Gazzetta n. 100 del 2 maggio 2001 (vai al sommario)
CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
PROVVEDIMENTO 8 marzo 2001
Accordo tra il Ministro della sanita' e le regioni e province autonome di Trento e Bolzano sulle linee-guida concernenti la prevenzione, la diagnostica e l'assistenza in oncologia.

LA CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO
LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO

VISTO l'articolo 2, comma 2, lett. b) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che affida a questa Conferenza il compito di promuovere e sancire accordi, secondo quanto previsto dall'articolo 4 del medesimo decreto legislativo;
VISTO l'articolo 4, comma 1, del predetto decreto legislativo, nel quale si prevede che, in questa Conferenza, Governo, Regioni e Province autonome, in attuazione del principio di leale collaborazione, possano concludere accordi al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attivita' di interesse comune;
VISTO lo schema di accordo pervenuto dal Ministero della sanita' il 10 novembre 2000;
CONSIDERATO che il 13 dicembre 2000 e il 1o marzo 2001 in sede tecnica, i rappresentanti delle Regioni hanno formulato alcune proposte di modifica al testo dell'accordo in oggetto, che sono state accolte dai rappresentanti delle Amministrazioni centrali;
VISTO lo schema di accordo, pervenuto dal Ministero della sanita' il 2 marzo 2001;
ACQUISITO l'assenso del Governo e dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome, espresso ai sensi dell'articolo 4, comma 2 del richiamato decreto legislativo;

sancisce il seguente accordo nei termini sottoindicati:

Il Ministro della sanita', le Regioni e le Province autonome di
Trento e Bolzano

CONSIDERATO che il Piano sanitario nazionale 1998-2000, all'obiettivo II "Contrastare le principali patologie" indica le malattie neoplastiche tra le aree cruciali di intervento e si propone di contrastarle attraverso interventi di prevenzione primaria e
secondaria e di promuovere l'efficacia dei programmi assistenziali;
CONSIDERATO altresi' che in oncologia, l'invecchiamento della popolazione, la crescita del numero delle persone affette da tale patologia, il conseguente aumento dei bisogni, con diversi livelli di complessita', per i quali occorre garantire continuita' dell'intervento di cura senza tralasciare le variabili psico-sociali in grado di contribuire a migliorare la qualita' di vita richiedono la capacita' di erogare risposte integrate e coordinate, e che tale obiettivo presuppone non solo l'integrazione professionale, ma anche istituzionale e gestionale, finalizzata alla realizzazione di un concreto coordinamento degli interventi nei diversi settori impegnati nella produzione di servizi e coinvolti, a diverso titolo, nella prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie oncologiche;
RITENUTO che presupposto irrinunciabile e' quindi una forte integrazione tra le strutture che erogano assistenza oncologica e quelle che si occupano piu' specificamente degli esiti della patologia;
RITENUTO che i miglioramenti terapeutici ed assistenziali ed il miglioramento della qualita' di vita sono pertanto strettamente connessi alla definizione di specifici percorsi, tramite i quali le strutture preposte si attivano, per garantire la presa in carico del paziente oncologico durante tutte le fasi della malattia, promuovendo e realizzando il coordinamento delle attivita' ospedaliere e territoriali;

Convengono quanto segue

- il presente documento: "Linee Guida concernenti la prevenzione,
la diagnosi e l'assistenza in oncologia" ferma restando l'autonomia
organizzativa delle Regioni e Province autonome, la formulazione
delle linee generali, in un processo armonico e coordinato, per
l'implementazione del sistema della rete dei servizi oncologici,
che presuppone, in relazione ai bisogni assistenziali, interventi
da erogare in ambito ospedaliero e territoriale, nella logica della
continuita' assistenziale, tenuto conto anche della loro
intensita'.
- al fine della realizzazione di quanto previsto nel presente piano
il Ministero della sanita', tramite la Commissione oncologica
nazionale, che si provvedera' ad integrare con cinque
rappresentanti regionali, assicurera' un'azione di promozione e di
coordinamento nelle attivita' che le Regioni potranno sviluppare
nell'implementazione delle Linee Guida che sono parte integrante
del presente accordo e procedera', concordandolo con le Regioni,
all'attivazione di un sistema di rilevazione periodica dei dati
inerenti gli obiettivi specifici intermedi indicati nel documento e
sullo stato d'avanzamento e di realizzazione delle strategie
sottese all'implementazione del Piano oncologico.

Il presidente: DI CAMILLO
 
DIREZIONE GENERALE DELLA PREVENZIONE
(gia' -DIPARTIMENTO DELLA PREVENZIONE-)
Commissione oncologica nazionale

Linee Guida concernenti la prevenzione,
la diagnosi e l'assistenza in oncologia

Parte I

GLI OBIETTIVI DI SALUTE DEL PIANO ONCOLOGICO
NAZIONALE

PREMESSA

Il cancro e' una delle patologie piu' complesse e diffuse nel panorama epidemiologico clinico attuale.
La complessita' della patologia oncologica dipende da alcune caratteristiche biologiche e cliniche peculiari dei tumori maligni, quali l'eziologia multifattoriale, l'eterogeneita' biologica, la variabilita' delle manifestazioni cliniche e della storia naturale della malattia, l'estrema diversificazione della risposta terapeutica ai diversi trattamenti, in particolare alla terapia medica, in funzione del tipo istologico e delle proprieta' bio-molecolari, della sede d'insorgenza della neoplasia e, infine, la gravita' delle problematiche assistenziali, psicologiche e sociali sollevate dal riconoscimento della malattia e dall'evoluzione della stessa verso la cronicita' o verso la fase terminale.
La diffusione della malattia rappresenta inoltre un dato quantitativo che, al pari della complessita' biologica e clinica, pone l'esigenza del controllo del cancro fra le priorita' assolute in tema di tutela della salute.

IMPATTO COMPLESSIVO DELLA PATOLOGIA ONCOLOGICA

I dati epidemiologici di maggior rilievo riguardano l'incidenza, la mortalita' e la prevalenza della malattia nella popolazione italiana.
La misura dell'incidenza e' un indicatore del fabbisogno di risorse diagnosticoterapeutiche nella fase d'esordio della malattia. L'incidenza stimata dei tumori maligni in Italia e' pari a 389.8 nei maschi e 309.5 nelle femmine per 100.000 abitanti. Nel 1996, per 1000 abitanti, i tassi complessivi di mortalita' per cancro sono stati 3,14 nei maschi e 2,12 nelle femmine. ( fonte I.S.S.) La probabilita' di ammalare di cancro, nel corso della propria vita, e' per gli uomini di 1\3 e per le donne 1\4. Il cancro e' inoltre la prima causa di anni di vita perduti.
In termini assoluti, in Italia i nuovi casi annui di tumore maligno assommano a circa 270.000. I decessi, dovuti ogni anno alla malattia, sono circa 150.000, pari al 24-25 % di tutte le cause di morte e occupano il secondo posto dopo le malattie cardiovascolari. Nel 1996 si sono verificati 87.428 decessi per cancro nei maschi e 62.726 decessi nelle femmine. (fonte I.S.S.)
I tassi di mortalita', compresi nella fascia di eta' tra i 35 ed i 64 anni, si sono mantenuti piuttosto costanti, mentre e' aumentata, nell'ultimo decennio, l'incidenza della patologia neoplastica. Il dato puo' rappresentare un utile indicatore del miglioramento delle potenzialita' diagnostico-terapeutiche e degli assetti organizzativi nel campo dell'assistenza ai malati oncologici.
Se per alcune neoplasie (prostata e polmone) l'incremento dell'incidenza puo' correlarsi al prolungamento della vita media, cio' non e' per altre patologie (mammella, colon retto, melanoma) per le quali vi e' stato invece un significativo aumento, anche nelle fasce di eta' piu' giovani, comprese tra i 35 ed i 64 anni.
Il piu' frequente tumore nel sesso maschile e' quello del polmone, che colpisce ogni anno 29.000. uomini; il piu' frequente tumore nel sesso femminile e' quello del seno, che colpisce ogni anno 31.000. donne.

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI TUMORI IN ITALIA.

La distribuzione del cancro in Italia e' caratterizzata dall'elevata differenza di incidenza e di mortalita' fra grandi aree del paese, in particolare fra nord e sud. In entrambi i sessi e per la maggior parte delle singole localizzazioni tumorali, ed in particolare per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di ammalare e' molto superiore al nord che al sud del paese. Questo dato e' unico tra i paesi industrializzati europei, dove si hanno, fra regioni, differenze meno marcate.
Questi dati sembrano d'altronde essere coerenti con quanto noto sulla minore presenza di fattori di rischio di tumore nelle popolazioni meridionali quali:

- livelli di consumo di tabacco e di alcool inferiori a quelli del
nord del paese;
- profili riproduttivi di cui e' dimostrata l'associazione con
ridotti livelli di rischio dei tumori della mammella;
- meno frequente esposizione a sostanze cancerogene in ambienti di
vita e di lavoro;
- abitudini alimentari ricche di vegetali freschi e relativamente
povere di grassi animali.

I CONFRONTI INTERNAZIONALI

Nel caso dei tumori piu' frequenti: polmone, colon-retto, mammella e vescica, i dati italiani sono allineati ai livelli di frequenza piu' elevati del Nord America e Nord Europa; nel caso di altre neoplasie rilevanti, quali il cancro dello stomaco, il cancro del fegato e della prostata, i profili di rischio sono comparabili con quelli propri di paesi a basso sviluppo economico. Tali osservazioni collocano l'Italia ai livelli alti di frequenza, osservati nel mondo.

LA SOPRAVVIVENZA

Nelle malattie croniche e nel caso specifico nei tumori, la durata della sopravvivenza e' considerata la misura piu' adeguata dell'efficacia delle cure. Le differenze di sopravvivenza fra tipi di tumori e' funzione peraltro di numerose variabili, quali la possibilita' di una loro diagnosi in fase asintomatica, attraverso i test di screening, la probabilita' di una loro diagnosi in fase sintomatica precoce, l'efficacia di specifici trattamenti.
Per alcune neoplasie si dispone di test di screening di provata efficacia, nel consentire trattamenti precoci che riducano la letalita'. Per altre, al momento, non esistono simili strumenti ed il trattamento dei casi sintomatici produce tuttora risultati deludenti. L'osservazione della durata della sopravvivenza, a cinque anni, per il complesso dei tumori, mostra che i risultati terapeutici osservati in Italia sono buoni e la situazione nel complesso puo' considerarsi soddisfacente. Le differenze riscontrabili all'interno del paese indicano che vi sono comunque margini di miglioramento delle possibilita' di trattamento per alcune forme tumorali. Il confronto con il quadro europeo e' buono. Infatti, i dati di sopravvivenza rilevati in Italia sono uguali, superiori e, nei casi meno brillanti, comunque non inferiori ai livelli minimi osservati in altri paesi.

LA PREVALENZA

I dati di prevalenza esprimono il carico di una patologia presente in una popolazione. Per quanto attiene le malattie neoplastiche, sono quindi indicatori della domanda di servizi nelle fasi successive alla fase acuta della malattia.
La prevalenza stimata delle persone che vivono oggi avendo o avendo avuto una storia di cancro e' di circa 1.400.000.
I dati relativi all'incidenza e sopravvivenza dei tumori sono in aumento, cosi' come e' in crescita l'attesa di vita, anche nelle persone anziane. Queste tendenze convergono nell'allargare la quota di casi prevalenti nella popolazione. Sono quindi evidenti le implicazioni che la patologia oncologica, nelle sue varie fasi, comporta per il servizio sanitario e per la societa'.

OBIETTIVI PRIMARI

In questo scenario epidemiologico-clinico, il Piano Oncologico Nazionale si propone di raggiungere i seguenti obiettivi primari:

1- riduzione dell'incidenza dei tumori;

2 - riduzione della mortalita';

3 - aumento della sopravvivenza e miglioramento della qualita' di vita dei malati di cancro.

Gli obiettivi primari del Piano Oncologico Nazionale possono essere raggiunti con un'appropriata metodologia, che consiste nella realizzazione di una concreta strategia globale di controllo del cancro, da perseguire attraverso l'individuazione, la programmazione, la pianificazione e l'attuazione pratica di adeguati interventi di sanita' pubblica in campo oncologico.
Il razionale sul quale si basa la strategia globale del controllo del cancro deriva dalla complessita' del fenomeno e dall'esigenza, che ne consegue, di utilizzare in modo integrato tutti gli strumenti attualmente disponibili per fronteggiare i diversi aspetti della malattia, che sono di seguito elencati:

- epidemiologia;.br, - prevenzione primaria; - diagnosi precoce; - ricerca preclinica e clinica; - diagnosi; - terapia; - realizzazione delle cure palliative in oncologia.

La condizione, perche' si realizzi un efficace intervento di controllo del cancro, e' che le relative azioni siano adeguatamente coordinate ed integrate. Solo realizzando l'integrazione organizzativa delle risorse dedicate alla prevenzione, alla diagnosi e, particolarmente, di quelle dedicate specificatamente alle cure oncologiche, e' prevedibile il miglioramento dell'efficacia dei servizi sanitari.
Infatti, la possibilita' di disporre di tecnologie di elevata qualita', sia a livello diagnostica sia terapeutico, e contestualmente il conseguimento delle migliori forme di integrazione di chirurgia, chemioterapia e radioterapia consentono di ottenere migliori risultati in termini di sopravvivenza, come dimostrato da studi recenti condotti dai Registri Tumori di popolazione italiana (ITACARE) ed europea (EUROCARE).
Questi studi hanno dimostrato che la sopravvivenza a lungo termine, a 5 e a 10 anni dalla diagnosi, dei casi affetti da tumore maligno, e' aumentata significativamente negli ultimi venti anni, passando da valori del 30-35 % a valori del 40-45% e, per alcuni tumori, superando la soglia del 50%. Cio' ha comportato una riduzione del rischio globale di morte del 30% dal 1978 ad oggi. Il dato che emerge con evidenza dallo studio ITACARE e' che esistono significative differenze di sopravvivenza fra le diverse aree del paese, a sfavore delle regioni del centro-sud, rispetto a quelle del nord e che queste differenze riguardano quasi esclusivamente quei tumori che rispondono bene ai trattamenti convenzionali considerati.
Cio' dimostra che le possibilita' di guarigione e di lunga sopravvivenza dei malati affetti da tumore maligno dipendono, in gran parte, dalla qualita' dei servizi diagnostici e terapeutici erogati dai presidi di oncologia, dalla loro migliore integrazione e dall'organizzazione territoriale delle attivita' e delle strutture oncologiche di prevenzione, diagnosi e cura, in stretto collegamento con i Dipartimenti di Prevenzione ed i Distretti di cui agli art. n.3 quater, 3 quinquies, 7bis, 7ter, 7quater del Decreto legislativo 229, e secondo quanto previsto dal D.M. 24.4.2000 " Progetto obiettivo materno infantile, pubblicato sulla G.U. n. 89 del 7.6.2000.
Come gia' precedentemente enunciato, in apparente contrasto con questi dati, che riguardano la sopravvivenza ed il rischio relativo di morte dei malati di cancro, sono i dati forniti dall'ISTAT e dal sistema dei Registri Tumori sulle variazioni geografiche dei tassi di incidenza e di mortalita' per tumore, che risultano quasi dimezzati nelle regioni meridionali rispetto a quelle del nord.
Il fenomeno sembra chiamare in causa il ruolo dei fattori di rischio legati agli stili di vita ed alle condizioni ambientali e lavorative nel determinismo della malattia neoplastica e sembra anche dimostrare come ad una riduzione dell'incidenza corrisponda necessariamente anche una riduzione di mortalita'.
Ne consegue che la strategia globale di controllo del cancro deve tenere conto oltre che delle potenzialita' diagnostiche e terapeutiche anche delle possibilita' di intervento in ambito preventivo, mirate sia alla modificazione degli stili di vita, che comportano un maggior rischio di ammalare di cancro, sia alla protezione, quando questa sia possibile, dei singoli individui e/o della popolazione generale, dai fattori di rischio ambientali o lavorativi, di tumore maligno.

OBIETTIVI SPECIFICI INTERMEDI, MONITORAGGIO E CONTROLLO

Da quanto sopra espresso deriva che il raggiungimento degli obiettivi primari del Piano Oncologico si puo' ottenere solo grazie alla realizzazione degli obiettivi specifici intermedi di seguito elencati nei punti 1, 2 3, 4, 5, ed all'attivazione di un sistema di monitoraggio e di controllo da attuare attraverso le strategie indicate nei punti 6, 7, 8.

1) Ottimizzazione degli standard terapeutico-assistenziali,
attraverso la razionalizzazione, l'integrazione organizzativa e
funzionale ed il potenziamento dei presidi oncologici con funzione
di diagnosi e cura;
2) Attuazione, sul territorio nazionale, di una rete di presidi
dedicati alle cure palliative e di programmi di assistenza
domiciliare ai malati terminali;
3) Promozione di programmi di screening di documentata efficacia,
per la diagnosi precoce dei tumori in tutte le regioni italiane;
4) Realizzazione di programmi di prevenzione primaria mirati alle
patologie per le quali l'efficacia degli interventi preventivi e'
stata documentata;
5) Potenziamento della ricerca clinica in oncologia, da realizzare
tramite l'allocazione di adeguate risorse e la predisposizione di
un piano nazionale di settore.
6) Consolidamento e sviluppo della rete di monitoraggio
epidemiologico basata sui registri tumori di popolazione;
7) Attivazione di sistemi di controllo delle migrazioni sanitarie;
8) Attivazione di programmi operativi di promozione e di controllo
di qualita' delle attivita' diagnostiche e terapeutiche.

Parte II

GLI OBIETTIVI SPECIFICI INTERMEDI

Obiettivo specifico intermedio n. 1 OTTIMIZZAZIONE DEGLI STANDARD ASSISTENZIALI E TERAPEUTICI IN
ONCOLOGIA.

