pastore nel corso dei mesi estivi. In considerazione della segnalazione di re di quaglie presso casera Le Prese, gli approfondimenti sulla consistenza e distribuzione della specie previsti nell'ambito del progetto fauna potranno indicare la più corretta gestione delle superfici prative della parte inferiore del Boalon della Vallazza, prevedendo eventualmente lo sfalcio anziché il pascolo.

M. San Mauro: pascoli caricati con poche decine di pecore. Il Piano non ritiene compatibile tale attività nella zona di Riserva integrale. Considerato l'esiguo numero di capi e la necessità di custodia con pastore, è auspicabile che questi ovini possano temporaneamente venire aggregati al gregge delle Vétte.

M. Brendòl - Campotoróndo - M. Agnelléze: zona caricata in pas- sato con pecore, il Piano non ritiene compatibile tale destinazione, stante il regime di Riserva integrale e la concomitante presenza di quattro specie di ungulati.

M. Sèrva: vasto pascolo ancora sfruttato con il gregge della cooperativa M. Sèrva. Il Piano ritiene compatibile tale attività di alpeggio, con esclusione delle zone di Riserva integrale (creste e zona delle Cròde dei Fòr) e indica la Casera Pian dei Fiòch quale struttura destinata, fra le altre funzioni, ad ospitare il pastore nel corso dei mesi estivi.

Alta Val del Róss - M. Talvéna: zona caricata in passato con pecore, il Piano ne ritiene compatibile tale destinazione unicamente nelle aree al di fuori della Riserva integrate.

Eventuali altre aree: l'autorizzazione all'eventuale pascolo ovino in altri settori del Parco è demandata alla decisione del Consiglio direttivo dell'Ente.

Pascolo equino

L'unica zona attualmente pascolata da cavalli è la conca di Campotoróndo. Il Piano ritiene compatibile tale destinazione, in relazione anche con la necessità di mantenere vitale l'azienda di Salét (gestione ex ASFD). Anche per i prato-pascoli di fondovalle presso l'azienda non si pongono obiezioni al pascolo equino. Il Piano, attraverso le sue norme di attuazione, detta direttive per la conduzione dei pascoli e per l'esercizio delle attività zootecniche in modo che, in base alla conoscenza delle condizioni mutevoli dell'ambiente, il Consiglio direttivo possa stabilire coscientemente i tempi, i modi e il carico pascolante su ogni specifica area del parco.

Le attività agricole di fondovalle

Le caratteristiche dell'area protetta sono tali per cui le superfici idonee allo svolgimento di attività agricole nelle zone di fondovalle sono oltremodo ridotte. Il discorso è comunque complesso e va affrontato in modo differenziato. Una prima considerazione, di carattere generale, riguarda il fatto che, anche dove i confini del Parco raggiungono le quote più basse, come in Val di Canzói o in Valle del Mis, le condizioni di abbandono sono tali per cui appare difficilmente ipotizzabile un recupero integrale delle forme d'uso del territorio secondo gli assetti originari. In questi ambiti, tuttavia, il Piano auspica in alcuni casi (es. praterie di Canséch e altre aree della Val di Canzòi) l'avvio di iniziative volte ad arrestare la progressiva espansione del bosco, cercando di sfruttare utilmente le potenzialità foraggiere di taluni ambiti.
Diverso è il caso delle molte praterie secondarie che caratterizzano i versanti meridionali del parco (monti Sèrva, Pizzòcco, Gràve, San Mauro, ecc.), un tempo regolarmente falciate, che rappresentavano una risorsa fondamentale nell'economia agricola delle aziende della fascia pedemontana e per le quali, oggi, è improponibile un recupero secondo gli usi tradizionali, ormai in disuso dal secondo dopoguerra, ma che in alcuni casi possono comunque essere proficuamente utilizzate, anche produttivamente, con modalità di sfruttamento della risorsa di altro tipo (es. pascolo ovino sul M. Sèrva). Il Piano auspica comunque, come riportato anche in altra parte della Relazione, che in alcune aree lo sfalcio possa riprendere, ma con finalità di tipo prevalentemente naturalistico.
Sempre con riferimento alle attività di manutenzione del territorio attraverso lo svolgimento di pratiche agricole, va rilevato il fatto che presso alcune casere private (es. Gèna Media), il recupero delle strutture edilizie si è accompagnato alla ripresa di minime attività primarie quali lo sfalcio di piccoli appezzamenti di prato, la coltivazione di ortaggi su modesti appezzamenti o la cura degli alberi da frutto, che costituiscono un importante pre- supposto per il mantenimento non solo di forme di paesaggio agrario altrimenti destinate a scomparire, ma anche di un'importante diver- sità ambientale. Tali attività, pur legate al tempo libero, assumono per chi le svolge un interesse comunque non trascurabile legato alla volontà di mantenere curato il territorio, di non consentire l'avan- zata del bosco verso le case, di ottenere una serie di prodotti, che, per quanto poveri, hanno certo le caratteristiche della genuinità. Il Piano auspica quindi che tali attività primarie, pur minime, vadano sostenute ed incentivate.
Dal punto di vista produttivo, l'unica area che manifesta un certo interesse sotto il profilo dell'attività agricola è comunque costituita dalla Val Cordévole, dove vasti appezzamenti pianeggianti a prato consentono a due aziende agricole (Le Àgre e Salét) di svolgere la propria attività (da sottolineare il fatto che, in località San Gottardo, all'interno del perimetro del Parco sono presenti le strutture edilizie di un'altra azienda agricola).
Il Piano auspica che le superfici agrarie della Val Cordévole vengano mantenute, intervenendo anche, se necessario, con localizzate difese di sponda dove il torrente potesse erodere le superfici a prato.
Per quanto concerne i territori immediatamente esterni all'area protetta, dove effettivamente si può parlare di un sistema di aziende agricole più articolato e complesso, il Parco ha già prodotto uno studio sul "sistema foraggero-zootecnico nei comuni afferenti al Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi", all'interno del quale sono presenti notizie e spunti utili alla redazione del "Piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili" che rappresenta, per legge, lo strumento di pianificazione idoneo a definire le linee strategiche di sviluppo per le aree immediatamente esterne.
Il Piano, alla luce dei positivi risvolti, già più volte sottolineati, che l'attività primaria riveste anche sotto il profilo naturalistico e paesaggistico, oltre che ovviamente economico e sociale, sottolinea l'importanza che ovunque, per quanto possibile e tecnicamente sostenibile, l'attività agricola venga incentivata, favorendo tecnologie e colture compatibili con il mantenimento di elevati standard di qualità ambientale.

5.5 Il controllo e il recupero ambientale

La riqualificazione dei siti degradati

Il territorio del Parco, per sua natura e per il modesto livello di pressione antropica, non presenta situazioni di degrado particolarmente rilevanti. Non per questo mancano, all'interno del perimetro dell'area protetta, siti puntuali o ambiti più estesi che meritano interventi più o meno urgenti di risanamento e/o di mitigazione degli impatti. Va sottolineato inoltre il fatto che alcune forme di degrado sono indipendenti da quanto avviene all'in- terno del parco; al riguardo, il livello di inquinamento del T. Cordévole, che risente dell'urbanizzazione della parte montana del bacino, appare esemplificativo.
Rispetto agli episodi di degrado, gli obiettivi che il Piano si pone sono quelli della:

- riqualificazione naturalistica; - riqualificazione paesaggistica; - creazione delle migliori condizioni per la percorribilità del
territorio.

Fra le maggiori situazioni di degrado sulle quali sembra opportuno soffermare l'attenzione, e per alcune delle quali vanno redatti specifici progetti di sistemazione e risanamento, si ricordano quelle delle opere di derivazione idrica, dei terreni agricoli abbandonati, delle infrastrutture tecnologiche, dei siti di disca- rica di inerti.

Opere di derivazione idrica

Il Piano indica le sorgenti e le zone umide in genere quali luoghi di massimo interesse naturalistico nonché di elevatissima sensibilità e vulnerabilità, nella accezione dei termini descritta nella parte metodologica.
Alcune delle più peculiari associazioni vegetali del Parco sono proprio tipiche delle zone umide (Cratoneuro-Philonotidetum calca- rae, delle sorgenti di quota; associazioni delle sorgenti che affio- rano nei boschi; torbiere basse e intermedie, costituite da piccoli lembi, spesso su lievi pendii; frammenti con Juncus triglumis e Kobresia, nelle zone di Cimónega, Neva, Pelf.; aspetti a Carex fri- gida, sui colatoi e i torrentelli dei versanti nord del Pelf.; consorzi a Eriophorum scheuchzeri, ai Laghetti di Eréra e al Pian de Palùi, per citare solo gli elementi più eclatanti); l'interesse fa- unistico non è da meno, basti pensare all'importanza che le zone umide rivestono per gli anfibi, importanza enfatizzata dalla loro complessiva esiguità in termini numerici e di superficie nel terri- torio del parco.
Ma, senza entrare nei dettagli, il ruolo che l'acqua riveste sia sotto il profilo ambientate, sia dal punto di vista degli usi antro- pici, è noto e scientificamente documentato.
Le norme di attuazione specificano, all'articolo 16, le prescri- zioni per la risorsa idrica, creando i presupposti per la sua cor- retta gestione e tutela; qui si intende, invece, segnalare il perma- nere di una situazione di degrado, più o meno accentuato, in corri- spondenza delle opere di captazione.
Il Piano, su apposita cartografia e sulle relative schede, segna- la la presenza in parco di oltre 80 captazioni idriche. Si tratta di derivazioni a servizio di acquedotti comunali e consorziali, di case private, di rifugi alpini, di bivacchi, di fontane e abbeveratoi, di centrali idroelettriche.
In molti casi le opere di prelievo sono state realizzate senza nessun rispetto per l'ambiente, sia sotto il profilo naturalistico, sia dal punto di vista paesaggistico; in numerose situazioni, inol- tre, soprattutto in corrispondenza di captazioni dismesse o di opere di presa ricostruite, la situazione appare ancor più grave. Così, proprio in corrispondenza delle sorgenti, emergenze fra le più impor tanti, si coglie la presenza di manufatti in cemento, di depositi di materiale inerte derivante dai movimenti di terra effettuati, di vasche, di tubi, di pali abbandonati nonché di antiestetiche recin- zioni, talora degradate, per non parlare delle vie di accesso, che in molti casi incidono sulle zone umide a valle della sorgente.
Alla luce di queste considerazioni il Piano considera priorita- rio, nell'ambito delle azioni volte a riqualificare i siti degrada- ti, un intervento di sistemazione complessiva delle sorgenti capta- te, cercando di ricostituire livelli di naturalità più compatibili con la destinazione a parco del territorio.
Il Piano non può disconoscere il fatto che il Parco nasce con l'obiettivo della tutela delle risorse che sul pianeta stanno diven- tando scarse, se non rare. E' il caso delle acque, che stanno assu- mendo la dimensione di un bene prezioso, giusto in relazione alle caratteristiche qualitative, per l'uso alimentare oltre che per l'intrinseco pregio naturalistico-ambientale. Il Parco sta già provvedendo al censimento delle sorgenti e delle storiche opere di presa; è necessario ora che se ne preveda il continuo monitoraggio, sia a livello quantitativo, sia sul piano qualitativo, considerando la necessità di limitarne al massimo lo sperpero per trasferire al futuro le attuali ottime caratteristiche.

Terreni agricoli abbandonati

Il problema è legato all'abbandono della pratica dello sfalcio e del pascolo che sta avendo effetti diversi, come di seguito specificato:

- in particolari condizioni pedologiche, si assiste alla scomparsa
dei prati pingui della fascia montana, con regressione delle
componenti fioristiche più tipiche e conseguente banalizzazione
specifica (M. Gràve, Saladen, Caiàda, Casere I Rónch, ecc.); - l'abbandono delle pratiche agricole ha comportato l'avanzata del
bosco, che in molti casi ha, per gran parte delle superfici
degli originari prati e/o pascoli, ormai soffocato, senza
possibilità di ritorno, le antiche praterie (Val Clusa, Val
Vescovà, Campedèi, ecc.). In qualche caso l'espansione delle
superfici forestali è stata favorita dall'uomo attraverso
rimboschimenti (conca di Caiàda, Scàrnia, Pian dei Violini,
ecc.). In altre situazioni le dinamiche sono ancora in atto
(Palughét, Ramézza Alta, ecc.). E' ormai scientificamente
documentato che anche dal punto di vista faunistico la riduzione
degli spazi aperti in bosco, diminuendo la diversità ambientale
e fitocenotica, ha effetti negativi sulla zoocenosi; - l'abbandono del pascolo, soprattutto in prossimità delle casere,
ha favorito l'abnorme sviluppo di vegetazione nitrofila, e
durante l'estate la traccia dei sentierí scompare fra il folto
delle alte erbe (Vallazza, casere I Rónch in valle del Rui Frét,
ecc.).

Alla luce di queste considerazioni il Piano promuove:

- lo sfalcio di alcuni ex prati per il mantenimento della qualità
naturalistica. Fra le aree su cui è opportuno intervenire in
maniera prioritaria si ricordano la zona di Saladén (dove è già
previsto un intervento a cura dell'Ente Parco); i prati della
Val di Canzói (Canséch, innanzi tutto), della conca di Caiàda,
del M. Gràve (Pianón), del Bósc del Bói; - l'arresto dell'avanzata del bosco in tutte le situazioni ancora
recuperabili, limitatamente alle aree al di sotto dell'attuale
limite forestale. Fra le aree su cui intervenire in maniera
prioritaria si ricordano la zona di Palughét, i pascoli attorno
a Ramézza Alta e a Casere I Rónch, i prati nella zona di Gena
e Pattìne; - lo sfalcio annuale delle piante nitrofile in corrispondenza
delle casere, limitatamente alla sede del sentiero, dando
priorità agli itinerari del Parco e ai sentieri CAI.

Infrastrutture tecnologiche

Di norma sono vietate nel territorio dei parchi l'installazione di tralicci, linee elettriche ad alta tensione e relative cabine di trasformazione e la posa in opera di nuovi impianti e di antenne per radiotelecomunicazione (fatti salvi quelli funzionali alla vigilanza e al soccorso). Nel nostro caso il Parco eredita, tuttavia, alcune strutture quali i ripetitori dei monti Vallazza, Ramèzza, Sèrva, Col Bèl e numerose linee elettriche (Val Cordévole, per tutto il suo sviluppo; Val di Canzòi fra La Guarda e Passo Finestra) sulle quali pare difficile intervenire in relazione al fatto che anche l'even- tuale interramento sembra porre maggiori problemi sia paesaggistici, sia legati alla stabilità del suolo.
Per quanto riguarda eventuali nuove reti che dovessero rendersi necessarie a fondovalle nelle zone di protezione e di promozione economica e sociale, il Piano indica quale linea generale l'inter- ramento. Nel caso questo, sulla base di studi di impatto, dovesse dimostrarsi non compatibile sotto il profilo ambientale per i più diversi motivi, si raccomanda l'uso di pali di sostegno in legno di castagno, secondo le antiche consuetudini.