Il S.S.N. assicura i livelli essenziali ed uniformi di assistenza, definiti dal Piano sanitario nazionale, nel rispetto dei bisogni di salute, dell'equita' di accesso all'assistenza, della qualita' delle cure e della loro appropriatezza. Pertanto i livelli di assistenza rappresentano l'ambito delle garanzie da assicurare in tutto il territorio nazionale.
Il Piano, nel precisare che la promozione e la tutela della salute implicano una riorganizzazione del sistema, che consenta un riequilibrio fra i diversi settori di intervento, rileva il necessario impegno nella riallocazione delle risorse, dalla cura alla prevenzione, dalla generalita' della popolazione ai gruppi a rischio, dall'assistenza ospedaliera all'assistenza territoriale. Il Piano specifica inoltre che le strategie da porre in essere, per una razionalizzazione del sistema medesimo, devono prevedere il coordinamento intra ed interaziendale, il potenziamento dell'assistenza in regime di day hospital, la diffusione dell'assistenza domiciliare integrata, lo sviluppo di programmi di screening.
In oncologia, l'invecchiamento della popolazione, la crescita del numero delle persone affette da tale patologia, il conseguente aumento dei bisogni, con diversi livelli di complessita', per i quali occorre garantire continuita' dell'intervento di cura, senza tralasciare le variabili psico-sociali, in grado di contribuire a migliorare la qualita' di vita, richiedono la capacita' di erogare risposte integrate e coordinate. Tale obiettivo presuppone non solo l'integrazione professionale, ma anche istituzionale e gestionale, finalizzata alla realizzazione di un concreto coordinamento degli interventi nei diversi settori impegnati nella produzione di servizi e coinvolti, a diverso titolo, nella prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie oncologiche.
Il Piano sanitario nazionale individua i livelli uniformi, essenziali ed appropriati di assistenza, definiti con riferimento a:

a)assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro; b)assistenza distrettuale; c)assistenza ospedaliera.

Il Piano, oltre a definire i livelli di assistenza, individua anche la conseguente attribuzione e riclassificazione dei compiti, delle attivita' e delle prestazioni che ai diversi livelli devono essere fornite e garantite.
Il presente documento rappresenta la formulazione delle linee generali su cui devono articolarsi e svilupparsi, in un processo armonico e coordinato, le strategie organizzative sottese all'implementazione del sistema della rete dei servizi oncologici, che presuppone, in relazione ai bisogni assistenziali, interventi da erogare in ambito ospedaliero e territoriale, nella logica della continuita' assistenziale, tenuto conto anche della loro intensita'.
Presupposto irrinunciabile e' quindi una forte integrazione tra le strutture che erogano assistenza oncologica e quelle che si occupano piu' specificamente degli esiti della patologia.
I miglioramenti terapeutici ed assistenziali ed il miglioramento della qualita' di vita sono pertanto strettamente connessi alla definizione di specifici percorsi, tramite i quali le strutture preposte si attivano, per garantire la presa in carico del paziente oncologico, durante tutte le fasi della malattia, promuovendo e realizzando il coordinamento delle attivita' ospedaliere e territoriali.

Occorre peraltro preliminarmente sottolineare che:

- I presidi oncologici di diagnosi e cura sono strutture di
primaria importanza nella strategia globale di controllo del
cancro.
- L'integrazione delle terapie chirurgiche, mediche, radioterapiche
e' in grado di determinare la guarigione nel 55-60% dei malati di
tumore maligno.
- La corretta applicazione di programmi terapeutici e degli
interventi riabilitativi, coerenti con i migliori standard
nazionali ed internazionali, e' in grado di ottenere risultati
significativi, non solo in termini di guarigione definitiva, ma
anche in termini di sopravvivenza, di remissione obiettiva di
malattia e di miglioramento della qualita' di vita.
- Al processo assistenziale concorrono anche le prestazioni
socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, di cui all'art.
3 septies del Decreto Legislativo n. 229 del 19 giugno 1999, con
riferimento all'area delle patologie in fase terminale e delle
patologie cronico degenerative.

Cio' premesso, le condizioni per il raggiungimento di ottimali risultati clinico-terapeutico-assistenziali sono:

- la predisposizione di una rete di presidi diagnostico-terapeutici
e riabilitativi, adeguati ai bacini di utenza e identificati a
livello regionale nell'ottica, prevista dai livelli di cui al Piano
sanitario nazionale.
- la promozione e diffusione di protocolli validati, in base alle
evidenze scientifiche, per migliorare la tempestivita' diagnostica
per le principali patologie;
- la promozione di programmi di informazione per i malati di cancro
e le loro famiglie. Le informazioni devono riguardare la diagnosi,
le opzioni terapeutiche, gli effetti collaterali della malattia e
della terapia, le prospettive di guarigione e i centri di cura
specializzati. Le informazioni dovranno essere chiare,
comprensibili e disponibili in ogni fase del trattamento dalla
diagnosi in poi;
- la garanzia di un tempestivo accesso alle prestazioni, rendendolo
coerente con la gravita' clinica e le necessita' assistenziali del
singolo paziente;
- l'attuazione dei principali percorsi assistenziali, per rendere
agevolmente fruibili le strutture di degenza ordinaria e di
day-hospital dedicate ai pazienti acuti in ambito ospedaliero;
- la riduzione dell'inappropriatezza degli interventi;
- l'implementazione di programmi di assistenza e cura, che
garantiscano la continuita' terapeutica-assistenziale al malato
oncologico, dall'inizio all'esito della malattia, attraverso una
coerente integrazione dei diversi livelli di assistenza
extraospedaliera, ambulatoriale ed ospedaliera, da attuarsi tramite
la definizione di protocolli di comportamento ospedale- territorio;
- la definizione di assetti organizzativi delle strutture di
prevenzione, diagnosi e cura, articolati su diversi livelli di
complessita' in funzione della complessita' della patologia
oncologica;
- l'integrazione multidisciplinare, che garantisca un approccio
globale alle cure dei malati oncologici;
- l'attivazione di strutture dedicate alle cure palliative, per
potenziare gli interventi di terapia palliativa ed antalgica, anche
inseriti in un contesto ospedaliero, quali strutture per post
acuti, per quei pazienti che, seppur non piu' curabili,
necessitano, per brevi periodi, del supporto di una struttura
ospedaliera in grado di erogare assistenza complessa (in caso di
episodi di emergenza intercorrente o di aggravamento con fenomeni
di pregnanza clinica nella fase terminale), non realizzabile al
domicilio del paziente o nelle strutture residenziali appositamente
istituite.
- la realizzazione dell'assistenza domiciliare integrata e
dell'ospedalizzazione domiciliare, per quei pazienti che, secondo
adeguati criteri clinico-biologici, presentano una mediana di
sopravvivenza attesa di novanta giorni e necessitano al domicilio,
con livelli diversi di complessita', di terapia del dolore o di
controllo di altri sintomi.
- la garanzia, per il paziente oncologico, della presenza costante
di una struttura di riferimento.

Con preciso riferimento ai livelli di assistenza individuati dal Piano sanitario nazionale l998\2000, al Dlgs 229 "Norme per la razionalizzazione dello SSN" del 19 giugno 1999 ed alle linee guida gia' pubblicate dal Ministero della Sanita' sulla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1996, si forniscono in questa sede le linee generali di indirizzo per l'assistenza ai paziente oncologico.

1) ASSISTENZA DISTRETTUALE

Il Piano sanitario Nazionale 98\2000 precisa che, nell'ambito del nuovo assetto organizzativo del S.S.N,. il Distretto rappresenta un centro di servizi e prestazioni, in cui la domanda di salute e' affrontata in maniera unitaria e globale. Come specificato dal Decreto Legislativo 229, fatta salva l'autonomia organizzativa e normativa delle singole Regioni prevista dalle leggi vigenti, il Distretto e' struttura operativa dell'Azienda Usl, dotata di autonomia gestionale, realizzata nell'ambito dei programmi approvati dall'Azienda, tenendo conto dei piani per la salute di zona e dell'organizzazione dei servizi, definiti di comune intesa con le amministrazioni comunali. Il Distretto garantisce i servizi di assistenza primaria, ivi compresa la continuita' assistenziale, relativi alle attivita' sanitarie e socio-sanitarie, in quanto struttura operativa che meglio consente di governare i processi integrati tra istituzioni. L'art. 3 quater del Dlgs 229 stabilisce inoltre che la legge regionale disciplini l'articolazione in Distretti dell'Azienda sanitaria locale. Il Distretto e' individuato dall'atto aziendale, L'Azienda sanitaria locale, tramite il Distretto, svolge e garantisce i seguenti compiti:

- assicura i servizi di assistenza primaria, relativi alle
attivita' sanitarie e socio-sanitarie, nonche', il coordinamento
delle proprie attivita' con quelle dei dipartimenti e servizi
aziendali, inclusi i presidi ospedalieri, inserendole organicamente
nel programma delle attivita' territoriali, basate sul principio
dell'intersettorialita' degli interventi;
- permette l'integrazione funzionale tra il territorio e
l'ospedale, facilitando l'iter diagnostico terapeutico ed
assistenziale del paziente, al quale deve essere assicurata una
presenza costante di una struttura di riferimento;
- garantisce, quindi, la continuita' assistenziale e la presa in
carico medico-assistenziale e psicorelazionale del paziente
oncologico sin dal momento della comunicazione della diagnosi,
attraverso il necessario coordinamento e l'approccio
multidisciplinare, in ambulatorio ed al domicilio del paziente tra
i medici di medicina generale ed i servizi specialistici ed
ambulatoriali, cosi' come tra i medici di medicina generale e le
strutture ospedaliere, assicurando, in tal modo, la circolarita'
delle informazioni tra specialisti, medici di base e personale
sanitario e sociale.

Ruolo del medico di medicina generale

Nell'ambito dell'assistenza sanitaria di base, ricompresa nella macroarea dell'assistenza distrettuale, il medico di medicina generale ed il pediatra di libera scelta, nell'ambito della specifica attivita' clinica prevista dagli accordi collettivi nazionali e regionali, devono interagire, a vari livelli, con le strutture che svolgono attivita' in campo oncologico, per assicurare l'iter diagnosticoterapeutico e assistenziale del paziente oncologico, quali referenti che si devono integrare funzionalmente con gli specialisti di settore. In tale contesto possono pertanto rappresentare il punto di riferimento per l'assistito, per l'adeguata immissione nel circuito ospedaliero e la continuita' assistenziale, dopo la dimissione.
Il medico di medicina generale assume un ruolo determinante nella diagnosi tempestiva delle neoplasie, cui e' legata, in buona parte, la possibilita' di successo terapeutico. Il suo contributo e' quindi strategico nel cercare di ridurre le diagnosi tardive. E' utile inoltre, a tal proposito, prevedere a livello regionale la definizione e adozione dei provvedimenti necessari per ridurre i tempi di attesa degli accertamenti diagnostici e le consulenze specialistiche e, piu' in generale, per favorire la comunicazione, tra medici di medicina generale e medici specialistici, e l'integrazione assistenziale tra ospedale e territorio.
Il medico di medicina generale puo' svolgere un ruolo specifico nei programmi di follow-up dei pazienti oncologici, sempre tramite una stretta integrazione con gli specialisti del settore, anche al fine di privilegiare le prescrizioni di procedure diagnostiche necessarie ed appropriate in termini di efficacia e di rispetto della qualita' di vita.
Per quanto attiene il ruolo svolto dal medico di medicina generale. nei confronti delle iniziative di prevenzione primaria e secondaria e delle attivita' connesse all'implementazione dei programmi di assistenza domiciliare integrata, si rimanda ai rispettivi capitoli del presente Piano.

2) ASSISTENZA OSPEDALIERA

2a) Ospedali per acuti

L'assistenza ospedaliera, alla quale e' demandata la cura dei pazienti oncologici, si realizza tramite le specialita' che, nel loro insieme, definiscono l'oncologia clinica e precisamente l'oncologia medica, la radioterapia, la chirurgia. La terapia chirurgica dei tumori e' di primaria importanza nel controllo della malattia neoplastica. Peraltro la complessita' delle strategie terapeutiche richiede la massima integrazione fra la chirurgia e le altre discipline implicate nella terapia dei tumori maligni. Tale integrazione puo' realizzarsi anche favorendo, in strutture ospedaliere complesse, l'istituzione di chirurgie particolarmente dedicate al trattamento dei tumori maligni, quali le chirurgie oncologiche o le chirurgie ad orientamento oncologico.
Per quanto attiene gli interventi in campo diagnostico, di caratterizzazione biologica e stadiazione, di riabilitazione e palliazione, questi sono realizzati attraverso il contributo di ulteriori specialita', integrate con l'oncologia clinica in strutture complesse quali i Dipartimenti oncologici.
E' molto raccomandato che le prestazioni integrate di terapia oncologica siano erogate mediante attivita' clinico-assistenziali delle specialita' di oncologia medica, di chirurgia e di radioterapia.( vedi allegata n. 2)
Con riferimento ai livelli uniformi, essenziali ed appropriati di assistenza ed all'articolazione organizzativa aziendale, prevista dal Decreto Legislativo 229, di cui agli articoli 3 comma 1-bis, 8 quater, 15 quinquies, 17 bis, le Regioni disciplinano, nell'ambito dei Piani oncologici regionali, l'organizzazione della rete dei servizi, tenuto conto delle articolazioni in ASL del territorio regionale, delle necessarie integrazioni delle specialita' di oncologia, chirurgia, radioterapia, e dell'adeguato supporto di servizi, nonche' dell'attivazione dell'organizzazione Dipartimentale.
E' fortemente raccomandata la realizzazione di un efficace ed organico coordinamento a livello regionale di tutta l'attivita' oncologica, per garantire qualita', omogeneita' ed equita' di intervento, per promuovere il collegamento funzionale tra strutture territoriali e strutture di ricovero, secondo il sistema di rete.
Considerate le differenti situazioni locali, fatta salva l'autonomia organizzativa e normativa delle singole Regioni, prevista dalle leggi vigenti, per quanto attiene l'assistenza ospedaliera si rimanda all'Allegato n. 1 al presente documento, fermo restando che l'individuazione dei modelli organizzativi ivi indicati rappresenta per le Regioni un indirizzo orientativo da adattare alle proprie esigenze di programmazione sanitaria.

3) LA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA.

Le linee guida emanate dal Ministero della sanita' per le attivita' di riabilitazione G.U. n. 124 del 3 0.5.1998) distinguono la riabilitazione in due settori:

a) La riabilitazione intensiva, prevalentemente di tipo degenziale, b) La riabilitazione estensiva, che puo' essere attuata in ambito ospedaliero, nei reparti di lungodegenza riabilitativa, in strutture ambulatoriali, al domicilio del paziente ed infine in strutture riabilitative.

Le succitate linee guida individuano anche la tipologia dei pazienti afferenti alla riabilitazione specialistica (neuromotoria, ortopedico-reumatologica, cardiologica, pneumologica).
Pur riconoscendo l'indispensabilita' di un intervento riabilitativo in pazienti oncologici, per lo meno nella fascia di coloro i quali possono beneficiare di un recupero funzionale, al momento le evidenze scientifiche non suggeriscono l'identificazione di un settore specialistico autonomo di riabilitazione oncologica, mentre e' prevedibile l'afferenza dei pazienti oncologici, con turbe d'organo funzionali reversibili, ai diversi reparti di riabilitazione specialistica, eventualmente ricorrendo anche all'intervento riabilitativo multispecialistico.
Occorre quindi garantire e promuovere l'accesso dei pazienti neoplastici ai reparti di riabilitazione, secondo lo specifico danno d'organo anatomofunzionale.
Premesso cio' e' importante che, per diversi livelli di intensita' di riabilitazione, si provveda a definire opportuni percorsi e livelli di assistenza.
Dalla fase intensiva, ove necessario, il paziente dovra' poter accede a strutture riabilitative con minore complessita' organizzativa. L'ultima tappa del processo riabilitativo dovra' essere garantita attraverso la riabilitazione ambulatoriale e domiciliare.
Si raccomanda inoltre, vista la specificita' della malattia oncologica, di ricomprendere nel processo riabilitativo, che deve essere quanto piu' globale possibile, interventi atti a sostenere il recupero psico-relazionale dei pazienti oncologici.

Obiettivo specifico intermedio no2

LE CURE EXTRAOSPEDALIERE ALLE PERSONE AFFETTE DA PATOLOGIA
NEOPLSASTICA

PREMESSA

Le persone affette da patologie neoplastiche necessitano di continuita' di cure dalla diagnosi fino alla guarigione o alla morte; oltre al paziente oncologico l'attenzione deve essere dedicata ai familiari dello stesso.
Un'assistenza di buona qualita' deve consentire al paziente di mantenere la sua posizione nell'ambiente lavorativo e socio familiare; quando cio' non e' possibile deve essere accolto in strutture adeguate alla natura dei problemi. Attualmente l'organizzazione dell'assistenza ai pazienti oncologici si scontra con il problema della divisione e distribuzione del lavoro in sottosistemi piu' o meno omogenei, con una frammentazione delle responsabilita' e delle referenze. L'esito e' un frequente accesso a prestazioni non appropriate, in particolare ospedaliere, maggiormente offerte dal sistema assistenziale e piu' radicate nella cultura popolare.
L'efficacia dell'offerta dipende invece dall'integrazione dei servizi di rete e dalla possibilita' di identificazione di percorsi precisi da parte dell'utenza e dal riconoscimento di un unico canale di accesso per le cure extraospedaliere.
Il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 affida al Distretto di base il compito di ricomporre, con coerenza, il sistema di offerta durante l'intero percorso di salute, malattia, disabilita' e morte di ogni malato.

A) LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA

In Italia i tumori rappresentano circa il 30% delle cause di morte. E' possibile stimare in circa 270.000 i nuovi casi di tumore diagnosticati ogni anno in Italia e in circa 1.400.000 i pazienti con tumore. La sopravvivenza a cinque anni e' pari, per l'insieme dei tumori maligni, al 40%" (PSN 1998-2000). L'elevato numero di pazienti sottolinea la necessita' di prevedere percorsi che tengano conto:

- della intensita' diagnostica e terapeutica espressa a livello
ospedaliero, seppur non esclusivamente;
- della durata e delle manifestazioni della storia clinica della
malattia che, intrecciandosi largamente e lungamente con la
quotidianita' di vita, producono riduzione dell'autonomia e
dell'autosufficienza del malato.

Pertanto i problemi che possono presentarsi riguardano aspetti:

- sanitari; - psicologici e relazionali (grado di consapevolezza, di
accettazione o di rifiuto della malattia e della terapia in corso)
(dinamiche familiari); - informativi (offerta assistenziale); - sociali (sostegno nelle attività quotidiane, tutela dei membri
deboli della famiglia, supporto amministrativo economico) - educativi (addestramento alla gestione del malato ed alla
prevenzione dei problemi) - spirituali.

La complessita' della storia delle persone affette da patologia oncologica consiglia un approccio valutativo che preveda di:

- intercettare i bisogni espressi, cioè percepiti e comunicati
chiaramente; - individuare i bisogni inespressi, cioè non trasformati in domanda
in quanto l'utente non li percepisce (bisogni latenti); - individuare una risposta assistenziale adeguata (bisogni non
comunicati); - individuare il bisogno di aiuto (bisogni inespressi o repressi); - prevenire i bisogni potenziali che potrebbero insorgere per
l'evoluzione o gli esiti della patologia e dei problemi (bisogni
non espressi chiaramente o rimasti inespressi.

B) GLI OBIETTIVI ASSISTENZIALI

Il ventaglio dei problemi e la loro commistione hanno un ruolo importante nel causare una riduzione della qualita' di vita dei pazienti oncologici e dei loro familiari e nel condizionare il livello di adesione al programma assistenziale. I servizi socio-sanitari devono, quindi, garantire un sistema di protezione integrato e duttile, che agevoli la dinamicita' dell'offerta assistenziale imposta dall'evoluzione della malattia, seguendo l'utente nel percorso di riabilitazione o di peggioramento. Occorre a tal proposito predisporre le opportune iniziative, atte a favorire i passaggi da una tipologia assistenziale all'altra, con possibilita' di ripristino della condizione precedente qualora il cambiamento si riveli inadeguato ed a promuovere la flessibilita' e quindi l'ottimizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali, conservando una referenza esplicita ed accessibile per tutta la durata della malattia.

c) L'ASSETTO ORGANIZZATIVO

C1) PRINCIPI

Per rispondere agli obiettivi di efficacia e continuita' di cure ai malati oncologici, devono essere soddisfatti almeno i seguenti principi, propri delle cure primarie:

- garanzia di una referenza unitaria e complessiva per il malato e
per la sua famiglia, che eviti le soluzioni di continuo
nell'attuazione del programma assistenziale;
- competenza ed esperienza per l'assistenza al malato neoplastico
in tutte le fasi della malattia, con un'attenzione particolare
all'individuazione dei bisogni inespressi ed alla previsione di
quelli potenziali;
- comportamenti orientati all'integrazione e alla consulenza
transdisciplinare;
- sistema informativo destinato alla descrizione dei problemi e dei
percorsi assistenziali, per documentare l'accessibilita' e
l'efficienza dei servizi, nonche' per valutare la qualita' delle
cure, correlando modalita' organizzative ed efficacia
assistenziale;
- attenzione, per garantire al malato e ai suoi familiari la
possibilita' di espressione dei bisogni, delle emozioni degli stati
d'animo, dei dubbi e delle difficolta';
- assicurare la partecipazione del malato alle decisioni che lo
riguardano, rendendo disponibili informazioni precise, sufficienti
e chiare;
- sostegno delle motivazioni e consolidamento delle conoscente
degli operatori, per limitare o prevenire l'esaurimento del
personale (burn-out)

La complessita', la variabilita' individuale e la dinamicita' dei problemi implicano l'approccio metodologico fondato su:

- valutazione multidimensionale, razionalizzata mediante l'utilizzo
di strumenti validati;
- pianificazione integrata e personalizzata delle attivita', in
coerenza con le risorse disponibili e secondo l'equo perseguimento
degli obiettivi programmatici di carattere generale;
- erogazione degli interventi che sia transdisciplinare,
tempestiva, continua e di intensita' adeguata, applicando un
processo decisionale improntato alla massima coerenza
assistenziale.

A tutela del malato e dei suoi familiari e' raccomandata la costituzione di Unita' di Valutazione Multidimensionali (U.V.M.) che, per i casi di particolare complessita' e gravita', nel rispetto del diritto di libera scelta dell'utenza, garantiscano in ogni Distretto:

- la valutazione dei problemi;
- la proposta, la predisposizione e la verifica periodica del piano
di cura nel corso dell'evoluzione della malattia;
- l'attuazione di un programma assistenziale integrato,
personalizzato e coordinato in funzione dei bisogni, che garantisca
al malato e ai suoi familiari, conseguito il loro consenso,
l'informazione e l'educazione, nonche' il sostegno psicologico;
- il raccordo con le strutture ospedaliere, gli hospice e le
strutture residenziali;
- il coinvolgimento, lo stimolo e il sostegno delle associazioni di
volontariato attive nel settore dell'aiuto ai malati neoplastici.

Considerando la numerosita' degli assistibili, la peculiarita' dei contenuti assistenziali e la corredata necessita' di formazione specifica degli operatori, e' necessaria la costituzione di nuclei transmurali, dedicati alle cure domiciliari e/o all'accoglimento in hospice, con modalita' organizzative ed erogative volte a conseguire l'integrazione del Distretto con le altre componenti del sistema di offerta. Qualora la ristrettezza delle risorse non consenta tale strutturazione, si raccomanda di prevedere la costituzione di nuclei interdistrettuali o almeno l'impegno specialistico ripartito su piu' Distretti.
Per assicurare coerenza tra il momento valutativo e quello erogativo, le competenze dei diversi operatori assistenziali devono essere presenti nell'equipe valutativa della U.V.M., secondo necessita' in ragione della frequenza e della gravita' dei bisogni da soddisfare,

C2) Modalita' assistenziali e criteri di eleggibilita'

Tenuto conto dei principi organizzativi, il sistema di protezione socio-sanitaria ai malati oncologici si realizza, lungo tutto lo svolgimento della malattia, con diverse modalita' assistenziali.

C2.1) Dimissioni protette

La necessita' di continuazione domiciliare di interventi infermieristici, di prestazioni assistenziali non sanitarie, di riabilitazione fisica e psicologica e di cure palliative, oltre che la fornitura di ausili e presidi sono in genere prevedibili con congruo anticipo rispetto alla dimissione, rendendo di fatto possibile, nella maggior parte dei casi, la preventiva segnalazione al medico curante ed ai Servizi Distrettuali deputati, secondo procedure preventivamente concordate a livello locale.
Durante il ricovero ospedaliero la segnalazione deve avvenire il piu' precocemente possibile, almeno dall'insorgenza della non autonomia non autosufficienza del paziente, al fine di consentire una valutazione tempestiva, coerente ed integrata delle condizioni di salute e dell'ambiente di vita del paziente, per garantire la continuita' assistenziale.
Il trasferimento del malato da un reparto di diagnosi e cura ad un programma di assistenza extraospedaliera avviene per proposta dell'ospedale e deve essere gestito secondo le procedure concordate a livello distrettuale, che dovranno prevedere il coinvolgimento del medico di medicina generale e del servizio accettante. Le dimissioni protette devono essere garantite almeno ai soggetti che soddisfano simultaneamente i seguenti criteri:
a) non autonomia / non autosufficienza, mediante l'applicazione di uno strumento di valutazione multidimensionale validato;
b) necessita' di continuita' di cure e/o carenza di effettivo supporto familiare e/o altre problematiche socio-ambientali gravi.
Le dimissioni protette sono inoltre raccomandate per i malati che, pur non soddisfacendo i precedenti criteri, necessitano di assistenza continuativa a causa di uno stato di sofferenza psicologica e/o spirituale. .sp, C2.2) Integrazione valutativo-terapeutica durante l'assistenza extra-ospedaliera

Dopo le prime fasi di approfondimento diagnostico e trattamento ospedaliero, e' raccomandabile rivalutare la complessita' dei bisogni al fine di limitare l'insorgenza o l'evoluzione di problemi correlati alla cura della persona, alla gestione delle attivita' quotidiane e alle relazioni interpersonali. In questa fase della vita del paziente e del suo decorso clinico si raccomanda la circolarita' delle informazioni tra medico specialista, medico di medicina generale e operatori distrettuali secondo un set minimo di dati che consegua:

- plausibilita' e coerenza terapeutica; - continuita' nei trattamenti di supporto e nell'assistenza di base; - coerenza dell'informazione al paziente e ai suoi familiari; - rigorosita' ed essenzialita' nel follow-up.

A tal fine si raccomanda l'adozione di una cartella clinica integrata. La continuita' di cura specialistica extraospedaliera e' necessaria anche durante il trattamento della malattia in regime di day-hospital, ambulatoriale, domiciliare o residenziale ed assume le caratteristiche di consulenza specialistica, sia nel caso di richiesta estemporanea del medico di medicina generale, sia all'interno di un piano di intervento preventivamene concordato a livello distrettuale, di Assistenza Domiciliare Integrata. I criteri di eleggibilita' riguardano pazienti oncologici con:
a) necessita' di trattamenti di supporto (nutrizione artificiale, terapia antalgica specialistica ecc.) o di monitoraggio clinico-assistenziale e/o follow-up;
b) fragilita' psico-sociale.
Infine, per pianificare coerentemente gli interventi assistenziali e' consigliabile almeno una visita socio-sanitaria al domicilio del paziente, da concordarsi con il medico di medicina generale e con il paziente, due settimane dopo la dimissione ospedaliera. Tale procedura e' utile, nonche' gradita, per malati oncologici che rispondono simultaneamente ai seguenti criteri:

- esclusione dalla procedura per le dimissioni protette; - eta' uguale o superiore a 60 anni; - assenza o precarieta' del sostegno socio-familiare; - diagnosi di neoplasia da meno di 6 mesi.

C2.3) Ammissione agevolata e protetta ai Servizi ospedalieri

La complessita' dei bisogni dei pazienti oncologici consiglia la creazione di corsie preferenziali per l'eventuale accesso alle strutture ospedaliere, caratterizzate da modalita' facilitate, sia nel caso di ricovero ordinario, sia qualora si rendessero necessarie prestazioni specialistiche di diagnosi e cura, parificando, in quest'ultimo caso, le procedure a quelle riservate ai degenti in ospedale. In particolare, la procedura per le ammissioni protette e' raccomandata per pazienti che ottemperino contemporaneamente ai seguenti criteri:

- rischio di peggioramento del quadro clinico in assistenza
domiciliare o durante l'ospitalita' in strutture residenziali;
- rispondenza ai criteri dei protocolli validati per la revisione
dell'accesso e dell'utilizzo delle prestazioni ospedaliere.

C2.4) Cure palliative domiciliari

Secondo la definizione della Organizzazione Mondiale della Sanita', per cure palliative si intende una serie di interventi terapeutici ed assistenziali finalizzati alla cura attiva, totale, di malati la cui malattia di base non risponde piu' a trattamenti specifici. Fondamentale risulta il controllo del dolore e degli altri sintomi e in generale dei problemi psicologici, sociali e spirituali. L'obiettivo delle cure palliative e' il raggiungImento della migliore qualita' di vita possibile per i malati e le loro famiglie.
Le cure palliative sono attivamente offerte all'unita' di cura malato-famiglia attraverso un approccio transdisciplinare. Le cure palliative sono indicate:

- per i malati diagnosticati inguaribili, che quindi non rispondono
piu' ai trattamenti specifici, lasciando al naturale decorso la
malattia, lenendo le sofferenze e migliorando la qualita' di vita;
- in altre fasi del decorso clinico, particolarmente per i malati
sottoposti a trattamenti impegnativi e disabilitanti, al fine di
migliorare la qualita' di vita.

Nel caso di un paziente da assistere al proprio domicilio, conseguitone il consenso e verificata la disponibilita' della famiglia, i criteri di eleggibilita' necessari e sufficienti per iniziare le cure palliative a domicilio sono:

- terapeutico: assenza, esaurimento o inopportunita' di trattamenti
specifici volti alla gestione o al rallentamento della malattia;
- sintomatico: presenza di sintomi invalidanti con una riduzione
del performance-status uguale od inferiore al 50% secondo la Scala
di Karnofsky;
- diagnosi di malattia neoplastica, certificata dal medico esperto
in oncologia medica; - impossibilita' ad utilizzare le strutture
ambulatoriali e di day hospital per la presenza di gravi sintomi
invalidanti e/o per l'assenza di sufficienti supporti (non
autosufficienza/non autonomia del paziente);
- ambiente abitativo idoneo e supporto familiare sufficiente.

Nell'ambito delle cure palliative, alla famiglia del malato e' offerto un adeguato supporto per affrontare meglio le difficolta' dell'assistenza continua al congiunto, della riorganizzazione dei ruoli, dei compiti familiari, della preparazione al lutto. L'offerta di cure palliative non puo' prescindere da alcune caratteristiche organizzative e funzionali prioritarie ed irrinunciabili quali un'ottimale terapia del dolore e dei principali sintomi; la certificata competenza professionale da parte del personale coinvolto nell'assistenza; la fornitura tempestiva di ausili e presidi appropriati, rispetto al bisogno della persona ed al contesto nel quale essi devono essere utilizzati; l'addestramento dei congiunti all'assistenza continua del malato, sostenuta da una particolare capacita' degli operatori domiciliari nelle tecniche educative. Una volta consolidate le caratteristiche precedenti, si auspica la realizzazione di:

- reperibilita' infermieristica e medico-palliativa sulle 24 ore,
per 7 giorni/settimana;
- sostegno psicologico del malato e dei familiari;
- protezione sociale per i membri del nucleo familiare a maggior
rischio di disagio a causa delle condizioni e del decesso del
malato.

Le cure palliative domiciliari sono offerte secondo i livelli essenziali di assistenza previsti e tra loro integrantesi:

- Assistenza Domiciliare integrata
E' la modalita' assistenziale da garantire prioritariamente. E' erogata sotto la responsabilita' clinica del medico di medicina generale, attraverso l'applicazione della dinamica di lavoro di equipe, che preveda il concorso di un gruppo composto almeno dallo stesso medico di medicina generale dal personale distrettuale e dal medico esperto in cure palliative.
La permanenza nel proprio ambiente abituale di vita, con riduzione delle giornate di degenza ospedaliera, puo' essere conseguita piu' facilmente mediante l'adozione di un'organizzazione del lavoro che contempli la valutazione multidimensionale degli assistiti e preveda periodiche riunioni d'equipe.

- Ospedalizzazione a domicilio
E' una modalita' assistenziale che garantisce l'effettuazione a domicilio di interventi palliativi, caratterizzati da un piu' elevato contenuto sanitario, conseguenti a situazioni cliniche di scompenso o di particolare complessita', tali da rendere necessario un intervento assistenziale, che copra l'intero arco delle 24 ore. L'O.D. E' subordinata alla tenuta di una cartella clinica, con compilazione di un diario giornaliero, ed E' caratterizzata dalla erogazione diretta delle prestazioni diagnostiche eseguibili al domicilio, dei farmaci, dei presidi ed ausili da parte delle U.U.O.O. ospedaliere. L'attivazione e la responsabilita' del servizio competono al dirigente medico della U.O. ospedaliera deputata, laddove presente dell'U.O. di cure palliative, che si raccorda a livello distrettuale con il medico di medicina generale, potendosi avvalere della collaborazione del personale del distretto secondo protocolli operativi concordati.
Allo scopo di garantire un appropriato utilizzo delle risorse, l'ospedalizzazione a domicilio andra' attivata previa valutazione congiunta con il medico di medicina generale e il responsabile dell'equipe distrettuale delle effettive possibilita' operative offerte dall'assistenza domiciliare integrata.

C2.5) Hospice
L'Hospice e' una struttura dedicata "ai pazienti in fase terminale che necessitano di cure finalizzate ad assicurare ad essi e ai loro familiari una migliore qualita' della vita" (DM 28/9/1999) L'accoglimento in un hospice, oltre ad essere vincolato alla necessita' di trattamenti che non richiedano un ricovero presso UU.00. ospedaliere per pazienti acuti, e' subordinato alla presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

- assenza o non idoneita' della famiglia; - inadeguatezza della casa a trattamenti domiciliari; - impossibilita' di controllo adeguato dei sintomi al domicilio.

L'erogazione dell'assistenza e' garantita da un'equipe transdisciplinare, la cui composizione minimale e' rappresentata dalle seguenti figure professionali:

- medico esperto di cure palliative; - infermiere professionale; - psicologo; - addetto all'assistenza (O.S.S.); - personale ausiliario.

All'interno dell'hospice e' auspicabile che sia garantita l'assistenza spirituale e l'integrazione del volontariato organizzato. L'Hospice ha modalita' organizzativo/strutturali specifiche, che differiscono da quelle vigenti per i reparti ospedalieri per pazienti acuti, che sono definite nel D.M. 28/9/1999 e nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20/1/2000 (Atto di indirizzo e coordinamento recante requisiti strutturali e tecnologici ed organizzativi minimi per i Centri Residenziali di Cure Palliative)

D) I PROFILI DI RUOLO DEGLI OPERATORI

Gli operatori dedicati alle cure extraospedaliere rivolte alle persone affette da malattia oncologica devono di base avere alcune caratteristiche comuni:

- motivazione chiara ed esplicita ad assistere malati gravemente
compromessi, anche con prognosi infausta a breve scadenza;
- conoscenza adeguata dei problemi specifici legati alla patologia
oncologica;
- sensibilita' psicologica e capacita' di relazione con il malato e
con i familiari;
- attitudine al lavoro in equipe;
- capacita' nel produrre e rendere disponibili informazioni utili
all'equipe.