Accumuli di inerti

Il problema riguarda solo la Val Cordèvole, dove il libero accesso in alveo delle vetture ha favorito, negli anni, lo scarico abusivo di materiali quasi esclusivamente inerti. La situazione di degrado, peraltro non molto rilevante, contrasta comunque con l'im- portante, funzione attribuita alla Val Cordévole quale via di acces- so al Parco.
Il Piano indica quindi la necessità di procedere alla riqualifi- cazione di tutti i siti degradati e alla chiusura, mediante sbarra, degli accessi al torrente, riservando lo spazio per piccole piazzole di sosta.

La sorveglianza

Il Piano individua nelle attivita' di sorveglianza svolte dal Coordinamento Territoriale per l'Ambiente un presupposto essenziale per il corretto funzionamento del Parco. Se e' vero infatti che, come da molti sostenuto, il territorio in un certo qual modo si protegge da solo, stante il difficile accesso e l'impercorribilita' di molti suoi ambiti, e' altrettanto vero che, in mancanza della fascia cuscinetto di cui si e' gia' parlato a proposito dei confini, una volta entrati nel parco si viene subito a contatto con aree sempre di elevato o di eccezionale pregio naturalistico, e sempre motto vulnerabili. Il controllo delle attivita' antropiche, e in particolare di quelle legate alla fruizione ricreativa, diviene quindi una condizione irrinunciabile, piu' che in altre aree protette, dove la pressione antropica si puo' scaricare su aree lontane dal santuari naturalistici.
Il particolare assetto del parco, con poche vie di accesso per mezzi motorizzati, e la necessita' di percorrere lunghe ore di cammino per raggiungere molte zone, impone la necessita' di dotare l'area protetta di minime strutture di appoggio logistico, definite nel Piano come rifugi forestali per la sorveglianza, in grado di ospitare il personale del C.T.A. nel corso delle normali perlustrazioni sul territorio. Si tratta, per la verita', di integrare un sistema esistente di ricoveri gia' operativi, prevedendo la sistemazione di punti di appoggio in aree attualmente sprovviste di idonee strutture.
Di seguito viene riportato l'elenco dei rifugi forestali per la sorveglianza; molti di essi assumono funzioni multiple nelle ipotesi di Piano; in alcuni casi gli spazi destinati alla sorveglianza possono essere tenuti separati da quelli destinati ad altri usi, mentre in altri casi le diverse funzioni attribuite dovranno espletarsi negli stessi spazi. Le diverse funzioni degli stabili sono riportate in allegato alla Relazione.
Il Piano individua i rifugi forestali per la sorveglianza nelle seguenti casere:
Malga Tavernazzo: da ristrutturare e destinare anche ad altre funzioni, su spazi separati.

Le Prése: da ristrutturare e destinare anche ad altre funzioni, su spazi separati.
Monsampiàn: da ristrutturare e destinare anche ad altre funzioni, su spazi separati.
Le Vétte Grandi: struttura già operativa.
Malga Vétte Piccole: da ristrutturare e destinare anche ad altre funzioni.
Ramézza Alta: da sistemare internamente e destinare anche ad al- tre funzioni, sui medesimi spazi.
Saladén: da ristrutturare e destinare anche ad altre funzioni, su spazi separati.
Alvìs: da ristrutturare e destinare anche ad altre funzioni, su spazi separati.
Brendol: struttura già operativa.
Campotoróndo: struttura già operativa.
Le Mandre: da ristrutturare e destinare solo a rifugio forestale per la sorveglianza.
Casera in Val dei Pez (Monti del Sole): da ristrutturare e desti- nare solo a rifugio forestale per la sorveglianza.
Pian del Gàt: struttura già operativa.
La Varétta: struttura già operativa.
Vescovà: da ristrutturare e destinare solo a rifugio forestale per la sorveglianza.
Palàzza: da ristrutturare e destinare solo a rifugio forestale per la sorveglianza.
Casermetta F.lla Moschesìn: da ristrutturare e destinare anche ad altre funzioni, su spazi separati.
Pramperét: da sistemare internamente e destinare anche ad altre funzioni, su spazi diversi.
Capanna Cimia: da ristrutturare e destinare solo a rifugio fore- stale per la sorveglianza.
Casera di Cimonega: da sistemare internamente e destinare anche ad altre funzioni, su spazi diversi.

6.6 Le opportunità di acquisizione di aree e di edifici

Il regime di proprieta' all'interno, del Parco e' del tutto particolare: circa meta' dell'attuale superficie appartiene infatti al patrimonio statale (Ministero delle Risorse Agricole e Alimentari -ex A.S.F.D.), un altra grande parte e' di proprieta' comunale (Comuni di Belluno, Longarone, Forno di Zoldo, La Valle Agordina, Rivamonte, Gosaldo, San Gregorio nelle Alpi in particolare); siamo quindi in presenza di beni inalienabili. Le proprieta' private sono invece rappresentate in modo del tutto marginale, quanto meno in termine di estensione territoriale.
Le opportunita' di acquisizione di aree e di edifici sono quindi minime ma non per questo trascurabili. Se e' vero infatti che la maggior parte delle azioni di Piano si possono esplicare utilizzando beni (boschi, casere, infrastrutture) gia' di proprieta' pubblica (per i quali si possono prevedere forme di comodato, di convenzione, di affitto, di indennizzo, come specificato in altra parte della Relazione, quanto meno in riferimento alle risorse forestali), appare altrettanto evidente che, da una parte alcuni interventi previsti dal Piano non sono facilmente realizzabili senza poter contare sulla piena disponibilita' di alcuni immobili ed aree, dall'altra si rende piu' che opportuno poter gestire direttamente alcuni beni con finalita' di ricerca, studio, sperimentazione.
Il Piano orienta le possibili acquisizioni in quattro direzioni:
- strutture per la fruizione del Parco;
- strutture per la sorveglianza e il controllo del territorio;
- aree e strutture per la sperimentazione;
- aree di valore naturalistico.
Strutture per la fruizione del parco

Come specificato in altra parte della relazione, le strutture per la fruizione del Parco, organicamente intese, sono per gran parte di proprieta' statale o comunale o vengono gia' attualmente gestite/utilizzate secondo criteri in linea con le finalita' del Parco (Rifugi alpini, bivacchi, chiesette).
In alcuni casi, tuttavia, si rende opportuno/necessario provvedere all'acquisizione di beni immobili, come di seguito specificato:

- Col dei Mìch: struttura destinata a punto informazioni e punto
di vendita di prodotti tipici. - Area del Pian della Falcìna (lago del Mis): zona che il Piano
individua di prioritaria importanza per la riorganizzazione e lo
sviluppo delle attività ricettive in quello che viene
considerato il più importante accesso turistico del Parco. Qui è
prevista, tra l'altro, l'apertura di un punto informazioni. - Opificio de La Stua: unico opificio all'interno del perimetro
del Parco, il Piano ne promuove il recupero e la valorizzazione
nell'ambito dell'itinerario tematico dedicato al tema
dell'acqua. - Teàz del Col della Féda e ruderi in Val Falcìna: strutture
destinate ad appoggio logistico lungo il sentiero natura. - Ex scuola di Arson: di proprietà pubblica, edificio ubicato al
di fuori dei confini del Parco, può essere destinato a
foresteria. - Casa al Frassen: struttura destinata a spazio espositivo,
foresteria del Parco, punto di appoggio escursionistico.

Strutture per la sorveglianza e il controllo del territorio

La quasi totalità delle strutture da destinarsi a rifugi forestali per la sorveglianza è di proprietà demaniale; altre sono di proprietà comunale. L'unico caso in cui di si trova in presenza di un bene di proprietà non pubblica è quello di Casera Palàzza, nel bacino del T. Ardo, vasta e importante area attualmente sprov- vista di punti di appoggio logistico per il personale del Coordina- mento Territoriale per l'ambiente.
Vi è poi il caso di Casera Cimonega, di proprietà dell'U.L.S.S. n. 2 di Feltre, per la quale si propone l'acquisizione.

Aree e strutture per la sperimentazione

Il Piano indica alcune prospettive di ricerca e sperimentazione, demandando ai Progetti speciali la definizione puntuale delle aree di più rilevante importanza in questa prospettiva (es. boschi).
Fin da subito, comunque, anche in relazione alla disponibilità dei proprietari, indica nell'acquisizione dell'area di Palughét uno dei possibili obiettivi prioritari da attuarsi. Si tratta di una vasta area (oltre 200 ettari), comprensiva di pascoli, casera, stal- lone e altre strutture annesse, ottima viabilità di accesso, acquedotto, boschi (diverse tipologie), rupi, ecc., inserita in un contesto, la conca di Caiàda, che rappresenta una delle aree di maggior interesse naturalistico, dell'intero Parco.
Il Piano indica nell'area di Palughét la possibilità di intra- prendere azioni volte a:

- dare vita ad una malga modello, che possa rappresentare un
esempio pilota di corretta gestione dei pascoli in ambiente
alpino; - organizzare attività di sperimentazione e ricerca forestale, con
particolare riferimento agli abieteti e alle forme di gestione
in favore della fauna; - studiare le relazioni fauna-vegetazione; - studiare le successioni ecologiche nelle aree dove da più tempo
il pascolo è stato abbandonato; - garantire la fruizione del territorio anche a portatori di
handicap; - attivare un programma avanzato di didattica ambientale.

Aree di valore naturalistico

Il Piano, nella parte di relazione riservata alle proposte per le attivita' forestali, delinea i criteri per la piu' corretta gestione dei boschi e per la definizione di indennizzi a Enti e/o privati nel caso alcune parti di territorio dovessero venir classificate come riserve forestali o gestite con modalita' piu' restrittive di quelle attualmente in uso.
Il Piano individua tuttavia la possibilita' che alcuni boschi privati, di particolare interesse, possano venir acquisiti dal Parco e gestiti (o non gestiti) in funzione di attivita' di sperimentazione e didattica. In caso di disponibilita' economiche, il Piano ritiene compatibile anche l'acquisizione di altre aree boscate, che presentino un interesse naturalistico piu' o meno elevato e che per diversi motivi (marginalita' economica ad esempio) non dovessero piu' interessare i privati.
Nella prospettiva inoltre di possibili ampliamenti dell'area protetta, ma anche in assenza di questi, il Piano considera di prioritaria importanza l'acquisizione di biotopi, con particolare riferimento alle zone umide, dove poter svolgere, come per i boschi, attivita' di ricerca e di didattica. Si tratta per lo piu', quasi sempre, di aree di superficie esigua, di poco valore economico, di grande ricchezza biologica, all'interno delle quali la disponibilita' diretta del bene potrebbe favorire forme di gestione passiva ed attiva non sempre magari attuabili in permanenza di un regime di proprieta' privata.

6. I PROGETTI SPECIALI

6.1 Selvicoltura e riassetto forestale

Come descritto nel capitolo dedicato alle proposte per le attivita' forestali, il Piano demanda allo specifico progetto speciale l'approfondimento delle tematiche relative alla gestione forestale. Il progetto speciale puo' essere articolato in quattro diversi documenti, strettamente interrelati, come di seguito esposto:
- Piano di riassetto dei boschi ex ASFD.
- Verifica di compatibilita' piano di riassetto ARF.
- Verifica di compatibilita' piani di riassetto comunali.
- Piano di riassetto dei boschi privati.

Piano di riassetto dei boschi ex ASFD

Considerate le linee guida indicate dal Piano per il demanio forestale statale (per lo piu' evoluzione naturale), puo' trattarsi di un piano snello, con un particellare non molto dettagliato e con la riduzione delle misure rispetto a quanto previsto dai Piani di Riassetto della Regione. Si tratta di un piano non urgente in quanto gia' prevale la gestione conservativa; necessita di piu' di un anno per la sua redazione e potrebbe essere svolto direttamente dal personale del C.F.S. Il Piano potrebbe essere svolto senza oneri per l'ente Parco, verificando la possibilita' di attingere ai contributi regionali previsti per la redazione dei Piani di riassetto (75%).

Verifica di compatibilita' piano di riassetto ARF

L'Azienda Regionale Forestale gia' dispone di un Piano di riassetto dei boschi del demanio regionale. In sede di progetto speciale e' necessario verificare la compatibilita' delle forme di gestione rispetto a quanto indicato dal Piano. Anche in questo caso l'urgenza e' ridotta e si ravvisa comunque l'opportunita' che l'eventuale revisione possa essere effettuata senza oneri a carico dell'Ente Parco.

Verifica di compatibilita' piani di riassetto comunali

Il riferimento e' ai Piani di riassetto dei Comuni di Belluno, Longarone, Forno di Zoldo, La Valle Agordina, Rivamonte, Gosaldo. Anche in questo caso si tratta di effettuare una verifica di compatibilita' con le norme di Piano. Nuovi Piani di riassetto che venissero redatti sono soggetti a valutazione da parte dell'ente Parco, prima del collaudo.

Piano di riassetto dei boschi privati

Ha la massima priorita', anche in relazione alle positive ricadute che puo' avere nelle aree esterne al Parco, che vanno incluse nello strumento di pianificazione; puo' essere realizzato per comparti (territorio comunali e/o delle Comunita' montane). Detto/i piano/i valanno predisposto/i secondo quanto disposto dalla L.R. 25/97 e sue applicazioni Il piano/i dovra'/anno analizzare separatamente i seguenti punti:
Cenni storici e pianificazioni anteriori, Ambiente ecologico, Divisione della proprieta', Popolamenti e tipologie forestati, Divisione della foresta, Ordinamento della foresta, Rilievo tassatorio, Trattamento selvicolturale, Normalizzazione e determinazione della ripresa, Piano dei tagli, Registrazione delle utilizzazioni, Miglioramenti fondiari e colturali, Pascoli, Usi civici, Prodotti secondari del bosco, Fauna.
Dal punto di vista della copertura finanziaria, si puo' ragionevolmente contare sul contributo regionale del 75%, rimanendo a carico dell'Ente Parco il restante 25%.