Ferma restando la specificita' dei modelli organizzativi definiti a livello regionale a titolo orientativo sono descritti i seguenti compiti attribuibili alle figure sottoelencate

Medico esperto in cure palliative:

- responsabilita' clinica diretta per i pazienti, suscettibili di
cure palliative, assistiti in regime di ospedalizzazione
domiciliare;
- gestione e responsabilita' clinica dei pazienti ricoverati in
hospice;
- consulenza clinica per gli operatori sanitari impegnati
nell'assistenza, e, in modo particolare, per il medico di medicina
generale;
- supervisione e formazione continua del personale addetto alle
cure palliative;
- partecipazione alla verifica della efficacia, efficienza e
qualita' delle cure erogate dal personale impegnato nelle cure
palliative;
- prescrizione collaudo di protesi e ausili;
- relazione con i servizi ospedalieri, per il passaggio del
paziente dalla fase di trattamento a quella palliativa e per
eventuali ricoveri programmati.

Oncologo medico:

- responsabilita' clinica diretta per i pazienti, suscettibili di
terapia oncologica specifica, assistiti in regime di
ospedalizzazione domiciliare;
- consulenza clinica oncologica per i pazienti ricoverati in
hospice;
- consulenza clinica per gli operatori sanitari impegnati
nell'assistenza e in modo particolare per il medico di medicina
generale;
- supervisione e formazione continua del personale;
- partecipazione alla verifica della efficacia, efficienza e
qualita' delle cure erogate dal personale impegnato nelle cure
palliative;
- relazione con gli operatori di cure palliative, per il passaggio
del paziente dalla fase di trattamento a quella palliativo e per
eventuali ricoveri ospedalieri programmati.

Medico nutrizionista:

- valutazione dei bisogni nutrizionali del malato e studio delle
modalita' di relativa copertura.

Medico di Medicina Generale:

- responsabilita' clinica diretta dei pazienti assistiti a
domicilio ad esclusione di quelli in regime di ospedalizzazione
domiciliare;
- consulenza clinica per gli operatori sanitari domiciliari;
- relazione con la famiglia.

Medico di sanita' pubblica:

- tutela metodologica nell'orientamento per problemi; - tutela di equa accessibilita' alle risorse del servizio; - valutazione economica del servizio, - valutazione complessiva dell'efficacia del servizio; - relazione con le strutture dell'Azienda - U.S.L. e con le strutture specialistiche.

Infermiere professionale:

- assistenza infermieristica; - addestramento e supervisione degli operatori addetti
all'assistenza (O.S.S.); - addestramento e supervisione dei congiunti per l'assistenza continuativa al malato; - educazione sanitaria al malato e ai congiunti.

Psicologo:

- sostegno psicologico e relazione al malato e ai familiari;
- supervisione, sostegno psicologico e contributo allo sviluppo e
mantenimento di capacita' relazionali dell'equipe degli operatori
preposti alle cure palliative domiciliari e residenziali;
- partecipazione alla selezione e alla supervisione dei volontari,
attivi nell'equipe;
- contributo nella formazione del personale di assistenza.

Fisioterapista:

- attivita' riabilitativa di 2o livello diretta, focalizzata sul
recupero delle attivita' della vita quotidiana;
- adozione di tecniche riabilitative di 10 livello miranti al
ripristino o al mantenimento dell'autonomia e dell'autosufficienza
della persona, indipendentemente dal completo recupero della
singola funzione;
- addestramento e supervisione degli altri operatori e dei
familiari per gli aspetti riabilitativi inerenti la mobilizzazione
e la cura della persona;
- valutazione e riorganizzazione dell'ambiente di vita, con
particolare riferimento all'accessibilita' e alla fruibilita' di
spazi e arredi.

Assistente sociale:

- analisi delle problematiche relative all'eventuale necessita' di
sostegno economico e sociale del malato e della sua famiglia;
- valutazione sulla necessita' di tutela dei membri deboli del
nucleo familiare;

Operatore addetto all' assistenza:

- cura della persona e degli ambienti di vita; - supporto ai familiari nelle attività di base del malato; - interventi di mobilizzazione e contributo alle attività sanitarie
secondo competenza.

Volontario:

- sostegno al malato; - sostegno ai familiari, anche nelle attivita' quotidiane; - sostegno organizzativo all'equipe di cure palliative.

E) LIVELLI ESSENZIALI ASSISTENZIALI GARANTITI.

L'organizzazione dell'assistenza extraospedaliera ai pazienti oncologici deve garantire almeno le cure palliative per i malati terminali. La definizione di terminalita' e' data dal contemporaneo rispetto dei seguenti criteri:

- terapeutico: assenza, esaurimento o inopportunita' di trattamenti
specifici volti alla gestione o al rallentamento della malattia;

Obiettivo specifico intermedio no 3

PROMOZIONE DI PROGRAMMI DI SCREENING DI DOCUMENTATA EFFICACIA PER LA
DIAGNOSI PRECOCE DEI TUMORI

Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 all'Obiettivo II "Contrastare le principali patologie" rileva che, al fine di contribuire a contrastare specifiche forme neoplastiche, sono da sviluppare, nei piani regionali ed aziendali e da estendere, su tutto il territorio nazionale, campagne di screening, di documentata efficacia, per la diagnosi di alcune patologie neoplastiche. Il Piano rileva inoltre la necessita' che, nell'attivazione dei predetti programmi, siano previsti il monitoraggio e la valutazione continua degli stessi; che sia garantita l'istituzione di un sistema di controllo di qualita' dei programmi medesimi, i quali devono prevedere, tra l'altro, la predisposizione di linee guida per la conferma diagnostica dei casi sospetti identificati ed il trattamento tempestivo dei casi confermati.
Il Piano, nel fornire indicazioni sui livelli uniformi di assistenza, da assicurare in condizioni di uniformita' sul territorio nazionale alla totalita' dei cittadini, ricomprende nelle prestazioni che devono essere erogate dal S.S.N., senza oneri a carico dell'utente al momento della fruizione del servizio, le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e le altre prestazioni di assistenza specialistica, incluse in programmi organizzati di diagnosi precoce e prevenzione collettiva, realizzati in attuazione del PSN e dei PSR o comunque promossi o autorizzati, con atti formali, dalle regioni o provincie autonome.
A tal fine e' opportuno che a livello di ciascuna regione, sia effettuata attivita' di:

- monitoraggio - valutazione - formazione - coordinamento dell'attivita' di screening - definizione dei criteri di idoneita' per la selezione delle strutture preposte allo screening.

Tali attivita' dovranno essere operativamente effettuate dal Centro Regionale di Prevenzione Oncologica ove presente, o da apposito organismo costituito in ambito regionale. A tale attivita' deve essere assicurato preventivamente un adeguato finanziamento per garantirne la continuita', rientrando l'attivita' di screening nei livelli uniformi di assistenza.
La necessita' di migliorare e rendere piu' efficienti le prestazioni diagnostiche in popolazione sintomatica e asintomatica quindi di disporre di sufficienti competenze per l'esecuzione di approfondimenti nei casi selezionati dallo screening rende necessaria inoltre l'individuazione di idonee strutture di secondo livello. Una rete di tali strutture uniformemente distribuite sul territorio nazionale, potrebbe raffigurare il modello piu' valido per rispondere in modo tempestivo e corretto al bisogno specialistico specifico.

A) PROPOSTE OPERATIVE IN TEMA DI PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI DELLA MAMMELLA

1) Premessa

In tutti i paesi occidentali ed industrializzati il tumore della mammella ha raggiunto livelli di incidenza tali da rappresentare una vera e propria malattia sociale. In Italia, nel 1994 sono morte 11.343 donne per carcinoma mammario e si stima che ogni anno a piu' di 31.000 donne sia diagnosticata questa malattia (dati forniti dall'Associazione Italiana Registri Tumori).
Le attuali conoscenze sull'eziologia del carcinoma mammario non consentono, purtroppo, di attuare interventi di prevenzione primaria tramite la rimozione di fattori causali. E' invece stata dimostrata, con metodi rigorosi, l'efficacia della prevenzione secondaria. Numerosi studi controllati hanno dimostrato che, sottoponendo una popolazione femminile, nelle fasce di eta' a maggior rischio di carcinoma mammario, ad un controllo mammografico periodico, la mortalita' per questa neoplasia diminuisce del 30-50%, grazie alla maggiore efficacia del trattamento terapeutico applicato in fase precoce di malattia. Per questo motivo, negli ultimi venti anni, si e' data particolare importanza alla possibilita' di controllare la mortalita' per carcinoma mammario con un intervento sistematico di diagnosi precoce.
La risposta piu' efficace ed efficiente alla domanda di prevenzione per il carcinoma della mammella e' l'attivazione, in tutto il territorio nazionale, di programmi di screening mammografico di alta qualita', indirizzati alle donne nelle fasce d'eta' a maggior rischio, con priorita' per le donne in eta' compresa tra i 50 ed i 69anni.
Le attivita' di diagnostica precoce, che richiedono l'integrazione funzionale di tutti i servizi connessi alla senologia, saranno effettuate in stretta collaborazione con le strutture della rete oncologica e con le strutture preposte alla valutazione epidemiologica, in modo da consentire il corretto monitoraggio dei programmi e l'assistenza adeguata dopo la diagnosi. E' inoltre fortemente raccomandata la costituzione di un Gruppo di coordinamento a livello regionale.

2. ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DI SCREENING

E' necessaria l'attivazione in tutto il territorio nazionale di programmi di screening mammografico di alta qualita', indirizzati alle donne nelle fasce d'eta' a maggior rischio, compresa tra 50 e 69 anni. Per eta' inferiori ai 50 anni, sono in corso progetti dimostrativi (Eurotrial-40) in diverse regioni italiane per valutare flessibilita', controlli di qualita' e specificita' dello screening in questo gruppo di popolazione. Pertanto, le indicazioni provenienti dai progetti dimostrativi potranno essere la base per l'estensione dello screening nella fascia di eta' dai 40 ai 49 anni.
L'obiettivo principale di un programma di screening per il carcinoma della mammella e' ottenere una riduzione significativa della mortalita' specifica con il miglior rapporto costo beneficio. Da studi condotti, si stima che un programma di screening mammografico, esteso a tutto il territorio nazionale, per la popolazione femminile di eta' compresa tra 50 e 69 anni, eviterebbe nell'arco di 30 anni circa 48.000 decessi per carcinoma mammario nelle donne oltre i 50 anni, raggiungendo una riduzione di mortalita' intorno al 13.5% su tutte le eta'. Cio' si tradurrebbe in un guadagno medio di 1650 vite per anno e di circa 14.500 anni di vita salvati nello stesso periodo.
Attuare un programma di screening mammografico articolato a livello regionale, che coinvolga gradualmente tutto il territorio nazionale, e' una proposta concreta e percorribile. E' pero' necessario preliminarmente verificare l'esistenza di strutture e personale e promuovere le condizioni di fattibilita', efficienza e qualita', secondo quanto noto. In base ad alcune stime di spesa, il costo medio annuo di un programma di screening mammografico rivolto alle 6.700.000 donne in eta' compresa fra 50 e 69 anni, con periodicita' biennale, e' stimabile in un range compreso tra 93.6 e 107,1 miliardi di lire l'anno. Questo importo corrisponde a circa lo 0.20 % della spesa sanitaria nazionale, cioe' a circa 3.000 lire pro-capite e quindi a meno del 5% delle risorse pro-capite, assegnate dal fondo Nazionale alle Regioni per le attivita' di prevenzione. Rapportando il costo ai dati di efficacia sopra riportati, si puo' stimare, su un lungo periodo (30 anni) un costo medio compreso fra 6.6 e 11.5 milioni di lire per anno di vita salvato e tra 60 e 90 milioni per vita salvata. Questo intervento sanitario, se ben organizzato, gestito e controllato, presenta quindi un rapporto costo/beneficio verosimilmente piu' vantaggioso rispetto ad altri interventi gia' offerti alla popolazione italiana. La domanda spontanea di esami senologici di controllo e' in forte crescita nel nostro Paese e rappresenta comunque una spesa in atto, con un rapporto costi/benefici presumibilmente peggiore di quello ottenibile con un programma nazionale ben organizzato.
Nell'attuare il programma di screening, occorre adottare i criteri illustrati nelle seguenti proposte operative.

2.1. Test di screening:

Mammografia convenzionale in due proiezioni ad intervallo biennale.

2.2.Copertura della popolazione bersaglio:

Si raccomanda di ottenere una copertura almeno del 70% delle donne residenti nell'area, di eta' compresa tra 50 e 69 anni, rispetto all'esecuzione di una mammografia ogni 2 anni.

2.3. Analisi delle risorse disponibili o acquisibili. .br. Presenza nell'area di competenza di:

a) strutture mammografiche;
b) personale tecnico addestrato per l'esecuzione degli esami
mammografici; medici radiologi addestrati per la lettura di
mammografie da screening;
c) struttura senologica di 2o livello presso di cui poter eseguire
gli esami di approfondimento indotti dallo screening;
d) laboratorio di cito-isto-patologia per la lettura dei preparati
citologici (su agoaspirato) e istologici (esami bioptici e
trattamenti chirurgici)
e) strutture chirurgiche, radioterapiche e oncologiche in grado di
garantire diagnosi e terapie adeguate a tutte le donne che vi
saranno indirizzate in seguito allo screening.

2.4. Bacino d'utenza e tipologia delle unita' operative per lo screening

Allo scopo di ottimizzare l'utilizzo delle risorse di personale e strumentali, e' necessario definire un numero medio annuo di test di screening, tenendo conto che volumi di attivita' bassi favoriscono sprechi e non consentono di diagnosticare un sufficiente numero di casi, mentre un'eccessiva centralizzazione puo' comportare difficolta' di accesso alla popolazione. E' necessario che all'attivita' di screening radiologico sia connessa organizzativamente e strutturalmente, un'unita' di senologia per gli esami di approfondimento diagnostico sui casi selezionati allo screening.
Per definire il rapporto tra mammografi fissi e mobili, la dimensione della popolazione generale, il bacino di utenza di ogni unita' di mammografia, bisogna tenere conto che circa il 30% della popolazione italiana vive in aree agricole, il rimanente 70% in aree urbane, di cui circa il 25% in citta' con 500.000 o piu' abitanti.
In generale i centri di screening tipo potrebbero essere dotati di 2-3 mammografi (di cui almeno una fisso e corredato di un microfuoco) e della restante strumentazione, necessaria per gli approfondimenti diagnostici dei casi positivi al test (ecografia, citologia, ecc.). Il volume di attivita' dovrebbe essere compreso tra 10.000 e 20.000 esami annui ed il bacino di utenza servito tra i 200.000 e i 500.000 abitanti. Il personale deve essere quantificato in funzione dell'accesso dell'utenza (ad es. eventuale apertura nelle ore preserali e di sabato mattino) e dell'utilizzo delle strutture disponibili nell'arco di tutta la giornata. Sono da prevedere preferibilmente quindi doppi turni.
In accordo con le linee guida europee, si raccomanda infine che, tenendo conto dell'importanza degli approfondimenti diagnostici, al fine di ottenere un'elevata predittivita' per carcinoma, nei casi inviati a biopsia chirurgica, gli approfondimenti stessi siano effettuati prevedendo l'integrazione funzionale dei servizi coinvolti nei percorsi diagnostico-terapeutici di interesse senologico, con la diretta partecipazione del radiologo incaricato della refertazione degli esami del programma di screening.

2.5. Struttura e gestione dei programmi di screening

Le ASL e le strutture sanitarie identificate concorrono secondo le competenze specifiche alla programmazione e attuazione degli screening oncologici. In particolare l'ASL, a cui compete di garantire i livelli di assistenza definiti dalla programmazione sanitaria nazionale e regionale, ha il compito di:

- promuovere, nell'ambito territoriale di competenza i programmi di
screening, coerenti con il contesto epidemiologico e scientifico e
le linee di indirizzo regionali, nazionali ed internazionali;
- assicurare le risorse necessarie per la loro attuazione;
- assicurare il coinvolgimento dei medici di medicina generale;
- assicurare l'informazione e la sensibilizzazione della
popolazione ed il coinvolgimento delle associazioni di
volontariato;
- assicurare la gestione e la valutazione dei programmi garantendo
il sistema informativo ed il coordinamento operativo dei
professionisti e delle strutture coinvolte;
- programmare l'attivita' formativa, secondo quanto contenuto nel
capitolo specifico.

A livello regionale, e' necessario garantire il coordinamento per la pianificazione e la valutazione delle attivita' di screening, con i seguenti compiti:

- pianificare sul territorio regionale l'attivazione di programmi
di screening di alta qualita';
- effettuare la loro valutazione, utilizzando le opportune
competenze epidemiologiche;
- attuare programmi di formazione degli operatori, secondo i
criteri stabiliti in sede nazionale;
- attivare un programma di "controlli di qualita'" per le varie
procedure organizzative, diagnostiche e terapeutiche cui dovranno
attenersi i programmi di screening;
- definire le modalita' di controllo, affinche' i livelli di
qualita' siano mantenuti nel corso dell'attivita' (assicurazione di
qualita);
- stabilire le modalita' di esenzione dalla compartecipazione alla
spesa sanitaria, conformemente alle indicazioni nazionali;
- consultare i rappresentanti dell'utenza.

2.6. Risorse

La continuita' del finanziamento per la conduzione del programma, per spese di investimento e di gestione, deve poter essere garantita prima dell'avvio dello stesso. Si raccomanda un accurato sistema di monitoraggio, con documentazione dei costi in ogni fase dell'intervento. Per migliorare l'organizzazione e pianificare la strategia d'intervento e' necessario definire parametri di riferimento quali ad esempio il costo per donna sottoposta a screening.

2.7. informazione della popolazione e promozione della partecipazione.