Criteri generali

Il Piano specifica alcuni imprescindibili obiettivi da perseguire nell'ambito della redazione del progetto speciale, sia che questo venga sviluppato in momenti e/o parti separate, sia che venga affrontato unitariamente. Tali obiettivi vengono elencati nel seguito:

- classificazione tipologica di tutti i boschi; - individuazione dei grandi alberi; - individuazione di esempi didatticamente esemplificativi di
tutte le tipologie forestali presenti all'interno del Parco; - individuazione delle Riserve forestali; - individuazione di aree da riservare alla sperimentazione e alla
didattica; - definizione dei sistemi di esbosco compatibili; - definizione di criteri di taglio compatibili con la tutela
delle specie animali più vulnerabili (tetraonidi); - valutazione di un sistema di indennizzi legato a: - minor produzione derivante dall'applicazione di norme più
restrittive di quelle dei Piani di assestamento o delle
Prescrizioni di massima; - inserimento nei boschi a evoluzione naturale o nelle riserve
forestali di aree produttive; - minori introiti derivanti da modalità di esbosco più onerose,
imposte dal Parco; - valutazione delle priorità di intervento nell'ambito delle
possibili azioni volte a qualificare in senso naturalistico
il patrimonio forestale all'interno del Parco; - valutazione di un sistema di sovvenzioni per i boschi di
produzione, ove si intenda migliorarne le caratteristiche.

Vanno ovviamente sovvenzionati solo gli interventi non imposti (per gli interventi imposti sono infatti previsti gli indennizzi) quali:

- la trasformazione del ceduo matricinato in ceduo composto; - la conversione a fustaia; - l'abbandono all'evoluzione naturale (quando utile e non imposto); - le cure colturali nei rimboschimenti.

6.2 Fauna, habitat faunistici e controllo sanitario

Il Piano individua, per quanto concerne il settore faunistico, alcune priorita' che presentano importanti risvolti gestionali. Esse riguardano, principalmente, la presenza nel parco di specie non indigene quali il visone o il muflone; alcune interessanti specie autoctone quali il re di quaglie e il cervo; il ritorno di importanti predatori (lince, orso); la possibilita' di effettuare introduzioni e reintroduzioni; il controllo delle trasformazioni ambientali, con particolare riferimento alle modifiche vegetazionali, in relazione alle ripercussioni che le stesse stanno avendo sull'assetto e sull'evoluzione delle zoocenosi; gli aspetti sanitari che la presenza di specie animali, domestiche e/o selvatiche rende opportuno monitorare. Le diverse questioni affrontate in sede di progetto speciale dovranno poter essere suffragate da un adeguato programma di ricerche.
Di seguito si individuano per punti le tematiche piu' importanti da sviluppare: Muflone
Specie introdotta negli anni '70 ai confini del Parco, ha espanso l'areale fino ad interessare uno degli ambiti di maggior interesse naturalistico del Parco (zona di Erèra-Brendòl-Agneléze). Il Parco ha già avviato un programma di ricerche teso a valutare la consi- stenza numerica della popolazione e sono in corso tesi di laurea volte ad approfondire diversificate questioni.
La competizione del muflone con altri ungulati è comunque stata già accertata in altre situazioni (non riferite al territorio del Parco delle Dolomiti), e sembra divenire particolarmente pesante nel corso dell'inverno, quando il muflone può entrare in competizione anche con il capriolo. Il problema che si pone è quindi di estrema complessità. Il Piano, quale principio generale, indica la necessità di sostenere, all'interno del Parco, i popolamenti di specie indigene al fine di tutelare la diversità biotica autoctona e demanda al pro- getto speciale gli eventuali approfondimenti necessari per la defi- nizione di un programma operativo di gestione controllata della specie.

Visone

Esistono solo due dati di presenza di visone all'interno del perimetro del Parco, ubicati a notevole distanza uno dall'altro (Val Cordévole, Val di San Martino), il che pone pressanti interro- gativi intorno alla possibile distribuzione della specie e alla consistenza numerica della eventuale popolazione presente in parco. Il problema è di non poco conto, non solo in riferimento alle posi- zioni di principio già espresse per il muflone (necessità di tutelare la diversità biotica autoctona), ma anche per la possibile competizione interspecifica instaurata dal visone nei confronti della faina e della martora.

Ittiofauna

Le recenti indagini promosse dall'Ente Parco sulla qualità biologica dei corpi idrici hanno permesso di delineare, sia pur in forma ancora del tutto generale, alcuni elementi di forte impatto costituiti da:

- modificazioni ambientali legate ai prelievi idrici e alla
realizzazione di sbarramenti; - artificializzazione apparentemente completa dei popolamenti di
trota fario in seguito alle immissioni effettuate, con
rarefazione o scomparsa di popolamenti con caratteristiche
fenotipiche riconducibili alla trota fario autoctona (ceppo
mediterraneo); - presenza in alcuni torrenti della sola trota iridea, specie
originaria del nord America, in conseguenza di antiche semine.

Anche in questo caso la problematica assume notevoli risvolti a livello scientifico ed applicativo (minimo flusso vitale, regolamen- tazione attività di prelievo, ricostituzione di livelli di naturali- tà accettabili).

Re di quaglie (Crex crex)

Unica fra le specie di uccelli del parco ad essere considerata globalmente minacciata a livello europeo tanto che la sua presenza regolare in un sito, senza tener conto della popolazione, è sufficiente per proporre l'inserimento della zona nell'elenco delle aree di importanza internazionale per gli uccelli (Important Bird Areas; la richiesta, per quanto concerne il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, è già stata inoltrata).
In sede di progetto speciale dovranno essere integrate le cono- scenze rispetto all'assetto distributivo della specie, anche nelle aree esterne al parco, individuando criteri di gestione dei prati compatibili con il mantenimento e, possibilmente, l'incremento della popolazione. Le indicazioni messe a punto nel parco potrebbero co- stituire un valido punto di riferimento anche per le altre realtà italiane e estere dove ancora vive il re di quaglie (Altopiano dei Sette Comuni, Grappa, Cadore, Carnia, Venezia Giulia in Italia).

Cervo

Interessante specie la cui presenza nel territorio del parco è con ogni probabilità un'acquisizione recente, da far risalire cioè agli inizi degli anni '70. Il cervo si è insediato stabilmente in alcuni territori (Erèra-Campotoróndo), mentre in altre parti della area protetta le presenze sono ancora per lo più di tipo estempora- neo. Già da alcuni anni il Parco ha avviato degli studi, supportati anche dal lavoro di alcuni tesisti, volti a caratterizzare sotto diversi profili le caratteristiche della popolazione (aree di brami- to, consistenza numerica, preferenze ambientali, rapporti con gli altri ungulati, ecc.). Alla luce dell'interesse che la presenza del cervo riveste, il Piano auspica che gli studi in corso possano pro- trarsi, al fine soprattutto di poter monitorare la dinamica demogra- fica, di approfondire le caratteristiche dell'home range e degli spostamenti stagionali nonché le relazioni che questa popolazione di cervo instaura con quelle del territorio limitrofi.

Orso, lince, sciacallo dorato

Le vicende epocali che stanno interessando l'arco alpino, con particolare riferimento all'abbandono della pressione antropica su molti territori e alla conseguente rinaturalizzazione di vasti spazi, hanno di certo contribuito notevolmente a favorire alcune modifiche negli spettri faunistici degli ecosistemi. Il ritorno di alcuni predatori e' uno dei fenomeni piu' eclatanti, in relazione all'eccezionale interesse scientifico che riveste ed anche ai risvolti di tipo emotivo che comporta. Per quanto concerne il territorio del parco, e' ormai documentata da alcuni anni la presenza costante della lince, mentre e' solo di recente che si e' potuta accertare la presenza dello sciacallo dorato a Rivamonte Agordino e il passaggio dell'orso bruno in Val Bona, presso Ospitale di Cadore, a poca distanza dal confine orientale dell'area protetta. Il Parco ha gia' avviato un'indagine sulla presenza della lince, che ha consentito di confermare la presenza. Alla luce dell'importanza che il ritorno dei predatori riveste, sotto i piu' disparati profili (fra cui certamente il piu' rilevante, e' legato alla possibilita' che si possano ricostituire le originarie reti trofiche), il Piano auspica che la situazione, nel suo complesso, possa essere oggetto di un monitoraggio, da realizzarsi possibilmente in sinergia con quanti operano all'esterno dell'area protetta (Amministrazione Provinciale, WWF Italia), in modo da poter sviluppare un ragionamento integrato sui corridoi ecologici da preservare e sul migliori strumenti da attivare per la tutela di questo processo di progressiva espansione.

Ripopolamenti -reintroduzioni - introduzioni

E' una tematica che coinvolge in modo sinergico Parco ed aree esterne. Per quanto concerne i ripopolamenti, il riferimento e' alla liberazione a scopi venatori di soggetti appartenenti a specie non autoctone nelle aree esterne (lepre e fagiano in particolare) e ai ripopolamenti ittici, che possono comportare, con lo spostamento degli animali in parco, un inquinamento biologico delle zoocenosi esistenti. Il problema va sviluppato in sinergia con Provincia e Regione.
Per quanto riguarda le (re ?)-introduzioni, esse coinvolgono tanto territori esterni all'area protetta (es. recente liberazione di marmotta sui versanti del M. Pizzo'cco), sia possibili interventi da attuarsi a cura dell'Ente Parco (ancora liberazioni di marmotta). Anche in questo caso il problema va affrontato di concerto, almeno in alcuni suoi aspetti, con Provincia e Regione.
Per quanto concerne le reintroduzioni, si tratta di un tema molto delicato che non puo' prescindere da studi analitici e scientifici da demandare appunto al progetto speciale.

Habitat faunistici

Il tema coinvolge altre discipline e presenta importanti aspetti applicativi, in riferimento soprattutto ai criteri di gestione dell'avanzata del bosco, tanto terreni agrari abbandonati (praterie secondarie), quanto al di sopra dell'attuale limite del bosco. Costante inoltre il riferimento con i criteri di gestione selvicolturale, da svilupparsi nell'apposito progetto speciale.

Controllo sanitario

Il piano individua la necessita' di attivare un sistema di controllo sanitario utile a monitorare lo stato di salute degli animati domestici che frequentano il territorio del parco o che lo attraversano (pascolo, transumanza, ecc.) e di quelli selvatici, di prevenire l'eventualita' di introduzione di agenti patogeni e lo sviluppo di zoonosi, approfondendo le questioni inerenti i rapporti uomo-animale selvatico e animale selvatico-animale domestico. Questa attivita', di cui gia' prima s'e' ampiamente trattato (paragrafo 5.1), andra' prevista col supporto di professionisti esterni all'organico del Parco, alle cui prestazioni si fara' ricorso in caso di necessita', e sara' organizzata anche in collaborazione con qualificati centri specialistici, come le Universita' e l'istituto Zooprofilattico delle Tre Venezie.
Il Parco curera' anche il necessario raccordo tra il controllo sanitario e il servizio faunistico che oggi e' attuato grazie all'impegno del Coordinamento Territoriale per l'ambiente; entrambe queste attivita' rientrano infatti nell'ampio contenitore del monitoraggio ambientale, che, come piu' volte s'e' detto, e' fondamentale alla revisione del Piano e alla appropriata gestione delle risorse del parco.

6.3 La difesa del territorio e la mitigazione dei rischi

Difesa idrogeologica e rischio idraulico

Come s'e' indicato nel capitolo dedicato alla ricerca, molti degli studi e delle indagini promossi dal Parco sono destinati alla soluzione di concreti problemi di gestione e di controllo territoriali.
E' il caso fondamentale della difesa idrogeologica e della mitigazione dei rischi idraulici, cui il Parco ha gia' destinato risorse ed altre dovra' sicuramente impegnarne nell'immediato futuro per acquisire coscienza della reale dimensione del problema e degli elementi, non solo di indole tecnica, necessari a risolverlo.
Nemmeno il Piano puo' ora direttamente affrontare il problema della difesa idrogeologica, se non con direttive assolutamente generali, giusta quella scarsita' di informazioni disponibili al riguardo. Per questo motivo il Piano demanda ad uno specifico progetto il compito di recuperare il materiale documentale idoneo, ivi compreso quello derivante dalle ricerche in corso e da quelle gia' poste in programma.
Il progetto speciale dovra' essere comunque mirato soprattutto a organizzare una specifica banca dati e a trasmettere all'Ente i criteri per provvedere ad un efficiente monitoraggio territoriale, con particolare riguardo ai siti e alle strutture idro-geologiche piu' vulnerabili. Il progetto dovra' quindi individuare una scala di priorita' per gli interventi di difesa e di mitigazione del rischio, tenendo conto della possibile gamma di interventi capaci a porre rimedio alle condizioni di vulnerabilita', dei costi relativi e dei benefici che verrebbero alla stabilita' dei sistemi. Infine, il progetto dovra' fare riferimento alle tecniche alternative di intervento, soprattutto a quelle riconducibili alla locuzione di "ingegneria naturalistica", sviluppando per quanto possibile le indicazioni progettuali nella direzione del minimo impatto sulla struttura degli ecosistemi e su quella paesaggistica dei luoghi.
Il Piano ritiene inoltre fondamentale che le opere di controllo del trasporto solido, gli sbarramenti e le briglie in genere, siano organizzati in modo tale da mantenere possibile la rimonta della fauna acquatica, ovvero che siano approntati, nel caso cio' non fosse possibile, i piu' sicuri dispositivi noti come "scale di rimonta".

Difesa dagli incendi boschivi

L'area delle Dolomiti Bellunesi non e' stata, nel passato, esente da danni provocati dal fuoco. Gli incendi, dovuti prevalentemente a cause fortuite, il piu' delle volte non hanno prodotto effetti di rilevante gravita', benche' non si sia potuto quantificarne i danni a livello della fauna inferiore e delle emergenze floristico-vegetazionali.
La natura del territorio, caratterizzato da notevoli dislivelli e da versanti spesso strapiombanti, determina serie difficolta' tecniche nella predisposizione degli interventi di lotta. Alla notevole velocita' di avanzamento e alla forte intensita' del fronte di fiamma che possono essere raggiunte da incendi su versanti di forte pendenza si associano la difficolta' di utilizzazione di aeromobili di grandi dimensioni nelle valli strette, la lentezza di avvicinamento delle squadre a terra, la pericolosita' dell'intervento.
A risolvere, almeno parzialmente, questi problemi servira' un progetto speciale, cui viene posto l'obiettivo di individuare i siti piu' vulnerabili, ovvero quelli piu' soggetti al rischio d'incendio, di determinare i piu' efficaci: indicatori delle condizioni meteorologiche e di stato vegetativo "a rischio", di programmare attivita' di prevenzione, di organizzare le migliori strategie di estinzione e di definire le linee guida per corretti interventi di ricostituzione dei boschi percorsi dal fuoco in stretto coordinamento con quanto previsto dal Piano Antincendi Boschivi della Regione Veneto.