La partecipazione della popolazione bersaglio e' uno dei requisiti per il successo di un programma di screening. Sforzi particolari dovrebbero essere fatti per coinvolgere le donne che non hanno mai eseguito una mammografia in passato. La partecipazione allo screening e' diversamente associata con l'eta', lo stato civile, lo stato socioeconomico, la frequenza di contatto con il sistema sanitario, etc. Paura delle radiazioni o del dolore alla compressione del seno durante il test, ansieta' per il risultato, paura del cancro, mancanza di fiducia nell'efficacia dello screening e della terapia, nel sistema sanitario, sono ostacoli alla partecipazione che dovrebbero essere valutati anche in relazione alle differenti situazioni locali, cosi' come le barriere come la distanza o gli orari, che diminuiscono l'accesso alle Unita' di screening.
L'adesione della popolazione ad un programma di screening puo' essere aumentata in vari modi: adottando un invito personalizzato, con appuntamento prefissato ed a firma del medico di famiglia o di altre persone altamente reputate in una comunita', incoraggiando le non partecipanti ad aderire.
L'uso dei mass-media puo' svolgere un ruolo importante per rimuovere le barriere alla partecipazione, informando la popolazione bersaglio sul programma, sulla sua organizzazione, su i suoi vantaggi ed i suoi limiti. In piccole citta' e in zone agricole, l'organizzazione della vita sociale (associazioni, circoli, parrocchie ecc.) puo' consentire di identificare specifiche opportunita' per informare le donne e promuovere la partecipazione. La pubblicita' attraverso i mass-media ha un effetto di breve durata e dovrebbe essere pianificata a intervalli regolari per rinforzare il messaggio. Giornali e stazioni radiotelevisive possono offrire spazi gratuiti per la pubblicita' e si possono trovare sponsor per finanziare l'informazione.
Qualsiasi effetto di modifiche all'organizzazione del programma, idealmente dovrebbe essere valutato attraverso studi randomizzati e controllati.

2.8.Ruolo del medico di medicina generale

Nell'ambito di un programma di screening mammografico di popolazione l'informazione e l'educazione sanitaria sono di fondamentale importanza. Il medico di medicina generale (MMG) e' il punto di riferimento per il cittadino e quotidianamente riceve richieste di informazioni, chiarimenti e consigli anche sulle possibili iniziative di prevenzione; egli inoltre stabilisce con i propri pazienti un rapporto fiduciario e continuo nel tempo.
A livello europeo, il programma "Europa contro il cancro" ha ripetutamente raccomandato il coinvolgimento dei m.m.g. nell'ambito dei programmi di screening di popolazione.
Studi condotti per valutare gli effetti di diverse modalita' di invito hanno dimostrato che anche nella realta' italiana una lettera a firma del m.m.g. puo' ottenere tassi di partecipazione piu' elevati.
In Italia la convenzione con la medicina generale prevede la partecipazione dei m.m.g. ai programmi di screening.
Schematizzando, il ruolo dei m.m.g. puo' essere riassunto come segue:

- correzione delle liste in base ai criteri di inclusione
(escludendo pazienti gia' affette da tumore o da gravi malattie);
- attiva promozione della partecipazione nei confronti delle
proprie assistite;
- informazione mirata alle donne non aderenti;
- "counselling" in tutte le fasi del programma e supporto
psicologico, in particolare per le donne risultate positive al
test.

L'esperienza dei Paesi nord europei insegna che molte donne decideranno se aderire al programma e se seguire l'iter diagnostico suggerito dopo aver sentito il parere del proprio medico curante.
L'attivazione di un programma di screening mammografico deve essere preceduta da un'adeguata formazione dei medici di medicina generale, organizzata secondo tecniche didattiche gia' sperimentate dalla SIMG per la formazione continua dei professionisti.

2.9. Protocolli per il counselling ed il supporto psicologico

Oltre a predisporre gli strumenti per incentivare la partecipazione al test di screening, e' necessario mettere a punto e disporre di strumenti per il counselling ed il supporto psicologico per le donne che sono richiamate, per quelle che sono indirizzate verso accertamenti diagnostici invasivi o a cui e' diagnosticato il cancro. I livelli di ansieta' determinati da un richiamo devono essere adeguatamente gestiti sin dalla comunicazione del richiamo e durante l'iter diagnostico in stretta collaborazione con il medico di medicina generale. Il medico di medicina generale ed il personale che opera nel servizio, adeguatamente formato, possono svolgere un ruolo di adeguato supporto e consiglio.

2.10. Controlli di qualita'

I controlli di qualita' devono essere applicati a tutte le varie fasi della procedura di screening, dal reclutamento e invito della popolazione target, alla esecuzione dei test di screening e degli esami di approfondimento, alla applicazione di protocolli di terapia e follow-up adeguati nei casi risultati positivi allo screening. Il programma "Europa contro il cancro" ha pubblicato le "Linee guida Europee per l'Assicurazione di Qualita' nello screening mammografico" in cui si sottolinea che "non dovrebbe essere intrapreso alcun programma di screening senza averne stabilito chiaramente gli obiettivi, o se non si dispone di personale adeguatamente formato e di un programma di Assicurazione di Qualita' adeguato" .

Aspetti organizzativi.

Il programma di controllo di qualita' dovra' verificare che requisiti quali disponibilita' e accuratezza delle liste anagrafiche, sistemi di invito-reinvito, adesione agli approfondimenti diagnostici, follow-up e qualita' della terapia siano soddisfatti e mantenuti nel tempo.

Aspetti tecnici.

Il controllo di qualita' dell'esame mammografico richiede competenze radiologiche e fisiche ed un'adeguata strumentazione. Il protocollo operativo e la frequenza dei controlli di qualita' sono chiaramente stabiliti nelle linee guida europee. La loro attuazione richiede quindi la necessita' di istituire in ambito regionale Centri di riferimento per il controllo della dose e qualita' dell'esame mammografico, a supporto delle attivita' di controllo di qualita' che sono svolte dai singoli programmi di screening e dalle Aziende sanitarie secondo la normativa vigente. Aspetti medici:

Gli aspetti medici del programma possono essere cosi' suddivisi:

a) informazione e educazione sanitaria (Medici di medicina generale); b) test di screening (radiologo); c) approfondimenti diagnosticano (oncologo - radiologo); d) diagnosi istopatologica (patologo), e) somministrazione della terapia adeguata (chirurgo, oncologo,
radioterapista) nei casi identificati dal programma di screening.

Per il radiologo che effettua la lettura dello screening, il primo indicatore di qualita' e' costituito dal tasso di richiamo per successivi approfondimenti diagnostici. Questi possono determinare un'ingiustificata ansia nelle donne richiamate per alterazioni falsamente corrette ed incidere sensibilmente sui costi complessivi del programma di screening.
Si raccomanda di rispettare gli indicatori (proposti dal GISMa) per le classi d'eta' 50\69 anni (vedi allegato no3 tab. n. 1)

2.11. Pianificazione e valutazione

Elemento fondamentale di un programma di screening e' la funzione d'organizzazione e di valutazione. Possiamo distinguere tale funzione a livello di centri di screening, riferiti ad una data area geografica, e a livello di piu' Centri (ad esempio di una regione).

E' necessario che ogni centro di screening:

- disponga di un sistema informativo con liste anagrafiche corrette
e aggiornate di popolazione, possibilmente suddivisibili per medico
di Medicina generale;
- organizzi e gestisca un sistema di appuntamenti e provveda a
reinvitare le donne non aderenti;
- verifichi che le donne positive al test siano sottoposte ad
accertamenti di secondo livello e che le donne con diagnosi di
carcinoma mammario abbiano una terapia adeguata e tempestiva;
- raccolga le informazioni di follow-up clinico ed epidemiologico,
sui casi accertati; informazioni fondamentali per i casi di tumore
della mammella sono: - tipo di intervento chirurgico; - diagnosi
istologica; - stadio patologico secondo la classificazione T.N.M.
E' importante comprendere nella rilevazione anche i casi di
intervallo, vale a dire i tumori insorti in donne negative alla
mammografia e prima del successivo invito;
- tenga i collegamenti con i centri di riferimento per la terapia e
con le altre strutture coinvolte nello screening (ad es. Registri
Tumori, ecc.);
- produca stime puntuali sull'adesione allo screening, sulle altre
misure di processo e sugli indicatori precoci di efficacia
riportati nella precedente tabella.

Definizione di un sistema informatico.

Al fine di svolgere queste attivita' e' necessaria definire sistemi informativi e produrre programmi di gestione computerizzata che, tenendo conto delle caratteristiche specifiche dei sistemi informativi esistenti a livello regionale, possano produrre indicatori di processo confrontabili a livello intra e inter regionale.
E' probabile che, per questioni di scala, possa essere piu' conveniente produrre le stime relative a livello regionale piuttosto che a livello locale, o utilizzare il lavoro gia' svolto da altre strutture per l'intero territorio (ad esempio registri tumori, sistema regionale per la mortalita', dimissione ospedaliere, registri di patologia, ecc.).
Strumenti utili per la valutazione dei risultati di un programma di screening mammografico sono i registri tumori, in subordine, i registri di patologia, e sistemi computerizzati di dimissione ospedaliera. Il 15% della popolazione italiana e' coperta dai registri tumori. La creazione di Registri di patologia mammaria a livello di popolazione dovrebbe essere presa in considerazione in funzione della valutazione di programmi di screening.
E' necessario predisporre una rilevazione della disponibilita' e aggiornamento di anagrafi automatizzate, e dell'integrazione tra anagrafi ed elenco assistiti dai medici convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale.
Inoltre l'adozione del Codice fiscale o di altro sistema di identificazione personale, esteso a tutto il territorio nazionale, potrebbe grandemente favorire il linkage tra diversi sistemi informativi e di conseguenza le attivita' di organizzazione e di valutazione degli screening.

Sistemi di valutazione dell'intervento

Devono essere individuati i centri di riferimento per la terapia del carcinoma mammario, cui indirizzare i casi individuati allo screening tramite collegamenti funzionali. Tale organizzazione e' un presupposto per l'adozione di una terapia tempestiva attuata in base a validati ed espliciti protocolli dei quali si devono dotare i centri di riferimento, in modo da non vanificare l'anticipazione diagnostica, conseguita dalla diagnosi precoce, e ridurre, con trattamenti inadeguati, la potenziale efficacia dello screening sulla qualita' e durata della vita. In questo modo sono inoltre facilitati il follow-up epidemiologico dei casi e l'accessibilita' alla documentazione clinica.

2.12. Formazione del personale

Un'adeguata formazione degli operatori e' un momento essenziale per l'attivazione dei programmi di screening. Deve essere ben chiaro infatti che lo screening mammografico e' un mezzo efficace nel ridurre la mortalita' per carcinoma mammario con trascurabili effetti negativi, comunque presenti (p.es. sovradiagnosi, cancri di intervallo ecc.) a condizione che le varie procedure operative, dalla programmazione alla diagnosi e terapia, siano effettuate secondo standard ottimali di qualita'.
Lo screening mammografico richiede competenze altamente specifiche, non sempre disponibili all'interno del servizio sanitario, ove normalmente si svolge attivita' diagnostica ed assistenziale rivolta a pazienti sintomatiche e non a persone in buono stato di salute. Infatti, per quanto riguarda piu' specificatamente il test di screening (mammografia), questo puo' differire dalla mammografia "clinica" in quanto a criteri di esecuzione (proiezione obliqua) e, senza dubbio, ne differisce sensibilmente in quanto ai criteri interpretativi. Il test di screening deve essere altamente sensibile per le lesioni di piccolo diametro, per garantire l'efficacia dei programmi rispetto all'obiettivo primario della riduzione di mortalita', e molto specifico, al fine di contenere, entro limiti rigorosi, i costi e gli effetti negativi.
Va inoltre rilevato come il personale non medico assuma un ruolo particolarmente importante nella realizzazione dei programmi di screening e nel contatto con le donne partecipanti al programma. Gran parte del lavoro e' svolto, infatti, da personale non medico e la maggior parte delle donne avra' un rapporto diretto con tali operatori.

2.13. Criteri per la selezione dei centri di screening

La necessita' di uniformare i programmi di screening italiani agli standard raccomandati in ambito europeo impone la selezione delle strutture, in modo che diano sufficienti garanzie di qualita'. In fase di selezione si dovra' tenere conto anche della disponibilita' di strutture assistenziali qualitativamente adeguate, in particolare per la terapia di forme iniziali diagnosticate allo screening (trattamenti conservativi, radioterapia ecc.).
Il gruppo tecnico di lavoro che coordina il programma di screening avra' cura di definire a priori quale sia il numero minimo di strutture necessario, in funzione del valore atteso di rispondenza della popolazione, i criteri per la loro individuazione nonche' i requisiti e la composizione del gruppo tecnico che dovra' svolgere le verifiche.
L'invito a candidarsi ad operare come centro di screening potra' coinvolgere tutte le strutture sanitarie del territorio dove e' svolto il programma senza alcuna preclusione se non quella di una fondata verifica di inidoneita' a svolgere le specifiche funzioni dello screening. Contestualmente all'invito a candidarsi le strutture sanitarie saranno informate preventivamente delle modalita' e dei tempi prescelti per effettuare la verifica e riceveranno la griglia di valutazione adottata.

2.14. Riservatezza dei dati

Ogni programma di screening deve rispettare la normativa vigente in materia di trattamento dei dati sensibili come stabilito dalla legge 675 del 31 dicembre 1996 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personale), dal decreto legislativo 135 del 11 maggio 1999 e dal decreto legislativo 282 del 30 luglio 1999:

..... Il presente decreto.....individua alcune rilevanti finalita' di interesse pubblico, per il cui perseguimento e' consentito detto trattamento, nonche' le operazioni eseguibili e i dati che possono essere trattati.
(DL 135, art. 1, comma 1, lettera b) ....si considerano di rilevante interesse pubblico le seguenti attivita' rientranti nei compiti del Servizio Sanitario Nazionale e degli altri organismi sanitari pubblici..... a) la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione dei soggetti assistiti dal servizio sanitario nazionale.........
(DL 135, art. 17, comma 1, lettera a)

B) PROPOSTE OPERATIVE IN TEMA DI PREVENZIONE SECONDARIA DEL CERVICO-CARCINOMA UTERINO.

1. PREMESSA

La mortalita' per tumore dell'utero e' diminuita di oltre il 50% negli ultimi 40 anni, passando da 14 casi ogni 100.000 donne nel 1955 a 6 casi ogni 100.000 donne nel 1990.
I dati ISTAT non differenziano tra morti attribuibili a carcinoma della cervice uterina e morti attribuibili a carcinoma del corpo dell'utero. Tuttavia, analisi di popolazione effettuate tenendo conto delle coorti di nascita, consentono una discriminazione almeno approssimativa, in quanto il tumore della cervice uterina ha un'insorgenza piu' precoce rispetto al tumore dell'endometrio. La riduzione di mortalita' e' stata osservata soprattutto nelle coorti piu' giovani, suggerendo indirettamente che gran parte di essa sia da attribuire alla diminuita mortalita' per tumore della cervice uterina.
Attualmente si stima che ogni anno in Italia siano diagnosticati circa 3.600 nuovi casi di cervico-carcinoma e che si registrino almeno 1.700 morti per questo tumore.
Al momento, non esistono indicazioni per interventi di prevenzione primaria per i tumori della cervice uterina, mentre sono molto chiare le indicazioni a favore di interventi di prevenzione secondaria.
Il razionale per l'introduzione dello screening di popolazione per il cervicocarcinoma si basa sulla possibilita' di individuare la malattia in fase asintomatica, quando le probabilita' che questa sia in fase preinvasiva o invasiva iniziale sono piu' elevate.
L'unico test di screening per i tumori della cervice uterina e' il Pap test. L'impiego del Pap test consente l'identificazione non solo di lesioni tumorali molto precoci, ma anche di lesioni preneoplastiche. Lo screening avrebbe pertanto il compito di ridurre sia la mortalita' per carcinoma, favorendone la diagnosi in una fase in cui il trattamento puo' essere efficace, sia l'incidenza della neoplasia invasiva attraverso il trattamento delle forme preneoplastiche. Le evidenze dell'efficacia dello screening, mediante Pap test, derivano dall'osservazione di variazioni temporali della mortalita' per tumore della cervice uterina in aree geografiche in cui siano stati attuati interventi attivi su fasce di popolazione piu' o meno ampie e da studi non randomizzati che hanno rilevato un'importante riduzione di incidenza di tumori invasivi nelle donne sottoposte a Pap-test.
L'entita' della riduzione della mortalita' per carcinoma della cervice uterina in una determinata area geografica e' in funzione della percentuale di popolazione interessata dallo screening, della fascia d'eta' inserita nel programma e della partecipazione da parte della popolazione invitata. L'analisi dei diversi intervalli di re-screening adottati e delle diverse fasce d'eta' inserite nei programmi di popolazione ha fornito indicazioni che sono state utilizzate per calcolare l'efficacia teorica di diverse politiche di screening.

2. LO SCREENING CERVICO-VAGINALE IN ITALIA. ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA.

In Italia l'attivita' organizzata di screening citologico per il cervico-carcinoma non e' uniformemente distribuita sul territorio nazionale. Ugualmente variegato appare il panorama all'interno di ogni singola realta' regionale.
Da un'indagine condotta nel 1997, emerge come in quell'anno solo il 13,5% delle donne italiane, tra i 25 e i 64 anni, fosse inserita in un programma organizzato di screening citologico, con una distribuzione prevalente al centro ed al nord Italia. La situazione si sta rapidamente evolvendo grazie all'implementazione di alcuni programmi a livello regionale, quest'estensione dei programmi di screening dovrebbe portare al 44,5 la percentuale di donne italiane 25-64enni cui e' offerto gratuitamente, ogni 3 anni, un Pap-test per la diagnosi precoce del cervico-carcinoma.
Al di fuori dei programmi organizzati di screening citologico, si osserva la diffusione del cosiddetto screening spontaneo.
E' stato stimato che, mediamente, in Italia sono effettuati circa 3.5 - 4.0 milioni di Pap test ogni anno. Cio' potrebbe significare che ogni anno una, ogni tre-quattro donne, di eta' compresa tra 25 e 64 anni esegue il test e che quindi il numero di test effettuati e' quasi sufficiente a garantire la copertura nella fascia d'eta' passibile di screening, adottando un intervallo triennale di re-screening.
In realta', la quota di donne che esegue il Pap-test periodicamente e' ben piu' limitata e spesso questo gruppo fa un uso eccessivo dei test (test eseguiti annualmente o anche con maggiore frequenza). Esiste quindi una quota consistente della popolazione femminile che non ha mai eseguito il test o che lo esegue irregolarmente. Questa fascia di popolazione, che proprio per il fatto di non fare il Pap-test e' piu' a rischio di avere una diagnosi di carcinoma della cervice uterina, deve rappresentare il primo target di un programma di screening attivo.
Di conseguenza e' necessaria l'attivazione su tutto il territorio nazionale di programmi di screening del cervico-carcinoma di alta qualita', favorendo il completamento del processo attualmente in atto. A tal fine, e' necessario verificare l'esistenza di personale e strutture e promuovere le condizioni di fattibilita', efficienza e qualita', secondo quanto noto. A tal proposito si riscontra la mancata identificazione di una specifica figura professionale cui attribuire le funzioni di citologo. Anche al fine di garantire una miglior qualita' delle prestazioni, il Ministero della Sanita', entro sei mesi, regolamentera' l'attribuzione di quest'attivita' e precisera' i criteri per l'identificazione delle suddette funzioni, provvedendo all'identificazione della o delle relative figure professionali idonee a svolgere con competenza questa funzione. Nell'attuare il programma di screening occorre adottare i criteri illustrati nelle seguenti proposte operative. Esse sono formulate sulla base delle "European Guidelines for quality assurance in cervical cancer screening - Europe against Cancer Programme" .

2.1. Test

Il Pap test e' l'unico test di screening per il carcinoma della cervice uterina ed e' volto ad identificare le lesioni preinvasive ed il carcinoma invasivo iniziale della cervice uterina e non altre affezioni dell'apparato genitale femminile.

2.2. Programma di screening

Si raccomanda di attivare un programma che raggiunga una copertura della popolazione femminile italiana tra 25 e 64 anni, pari all'85%, eseguendo un Pap test gratuito ogni 3 anni. I test gratuiti, non utilizzati secondo queste indicazioni, sono sconsigliati. Questi non devono comunque superare il 10% del totale previsto dai programmi organizzati e devono essere adeguatamente motivati.

2.3. Situazione attuale degli screening in corso e loro integrazione in un programma organizzato nel SSN.

Prima di realizzare un programma di screening organizzato, si raccomanda di procedere ad un'analisi delle strutture esistenti a livello locale. E' necessario conoscere a priori la disponibilita' di:

a) ambulatori e/o consultori dei distretti, presso i quali
effettuare il prelievo cervico vaginale;
b) personale per l'esecuzione dei prelievo (preferibilmente
ostetriche, e, in assenza di tale figura professionale
l'infermiera addetta al Distretto, previa frequenza di un corso
specifico di formazione teorico-pratica;
c) laboratori di cito-isto-patologia per la lettura dei preparati
citologici ed istologici (esami di approfondimento - trattamenti
chirurgici);
d) strutture di 2o livello presso di cui eseguire indagini
colposcopiche;
e) esistenza di canali di raccordo tra queste strutture;
f) strutture assistenziali in grado di eseguire un trattamento
adeguato alla patologia diagnosticata.

E' bene inoltre tenere presente che una "buona accoglienza" della donna invitata ad effettuare il test di screening gioca sicuramente a favore di un'immagine efficiente del programma.

2.4.Bacino di utenza
Normalmente il bacino di utenza di un programma di screening citologico dovrebbe comprendere non meno di 250.000 abitanti. Bacini di utenza che offrano economie di scala ed efficienza amministrativa comprendono una popolazione variabile tra i 400 mila e i 700 mila abitanti.
E' necessario che il bacino di utenza del programma sia sufficientemente vasto da garantire la stabilita' della popolazione e da includere le risorse necessarie non soltanto per il prelievo citologico, ma anche per tutte le fasi successive del programma, quali la valutazione dei preparati, gli esami di approfondimento per le utenti risultate positive al test, il follow-up dei casi con alterazioni e valutazione dei risultati. Alternativamente occorre identificare specifici centri di riferimento collocati al di fuori dell'area, con i quali stabilire rapporti di collaborazione.

2.5. Struttura e gestione dei programmi di screening
Le ASL e le strutture sanitarie identificate concorrono secondo le competenze specifiche alla programmazione e attuazione degli screening oncologici. In particolare l'ASL, a cui compete di garantire i livelli di assistenza definiti dalla programmazione sanitaria nazionale e regionale, ha il compito di:

- promuovere, nell'ambito territoriale di competenza i programmi di
screening, coerenti con il contesto epidemiologico e scientifico e
le linee di indirizzo regionali, nazionali ed internazionali;
- assicurare le risorse necessarie per la loro attuazione;
- assicurare il coinvolgimento dei medici di medicina generale;
- assicurare l'informazione e la sensibilizzazione della
popolazione ed il coinvolgimento delle associazioni di
volontariato;
- assicurare la gestione e la valutazione dei programmi garantendo
il sistema informativo ed il coordinamento operativo dei
professionisti e delle strutture coinvolte;
- programmare l'attivita' formativa, secondo quanto contenuto nel
capitolo specifico.

A livello regionale, e' necessario garantire il coordinamento per la pianificazione e la valutazione delle attivita' di screening, con i seguenti compiti:

- pianificare sul territorio regionale l'attivazione di programmi
di screening di alta qualita';
- effettuare la loro valutazione, utilizzando le opportune
competenze epidemiologiche;
- attuare programmi di formazione degli operatori, secondo i
criteri stabiliti in sede nazionale;
- attivare un programma di "controlli di qualita'" per le varie
procedure organizzative, diagnostiche e terapeutiche cui dovranno
attenersi i programmi di screening;
- definire le modalita' di controllo affinche' i livelli di
qualita' siano mantenuti nel corso dell'attivita'; (assicurazione
di qualita);
- consultare i rappresentanti dei cittadini.

2.6. Risorse

La continuita' del finanziamento per la conduzione del programma, per spese di investimento e spese di gestione, deve poter essere garantita prima dell'avvio dello stesso. Si raccomanda inoltre di realizzare un sistema di monitoraggio per documentare i costi di ogni fase. Per migliorare l'organizzazione e pianificare la strategia d'intervento, e' necessario definire parametri di riferimento quali il costo per donna sottoposta a screening o per test effettuato.

2.7. Informazione della popolazione e partecipazione

La partecipazione della popolazione bersaglio e' un requisito fondamentale per il successo di un programma di screening. Bassi tassi di adesione diminuiscono il beneficio in termini di riduzione della mortalita' in tutta la popolazione piu' che lunghi intervalli tra test; e' quindi opportuno focalizzare l'attenzione soprattutto sulle donne che non hanno mai effettuato un Pap-test in passato.
La partecipazione allo screening e' condizionata dall'eta', dallo stato civile, da quello socio-economico, dalla frequenza di contatto con il sistema sanitario, ecc. Paura per l'esecuzione del test, ansieta' per il risultato, paura del cancro, mancanza di fiducia nella efficacia dello screening e della terapia, nel sistema sanitario sono ostacoli alla partecipazione che dovrebbero essere valutati anche in relazione a differenti situazioni locali, cosi' come barriere che diminuiscono l'accessibilita' alle unita' di screening quali la distanza, gli orari, ecc.
L'adesione della popolazione a un programma di screening puo' essere aumentata in vari modi: inviando inviti personali, con appuntamento prefissato ed a firma del medico di famiglia o di altre persone di riconosciuto prestigio nella comunita'. L'uso dei mass-media puo' svolgere un ruolo importante sia cercando di rimuovere le barriere alla partecipazione, sia informando la popolazione bersaglio sul programma e sulla sua organizzazione. In piccole citta' e in zone agricole l'organizzazione della vita sociale (associazioni, circoli, parrocchie, ecc.) puo' consentire di identificare specifiche opportunita' per informare le donne e promuovere la partecipazione.
La pubblicita' attraverso i mass-media ha effetto per un breve periodo e dovrebbe essere pianificata a intervalli regolari per rinforzare il messaggio. Giornali, stazioni radiotelevisive possono offrire spazi gratuiti per la pubblicita' e si possono trovare sponsor per finanziare l'informazione. Ogni eventuale modificazione dell'organizzazione del programma idealmente dovrebbe essere valutata attraverso studi randomizzati e controllati.

2.8. Ruolo del medico di medicina generale
L'informazione e l'educazione sanitaria sono di fondamentale importanza nell'ambito di un programma di screening cervico-vaginale di popolazione. Il medico di medicina generale (m.m.g.) e' il punto di riferimento per il cittadino e quotidianamente riceve richieste di informazioni, chiarimenti e consigli anche sulle possibili iniziative di prevenzione; egli inoltre stabilisce con i propri pazienti un rapporto fiduciario e continuo nel tempo. Il programma "Europa contro il cancro" ha ripetutamente raccomandato il coinvolgimento dei m.m.g. nell'ambito dei programmi di screening di popolazione. L'esperienza dei Paesi nord europei insegna che molte donne decideranno se aderire al programma e se seguire l'iter diagnostico suggerito dopo aver sentito il parere del proprio medico curante.
Studi condotti per valutare gli effetti di diverse modalita' di invito hanno dimostrato come anche nella realta' italiana, il ruolo del m.m.g., nel firmare la lettera di invito, sia determinante per ottenere tassi di partecipazione piu' elevati. In Italia la convenzione con la medicina generale prevede la partecipazione dei m.m.g. ai programmi di screening. L'attivazione di un programma di screening cervico-vaginale deve essere preceduta da un'adeguata formazione dei medici di medicina generale, organizzata secondo tecniche didattiche gia' sperimentate dalla SIMG per la formazione continua dei professionisti.

Schematizzando, il ruolo dei m.m.g. puo' essere riassunto come segue:

a) correzione delle liste in base a criteri di eleggibilita'
(escludendo pazienti gia' affette da tumore o da gravi malattie);
b) attiva informazione nei confronti della popolazione;
c) informazione mirata sulle donne non responders, soprattutto se
richiamate per un approfondimento;
d) "counselling" e supporto psicologico in tutte le fasi del
programma, in particolare per le donne positive al test;
e) segnalazione dei cancri di intervallo

2.9.Protocolli per il counselling ed il supporto psicologico

E' necessario predisporre e mettere a punto strumenti per il counselling ed il supporto psicologico delle donne che sono richiamate per la ripetizione del test, per accertamenti diagnostici di secondo livello o per essere indirizzate alla terapia.

2.10. Controlli di qualita' del prelievo citologico

Si raccomanda che la percentuale di campioni inadeguati, a causa dei prelievo, non superi il 5%. A tale scopo e' necessario effettuare, almeno annualmente, per ogni prelevatore, il monitoraggio della percentuale di campioni inadeguati e predisporre un nuovo training, per chi non rientri nello standard.
E' importante che il personale addetto al prelievo sia periodicamente aggiornato sull'andamento del programma, con particolare riferimento agli esiti qualitativi del proprio operato.

2.11. Garanzia del trattamento

E' indispensabile instaurare un sistema che eviti qualsiasi errore od omissione (fail safe mechanism - sistema di sicurezza intrinseca) nel garantire il trattamento ad ogni donna con una diagnosi che comporti un intervento terapeutico.

A tal fine e' necessario che:

- Le donne ricevano informazioni sul risultato del test e sulle
azioni che e' necessario intraprendere direttamente, attraverso una
comunicazione scritta. Bisogna mirare a contenere l'intervallo tra
prelievo e comunicazione del risultato entro 3 settimane.
- Il programma di screening adotti espliciti protocolli diagnostici
e di followup dei campioni citologici anormali. Un programma di
screening deve puntare al follow-up di tutti i campioni citologici
anormali, da avviare all'esame colposcopico, e insoddisfacenti
entro tre mesi. Si raccomanda che l'esame colposcopico avvenga
presso presidi accreditati, ove operi personale addestrato e
sottoposto ad un periodico controllo di qualita'. Si raccomanda di
adottare l'attuale classificazione colposcopica internazionale.
- Il programma di screening deve includere dettagliati protocolli
per il trattamento delle lesioni preinvasive e del tumore invasivo
della cervice. Le linee guida devono garantire che il trattamento
sia offerto a tutte le donne che ne hanno bisogno.
- Il trattamento ablativo e distruttivo deve essere preceduto da
una verifica istologica. Una politica di ablazione con ansa a
radiofrequenze, non preceduta da una biopsia mirata, e' accettabile
solo se si verifica un'elevata conferma istologica a posteriori
della presenza di lesioni intraepiteliali (>90%). Le direttive
devono garantire, inoltre, che il trattamento offerto sia il piu'
conservativo possibile, in misura accettabile dal punto di vista
professionale, a parita' di risultati terapeutici.
- Si deve assicurare il follow-up dopo il trattamento delle lesioni
preinvasive, mediante la ripetizione periodica dei Pap test e della
colposcopia, tenendo conto che la maggioranza dei preparati
citologici anormali si osserva entro due anni dal trattamento. Si
deve monitorare l'adeguamento del trattamento e dei follow-up a
questi protocolli e fornire spiegazioni per l'eventuale mancato
adeguamento.

2.12.Organizzazione e valutazione del programma

Per una corretta organizzazione e al fine di valutare i risultati del programma ed il rispetto degli standard e dei protocolli adottati, e' fondamentale disporre:

- di liste anagrafiche complete e aggiornate della popolazione
bersaglio;
- di un sistema di registrazione dei risultati dei Pap test, delle
colposcopie, dei referti istologici relativi alle biopsie e alle
lesioni preneoplastiche e neoplastiche avviate al trattamento.

I casi di carcinoma invasivo, che si verificano nell'intera popolazione bersaglio devono essere rilevati, cosi' come i decessi, al fine di valutare i risultati del programma. La presenza di un Registro Tumori di popolazione consente di disporre di questa informazione con due o tre anni di latenza.
Per svolgere adeguatamente queste attivita' e' necessario definire sistemi informativi e produrre programmi di gestione computerizzata che, tenendo conto delle caratteristiche specifiche dei sistemi informativi esistenti a livello regionale, possano produrre indicatori di processo confrontabili a livello intra e inter regionale (vedere tabella allegata).
L'elaborazione di tali indicatori, al momento oggetto di ulteriori approfondimenti, fa riferimento all'esperienza dei vari programmi nazionali ed alle Linee guida europee per i controlli di qualita' dei programmi di screening citologico (nel capitolo " Monitoring the programme, tabulation of parameters"). Si raccomanda a tutti i programmi di fare riferimento a questa documentazione per pianificare e verificare la qualita' del proprio lavoro.

2.13. HPV

L'uso di test per il virus del papilloma umano (HPV) mediante la ricerca del suo DNA in cellule cervicali esfoliate e' stato proposto sulla base dell'evidenza del ruolo di tipi "ad alto rischio" (16, 18, 31, 33, 45, 51, 52, 56) di HPV come agente eziologico del cervico-carcinoma uterino. Il notevole aumento della validita' delle tecniche disponibili ha consentito di dimostrare la presenza di HPV ad "alto rischio" in una percentuale elevata sia di tumori invasivi sia di lesioni intraepiteliali di alto grado (CIN 2-3) mentre la prevalenza pare bassa nella popolazione sana e moderata nelle lesioni di basso grado (CIN 1). Gli usi piu' promettenti paiono essere:

- Come metodo di selezione secondaria delle donne da avviare alla
colposcopia tra quelle con citologia di basso grado (LSIL - Low
Squamous Intraepithelial Lesion) o borderline (ASCUS - Atypical
Squamous Cells of Undetermined Significance). La gestione di queste
donne e' resa attualmente difficile dal fatto che una proporzione
non trascurabile di casi la cui citologia e' classificata di basso
grado o borderline presenta di fatto alterazioni istologicamente di
alto grado. Diversi studi indicano in modo coerente la capacita'
del test per l'HPV di individuare una percentuale elevata di tali
donne. Un'eventuale raccomandazione all'introduzione di tale
approccio nella pratica corrente dovra' essere il risultato di una
valutazione dei costi e benefici, basata su una revisione
sistematica della letteratura e sull'analisi delle specificita'
della situazione italiana.
- la tipizzazione dell'HPV (mediante Hybrid capture II o PCR) in
soggetti citologicamente negativi per la ridefinizione degli
intervalli di screening. Questo approccio e' tuttora oggetto di
ricerca e pertanto e' sconsigliato al di fuori di studi che
comportino un rigoroso contesto di valutazione. E' indispensabile
proseguire ricerche appropriate.

2.14. "Lettura automatica e preparati in strato sottile"

Sono stati introdotti sul mercato sistemi di preparazione in strato sottile della citologia cervico-vaginale. Diversi studi dimostrano una sensibilita' non inferiore, e in generale superiore, a quella degli strisci preparati in modo tradizionale.
Sono stati inoltre introdotti sistemi automatizzati per la lettura automatica di strisci cervico-vaginali preparati in modo tradizionale oppure in strato sottile. Alcuni sistemi effettuano una selezione automatica di una quota di strisci che possono essere considerati come negativi, senza ulteriori revisione da parte di citologi; altri selezionano i campi di ogni striscio piu' "sospetti"; alcuni combinano entrambi gli approcci. Tali sistemi hanno dimostrato una sensibilita' paragonabile a quella della lettura tradizionale ed alcuni sono approvati dall'F.D.A. per lo screening primario.
Si ritiene necessario che per entrambe tali tecnologie (strato sottile e lettura automatica) sia svolta un'attivita' di technology assessment che ne determini il rapporto costo-beneficio al fine di pervenire a raccomandazioni sulla loro introduzione o meno in programmi organizzati di screening del cervico-carcinoma.