6.4 Tutela, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio edilizio

Il progetto speciale per la tutela, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio edilizio pone, quali obiettivi prioritari: - la catalogazione puntuale del patrimonio edilizio; - l'assegnazione di un grado di protezione a ciascun edificio e
relativo intervento (sotto categorie previste nell'allegato A1
delle Norme di attuazione); - l'approfondimento tipologico; - lo studio dei centri minori e dei borghi rurali; - la catalogazione degli elementi puntuali da tutelare; - la stesura di un regolamento per le sovvenzioni; - la definizione di una priorita' di intervento; - la definizione di indirizzi per il piano di recupero di aree
degradate;
Relativamente alla catalogazione del patrimonio edilizio e all'approfondimento tipologico, nell'ambito del progetto speciale, il censimento dei manufatti presenti all'interno dell'area di Parco sara' costituito da schede di rilevamento numerate ed indicate su apposita cartografia. Le schede, compilate attraverso indagini e sopralluoghi effettuati da personale competente, conteranno, oltre ad una documentazione fotografica dell'immobile, una serie di notizie attinenti all'ubicazione, al contesto insediativo, al tipo di insediamento, alla proprieta', all'accessibilita', alla destinazione d'uso, al tipo ed alle condizioni statico-fisiche delle strutture, alle condizioni igieniche.
L'assegnazione del grado di protezione (che permettera' di redigere le previsioni di intervento giudicate ottimali nel quadro di riferimento generale dell'intero patrimonio) dovra' tenere conto delle diverse caratteristiche del patrimonio edilizio all'interno del parco e delle ipotesi di un suo possibile riutilizzo distinguendo puntualmente il tipo di intervento in base all'effettivo valore e allo stato di conservazione del bene (attribuzione delle sotto categorie previste per gli interventi consentiti nelle singole zone sotto i titoli di cui all'art. 31 della L. 457/78 nell'allegato A1 delle norme di attuazione).
Lo studio dei centri minori e dei borghi rurali dovra' indicare l'evoluzione storica del tessuto urbanistico, la struttura dello spazio pubblico, semipubblico e privato ed i suoi caratteri, gli elementi puntuali a significato comunitario (lavatoi, fontane, capitelli, ecc.), gli edifici e lo spazio di pertinenza (destinazioni d'uso, tipo e manto di copertura, analisi del degrado) per giungere alla definizione del "valore" di' ciascuna unita' edilizia e del relativo grado di protezione.
La catalogazione degli elementi puntuali da tutelare dovra' contenere tutte le indicazioni necessarie alla descrizione del manufatto ed alla sua datazione, una documentazione fotografica, un rilievo di massima, le indicazioni per la localizzazione riportate su base cartografica.
Relativamente alla definizione di una priorita' d'intervento nell'ambito del progetto speciale, la combinazione dei dati relativi al valore storico-ambientale e al livello di degrado dei singoli manufatti dovra' evidenziare le aree o i singoli beni con prioritarie necessita' d'intervento; dovranno altresi' essere evidenziati gli ambiti unitari da assoggettare a Piano di Recupero (aree degradate) e fissati gli indirizzi per gli stessi. 6.5 Sistema informativo territoriale (S.I.T.) per la raccolta, l'archiviazione, l'elaborazione e la distribuzione delle informazioni naturatistiche e territoriali
Il Parco, come Ente deputato alla pianificazione d'un territorio, non puo' non avvertire la necessita' di disporre di un sistema organico di raccolta, di archiviazione e di gestione delle informazioni necessarie alla redazione del piano e poi, soprattutto, di quelle necessarie al suo controllo e alle sue revisioni. L'ente dovra' quindi dotarsi di un Sistema Informativo Territoriale, che e' la struttura che meglio adempie a queste funzioni. Tra i requisiti che deve possedere un sistema informativo vanno annoverati:

- la struttura dinamica, per consentire all'utente l'agile
recupero delle informazioni e i più diversi incroci tra i dati; - la flessibilità, per aver tempi di risposta che non condizionino
l'attesa d'uso delle informazioni e non limiti la volontà
d'accesso agli archivi, ovvero per renderne agevoli
l'ampliamento con nuovi eventuali catasti, la correzione dei
dati erronei e l'aggiornamento di quelli obsoleti; - le potenzialità di decentramento degli accessi all'informazione,
ovvero l'offerta ad ogni potenziale utente di
fruire dei dati disponibili nel sistema.

Se le tecnologie hard-ware e soft-ware sono oggi tali da offrire agli utenti sistemi ampiamente provvisti di questi caratteri, resta da risolvere il problema dell'interconnessione tra i sistemi informativi di cui molti Enti territoriali si sono dotati.
Allo scopo si suggerisce al Parco di dotarsi di un Sistema basato su di una suddivisione bipolare ed interconnessa dei sistemi di archivio e dei sistemi di elaborazione e che garantisca la piu' ampia compatibilita' con i pur differenti standard regionali e nazionali.
Esso dovra' altresi' dimostrare buona efficacia nel supportare il monitoraggio ambientale, con valutazione immediata dei cambiamenti strutturali del territorio, rendendo spedita la revisione del Piano, in sinergia con le informazioni disponibili presso altri Enti, come la Regione, la Provincia di Belluno e i Comuni del Parco. Si dovra' quindi disporre di sistemi di archivio e di elaborazione dati che si alimentino e si sviluppino su informazioni grafiche e alfanumeriche tra loro associate da Data Base aperti e finalizzati alle elaborazioni prevedibili nella revisione sia del Piano per il Parco, sia di quello socio-economico, compresa la restituzione delle informazioni elaborate in forma di carte tematiche, di tabelle, di grafici, di simulazioni e di quant'altro serva sia alla pianificazione, sia alla ordinaria gestione dell'Ente.

7. UNA QUESTIONE DI RISORSE

Per sua natura un Piano non puo' tacere tutte le possibili soluzioni e opportunita' di intervento in merito ai problemi riscontrati sul territorio e agli obiettivi trasmessi dalla legge.
E' per questo motivo che nei capitoli precedenti si e' elencata una serie numerosa di proposte operative, articolata sotto le voci "Le azioni del Parco" e i progetti speciali". Le prime comprendono quanto gia' ora era prospettabile sulla base delle conoscenze disponibili, mentre i secondi sono "contenitori vuoti" entro i quali finiranno per essere collocati, acquisite le necessarie conoscenze, gli interventi necessari a dare soluzione a reali e pressanti problemi dell'area protetta.
Certamente quanto e' stato proposto, o lo sara' alla presentazione dei progetti speciali, prevede un costo, talvolta modesto, molto spesso elevato. Le risorse che il Parco puo' ora mobilitare non sono senza dubbio sufficienti a realizzare l'intera gamma delle proposte, ma solo una piccola parte che dovrebbe pertanto essere individuata e segnalata nel Piano stesso.
Si pone cosi' un ulteriore problema, che non ha natura tecnica, ma scivola inevitabilmente nel campo delle valutazioni e delle scelte politiche.
Un criterio per stabilire una gerarchia di priorita' potrebbe fare riferimento all'ordine con cui la legge sulle aree protette stabilisce gli obiettivi dei parchi. In quest'ottica si porrebbero ai primi posti l'acquisizione di' aree di elevato valore naturalistico, gli interventi mirati a riqualificare la presenza dell'uomo nel parco, soprattutto quelli a sostegno della selvicoltura e della zootecnia e quelli destinati alla educazione naturalistico-ambientale.
Importante, ma dilazionabile nel tempo secondo principi che il Consiglio Direttivo dovra' adottare, e' il recupero del patrimonio edilizio, a partire da quello destinato alle funzioni di sorveglianza e a seguire con quello destinato a funzioni multiple. Un caso particolare e' costituito dalla ricerca. Piu' volte s'e' sottolineata l'importanza della conoscenza degli assetti naturalistici, colturali e culturali dell'area protetta, da cui discende la necessita' di continuare sulla strada delle indagini e degli studi. Va ora tuttavia ribadito con forza che la conoscenza che il Parco acquisisce deve passare dal livello descrittivo della struttura naturalistica del parco a quello interpretativo dei fenomeni e dei processi che ne caratterizzano la vita: non piu' dunque risposte alla domanda "cosa c'e'", ma piu' complessi e stimolanti per capire il perche' e il come.

INDICE

1. IL PIANO E IL PARCO

Premessa pag. 1

1.1 Il Piano e il territorio pag. 3

1.2 La pianificazione nelle aree protetto pag. 6

2. IL PIANO PER IL PARCO DELLE DOLOMITI BELLUNESI

2.1 La logica del metodo pag. 8

Il valore delle risorse del parco pag. 9
La sensibilità dei sistemi e delle loro componenti pag. 11
La vulnerabilità dei sistemi pag. 12

2.2 L'applicazione e i risultati pag. 14

Documentazione cartografica pag. 15
Carte dello stato di fatto pag. 15
Carte di sintesi interpretativa pag. 16
Carte di progetto pag. 16
La classificazione dei "temi" cartografati pag. 17

2.3 La zonizzazione strutturale del parco pag. 25

2.4 La zonizzazione funzionale del parco pag. 26

3. IL TERRITORIO E LA SOCIETA' FUORI PARCO pag. 31

4. I PROBLEMI DEL PARCO E LE PROPOSTE DI SOLUZIONE

4.1 I confini pag. 34

4.2 Il patrimonio edilizio pag. 39

4.3 Gli accessi speciali e le porte del parco pag. 42

Gli accessi speciali pag. 42
Accessi turistici pag. 43
Accessi naturalistici pag. 47
Le porte del parco pag. 48

5. LE AZIONI PROPOSTE DAL PIANO

5.1 La ricerca e le collaborazioni tra Enti pag. 51

5.2 L'informazione e l'educazione nel parco pag. 58

Centri visita pag. 60
Punti informazione pag. 61
Aree attrezzate pag. 62
Sentieri natura multitematici pag. 63
Itinerari tematici pag. 64
Spazi espositivi pag. 65
Appoggi logistici pag. 66
Emergenze puntuali lungo i sentieri natura
e gli itinerari tematici pag. 67
Attivazione di un progetto per la didattica pag. 70
Strumenti per la didattica e l'informazione pag. 70
Il foglio del parco pag. 71

5.3 L'escursionismo e la ricreazione pag. 71

La trans parco pag. 71
Il monitoraggio e la manutenzione della
rete sentieristica del CAI pag. 72
Il monitoraggio e la manutenzione della
rete sentieristica minore pag. 73
Gli appoggi logistici per l'escursionismo pag. 73

5.4 Le attività primarie e il recupero di assetti
colturali di pregio pag. 75

Proposte per le attività forestali pag. 75
Demanio forestale statale pag. 76
Demanio forestale regionale pag. 76
Boschi comunali pag. 77
Boschi soggetti ad uso civico pag. 77
Boschi privati pag. 77
Forme di gestione per tipi forestali pag. 78
Proposte per le attività alpicolturali pag. 83
Pascolo bovino pag. 83
Pascolo ovino pag. 86
Pascolo equino pag. 88
Le attività agricole di fondovalle pag. 88

5.5 Il controllo e il recupero ambientale pag. 90

La riqualificazione dei siti degradati pag. 90
Opere di derivazione idrica pag. 90
Terreni agricoli abbandonati pag. 92
Infrastrutture tecnologiche pag. 93
Accumuli di inerti pag. 93
La sorveglianza pag. 93

5.6 Le opportunità di acquisizione, di aree
e di edifici pag. 95

Strutture per la fruizione del parco pag. 96
Strutture per la sorveglianza e il controllo
del territorio pag. 96
Aree e strutture per la sperimentazione pag. 97
Aree di valore naturalistico pag. 97

6. I PROGETTI SPECIALI

6.1 Selvicoltura e riassetto forestale pag. 99

Piano di riassetto dei boschi ex ASFD pag. 99
Verifica di compatibilità piano di riassetto ARF pag. 99
Verifica di compatibilità piani di
riassetto comunali pag. 100
Piano di riassetto dei boschi privati pag. 100
Criteri generali pag. 100

6.2 Fauna, habitat faunistici e controllo sanitario pag. 101

Muflone pag. 102
Visone pag. 102
Ittiofauna pag. 102
Re di quaglie pag. 103
Cervo pag. 103
Orso, lince, sciacallo dorato pag. 104
Ripopolamenti - reintroduzioni - introduzioni pag. 104
Habitat faunistici pag. 105
Controllo sanitario pag. 105

6.3 La difesa del territorio e la mitigazione
dei rischi pag. 105

Difesa idrogeologica e rischio idraulico pag. 105
Difesa dagli incendi boschivi pag. 106

6.4 Tutela, salvaguardia e valorizzazione del
patrimonio edilizio pag. 107

6.5 Sistema informativo territoriale (S.I.T.)
per la raccolta, l'archiviazione, l'elaborazione
e la distribuzione delle informazioni
naturalistiche e territoriali pag. 108

7. UNA QUESTIONE DI RISORSE pag. 110

NORME DI ATTUAZIONE

TITOLO I DISPOSIZIONI GENERALI

ART. 1
FINALITA' DEL PIANO PER IL PARCO

Il Piano per il Parco del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi (Piano) ha lo scopo di assicurare la salvaguardia, la tutela e la valorizzazione del patrimonio di valori naturalistici, ambientali, culturali e colturali presente nel territorio delle Dolomiti Bellunesi, cosi' come individuato dalla cartografia ufficiale, prodotta dal Ministero dell'Ambiente e trasmessa all'Ente Parco in data 15 maggio 1996.
Il Piano si pone altresi' obiettivi di valorizzazione delle risorse del parco attraverso forme di fruizione culturale, educativa, ricreativa e turistica compatibili con gli obiettivi di tutela prima enunciati e tra loro coerenti.
Il Piano mira infine a creare condizioni idonee alla promozione delle attivita' economiche compatibili con gli obiettivi primari della tutela delle risorse naturalistiche e ambientali presenti nel parco e nelle aree contermini. Per tale motivo il Parco, attraverso il Piano, organizza il suo territorio, le infrastrutture e il tessuto urbanistico in maniera che gli Enti territoriali interessati possano sviluppare in sinergia col Parco azioni coordinate di sviluppo, soprattutto nei comparti agro-silvo-zootecnici, dell'artigianato, del commercio e del turismo basati sui prodotti dell'area protetta e sulla qualita' del suo ambiente.
Il Piano indica la strada per raggiungere questi obiettivi generali e quelli di settore, meglio individuati nella Relazione allegata a questo documento di norme, che si estrinseca nelle direttive, nelle prescrizioni e nei vincoli ai quali, ai sensi dell'articolo 12, comma 7, della Legge 6 dicembre 1991, no 394, deve adeguarsi l'attivita' delle pubbliche Amministrazioni, degli altri Enti e dei privati interessati alla gestione delle risorse comprese nel territorio del Parco.
ART. 2
EFFICACIA E ATTUAZIONE DEL PIANO PER IL PARCO