2.15. Refertazione, classificazione e archiviazione dei preparati citologici ed istologici

Si raccomanda di classificare i preparati citologici secondo sistemi accreditati confrontabili e quelli istologici in base alla classificazione OMS, utilizzando il codice SNOMED. E' opportuno, inoltre, adottare ufficialmente tabelle di conversione tra diversi sistemi di classificazione. Si raccomanda infine di adeguare la responsabilita' medica del referto alle direttive CEE.
La refertazione, la registrazione, l'archiviazione dei preparati devono essere automatizzate, utilizzando software e classificazioni compatibili e interfacciabili con i dati delle anagrafi dei comuni e con le anagrafi sanitarie.
Per quanto riguarda l'archiviazione, e' consigliabile conservare i referti negativi per 5 anni e i non-negativi per 20 anni. E' consigliabile conservare i preparati istologici per 20 anni.

2.16. Valutazione e miglioramento di qualita'

Allo scopo di garantire una prestazione di laboratorio di alto livello, si raccomanda di istituire procedure di controllo interno ed esterno quali: re-screening selezionato, re-screening percentuale (il sistema deve tenere conto dell'esperienza e dell'affidabilita' delle persone coinvolte), screening doppio, riesame della citologia precedente, semina, correlazione citoistologica e scambio di vetrini.
Per una buona "valutazione e miglioramento di qualita'" interna e' essenziale un rapporto numero di tecnici/carico di lavoro soddisfacente. Si raccomanda che un citotecnico esegua lo screening primario di almeno 10.000 campioni cervicali l'anno. E' necessaria la presenza di un supervisore per ogni 3 esaminatori primari.
Al fine di garantire un'adeguata qualita', e in particolare per garantire che ogni screener veda un numero adeguato di preparati positivi, un laboratorio non deve esaminare meno di 25.000 Pap-test l'anno. Tale dimensione puo' essere raggiunta anche mediante il consorziamento di diversi laboratori, a condizione che si garantisca la circolazione di tutti gli strisci positivi tra tutti gli screener, frequenti sessioni di revisione comune di preparati e la gestione in comune delle attivita' di valutazione e miglioramento di qualita'. In ogni caso laboratori di grandi dimensioni permettono una riduzione dei costi economici. Come controllo di qualita' esterno, si raccomanda di estendere la sperimentazione dei test di profitto avviata in Italia nell'ambito dello "European Community training programme for Cervical Cancer Screening".

2.17. Criteri per la selezione dei centri di screening

Il gruppo tecnico di lavoro che coordina il programma di screening avra' cura di definire a priori quale sia il numero minimo di strutture necessario, in funzione del valore atteso di rispondenza della popolazione, i criteri per la loro individuazione nonche' i requisiti e la composizione del gruppo tecnico che dovra' svolgere le verifiche.
L'invito a candidarsi ad operare come centro di screening potra' coinvolgere tutte le strutture sanitarie del territorio dove e' svolto il programma senza alcuna preclusione se non quella di una fondata verifica di inidoneita' a svolgere le specifiche funzioni dello screening . Contestualmente all'invito a candidarsi le strutture sanitarie saranno informate preventivamente delle modalita' e dei tempi prescelti per effettuare la verifica e riceveranno la griglia di valutazione adottata.

2.18.Formazione e aggiornamento del personale

Al fine di raggiungere un elevato standard qualitativo ed un'elevata efficienza dello screening, il personale medico, ostetrico, infermieristico, tecnico e amministrativo, coinvolto nello screening, deve possedere una formazione di alto livello, deve partecipare a programmi di controllo di qualita' e avere un aggiornamento permanente.
Devono essere definiti contenuti e modalita' per l'attuazione di corsi di formazione e devono essere identificati e accreditati centri di formazione, in base a specifici requisiti e criteri, in accordo con le Linee Guida della CEE.

2.19. Riservatezza dei dati

Ogni programma di screening deve rispettare la normativa vigente in materia di trattamento dei dati sensibili come stabilito dalla legge 675 del 31 dicembre 1996 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personale), dal decreto legislativo 135 del 11 maggio 1999 e dal decreto legislativo 282 del 30 luglio 1999.

Il presente decreto......individua......alcune rilevanti finalita' di interesse pubblico, per il cui perseguimento e' consentito detto trattamento, nonche' le operazioni eseguibili e i dati che possono essere trattati.

(DL 135, art. 1, comma 1, lettera b)

.......si considerano di rilevante interesse pubblico le seguenti attivita' rientranti nei compiti del servizio sanitario nazionale e degli altri organismi sanitari pubblici..... a) la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione dei soggetti assistiti dal servizio sanitario nazionale....
(DL 135, art. 17, comma 1, lettera a)

C) PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI DEI COLON RETTO

Premessa

Il carcinoma colon-rettale (CCR) e' la seconda neoplasia per frequenza sia nei maschi sia nelle femmine. Nei Paesi della Comunita' Europea si contano infatti circa 130.000 nuovi casi di CCR e 90.000 morti ogni anno sono attribuibili a tale patologia.
In Italia (1994), i nuovi casi diagnosticati ed i pazienti deceduti per anno per questa neoplasia erano rispettivamente circa 36.000 e 19.000. Le proiezioni per l'anno 2000 hanno ipotizzato un aumento sia dei casi incidenti, stimati intorno a 49.000 nuovi casi, sia della prevalenza, con un numero di pazienti con diagnosi di C.C.R. che salirebbe a 250.000.
Benche' i risultati della terapia chirurgica siano buoni quando la lesione e' ancora confinata nella parete intestinale (stadio A di Dukes), la maggioranza dei pazienti sintomatici (80-85% dei totale) presenta tumori in stadio piu' avanzato, con conseguente diminuzione della sopravvivenza. La sopravvivenza a 5 anni di pazienti con tumore del colon-retto, globalmente considerati, non supera il 40%. L'89% dei pazienti con malattia localizzata alla parete intestinale e' vivo a 5 anni, ma la sopravvivenza scende al 58% in presenza di metastasi regionali e al 6% in caso di malattia disseminata. Si puo' stimare che un paziente con CCR perda in media da 6 a 7 anni di vita rispetto a quanto atteso. Inoltre, la terapia del CCR puo' determinare l'insorgenza di patologie invalidanti e una diminuzione della qualita' di vita per ablazioni d'organo, colostomie, chemioterapia e radioterapia, cui possono associarsi sintomi marcati.
L'insieme di questi dati sottolinea la necessita' di realizzare modelli di prevenzione primaria e secondaria e di diagnostica precoce, al fine di ridurre l'incidenza e la mortalita' per questo tipo di neoplasia.
Per quanto riguarda le prospettive di interventi di prevenzione primaria, l'evidenza disponibile, supportata dall'analisi descrittiva dell'andamento dell'incidenza del CCR nel corso degli ultimi decenni nelle diverse regioni italiane, suggerisce un ruolo eziologico della dieta nell'insorgenza di questo tumore. La tendenza alla riduzione del rischio nelle coorti di eta' piu' giovani (<45 anni), evidenziata dall'analisi dei dati di incidenza italiani, e' attribuita ai mutamenti delle abitudini alimentari verificatisi nel corso degli ultimi decenni.
La pianificazione di campagne miranti a modificare le abitudini alimentari della popolazione appare pero' complessa, per le insufficienti informazioni sul ruolo dei singoli fattori eziologici coinvolti. Risulta inoltre difficile trasferire nella pratica le informazioni gia' acquisite, per l'insufficiente evidenza relativa alle metodologie piu' efficaci e accettabili per la conduzione di questo tipo di interventi.
E' invece piu' concreta la possibilita' di realizzare programmi di screening e diagnostica precoce capaci di incidere significativamente sulla sopravvivenza e sulla mortalita' per CCR.

Caratterizzazione del rischio

A) Soggetti a rischio generico. L'incidenza di CCR e' molto bassa
per soggetti di eta' inferiore ai 50 anni. Oltre questa eta' il
rischio aumenta progressivamente in entrambi i sessi. I soggetti
di eta' uguale o superiore a 50 anni, privi di sintomi o di
specifici fattori di rischio, sono definiti soggetti a rischio
generico per lo sviluppo di CCR. In tali soggetti, all'eta' di 50
anni, le probabilita' di sviluppare un CCR sintomatico nei
successivi 12 mesi e' di 1 su 1800; all'eta' di 60 anni tale
probabilita' e' di 1 su 550, per gli uomini, e di 1 su 800 per le
donne. In generale, da 2 a 5 italiani su 100, a seconda del sesso
e delle aree geografiche, si ammalano di CCR entro i 70 anni.
B) Categorie a rischio elevato. Sono invece da considerare
soggetti ad alto rischio per CCR coloro che presentano specifiche
condizioni ereditarie: poliposi adenomatosa familiare (FAP),
sindromi ereditarie non poliposiche (HNPCC) e la cancer family
syndrome. Questo gruppo rappresenta una quota compresa tra il 5 e
il 10% di tutti i casi di CCR.
Altri gruppi ad alto rischio sono costituiti da soggetti con un
familiare di 1o grado con CCR o adenoma insorti in eta' inferiore
a 45 anni, o con storia personale di polipi adenomatosi, di CCR, o
di pancolite ulcerosa con durata di malattia superiore ai 10 anni.

La conoscenza e la diffusione dell'informazione su tali aspetti rappresenta un elemento di primaria importanza per definire la strategia di screening e diagnostica precoce nei soggetti a rischio generico e di sorveglianza nei soggetti a rischio elevato.

Priorita' operative

Alla luce delle sopracitate realta' epidermologiche, in considerazione dei piu' recenti dati disponibili attraverso la letteratura scientifica e della realta' socioeconomica e sanitaria del nostro Paese, sono state identificate le seguenti priorita' operative:

A) delineare raccomandazioni per lo screening per il CCR in
soggetti ad alto rischio;
B) definire programmi di screening per il CCR nella popolazione
generale, che dovranno essere redatti tenendo conto:
- delle piu' recenti acquisizioni scientifiche in termini di
riduzione di mortalita' in popolazioni sottoposte a screening
mediante il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci e
successiva indagine colonscopica nei soggetti positivi;
- delle linee guida stabilite in altri Paesi della Comunita'
Europea ed in Paesi extraeuropei o da Organismi Nazionali o
Internazionali (Comunita' Europea, O.M.S.);
- della necessita' di censire le Aziende Sanitarie nelle quali sono
gia' state avviate iniziative preventive ed identificare quelle che
intendono avviare nuove proposte;
- della necessita' di elaborare un programma di intervento
controllato mediante screening, da realizzare in aree selezionate
dei Paese, in accordo con un modello operativo rigorosamente
definito;
- della necessita' di verificare la compliance, l'efficacia e
l'efficienza della sigmoidoscopia "per se" nel ridurre l'incidenza
e la mortalita' dei CCR;
C) della necessita' di definire l'impatto derivante
dall'introduzione di programmi di screening organizzati sulla
popolazione italiana e sulle strutture sanitarie in termini di:
- riduzione della mortalita' e/o della incidenza nella popolazione
italiana in funzione di vari protocolli e test di screening
adottabili;
- costi e carichi di lavoro per i servizi (laboratorio, endoscopia,
anatomia patologica, chirurgia, oncologia ed epidemiologia)
derivanti dai test di screening, dai test di accertamento
diagnostico, dalla terapia, dal follow-up clinico e dalla
riabilitazione;
- rapporto costi-benefici dei programmi organizzati di diagnosi
precoce utilizzanti:
- solo la ricerca del sangue occulto nelle feci;
- solo la rettosigmoidoscopia;
- l'una e l'altra in popolazioni o soggetti diversi.
D) della necessita' di coinvolgere a pieno titolo i medici di
medicina generale oltre alle strutture ospedaliere nella
realizzazione dei programmi di cui ai punti A e B.

Screening nella popolazione generale

A) Test di screening

Metodi efficaci per lo screening del cancro colo-rettale includono la ricerca del sangue occulto nelle feci e la rettosigmoidoscopia. Non vi e' un'evidenza sufficiente per determinare quale di questi due metodi sia piu' efficace, o se la combinazione della ricerca del sangue occulto con la sigmoidoscopia produca maggiori benefici, che l'uno dei due test da solo.
Vi e' una buona evidenza scientifica per suggerire la ricerca del sangue occulto nelle feci con frequenza biennale. Studi controllati e randomizzati hanno evidenziato una riduzione significativa di mortalita' per CCR nei soggetti sottoposti a screening biennale con test al guaiaco. Tale riduzione e' piu' elevata (21%) utilizzando il test reidratato (che pero' induce un maggior numero di colonscopie), mentre si colloca intorno al 15-18% nei gruppi sottoposti a screening con test non reidratato.
Una riduzione del 33% della mortalita' per CCR e' stata osservata in uno di questi studi nel gruppo sottoposto a screening annuale con test al guaiaco reidratato. L'evidenza, derivante da studi caso-controllo, condotti nell'ambito di programmi che utilizzano i piu' recenti test immunologici, e da studi che hanno confrontato direttamente la performance di questi test con quella del test al guaiaco, e' suggestiva per una maggiore accuratezza dei test immunologici. Questi ultimi risulterebbero piu' sensibili e specifici rispetto al test al guaiaco e garantirebbero un effetto protettivo piu' prolungato. Questi test non richiedono inoltre alcuna restrizione dietetica.
L'evidenza disponibile derivata da studi osservazionali, e' suggestiva per un'efficacia della sigmoidoscopia come metodica di screening. Non e' al momento disponibile una stima precisa della riduzione di mortalita' e d'incidenza ottenibile con un intervento di screening basato sulla sigmoidoscopia. Inoltre non esista una evidenza scientifica adeguata per suggerire con quale frequenza. dovrebbe essere praticato lo screening sigmoidoscopico.
E' attualmente in corso il follow-up dei soggetti reclutati nel trial multicentrico controllato e randomizzato di valutazione di efficacia della sigmoidoscopia "una tantum" (studio italo-inglese SCORE). Sulla base dei risultati di questo studio sara' possibile derivare una stima quantitativa piu' precisa dell'efficacia dello screening sigmoidoscopico.

B) Programma di screening

Pur essendoci evidenza di efficacia dello screening nel ridurre la mortalita' per carcinoma colorettale, allo stato attuale non esistono i presupposti per proporre un unico modello di intervento da estendere all'intero territorio nazionale.
Le conoscenze sul potenziale impatto derivante da diversi protocolli e test di screening adottabili, in termini di costi e benefici, sono, infatti, insufficienti.
Queste conoscenze sono indispensabili per definire con accuratezza un programma di screening del CCR per la popolazione italiana, stimarne le implicazioni organizzative e finanziarie e creare le premesse per la sua realizzazione. La valutazione di tali aspetti rappresenta quindi un obiettivo da perseguire in modo coordinato a livello nazionale.

C) Valutazione dell'impatto di diversi protocolli e test di screening

In base alle precedenti considerazioni e alle evidenze disponibili, si raccomanda di promuovere attivita' integrate di valutazione rispetto ai seguenti settori:

- stima dell'effetto atteso sulla mortalita' e sull' incidenza di
diversi protocolli e test di screening, clinicamente validati in
funzione delle diverse caratteristiche di sensibilita' e
specificita' dei test, della adesione e della copertura della
popolazione. Tali stime richiedono sia un impegno sul piano
valutativo, che utilizzi le evidenze disponibili, sia la conduzione
di studi di intervento finalizzati all'acquisizione di informazioni
non disponibili in Italia.
- stima del carico di lavoro e dei costi, per le strutture
sanitarie, derivanti dai test di screening, dai test di
accertamento diagnostico, dalla terapia, dal follow-up clinico e
dalla riabilitazione. Analogamente, tali stime necessitano di
informazioni oggi solo parzialmente disponibili, da acquisire
attraverso attivita' pilota.
- stima del rapporto costo-beneficio, espresso nei termini degli
usuali indicatori utilizzati in sanita' pubblica quali: costo per
caso evitato, morte prevenuta, anno di vita salvato, anno di vita
salvato corretto per qualita' della vita. Tale valutazione dovra'
basarsi sulle risultanze delle prime due stime.

Sorveglianza nei soggetti a rischio elevato

A) In questo contesto il problema essenziale e' quello di
identificare soggetti appartenenti a famiglie affette da FAP o da
HNPCC, attraverso l'estensione e l'ottimizzazione di registri
nazionali, poiche' il rischio di CCR per i figli di soggetti
affetti da tali patologie e' molto elevato (50%). Accanto alla
realizzazione dei test genetici, che al momento sono disponibili
solo per la FAP e non in modo routinario, fondamentale appare la
sorveglianza endoscopica. Nelle FAP si raccomanda una
sigmoidoscopia flessibile ogni anno, dall'eta' di 10-15 anni sino
a 30-35 anni, con successivo follow-up con colonscopia ogni 3
anni. Nell'HNPCC si raccomanda una colonscopia ogni 2 anni
dall'eta' di 25 anni o iniziando 5 anni prima dell'eta' di
insorgenza del cancro nel membro della famiglia colpito piu'
precocemente dall'affezione.
B) Per soggetti con un parente di 1o grado (padre, madre, sorella,
fratello, figlia, figlio) affetto da CCR diagnosticato in eta'
inferiore a 45 anni, o con due parenti di 1o grado con CCR ad ogni
eta' (rischio aumentato di 6 volte) si raccomanda di valutare,
anche sulla base delle recenti acquisizioni sperimentali di tipo
genetico, l'opportunita' di una sorveglianza mirata le cui
caratterizzazioni saranno oggetto di definizione da parte del
gruppo operativo.
C) Nei soggetti con storia personale di CCR, di adenoma o di
malattia infiammatoria del colon, si raccomanda un follow-up con
colonscopia in accordo a protocolli di sorveglianza gia'
codificati. Per soggetti con adenomi del colon, di particolare
interesse appaiono i modelli di intervento mediante
chemioprevenzione ancora in fase di valutazione in studi
sperimentali.