Il Piano per il Parco viene aggiornato con scadenza decennale. Con delibera del Consiglio Direttivo, il Piano per il Parco puo' essere sottoposto a revisione anche prima della sua naturale scadenza, ma comunque non prima di tre anni dalla sua ultima approvazione. Il Consiglio Direttivo puo' proporre modifiche di alcune parti del Piano anche a piu' breve scadenza.
Il Piano si attua attraverso questo documento di norme e attraverso una serie di progetti speciali di attuazione, individuati nel Titolo VI delle presenti norme, e specificazione del Piano in quanto strumenti regolatori di alcune attivita' necessarie al controllo e al governo dell'area protetta.
Questi progetti, predisposti e approvati dal Consiglio Direttivo dell'Ente in sintonia con le direttive riportate al successivo articolo 21, sono attuativi del Piano che li promuove e hanno durata limitata alla sua scadenza. I progetti speciali non possono incidere sulle zone di riserva integrale, ne' su elementi sistemici o su componenti ambientali di particolare valore naturalistico, cosi' come definiti nella relazione allegata e al successivo articolo 6.
In conformita' al comma 7 dell'articolo 12 della L. 394/91, il Piano ha valenza paesistica, cosi' come definita ai sensi e per gli effetti della L. 431/85.
Il Piano sostituisce automaticamente le prescrizioni e i vincoli del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento della Regione del Veneto e del Piano Territoriale Provinciale della Provincia di Belluno, e le sue prescrizioni sono altresi' prevalenti rispetto a qualunque altra norma di Piano di Settore vigente, Regionale e Provinciale.
La pubblicazione del Piano sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e sul Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto comporta l'automatica variazione dei Piani Regolatori Generali (PRG) dei Comuni il cui territorio sia almeno in parte contenuto nel Parco, in relazione alle prescrizioni e ai vincoli e con particolare riguardo alle trasformazioni urbanistiche ed edilizie.
I Comuni interessati adeguano i propri Piani Regolatori Generali entro un anno dalla pubblicazione del Piano; potranno comunque applicarsi le norme del PRG non incompatibili con le Norme contenute in questo documento.
Fino all'adeguamento agli indirizzi del Piano degli strumenti urbanistici locali, si applicano gli strumenti stessi, pur se nel rispetto delle prescrizioni e dei vincoli contenuti nel Piano. Gli interventi e le opere previste dal Piano potranno essere attuati anche in assenza dell'adeguamento degli strumenti urbanistici locali.
Il Piano per il Parco ha anche valenza di piano faunistico, e come tale ad esso si integra la pianificazione provinciale di cui all'articolo 10, comma 70, della L. 11.2.1992, n. 157, come specificato nella allegata Relazione di Piano.
ART. 3
ELABORATI DEL PIANO PER IL PARCO

Fanno parte integrante del Piano per il Parco i seguenti elaborati:

- la relazione generale, che riporta: - l'analisi dello stato di fatto del territorio del Parco, con
valutazioni circa le dinamiche in atto e quelle prevedibili;

- I CRITERI METODOLOGICI SEGUITI PER LA REDAZIONE DEL PIANO;

- LA SINTESI INTERPRETATIVA, CON VALUTAZIONE DEI PROBLEMI EMERSI E
CON L'INDIVIDUAZIONE DEGLI OBIETTIVI DEL PIANO;

- le norme di attuazione, articolato per direttive generali e
prescrizioni per zone, per componenti, per attività, per
progetti ed azioni; - le cartografie di analisi, di sintesi interpretativa e di
progetto, complessivamente in numero di 22, alla scala 1:50.000,
con approfondimenti alla scala 1:25.000;

a) CARTOGRAFIA D'ANALISI DELLO STATO DI FATTO Tav. n. 1 Emergenze floristiche e vegetazionali Tav. n. 2 Emergenze faunistiche Tav. n. 3 Assetto e emergenze geomorfologiche

Tav. n. 4 Segni storici della presenza umana sul territorio

Tav. n. 5 Proprietà fondiaria Tav. n. 6 Utilizzazioni idriche Tav. n. 7 Strade e sentieri Tav. n. 8 Aree di interesse naturalistico e biotopi esterni al Parco

Tav. n. 9 Alpeggi in uso Tav. n. 10 Usi attuali del suolo

b) CARTOGRAFIA DI SINTESI Tav. n. 11 Valori flogistici e vegetazionali. Tav. n. 12 Valori faunistici Tav. n. 13 Valori dei beni storici, culturali e ambientali Tav. n. 14 Valori scenografici e monumenti naturali Tav. n. 15 Valori geologici, paleontologici e geomorfologici Tav. n. 16 Sintesi dei valori naturalistici Tav. n. 17 Sensibilità dei sistemi ecologici e delle loro componenti Tav. n. 18 Generatori di rischio antropico

c) CARTOGRAFIA DI PROGETTO Tav. n. 19 Vulnerabilità attuale Tav. n. 20 Zonizzazione funzionale Tav. n. 21 Sistema di percorrenza e di appoggio logistico Tav. n. 22 Sistema delle strutture di informazione e dei percorsi
guidati

- gli allegati con gli elenchi delle strade e dei sentieri; degli
edifici, delle strutture e dei manufatti funzionali al parco,
riportanti le caratteristiche, gli usi ammessi e gli interventi
consigliati; delle opere di captazione idrica; delle ricerche
del Parco e con la descrizione dei criteri utilizzati per
l'attribuzione dei valori naturalistici.

ALLEGATI:

- allegato A1: appendice alle Norme di attuazione: Norme per la
conservazione degli elementi costruttivi e architettonici dei
manufatti e per il loro recupero funzionale e strutturale; - allegato A2: appendice alle Norme di attuazione: Schede
normative progettuali per le zone D; - allegato A3: schede analitico-progettuali relative alle zone D; - allegato B: elenco e destinazioni d'uso dei principali
fabbricati presenti nel parco e funzionali alla sua attività; - allegato C: elenco delle strade, delle piste e dei sentieri,
delle loro caratteristiche, delle funzioni ammesse e degli
interventi su di essi eseguibili; - allegato D: schede dei rifugi forestali per la sorveglianza; - allegato E: criteri per l'attribuzione dei valori naturalistici; - allegato F: opere di captazione idrica; - allegato G: le ricerche del Parco.
ART. 4
MONITORAGGIO AMBIENTALE

L'Ente Parco definisce, regola, controlla e valuta le attivita' di indagine, di studio, di monitoraggio e di ricerca scientifica che si rendano necessarie per la promozione della conoscenza del Parco e della sua natura e per la gestione del suo territorio.
Il Parco provvede, tra l'altro, a programmare sia il completamento, il perfezionamento e l'aggiornamento delle analisi e delle valutazioni svolte per la redazione del Piano, sia la raccolta sistematica di informazioni circa gli effetti delle azioni svolte dall'Ente, dai Comuni, dalla Provincia, dall'ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali e da quanti hanno titolo ad intervenire entro i confini del parco.
Nell'esercizio delle proprie competenze, ai sensi dell'articolo 13 della L. 394/91, al fine del rilascio del nulla osta, l'Ente Parco puo' richiedere un apposito studio di impatto ambientale per interventi eccedenti la manutenzione ordinaria e straordinaria.
L'Ente Parco dovra' anche definire le modalita' del monitoraggio ambientale, ovvero la cadenza dei rilevamenti e la natura dei dati raccolti. Il Parco provvedera' all'attivazione di un Sistema Informativo Territoriale, cosi' come definito al capitolo 6.5 della relazione di Piano. In esso confluiranno anche le informazioni raccolte con le ricerche promosse dal Parco.
TITOLO II

DEFINIZIONI E DISPOSIZIONI PER ZONE

ART. 5
CLASSIFICAZIONE DEL TERRITORIO

In base agli assetti naturalistici, colturali e paesaggistici del suo territorio, integrati col valore posseduto dai sistemi ecologici in esso contenuti, l'area compresa entro i confini del Parco e' stata suddivisa in zone omogenee per caratteri strutturali, cosi' come riportate nelle Tavole 16 e 17 di sintesi interpretativa.
In base agli assetti di struttura ecologica, al valore naturalistico dei sistemi e ai fattori di rischio attualmente su di essi attivi, il territorio del parco e' stato poi sottoposto a zonizzazione funzionale, cioe' in zone omogenee ai fini degli interventi di tutela, di valorizzazione e d'uso delle risorse, cosi' come appare nella Tavola 20 allegata a questo documento di norme. Sono funzionalmente omogenee, per l'articolo 12 della L. 394/91, le seguenti:
A - zone di riserva integrale
B - zone di riserva generale orientata (B1 e B2)
C - aree di protezione
D - aree di promozione economica e sociale.
ART. 6
ZONIZZAZIONE STRUTTURALE

Il Piano per il Parco individua nella zonizzazione strutturale l'insieme delle condizioni di natura e d'ambiente che dirigono le scelte circa gli indirizzi di tutela naturalistica e di controllo ambientale, nonche' le scelte circa gli usi ammessi e quelli vietati per le risorse del parco.
Ogni futura revisione del Piano dovra' individuare sul territorio, in base alle componenti ecologiche, al loro valore e alla sensibilita' dei sistemi, gli eventuali cambiamenti di struttura ecologica su cui giustificare nuove scelte circa le funzioni attribuite alle diverse zone del parco.
ART. 7
ZONIZZAZIONE FUNZIONALE

La zonizzazione funzionale individua le aree del parco entro le quali si deve provvedere a specifici interventi di tutela, di valorizzazione, di mitigazione o di conciliazione, attraverso i quali rendere possibile un insieme di usi del territorio compatibili con gli obiettivi di conservazione imposti dalla L. 394/91.
Allo stato attuale si individuano le seguenti zone omogenee per funzioni, individuate in cartografia:

A. ZONE DI RISERVA INTEGRALE

Le zone di riserva integrale sono prevalentemente reperite tra quelle di valore piu' elevato e di piu' spiccata sensibilita', ovvero tra quelle che piu' si avvicinano alle condizioni di equilibrio naturale.
Tra tutte quelle del parco, cosi' come prescritto dagli articoli 1 e 12 della L. 394/91, le aree destinate a riserva integrale contengono i sistemi e le componenti di piu' rilevante pregio biologico, idrologico, geomorfologico e paesaggistico, quasi sempre fino ad oggi sottratti all'azione di importanti fattori di degrado e di rischio.
Nelle zone di riserva integrale la tutela sara' passiva, non essendovi previsto alcun intervento, tranne quelli richiesti dal verificarsi di eventi potenzialmente catastrofici.
Oltre alle attivita' istituzionali del Parco, nelle zone di riserva integrale sono consentite, previa autorizzazione dell'Ente e con le modalita' stabilite dal Regolamento del Parco, l'osservazione naturalistica e la ricerca scientifica.
Le zone di riserva integrale sono segnalate sul terreno e l'accesso vi sara' limitato, al di fuori dei sentieri previsti nella cartografia di progetto e classificati come B2, attraverso i piu' appropriati sistemi di dissuasione. Nelle zone di riserva integrale non verranno praticate utilizzazioni forestali ne' si esercitera' il pascolo e lo sfalcio dell'erba.

B. ZONE DI RISERVA GENERALE ORIENTATA

Le zone di riserva generale orientata si collocano prevalentemente nelle parti di territorio i cui assetti ecologici e naturalistici risentono di pregressi usi silvo-pastorali ormai da tempo cessati (B1). Solo in taluni casi particolari (B2) nelle riserve generali orientate si hanno sistemi del tutto simili a quelli inseriti nelle riserve integrali, benche' in essi si esercitino, con carichi modestissimi, attivita' di' tipo escursionistico od alpinistico.
Nelle riserve di tipo (B1) i sistemi ecologici quasi sempre sono interessati da processi di evoluzione progressiva; di qui l'opportunita' di provvedere sia ad interventi mirati ad accelerare i processi rievolutivi attraverso la rimozione o la mitigazione di fattori che frenino il recupero di condizioni di maggior pregio ecologico e naturalistico, sia, all'opposto, interventi orientati a mantenere gli attuali valori, bloccando le tendenze evolutive in corso qualora esse dovessero condurre ad assetti di minor valore ecologico.
Nelle zone di riserva generale orientata va dunque perseguita, secondo i casi, o la tutela degli attuali valori naturalistici, oppure la valorizzazione o il ripristino naturalistico quando si tratti di sistemi degradati, ma con ottime potenzialita' di recupero.
Il regime di riserva generale orientata e' compatibile con la fruizione turistica; il flusso dei visitatori sara' il piu' possibile mantenuto all'esterno delle zone piu' vulnerabili attraverso la regolamentazione della rete del sentieri, cosi' come indicato nelle tavole 21 e 22.
A norma dell'articolo 12 della L. 394/91, le zone di riserva generale orientata potranno accogliere attivita' produttive, purche' esse non generino sensibili trasformazioni nella struttura del territorio e dei suoi sistemi, tali cioe' da determinare incremento della loro vulnerabilita'.
Per questo motivo nelle zone di riserva generale orientata le utilizzazioni forestali previste dai vigenti piani di assestamento saranno eseguite coi criteri stabiliti dal Regolamento del Parco e sotto il controllo del personale dell'Ente o, previa convenzione, del Coordinamento Territoriale per l'Ambiente.
Tali criteri porranno particolare attenzione alla tutela degli habitat faunistici.
Nelle zone di riserva generale orientata potranno essere mantenute le attuali attivita' zootecniche. Il pascolo vi potra' esser anche ripristinato qualora risulti che per esso non si attiveranno meccanismi di degrado ecosistemico.
Nei limiti di quanto ammesso alla lettera b, articolo 12 della Legge 394/91, sono dunque anche ammessi interventi sulle strutture edilizie a supporto delle attivita' silvo-pastorali.
Nelle zone di riserva generale orientata di tipo B2 rientrano invece le parti di territorio che, al pari delle zone di riserva integrale, sono portatrici di valori naturalistici tra i piu' elevati, sul piano biologico, idrologico, geomorfologico e paesaggistico.
In esse tuttavia si esercitano, da sempre e con modalita' assolutamente compatibili col perdurare dei valori suindicati, le tradizionali pratiche dell'escursionismo alpino e dell'alpinismo, com'e' documentato dall'esistenza di sentieri storici (Alte vie delle Dolomiti) e da una ricca documentazione bibliografica ed iconografica. Per tali motivi queste zone B2, assimilabili per significato alle riserve integrali, vengono ad esse equiparate ai fini del regime di tutela, essendovi comunque ammesse le attivita' escursionistiche ed alpinistiche secondo le modalita' stabilite dal Regolamento del Parco.

C. AREE DI PROTEZIONE

Le aree di protezione sono individuate tra quelle che attualmente sono interessate da attivita' silvo-pastorali che ne improntano e ne condizionano gli assetti naturalistici e paesaggistici.
Nelle aree di protezione l'Ente Parco promuove la continuita' delle tradizionali attivita' rurali, sia attraverso il recupero e il miglioramento delle strutture e delle infrastrutture ad esse storicamente destinate, sia attraverso lo sviluppo di un organico insieme di incentivi capaci di rendere economicamente e socialmente sostenibile l'attivita' primaria, anche in interazione con quella artigianale e con quella a servizio del turismo e dell'educazione ambientale, nonche' stabilendo per esse le forme di integrazione piu' efficaci, purche' risultino compatibili con gli obiettivi di tutela del Parco.
Allo scopo saranno individuati e applicati i sistemi economici, tecnici e tecnologici, piu' idonei al recupero funzionale dei prati e dei prato-pascoli, mirando anche a conservare ampi elementi del paesaggio vegetale che altrimenti sarebbero destinati ad essere cancellati dallo spontaneo recupero di sistemi a dimensione arborea.
Il Regolamento del Parco dettera' anche le norme per l'organizzazione di un efficiente sistema selvicolturale, allo scopo di perfezionare le tecniche forestali per le diverse tipologie presenti nel parco, mirando al ripristino di stabili equilibri tra le strutture biologiche e i fattori che ne determinano la produzione.

D. AREE DI PROMOZIONE ECONOMICA E SOCIALE

Le aree di promozione economica e sociale sono collocate nelle zone piu' intensamente antropizzate del parco. Vi saranno ammessi o potenziati i sistemi di fruizione turistica e culturale, mirando allo sviluppo di una economia basata sul rispetto del territorio e della sua natura, ovvero su criteri di sostenibilita', ovvero ancora di compatibilita' delle attivita' economiche con le caratteristiche dei luoghi e con le finalita' istituzionali del parco.
ART. 8
AREE LIMITROFE

Il Piano per il Parco trasmette agli Enti territoriali l'invito a scelte di tutela ambientale e di valorizzazione naturalistica analoghe a quelle formulate in questo documento di norme, al fine di garantire quella gradualita' di comportamenti di rispetto ambientale che e' unica forte garanzia per il successo di questo Piano.

In particolare si raccomanda: - il graduale passaggio verso l'esterno dei regimi di tutela
stabiliti per il parco, al fine di rendere comparabili le
condizioni di valore e le potenzialita' di economia in siti in cui
il confine divida situazioni sostanzialmente equivalenti; - di fare divieto di localizzare impianti e attivita' inquinanti e a
rischio nelle aree prossime al parco; tra queste il poligono di
tiro, le discariche, i depositi e gli impianti produttivi ad
elevato impatto ambientale, attivita' rumorose o che producano
nocive emissioni di polveri o di gas; - di organizzare la rete viaria e il sistema dei parcheggi
coerentemente col disegno infrastrutturale delle "porte del parco",
degli accessi e delle testate dei sentieri funzionali alla
fruizione didattico-turistico-escursionistica del parco, al fine di
rendere equilibrati i flussi turistici in sintonia con la
vulnerabilita' stimata e accettata dal Piano; - di organizzare le
attivita' turistiche, ricreative, educative e culturali che fanno
riferimento al significato dell'area protetta, in sinergia col
Parco e con gli altri soggetti, pubblici e privati, presenti nella
regione che sta intorno all'area protetta; - di mirare alla
integrazione delle politiche di sviluppo mosse o supportate da
progetti speciali, al cui successo giova la presenza del parco e il
suo elevato valore naturalistico; - di promuovere la conservazione
delle possibilita' di spostamento e di mobilita' delle specie
animali tra l'interno del parco e le altre aree naturali o
prossimo-naturali esterne ad esso, tramite la difesa del corredo
vegetale lungo i torrenti che escono dal parco, la conservazione
delle aree umide, la tutela delle alberate e delle siepi nel
paesaggio vegetale circostante l'area protetta; - di curare il
mantenimento degli habitat elettivi di alcune importanti e rare
specie animali, la cui sopravvivenza non puo' essere garantita solo
dai regimi di tutela attivati dal Parco.
TITOLO III

DIRETTIVE GENERALI PER LE COMPONENTI DEL TERRITORIO

ART. 9
NORME GENERALI DI SALVAGUARDIA

Su tutta l'area del parco con l'esclusione di quanto previsto dai successivi articoli delle Norme e dal Regolamento, non sono ammesse le seguenti attivita':

- l'introduzione e l'impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di
alterazione dei cicli biogeochimici; - l'introduzione da parte di privati, di armi, esplosivi e
qualsiasi mezzo di distruzione o di cattura, se non autorizzati; - l'uso di fuochi all'aperto; - l'apertura di nuove strade o l'ampliamento di quella esistenti; - l'apertura e la coltivazione di cave; - l'uso di mezzi motorizzati al di fuori delle strade statali e
provinciali fatti salvi, previo nulla osta da parte dell'Ente
Parco, l'utilizzo di mezzi necessari per assicurare l'esercizio
e la manutenzione delle reti elettriche interne e i casi ammessi
in virtù degli articoli successivi; - Il sorvolo a bassa quota e l'atterraggio di aeromobili, ad
esclusione di quelli impiegati nelle opere di soccorso, di
sorveglianza e di difesa antincendio e, previo nulla osta da
parte dell'Ente Parco, negli interventi di manutenzione delle
infrastrutture, salvo quanto disposto nel Regolamento al sensi
dell'art. 11 della L. 394/91, al fine di adeguare la norma a
quanto previsto dalla legge quadro sulle aree protette; - la realizzazione di discariche e ogni altra attività che produca
dissesto idrogeologico e inquinamento nell'aria, nel suolo e
nell'acqua; - la derivazione e la captazione di acque superficiali o profonde.
ART. 10
DIRETTIVE PER LA COMPONENTE SILVO-PASTORALE

Il Parco persegue il mantenimento degli attuali sistemi' forestali e di prateria, qualora provvisti di condizioni di equilibrio ecologico ritenute prossime a quelle naturali.
Il Parco promuove invece il recupero strutturale e funzionale di tutti i sistemi silvopastorali verso assetti piu' prossimi alla naturalita', qualora piu' non vi si pratichino le tradizionali attivita' colturali. Il Parco infine attiva meccanismi di incentivazione per favorire la piu' appropriata conduzione tecnica delle risorse silvo-pastorali nei sistemi in cui ancora si eserciti la tradizionale gestione dei boschi e dei pascoli.
Su tutte le praterle, escluse quelle ricadenti in zone A e B2, e' dunque consentito il pascolo bovino ed equino, secondo le modalita' e i tempi stabiliti dal Regolamento di Parco.
E' invece consentito, con esclusione delle zone A e B2, il pascolo ovino e caprino solo nelle aree in cui l'Ente concedera' tale attivita', su richiesta degli interessati, e con le modalita' e coi tempi stabiliti dal Regolamento.
Nei boschi di produzione sottoposti a pianificazione forestale sono consentite le utilizzazioni previste dai vigenti Piani di assestamento, da eseguire secondo le modalita' dettate dal Regolamento del Parco e sotto il diretto controllo del personale incaricato dall'Ente.
L'Ente provvedera' alla redazione di uno speciale progetto per le componenti silvopastorali (Progetto selvicoltura e riassetto forestale), attraverso il quale saranno proposte ed attivate le misure piu' idonee a dare sostegno alle attivita', nel settore primario, da cui dipendono molti dei valori naturalistici e degli assetti paesaggistici dell'area protetta.
Tale progetto, articolato in due parti separate, rispettivamente per la componente zootecnico-alpicolturale e per quella forestale, avra' la valenza di strumento attuativo del Piano per il Parco, di cui e' tenuto a recepire gli indirizzi di fondo specificati nella relazione di Piano.
Si porranno tra gli elementi costitutivi del progetto per la componente forestale:

- la definizione degli ideali obiettivi colturali a medio e a
lungo periodo per tutti i tipi forestali del parco, così come
individuati nella relazione allegata al presente documento di
norme; - l'individuazione delle possibili azioni idonee a raggiungere la
massima diversità compositiva, compatibilmente con le condizioni
ambientali, con i relativi assetti biocenotici d'equilibrio e
con le esigenze economiche della proprietà; - l'ottimizzazione delle funzioni di tutela idrogeologica dei
sistemi forestali; - la massimizzazione della "vocazione" paesaggistica del bosco,
limitatamente alle fasce di fruizione turistica intorno alla
rete dei sentieri nelle zone di sviluppo economico e sociale e
in quelle di protezione; - la manutenzione, il ripristino e il recupero funzionale del
sistema di infrastrutture a servizio delle storiche attività
silvo-pastorali, nonché il recupero, a fini culturali e
didattici, delle residue tracce dei sistemi di esbosco
(teleferiche, risine, imposti per la fluitazione) o di
trasformazione del legname (aie carbonili, carbonaie); - l'ottimale disegno del sistema di prevenzione e di controllo
degli incendi, tenendo conto della viabilità di servizio, dei
siti di avvistamento e delle localizzazioni migliori per i punti
di approvvigionamento idrico; - l'indicazione delle possibili Vie per l'organizzazione di un
piano unitario di gestione per i boschi non pubblici all'interno
del parco.

Per motivi di studio o per il controllo e la tutela di processi di spontanea e naturale evoluzione dei sistemi ecologici e naturali, il progetto per la componente forestale potra' inoltre individuare aree di limitata estensione costituite da ecosistemi o parti di ecosistema da lasciare alla naturale evoluzione. In particolare, potranno essere individuati quei territori idonei a rappresentare la naturale diversita' di assetti forestali entro il perimetro del parco.
Tali aree sono sottoposte al medesimo regime di tutela stabilito per le zone di riserva integrale. L'attuazione avviene tramite delibera del Consiglio Direttivo, supportata da apposita relazione tecnico-scientifica, che indichera', oltre alla misura dell'eventuale indennizzo da attribuire ai sensi dell'articolo 15 della L. 394/91, anche la durata di tale regime. Il Consiglio Direttivo potra' prorogare tale regime di temporanea tutela integrale con deliberazione, egualmente motivata da specifica relazione tecnico scientifica.
Le aree attuate ai sensi del presente comma verranno individuate sul terreno attraverso apposite tabelle
Per la componente zootecnico-alpicolturale il Progetto speciale dovra' tra l'altro definire:

- l'organizzazione ideale di un sistema di alpeggio basato su di
una malga modello (Progetto malga modello), in cui si rendano
minimi, o ininfluenti sugli assetti naturalistici del parco, gli
effetti della monticazione e quelli della trasformazione del
latte; - le più efficaci tecniche di gestione dei prati e dei pascoli, al
fine di ottimizzare le rese produttive, in termini qualitativi e
quantitativi, e al fine di perseguire gli obiettivi
naturalistici e paesaggistici e di tutela dell'area protetta; - l'ideale rapporto tra animali domestici e selvatici, in termini
di competizione e di sinergia nell'utilizzazione dello spazio e
delle risorse alimentari del parco, ovvero le tecniche di
pascolamento di bovini, ovini ed equini che meglio si integrano
con la presenza delle specie selvatiche e che creano minore
impatto ambientale; - il controllo dei processi di evoluzione biocenotica, in
relazione sia all'abbandono colturale, sia al ripristino di
alcune forme di gestione attiva del territorio; - le opportunità offerte alla fruizione turistica degli spazi e
delle strutture d'alpeggio, al fine di rendere compatibili i
flussi turistici con le potenzialità di mitigazione degli
impatti (rifiuti, rumore, ecc.).
ART. 11
DIRETTIVE PER LA COMPONENTE FAUNISTICA

Obiettivo del Parco e' il ripristino e il mantenimento di zoocenosi per quanto possibile naturali, ricche e in equilibrio con le componenti vegetali dell'area protetta.
In tale ottica il Parco mira al recupero degli habitat idonei alle componenti faunistiche con la diversita' di ambienti e di condizioni di vita quali sono consentite dall'eterogeneita' formale del territorio.
Per tale motivo e' attivato un Servizio faunistico del Parco incaricato di raccogliere in modo regolare e sistematico dati sulla consistenza e sulla distribuzione delle popolazioni animali, e un Servizio veterinario che valutera', con le modalita' e le cadenze stabilite dal Parco, lo stato sanitario delle popolazioni animali e del bestiame ammesso al pascolo all'interno del parco. Sulla base di tali informazioni il Consiglio Direttivo potra' deliberare opportuni interventi.
E' fatto divieto d'introdurre specie estranee alle zoocenosi locali.
Fino all'adozione del piano faunistico di cui ai commi seguenti, la pesca viene annualmente regolamentata dal Consiglio Direttivo dell'Ente sulla base di studi specialistici che determinino per tutti i corsi d'acqua e per bacini compresi nel Parco lo stato delle ittiocenosi e le quote eventualmente asportabili.
Il Parco promuove ogni iniziativa atta a garantire il permanere di condizioni idrauliche e ideologiche compatibili col permanere della massima complessita' biologica nei sistemi d'acqua compresi nell'area protetta.
L'Ente provvedera' alla redazione di uno specifico Progetto fauna. Fatti salvi i limiti imposti dal presente articolo e considerate prioritarie le esigenze di conservazione della natura, il progetto e' chiamato a proporre e ad attivare le misure piu' idonee alla tutela e alla valorizzazione degli assetti zoocenotici e degli habitat faunistici. Sulla base delle indicazioni del Progetto fauna saranno progressivamente regolati e dimensionati gli usi turistici e quelli zootecnici, pur ammessi e incentivati entro i confini del parco.
Tale progetto avra' la valenza di strumento attuativo del Piano per il Parco, di cui e' tenuto a recepire gli indirizzi di fondo, cosi' come segnalati nella relazione di Piano.
Per soli motivi di studio e di ricerca, debitamente autorizzati dal Parco, si potra' procedere a prelievo o a cattura di animali selvatici nel rispetto dei modi e dei tempi concordati con l'Ente.
ART. 12
DIRETTIVE PER LA VIABILITA' E PER LE INFRASTRUTTURE

Le strade silvo-pastorali e i sentieri interni al Parco, suddivisi per tipologie d'uso, sono individuati nella cartografia di Piano.
In apposite schede, che formano parte integrante delle presenti norme, il Piano riporta l'elenco delle strade e dei sentieri, per le prime definisce gli usi ammessi e da' indicazione degli interventi che vi potranno o dovranno essere attuati.
Nei limiti di quanto disposto dalle presenti Norme di attuazione, lungo le viabilita' del Parco ad esclusione della rete sentieristica sono sempre ammessi i servizi a rete, fra cui le telecomunicazioni finalizzate sia al funzionamento delle attrezzature di dotazione del Parco sia al collegamento del patrimonio edilizio in esso esistente o ammissibile, alle attivita' turistiche, ricreative, economiche, di controllo e di vigilanza, anche gestiti da Enti diversi dall'Ente Parco, nonche' finalizzate a speciali esigenze del servizio delle telecomunicazioni per cui non esista valida alternativa.
La posa delle reti e dei relativi terminali verra' attuata con modalita' da concordarsi, fondandosi sul rispetto della vigente normativa in materia di tutela della salute pubblica, dell'ambiente e degli obiettivi di pianificazione urbanistica e territoriale, di concerto anche con l'Ente Parco e nel rispetto dell'ambiente e della qualita' estetica dei luoghi adottando le soluzioni meno dannose per la proprieta' privata ed i beni pubblici.
Attraverso specifici progetti l'Ente cura la realizzazione degli interventi e provvede alla dotazione di attrezzature lungo la rete di percorsi di interesse didattico e turistico, o comunque connessi con le attrezzature turistiche, per rendere la viabilita' recettiva verso i visitatori del parco e fruibile anche a fini culturali e per la promozione dell'educazione naturalistica e ambientale. Particolare attenzione sara' posta alla organizzazione di percorsi didattici fruibili anche da visitatori disabili.
Il nulla osta per gli interventi che prevedono progettazione con ricorso a calcoli statici e' rilasciato mediante deliberazione da parte del Consiglio Direttivo dell'Ente.
Il Parco provvedera' alla definizione delle linee di interazione e di coordinamento tra Parco e servizi pubblici di trasporto, al fine di ottimizzare l'offerta in ragione dell'organizzazione di attivita' ricreative e culturali basate sulla viabilita' interna dell'area protetta e delle zone adiacenti.
ART. 13
DIRETTIVE PER L'EDILIZIA

Il Parco persegue la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione del patrimonio edilizio e infrastrutturale presento entro i suoi confini, con particolare riguardo alle strutture di maggiore pregio storico, architettonico e testimoniale.
Per questo il Piano detta norme per l'attivazione di un progetto di censimento e di' catalogazione dei manufatti, nelle diverse tipologie su indicate, e definisce i criteri per la sua esecuzione, al fine di rendere omogenei e piu' incisivi gli interventi previsti all'articolo 31, primo comma, lettere a), b) e c), della legge 457/78.
Entro un anno dall'approvazione del presente Piano, l'Ente Parco provvedera' alla redazione del Progetto su indicato, che dovra' provvedere alla classificazione puntuale dei manufatti, secondo gradi diversi di protezione, alla definizione degli interventi piu' opportuni per la loro conservazione e valorizzazione e alla definizione di nuove eventuali categorie di intervento.
Sono consentiti per le diverse zone gli interventi previsti all'articolo 12 della Legge 6 dicembre 1991, n. 394, nel rispetto delle indicazioni di cui agli allegati Al, A2, A3 e B, che costituiscono parte integrante delle presenti norme. In particolare, per le zone di promozione economica e sociale, si applica la specifica disciplina prevista dal presente piano.
Il Parco promuove la manutenzione e il recupero dei manufatti insediativi, produttivi, di controllo territoriale presenti nell'area protetta e aventi rilevanza paesaggistica e storico-culturale. Come tali vengono considerati anche capitelli, cappelle, affreschi, immagini votive, fontane, abbeveratoi, lavatoi, portali, muretti di contenimento o di cinta in pietra, cippi confinari, lapidi storiche, stoll, selciati, manufatti e strade militari, calchere, ponti.
In attuazione delle normative comunitarie, il Parco sostiene, in particolare, il miglioramento funzionale, l'adeguamento igienico, il restauro e il risanamento degli edifici connessi all'uso agricolo, forestale e pastorale, nel rispetto delle tipologie tradizionali, per favorire una efficiente e dignitosa condizione dell'alpeggio e per conciliare le esigenze di vita civile degli operatori agricoli con le finalita' istituzionali dell'area protetta.
Negli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, in quelli di restauro e di risanamento conservativo si dovranno prevedere materiali e magisteri tradizionali, secondo quanto indicato nell'Allegato A1. Tutte le costruzioni pubbliche e private da realizzarsi nelle zone dichiarate sismiche, sono disciplinate dalla normativa emanata con L. 2 febbraio 1974, n. 64. I progetti di cui all'articolo 3 della suddetta legge vanno depositati presso l'ufficio competente ai sensi dell'articolo 28 della Legge regionale n. 6/1996. Nel territorio del parco dovra' altresi' trovare applicazione la normativa statale sulle verifiche geologiche e geotecniche preventive di cui al D.M. 11 marzo 1998.
L'Ente Parco puo' sostenere, secondo quanto riportato in allegato, interventi e destinazioni specifiche anche per alcuni edifici esterni al parco, al solo fine di rendere ottimali i benefici derivanti dalla fruizione delle risorse interne all'area protetta.
I ruderi vengono definiti come manufatti diroccati dei quali non e' piu' leggibile la struttura, censiti nell'attuale NCT o comunque presenti nelle relative cartografie; per essi e' consentita la conservazione e la ricostruzione totale o parziale a seconda delle dimensioni planimetriche originarie e con l'altezza preesistente, solo nelle zone di promozione economica e sociale e secondo le previsioni progettuali degli allegati A2 e A3, nel caso di favorevole delibera del Consiglio Direttivo e purche' essi vengano destinati a strutture di servizio al Parco o allo sviluppo di attivita' economiche compatibili con le finalita' dell'area protetta.
E' intervento ammesso quello di demolizione, se riguardante edifici o costruzioni recenti in palese contrasto con l'ambiente o con il tessuto edilizio circostante; le aree risultanti dalle demolizioni debbono restare inedificate.
In attesa della redazione del progetto speciale per tutela, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio edilizio, a eventuale integrazione di quanto prescritto da norme e regolamenti comunali, per la presentazione delle domande di concessione o autorizzazione riguardanti unita' edilizie ricadenti all'interno del territorio del Parco, ogni intervento deve essere preceduto da un'accurata analisi degli elementi tipologico strutturali, tesa a definire i caratteri originari relativi all'organismo architettonico e la presenza di elementi architettonici di pregio documentata da planimetrie, rilievi, immagini e fotografie d'epoca e quant'altro possa contribuire alla determinazione degli interventi proposti, sufficientemente estesa in relazione all'entita' dell'intervento. Nell'analisi devono essere evidenziati anche il rapporto edificio-contesto ed i rapporti formali e dimensionali dell'edificio con l'insieme. Questi devono tradursi in una documentazione critico-descrittiva, grafica e fotografica, nonche' planivolumetrica con indicazioni dei sistemi e degli elementi vegetali circostanti e dei rapporti con le aree limitrofe.
Gli interventi di manutenzione che hanno incidenza sulla struttura, sulla configurazione distributiva, o che riguardino interventi sull'esterno degli edifici, al fini della presentazione del progetto vanno intesi come interventi di manutenzione straordinaria.
Il Parco, mirando alla riqualificazione del proprio territorio anche attraverso la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio edilizio, contribuisce ai maggiori oneri derivanti dall'applicazione di queste norme con un contributo, nella misura di volta in volta deliberata dal Consiglio Direttivo.
ART. 14
TIPOLOGIE DEL PATRIMONIO EDILIZIO ESISTENTE

Il Piano individua nelle schede allegate le principali tipologie edilizie del territorio. Esse costituiscono il riferimento per l'analisi tipologico strutturale di ogni manufatto al momento dell'intervento di recupero. Le tipologie edilizie che il Piano individua sono: la casa a ballatoio di tipo bellunese, la casa a ballatoio di tipo feltrino, la casa della valle del Mis, la casera e gli annessi.
Rappresentano comunque elementi costruttivi ed architettonici caratterizzanti il patrimonio edilizio, meritevoli di tutela e da considerarsi costanti tipologiche anche quando inserite in contesti di pregio diverso: le murature tipiche, le aperture, le pavimentazioni, i solai, le coperture, i ballatoi, gli elementi delle pertinenze; la caratterizzazione di riferimento e gli interventi consentiti sulle costanti tipologiche sono specificati nell'Allegato A1.

TITOLO IV

PRESCRIZIONI E DISCIPLINE

ART. 15
SANZIONI

Il Regolamento del Parco stabilira' le sanzioni dovute per il mancato rispetto delle prescrizioni di cui ai successivi articoli 16, 17, 18 e 19.

ART. 16
PRESCRIZIONI PER LA TUTELA E IL RECUPERO AMBIENTALE

Ambiente fisico

Ogni intervento atto a modificare l'assetto fisico e biologico del parco dovra' essere sottoposto ad approvazione da parte dell'Ente, che si riserva la prescrizione di ogni cautela e apprestamento che sia ritenuto necessario a salvaguardare i valori naturalistici e paesaggistici del territorio secondo la vulnerabilita' dei siti.
Come indicato nella relazione di Piano, il Parco promuove e sostiene, anche economicamente, interventi di risanamento e di recupero ambientale in tutti i siti interni all'area protetta in cui, nel passato, si siano prodotte alterazioni all'ambiente attraverso discarica di rifiuti, di inerti e di altro materiale che produca impatto ambientale.
All'interno del parco e' vietato l'abbandono di rifiuti di qualsiasi tipo e non e' consentita l'apertura di discariche.
E' vietata l'apertura e la coltivazione di cave, fatti salvi interventi di recupero e di asporto di materiale derivante da fenomeni di trasporto in massa di detrito, finalizzati alla difesa idraulica e comunque subordinati ad autorizzazione da parte dell'Ente.
E' inoltre consentito, in localita' Brendol, il prelievo del materiale lapideo strettamente necessario al completamento della copertura dell'omonima pendana. E' vietato ogni intervento che pregiudichi la stabilita' fisica dei versanti. Fatti salvi motivi di studio e di ricerca debitamente autorizzati dall'Ente, e' altresi' vietato l'asporto di reperti di valore archeologico, paleontologico e mineralogico.

Acque Reflui

Gli scarichi nelle acque superficiali e sul suolo sono regolamentati dalle leggi nazionali e regionali in materia, tra cui il decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, la legge 5 gennaio 1994, n. 36 e, per quanto compatibile, il Piano Regionale di Risanamento delle Acque.
Sono consentiti gli scarichi delle acque reflue secondo quanto previsto dalla Delibera del Comitato interministeriale in data 4 novembre 1977, previa autorizzazione degli organi competenti, per tutti gli esercizi pubblici, malghe e rifugi presenti all'interno del Parco, nonche' per le abitazioni private.
Il Parco tuttavia promuove e sostiene, anche economicamente, l'adeguamento agli standard igienici delle strutture zootecniche e edilizie interne all'area protetta.

Captazioni

Entro sei mesi dall'approvazione del Piano le prescrizioni delle concessioni per la captazione delle acque superficiali e profonde all'interno del parco dovranno adeguarsi al dettato delle presenti Norme.
Con l'esclusione delle concessioni esistenti, nei limiti e con le modalita' di cui al comma 2 e 3 dell'articolo 25 della L. n. 36/94 e loro successive modificazioni, e comunque non oltre la loro scadenza, e' vietato qualsiasi intervento che modifichi il regime naturale delle acque superficiali e sotterranee.
E' comunque vietata, all'interno del parco, ogni ulteriore derivazione delle acque superficiali e sotterranee per scopi idroelettrici e irrigui.
Secondo tale principio gli abbassamenti del livello delle acque, rispetto al livello massimo di esercizio degli invasi idroelettrici del Mis e della Stua dovranno essere ridotti al minimo, coerentemente con i risultati della sperimentazione di cui al successivo articolo 23. Qualora le ricerche e sperimentazioni di cui al successivo articolo 23 non si concludano nei termini di 36 mesi, la Regione e l'Ente Parco si impegnano a raggiungere intese inter-istituzionali per il conseguimento dell'obiettivo di cui al presente comma.
Fatte altresi' salve le disposizioni di cui all'articolo 25 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e sue successive modificazioni, sono invece ammessi, previa delibera del Consiglio Direttivo dell'Ente, formulata sulla base di una perizia tecnico-scientifica che attesti le caratteristiche paesaggistiche, floristiche, vegetazionali e faunistiche delle zone di presa e delle aree umide ad esse collegate, che dichiari gli effetti ambientali dell'intervento e l'impossibilita' di soddisfare in altra maniera alla richiesta d'acqua:

- nuove captazioni per uso potabile, nel rispetto del T.U.,
1775/1933 e dal DPR 24 maggio 1988, n. 236 e successive
modifiche, purché non riducano le portate dei corsi d'acqua
oltre la misura dei deflussi minimi e modulati di cui ai comma
successivi; - interventi di manutenzione degli impianti idroelettrici
esistenti, nel rispetto delle disposizioni e delle limitazioni
dei prelievi prescritte dalle presenti norme.

Sono, inoltre, ammesse, con le stesse modalita' del precedente comma, modeste derivazioni idriche, da riservare esclusivamente agli apprestamenti che l'Ente Parco intenda favorire, promuovere, realizzare o destinare alle proprie finalita' istituzionali.
Le captazioni, gli emungimenti e le derivazioni d'acqua dovranno essere rispettosi del mantenimento del minimo deflusso vitale, stabilito in via definitiva d'intesa fra l'Ente Parco e l'Autorita' di Bacino "Alto Adriatico" nel rispetto del principi fondamentali di salvaguardia dei processi naturali cosi' come richiamati nel successivo articolo 23 di queste norme d'attuazione.
Fermi restando i prescritti rilasci minimi di rispetto tutte le opere di presa, comprese quelle per gli sversamenti in canali di gronda e nei bacini di accumulo, debbono essere munite di apprestamenti statici ispezionabili che permettano la valutazione della quantita' d'acqua da preservare in alveo. Qualora le ricerche e le sperimentazioni di cui al successivo articolo 23 non si concludano nei termini di 36 mesi, saranno applicati i seguenti limiti:

- la misura del minimo deflusso vitale da preservare negli alvei
naturali sottesi è quantificata in otto decimi della portata
media mensile minima stabilita dal Parco sentita l'Autorità del
Bacino e la Ragione Veneto; - deve essere garantita la permanenza in alveo di portate modulate
pari a metà della portata naturale istantanea di competenza; - la portata massima derivabile non potrà in nessun caso superare
la portata media annua.
Anche le opere di derivazione e di captazione esistenti dovranno adeguarsi alla norma sancita nel comma precedente, fatte salve le opere esistenti finalizzate al consumo idropotabile, che dovranno assicurare alle popolazioni gia' adesso servite una risorsa sufficiente, senza ledere la qualita' dell'acqua per il consumo idropotabile.
In sintonia con le leggi statali e regionali in materia, tutti gli sbarramenti dovranno essere dotati di scale di rimonta per i pesci, con oneri a carico dei concessionari o dei costruttori.
Queste norme volte a salvaguardare gli ecosistemi acquatici del parco si intendono estese anche ai corsi d'acqua provenienti dall'esterno dell'area protetta.

Opere di correzione e di regolazione

Sono vietate nuove opere di correzione e di regolazione dei corsi d'acqua a meno che la loro realizzazione sia necessaria per motivi di sicurezza. Per queste realizzazioni, ove sia tecnicamente possibile, si dovra' far ricorso alle tecniche dell'ingegnaria naturalistica.

Flora e fauna minore

Fatti salvi motivi di studio debitamente autorizzati dall'Ente e' fatto divieto d'asportare e di danneggiare in alcun modo la flora nel Parco.
Non vanno considerati, danno od asporto, gli effetti delle usuali attivita' agro-silvopastorali ammesse dal Piano nonche' gli effetti degli interventi necessari a garantire l'esercizio in sicurezza delle infrastrutture a rete presenti nel Parco.
La raccolta di funghi, di erbe medicinali, di frutti del bosco e' concessa, al di fuori delle riserve integrali e di quelle generali orientate, nei luoghi, con le modalita' e nei tempi prescritti dal Regolamento del Parco e nelle quantita' periodicamente stabilite dal Consiglio Direttivo, previa perizia tecnico-scientifica sullo stato dei sistemi ecologici e sugli andamenti delle produzioni.
In tutto il territorio del parco sono proibite la cattura e la raccolta di rettili, anfibi, crostacei, insetti e chiocciole, salvo autorizzazione dell'Ente per motivi di studio.
ART. 17
DISCIPLINA DELLE ATTIVITA' SILVO-PASTORALI

La gestione degli alpeggi di proprieta' pubblica e' affidata, previo parere dell'Ente, a imprese o a persone fisiche di provata competenza.
La monticazione con greggi ovine e' consentita solo se in presenza del pastore, secondo quanto riportato nel Regolamento del Parco.
Su concessione del Parco e' possibile l'uso di recinti elettrici e l'impiego di cani per la custodia delle greggi, anche nelle zone di protezione e di riserva generale orientata.
E' invece vietato il transito delle greggi attraverso il parco, se non per il trasferimento verso pascoli interni all'area protetta o lungo itinerari autorizzati dall'Ente. Per evitare la diffusione di zoopatie il Servizio veterinario del Parco valutera' e certifichera' lo stato sanitario di tutto il bestiame domestico prima della sua ammissione al pascolo o al transito all'Interno del parco.
Tranne che nelle zone A e B2, e' consentito lo sfalcio dei prati e delle aree di prateria non pascolate compresi nel parco. L'intervento potra' avvenire a cura di personale del Parco o di terzi autorizzati, nel rispetto delle modalita' fissate dal Regolamento, qualora lo sfalcio sia ritenuto dall'Ente necessario al mantenimento degli assetti naturalistici e/o paesaggistici del parco.
Allo stesso modo, nelle zone C e D, su motivata richiesta e su conforme delibera del Consiglio Direttivo, sono consentiti il miglioramento delle superfici a pascolo attraverso la pratica dello spietramento manuale e del decespugliamento e la trasemina dei prati e dei pascoli, esclusivamente con l'impiego di foraggiere locali.
E' egualmente consentito lo spargimento di concime sulle superfici a pascolo e a prato, nel rispetto delle modalita' stabilite dal Regolamento.
E' consentito il ripristino e la ricostruzione dei manufatti funzionali all'attivita' zootecnica, come recinzioni, passerelle, abbeveratoi, ecc. nel rispetto delle forme e dei materiali tradizionali, secondo le indicazioni riportate in allegato alle presenti norme.
Gli interventi selvicolturali di cui all'articolo 10, qualora interessino superfici superiori ai 2,5 ettari nei boschi cedui e utilizzazioni superiori ai 100 mc di legname nei boschi d'alto fusto, possono essere eseguiti solo da ditte specializzate e di provata competenza o direttamente dal personale dipendente dall'Ente.
Negli stessi boschi di cui al comma precedente e' consentito il recupero di alberi schiantati, anche al di fuori delle scadenze degli ordinari interventi.
Qualora si verifichino infestazioni parassitarie o fitopatie che possano mettere in pericolo l'equilibrio dei sistemi forestali, puo' essere autorizzata dall'Ente l'esecuzione di tagli straordinari, comunque da compiere coi criteri stabiliti dal Regolamento.
In attesa dell'adozione del progetto speciale Selvicoltura e riassetto forestale, nei boschi privati potranno continuare le consuetudinarie forme di utilizzazione, ferme restando il dettato delle "Prescrizioni di massima e di Polizia forestale".
ART. 18
PRESCRIZIONI PER LE INFRASTRUTTURE

Per la tutela dei delicati equilibri ambientali, e in particolare di quelli idrogeologici, nonche' per la conservazione della flora, della fauna e dei sistemi da esse edificati, sul territorio del Parco non sono ammessi:

- l'installazione di tralicci, linee elettriche aeree ad alta
tensione e relative cabine di trasformazione; - la posa in opera di nuovi impianti e di antenne per radio-
telecomunicazione, fatti salvi quelli funzionali alla vigilanza,
al soccorso e quelli necessari alle popolazioni locali, qualora
non siano possibili diverse alternative; - movimenti di terreno e scavi capaci di alterare la forma del
territorio e la qualità dell'ambiente, fatti salvi gli
interventi ad opera dell'Ente o da esso prescritti o autorizzati
e necessari all'espletamento delle sue funzioni di sorveglianza,
presidio e controllo.
Con l'eccezione dei casi contemplati dal Decreto Ministeriale 11/03/1988 e sue successive modificazioni, e dalla Circolare LL.PP. 24/09/1988 n. 30483, sono ammessi, previa autorizzazione dell'Ente Parco:

- gli interventi e le opere necessari per l'ammodernamento e la
sicurezza degli impianti nonché la manutenzione ordinaria e
straordinaria delle linee elettriche e telefoniche esistenti; - gli accessi agli impianti esistenti con i necessari mezzi
d'opera; - nei limiti specificati dal Regolamento, le potature di quelle
piante d'alto fusto ed il taglio alla base delle piante cedue
che trovandosi in prossimità delle linee elettriche e
telefoniche esistenti pregiudichino il normale servizio
elettrico e l'incolumità delle persone; - la sostituzione dei conduttori nudi di linee esistenti con cavo
aereo ecologico; - interventi di stabilizzazione dei corsi d'acqua e dei versanti
soggetti a fenomeni di dissesto, ad esclusione di quelli
ricadenti in zone A e B2, e comunque sono sempre ammessi ove sia
dimostrata la necessità dell'opera a difesa di insediamenti,
manufatti od attività economicamente e socialmente importanti.
Per tali interventi si farà, ove possibile, riferimento la
tecniche dell'ingegneria naturalistica. Le opere trasversali
interposte ai corsi d'acqua dovranno essere dotate di scale di
rimonta; - opere di ripristino dei siti di cava dismessa, così come
indicato al precedente Art. 16; - lavori di ordinaria e di straordinaria manutenzione, coi
relativi movimenti di terra, di strade, di impianti, reti
elettriche e telefoniche e di sentieri; - sbancamenti necessari al miglioramento di strade di servizio
all'attività silvo-pastorale, compresa la costruzione e il
rifacimento di ponti; - movimenti di terra e scavi connessi alla realizzazione, al
recupero, al restauro e al miglioramento degli edifici; - interventi associati all'arredo delle aree attrezzate per la
sosta e per il ristoro; - scavi per l'interramento di opere di derivazione di acquedotti,
di linee elettriche o di scarichi sul suolo, e quanto altro sia
previsto dalla normativa nazionale e comunitaria in tema di
manutenzione e di tutela delle sorgenti e delle opere di presa.
Previo parere favorevole dell'Ente e' consentita la collocazione di simboli di culto e di strutture commemorative, come croci, lapidi, ecc.. E' ammesso il pronto ripristino degli impianti esistenti in caso di danneggiamento e comprovata urgenza, previa comunicazione
 
all'Ente Parco.
ART. 19
DISCIPLINA DELLE ATTIVITA' SPORTIVE E RICREATIVE

Sono ammesse le attivita' sportivo tradizionali, quali l'escursionismo, l'alpinismo e lo sci-alpinismo, nei periodi e nei modi in cui non arrecano disturbo o danno alla vegetazione, alla fauna e al paesaggio, secondo quanto stabilito dal Regolamento al riguardo.
E' fatto comunque divieto di aprire nuove vie ferrate, salvo la realizzazione e la manutenzione di brevi tratti attrezzati, esclusivamente lungo la sentieristica CAI, nonche' di praticare il torrentismo.
Sono altresi' consentiti, nel rispetto delle modalita' e dei tempi fissati dal Regolamento del Parco: - la pratica dello sci da fondo; - l'impiego della mountain-bike, oltre che sulla viabilita' statale,
provinciale e comunale, esclusivamente lungo le strade
silvo-pastorali, per quanto concerne le zone C e D, ed
esclusivamente lungo i percorsi indicati nella cartografia di
Piano, nelle zone B1; - l'escursionismo a cavallo nelle zone C e D e, per quanto concerne
le zone B1, esclusivamente lungo gli itinerari indicati nella
cartografia di Piano; - l'attivita' speleologica, previa autorizzazione di volta in volta
concessa dall'Ente, con le modalita' e coi vincoli fissati dal
Regolamento; - l'uso di natanti sprovvisti di motore, o con motore elettrico; - l'organizzazione e l'attuazione di manifestazioni sportive, gare ed
altre attivita' ludico-ricreative collettive, previa autorizzazione
dell'Ente, concessa nel caso siano ritenute compatibili con la
tutela della vegetazione e della fauna del parco. Tali attivita'
possono essere ammesse solo nelle zone C e D.
Sono altresi' consentite, con le modalita' fissate dal Regolamento del Parco, le tradizionali feste e sagre popolari, il cui svolgimento avverra' entro aree appositamente attrezzate.
Non sono invece consentiti, fatti salvi i casi di accertata necessita' e/o secondo i criteri espressi nel Regolamento del Parco, il campeggio libero e il bivacco.

TITOLO V

SISTEMI DI ATTREZZATURE

ART. 20
STRUTTURE E ATTREZZATURE DI SERVIZIO DEL PARCO

Il Piano per il Parco localizza e individua in cartografia i servizi, le strutture edilizie e le attrezzature necessarie al funzionamento del Parco e mirate a rendere ottimale la sua fruizione culturale, educativa, scientifica e ricreativa.
Il Piano segnala altresi', fuori dei confini del Parco, alcune strutture edilizie e alcune aree per le quali suggerisce destinazioni opportune per esaltare l'efficacia degli interventi previsti dal Piano.
Sono strutture e attrezzature di servizio del Parco: - centri visitatori; - punti informazione; - aree attrezzate; - spazi espositivi; - punti di appoggio logistico; - sentieri natura multitematici; - itinerari tematici.

Fanno altresi' parte delle strutture di servizio del Parco: - foresterie; - edifici e manufatti destinati alla sorveglianza dell'area protetta
(rifugi forestali); - manufatti destinati all'avvistamento e alla difesa attiva contro il
fuoco; - manufatti destinati al soccorso e agli interventi di emergenza.

Nell'Allegato B si elencano le strutture di servizio del Parco, definendone la destinazione d'uso.

TITOLO VI

PROGETTI SPECIALI E AZIONI DEL PARCO

ART. 21
PROGETTI SPECIALI

Come indicato all'articolo 2 e specificato agli articoli 10, 11, 12 e 13, il Piano per il Parco si attua anche attraverso lo sviluppo di progetti speciali. Tali progetti sono mirati a raggiungere specifici obiettivi, per i quali sara' necessario attivare un articolato sistema di indagini, in sinergia con gli obiettivi del Sistema Informativo Territoriale del Parco.
Nella relazione di Piano e nelle schede della ricerca applicata da esso prevista sono indicati come progetti speciali:

- Selvicoltura e riassetto forestale. - Fauna, habitat faunistici e controllo zoosanitario. - La difesa del territorio e la mitigazione dei rischi (difesa
idrogeologica e rischio idraulico; difesa dagli incendi
boschivi). - Sistema zootecnia-produzioni foraggiere. - La malga modello. - Promozione delle produzioni (miele, piante officinali,
artigianato, marchio del parco). - Tutela, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio edilizio. - Sistema informativo territoriale.
Il Consiglio Direttivo del Parco provvedera' allo sviluppo dei progetti speciali destinando ad essi i necessari finanziamenti.
Nella predisposizione dei progetti speciali verra' assicurata particolare attenzione all'esigenza di mantenere la continuita' territoriale ed ecologica del territorio del Parco evitando, nella realizzazione di opere e interventi, la formazione di barriere.

ART. 22
AZIONI DEL PARCO

Come segnalato nella relazione di Piano, il Parco promuove una serie articolata e coordinata di azioni, con le quali intende sviluppare occasioni di cultura naturalistica e di economia tra loro sinergiche e sintoniche con gli obiettivi della legge 394/91. Rientrano nel novero delle azioni del parco, al cui sviluppo saranno destinati specifici interventi deliberati dall'Ente:

- la ricerca e le collaborazioni scientifiche e culturali con
altri Enti; - informazione, l'educazione e la didattica; - l'escursionismo e la ricreazione; - le attività primarie e il recupero di assetti colturali di
pregio (attività forestali e attività alpicolturali); - attività di formazione.
Il Parco provvedera' a stabilire, per ciascuna delle suindicate azioni e fermi restando gli obiettivi trasmessi dalla relazione di Piano, le priorita' nello sviluppo degli interventi e la dimensione dei contributi che il Parco destinera' alla loro realizzazione.

TITOLO VII

ART. 23
NORMA TRANSITORIA

Fino all'approvazione dei progetti speciali, e comunque non oltre tre anni dall'approvazione del piano, il Consiglio Direttivo puo' deliberare interventi specifici che non siano normali dagli articoli precedenti e non contrastanti con le presenti norme.
L'Ente parco persegue la tutela dei valori naturalistici, ambientali, paesaggistici, culturali e colturali presenti nel territorio delle Dolomiti Bellunesi. Per tale motivo esso osta ogni forma di intervento capace di produrre negative alterazioni degli assetti fisici e biologici nell'area protetta e promuove ogni azione volta al recupero di piu' validi stati di equilibrio ecologico, ovvero connotati da piu' elevato valore delle risorse naturali e ambientali.
Sulla base di questo principio, cui si ispira la Legge quadro sulle aree protette (Legge n. 394/91), l'Ente Parco promuove la collaborazione con tutti gli altri Enti a diverso titolo attivi sul territorio delle Dolomiti Bellunesi al fine di porre rimedio a tutte le forme d'uso delle risorse naturali che siano in conflitto con la conservazione della natura e dei suoi valori, nonche' con le presenti norme.
In particolar modo l'Ente Parco si riserva di promuovere, in collaborazione con l'Autorita' di Bacino, per i fiumi dell'Alto Adriatico, una campagna di ricerche e di sperimentazioni, volta a determinare gli impatti prodotti sugli ecosistemi acquatici dalle captazioni e dalle derivazioni idriche attualmente esistenti sul territorio del parco.
Tali ricerche e sperimentazioni saranno programmate, seguite e valutate, con l'apporto di soggetti e laboratori di riconosciuto valore scientifico.

ART. 24
RACCORDI ISTITUZIONALI

Le previsioni del presente piano ed i vincoli ove riferiti a territori e beni appartenenti al demanio pubblico ed al patrimonio dello Stato sono definiti dall'Ente Parco sentite le competenti Amministrazioni Statali.
 
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