In sede di Commissione oncologica nazionale, o in suo apposito Gruppo di lavoro, saranno valutate nuove metodiche di screening con riferimento sia ad altre patologie neoplastiche sia a quelle gia' oggetto di screening.
Tale valutazione sara' finalizzata a indicare la sperimentazione necessaria, anche sotto il profilo di una valutazione di costi-benefici, per l'eventuale diffusione di altri screening a livello di popolazione.
A questo proposito, si raccomanda che eventuali screening genetici per l'individuazione di soggetti ad aumentato rischio di sviluppare le neoplasie siano attentamente valutati ed applicati solo dopo che ne sara' stata dimostrata l'efficacia.

Obiettivo specifico intermedio n. 4

PREVENZIONE PRIMARIA DEI TUMORI

Premessa

La ricerca scientifica degli ultimi anni ha messo in evidenza diversi fattori di rischio, che hanno importanza nella comparsa dei tumori. L'insorgenza del cancro, patologia ad eziologia multifattoriale, e' ascrivibile a molteplici fattori esogeni ed endogeni interagenti fra di loro. Si puo' affermare che una considerevole frazione dei tumori e' attribuibile ad abitudini personali, quali il fumo di sigaretta, l'alimentazione, l'esposizione alle radiazioni ultraviolette solari o artificiali, ad agenti virali o ad esposizioni ambientali (cancerogeni in ambiente di lavoro, radon negli ambienti domestici, radiazioni inquinamento atmosferico). Nel complesso una quota significativa di neoplasie sarebbe quindi evitabile modificando gli stili di vita e riducendo l'esposizione ambientale. Si stima, infatti, che solo 1/4 delle neoplasie incidenti sarebbe inevitabile nell'ipotetica assenza di influenze ambientali.
La prevenzione primaria si fonda sul principio che, per diminuire il rischio di una malattia, occorre evitare o ridurre al minimo livello possibile l'esposizione agli agenti, che possono causare la malattia stessa o che possono contribuire ad aumentare il rischio di contraria. I risultati della prevenzione primaria nei riguardi delle malattie cronico degenerative, fra cui le malattie tumorali, non possono che rimanere peraltro per lungo tempo dei non eventi, quindi, per loro natura, non quantificabili. Questa condizione porta spesso a minimizzare l'importanza della prevenzione primaria, soprattutto laddove la valutazione quantitativa dei rischi e dei benefici nei confronti dell'esposizione a specifiche sostanze risulta difficoltosa. Pur non essendovi ragione valida per sostenere che l'attivita' cancerogena di certe sostanze chimiche rimanga circoscritta all'interno delle fabbriche o quella del fumo limitata all'aspirazione volontaria del fumo di tabacco, le difficolta' di dimostrare una significativita' statistica dei dati possono talora essere addotte come prova sufficiente di un'assenza di nocivita'.
Cio' ha avuto come conseguenza che, sebbene l'evidenza epidemiologica abbia suggerito che anche livelli di inquinamento medi o relativamente bassi possono avere effetti nocivi sulla salute, si sia verificato che le concentrazioni ambientali di inquinanti direttamente correlati alla produzione e consumo di energia, alle attivita' di alcune industrie ed all'uso massiccio di alcuni prodotti industriali, primo fra tutti l'automobile, continuino ad aumentare.
Il progredire delle conoscenze scientifiche sui meccanismi sottesi al processo multifattoriale e a piu' stadi della cancerogenesi e' di massima utilita', sia per il miglioramento dei mezzi diagnostici e terapeutici sia per l'affinamento delle iniziative di prevenzione primaria. E' quindi auspicabile che misure di prevenzione primaria siano prese sulla base di tutti gli elementi conoscitivi disponibili. Occorre essere consapevoli che non si puo' aspettare di ottenere una completezza di informazioni e di dati, che la tecnologia attualmente a disposizione non e' ancora in grado di fornire, per procrastinare l'adozione di misure di prevenzione. Infatti, occorre sottolineare che se la disponibilita' di chiare prove di cancerogenicita' di una esposizione impone un intervento preventivo, prove deboli o frammentarie non escludono affatto un'azione preventiva o cautelativa, se vi e' fondato sospetto di effetti irreversibili a lungo termine.

LE PRIORITA' IN TEMA DI PREVENZIONE PRIMARIA

Il Piano sanitario nazionale 1998\2000 considera tra gli obiettivi prioritari la promozione di comportamenti e stili di vita per la salute ed il miglioramento delle condizioni ambientali ed indica numerose azioni tese alla prevenzione primaria delle malattie, comprese le patologie oncologiche. Con specifico riferimento agli obiettivi, ed alle strategie indicate nel Piano sanitario nazionale, saranno di seguito trattati gli aspetti prioritari per l'attuazione di programmi di prevenzione primaria dei tumori, ai diversi livelli e nelle articolazioni funzionali del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.). Occorre peraltro sottolineare che l'attuazione di tali interventi presuppone la predisposizione e l'attuazione dei Piani per la Salute attraverso un'adeguata azione concertata dei vari settori delle Amministrazioni pubbliche, in particolare Regioni e Comuni, nonche' il coordinamento operativo di tutte le strutture che compongono il S.S.N. ai vari livelli (Ospedale, Distretto, Dipartimento di Prevenzione). Si sottolinea in particolare l'importanza di concertazioni istituzionali sulla politica del tabacco e sulle misure programmatiche per la protezione dei lavoratori e della popolazione generale. a rischio di amianto, ovvero nello sviluppo di politiche di trasporto che riducano la contaminazione ambientale delle aree urbane. Si sottolinea inoltre l'opportunita' che le attuali procedure e le attivita' che le strutture del S.S.N. svolgono nel campo della prevenzione, non solo oncologica, siano sottoposte ad una revisione periodica dell'efficienza ed efficacia, al fine di individuare un corpo strategico di iniziative effettivamente utili. Nell'individuare le priorita' degli ambiti d'intervento, e nel formulare le conseguenti raccomandazioni specifiche, sono stati seguiti i seguenti criteri:

1. Privilegiare gli interventi di prevenzione specificatamente
previsti dal P.S.N. 1998-2000.
2. Privilegiare gli interventi verso quei fattori di rischio, per
i quali vi e' una consolidata evidenza epidemiologica e/o
sperimentale di cancerogenicita'. Cio' non esclude la
predisposizione di azioni di prevenzione in via precauzionale,
anche quando l'evidenza scientifica non e' definitiva e le prove
sono ancora parziali.
3. Privilegiare quegli interventi di prevenzione per i quali
esistono prove scientifiche d'efficacia nel ridurre l'esposizione
della popolazione e/o nel ridurre la frequenza della malattia
tumorale. In mancanza di revisioni sistematiche sull'efficacia, o
in carenza di sperimentazioni controllate, e' indicata
l'opportunita' di produrre valutazioni sistematiche di tipo
quantitativo, ovvero si suggerisce di condurre sperimentazioni
controllate nel contesto italiano, anche se la disponibilita' di
queste ultime non puo' essere considerata in tutti i casi
preliminare rispetto all'organizzazione di azioni di prevenzione.
Ne discende che lo spettro degli interventi deve essere
continuamente espanso, non ridotto.
4. Affrontare in modo prioritario il nodo delle diseguaglianze
dello stato di salute e ridurre i differenziali sociali
nell'esposizione agli agenti cancerogeni.

1) ABITUDINE AL FUMO

Il Piano sanitario Nazionale, in linea con gli intenti degli organismi sanitari internazionali, ha introdotto la lotta al tabagismo tra gli obiettivi diretti a promuovere comportamenti e stili di vita per la salute. Oltre ad auspicare la drastica diminuzione del numero dei fumatori attraverso il perseguimento di alcuni obiettivi, il Piano pone inoltre l'accento sulla necessita' del rispetto della normativa esistente sul divieto di fumo.
Dal momento che il fumo di sigaretta e' un importante fattore di sperequazione sociale nei confronti della salute, ogni intervento di cessazione del fumo, specialmente nei confronti dei gruppi sociali meno avvantaggiati, risponde all'obiettivo della riduzione delle diseguaglianze previsto dal P.S.N.

La rilevanza del fumo in Italia

La prevalenza dei fumatori attivi in Italia e' ancora molto elevata (33.1% - 17.3 % rispettivamente degli uomini e delle donne in eta' superiore ai 14 anni, dati riferiti all'anno 1997).
La percentuale dei fumatori tra i 14 ed i 24 anni e' addirittura aumentata negli ultimi anni (17.4 % nel 1993 e 20.5% nel 1997) (ISTAT 1998). Il fumo e' altresi' diffuso negli adolescenti di entrambi i sessi. Infatti, il 9% di loro sono fumatori abituali. L'abitudine al fumo dei ragazzi dipende fortemente dall'esempio fornito dai genitori. Inoltre, piu' del 50% dei bambini e' correntemente esposto al fumo passivo nelle mura domestiche, soprattutto nella famiglie di condizione sociale piu' bassa.
Sono attribuibili al fumo di tabacco in Italia circa 90.000 morti l'anno, di cui oltre il 25% e' compreso tra i 35 ed i 65 anni. Il fumo attivo rimane la principale causa di morbosita' e mortalita' nel nostro Paese, come in tutto il mondo occidentale. Al fumo sono attribuibili circa un terzo delle morti per cancro. Il fumo e' dannoso ad ogni eta', ma il rischio ad esso correlato di contrarre una patologia oncologica, e' strettamente dipendente dalla data di inizio di tale abitudine. Infatti, una persona che inizia a fumare a 15 anni ha una probabilita' tre volte superiore di ammalarsi di tumore rispetto ad un individuo che inizi a fumare all'eta' di 20 anni.
L'esposizione a fumo passivo e' causa di aumento del rischio per tumore polmonare, infarto del miocardio e malattie respiratorie nei bambini. Il fumo delle madri durante la gravidanza causa una significativa riduzione del peso alla nascita ed e' responsabile di una quota considerevole delle morti improvvise del lattante, ha inoltre gravi conseguenze per lo sviluppo del lattante.
A fronte ditali dati epidemiologici, la consapevolezza degli effetti negativi del fumo in Italia e' ancora sottostimata sia nella popolazione generale che tra il personale sanitario. Infatti, la prevalenza di fumatori tra i medici e' paradossalmente piu' elevata di quella della popolazione generale.

L'efficacia degli interventi

In base alle evidenze disponibili, esistono valide prove di efficacia su una serie di misure di controllo del tabagismo quali:

- la politica dei prezzi; - l'abolizione della pubblicità diretta ed indiretta; - i provvedimenti di restrizione del fumo nei luoghi pubblici e di
lavoro, quando a questi si accompagna un adeguato controllo; - il coinvolgimento dei mass-media nelle campagne educative; - la raccolta dell'informazione individuale sull'abitudine al fumo
in tutti i contatti con il servizio sanitario; - l'effettuazione di un colloquio con il medico di base; - la terapia sostitutiva con nicotina; - gli interventi di supporto di gruppo.

Le strategie per l'intervento

Gli interventi sul fumo gia' realizzati in Italia sono sicuramente numerosi, ma hanno avuto carattere locale, poco integrato tra i servizi sanitari, educativi e di volontariato, che di volta in volta ne sono stati promotori. I momenti diversi dell'iniziazione e della dipendenza dal fumo richiedono azioni coordinate e competenze professionali complementari inserite in percorsi predefiniti e ben strutturati.
Si raccomanda fortemente pertanto, di programmare interventi di carattere nazionale, che coinvolgano un vasto numero di soggetti rispetto all'ambito specifico del SSN, che affrontino in chiave strategica il tema del fumo, concertino in modo organico le azioni, forniscano linee di indirizzo tecnico, individuino le risorse occorrenti e monitorizzino i risultati.

In tal senso un "Piano nazionale di lotta al fumo" dovrebbe prevedere azioni coordinate per:

- prevenire l'acquisizione dell'abitudine al fumo tra i giovani; - favorire la cessazione del fumo tra i soggetti fumatori; - proteggere i non fumatori dall'esposizione a fumo passivo.

Prevenire l'acquisizione dell'abitudine al fumo tra i giovani

La politica del prezzo puo' avere sicuramente effetti positivi tra i giovani, ma puo' indurre un incremento delle vendite dei prodotti di contrabbando, che deve essere contrastata in modo deciso. Occorrera' inoltre concertare una valutazione di efficacia del divieto di vendita dei tabacchi ai minori di 16 anni. Gli interventi informativi e educativi in ambito scolastico sono indubbiamente importanti per informare sugli effetti negativi del tabacco. Gli interventi di prevenzione per i giovani saranno efficaci se lo stresso articolato mondo della scuola fornira' un esempio coerente, tramite l'assunzione di modelli comportamentali che bandiscano il fumo dalle mura scolastiche, se le strutture del SSN forniranno immagini negative del fumo, se i mezzi di comunicazione forniranno uguali messaggi.
Appare opportuno che le amministrazioni regionali, in collaborazione con le istituzioni scolastiche, promuovano piani di interventi di educazione alla salute, rivolte ai ragazzi a partire dalla scuola dell'obbligo. Sono inoltre auspicabili attivita' di formazione degli insegnanti anche tramite la collaborazione delle strutture del S.S.N. quali ad esempio i Dipartimenti di prevenzione delle A.S.L.. L'impostazione degli interventi educativo-informativi rivolti ai giovani dovra' puntare sugli aspetti positivi di una vita libera da fumo, piuttosto che sui rischi alla salute da esso derivanti.

Favorire la cessazione del fumo tra i soggetti fumatori

E' affidata alla programmazione regionale l'implementazione di iniziative o programmi volti a favorire la cessazione del fumo nella pratica clinica ordinaria ospedaliera e territoriale. E' proponibile che, nell'ambito delle strutture del SSN, si costituiscano equipe multidisciplinari che programmino gli interventi e coordinino i percorsi per la promozione di momenti formativi, educativi e del trattamento dei soggetti fumatori.
Un ruolo specifico nel programma di cessazione del fumo e' svolto dal medico di medicina generale, nei confronti dei propri assistiti. I medici di medicina generale vedono gran parte della popolazione assistita ogni due anni e possono personalizzare e ripetere gli interventi. In considerazione della dipendenza farmacologica, di cui soffrono molti fumatori, che necessita' di terapia sostitutiva della nicotina, trattamento la cui efficacia e' stata documentata, e' affidato al medico di base il compito di diagnosticare, con metodi standardizzati, lo stato di dipendenza da nicotina dei propri assistiti, al fine di indicare la terapia piu' adeguata per la disintossicazione. Appare peraltro opportuno adeguatamente sensibilizzare e formare i medici di medicina generale sui criteri diagnostici relativi alle caratteristiche della dipendenza e sulle linee guida piu' adeguate per facilitare la cessazione dell'abitudine al fumo.

Proteggere i non fumatori dall'esposizione a fumo passivo

Si rimanda ad un apposito e urgente intervento legislativo la chiara regolamentazione del divieto di fumo anche nei luoghi di frequentazione pubblica, esclusi dalla normativa vigente (bar, ristoranti, luoghi di lavoro confinati non aperti al pubblico).
Per quanto attiene la normativa vigente sul divieto di fumo nei luoghi pubblici, si sottolinea l'attuale non rispetto delle norme nelle strutture del S.S.N. e nelle strutture scolastiche e di istruzione superiore.

Raccomandazioni specifiche

Nell'auspicare l'avvio di un Piano nazionale contro il tabacco, si raccomanda il completamento della normativa vigente per la regolamentazione del divieto di fumo negli esercizi pubblici (bar, ristoranti) e nei luoghi di lavoro chiusi, non aperti al pubblico, al fine di tutelare la salute dei lavoratori anche dall'esposizione al fumo passivo.
Le Amministrazioni competenti dovrebbero esercitare idonee attivita' di stimolo e sorveglianza, al fine di garantire la piena applicazione ed il rispetto delle leggi vigenti. Si raccomandano inoltre interventi che assicurino il divieto di fumo in tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private, in tutte le scuole di ordine e grado, nonche' il rispetto del divieto di vendita di sigarette ai minori di 16 anni.
Si raccomanda inoltre l'avvio di campagne informativo-educative attraverso i mass-media e la scuola, caratterizzate da messaggi modulati a seconda della popolazione bersaglio.
A livello regionale, dovrebbero essere definite le caratteristiche specifiche del piano di lotta al fumo delle strutture del S.S.N., in modo da garantire programmi strutturati di cessazione e l'idonea attivita' di formazione per tutte le figure professionali del S.S.N.. E' altresi' importante una capillare opera di informazione per favorire l'uso della terapia sostitutiva (Scheda n. 1).
Sarebbe opportuno prevedere la realizzazione di iniziative di formazione e sensibilizzazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di base, nonche' di tutto il personale sanitario, sulle problematiche del tabagismo e sulle modalita' di approccio al paziente tabagico.
E', infatti, indispensabile che i medici di medicina generale, i pediatri di base, i ginecologi, e tutti gli operatori sanitari informino costantemente i pazienti sui danni del fumo e sui benefici della cessazione. Ogni intervento e suggerimento ai genitori nel periodo della gravidanza e perinatale puo' avere un impatto rilevante in termini di protezione dei bambini e rappresentare uno stimolo per smettere di fumare. Appare inoltre necessario concertare con i medici, gli operatori sanitari, organizzati nelle loro Associazioni ed Ordini Professionali, la introduzione nella pratica clinica di:

- valutazione e registrazione sistematica nella documentazione
clinica dell'abitudine al fumo dei pazienti;
- "counseling" sistematico per tutti pazienti fumatori, con
adeguato supporto ed assistenza con invito ai fumatori, quando
necessario, a rivolgersi a centri specialistici per la cessazione
del fumo;
- raccomandazione ai fumatori che vogliono smettere l'adozione di
un programma personalizzato di disassuefazione, consigliando quando
necessario l'uso di una terapia sostitutiva della nicotina e
fornendo informazioni accurate su questo tipo di terapia;
- raccomandazione alle donne di smettere di fumare durante la
gravidanza, con assistenza a smettere, quando lo richiedono.

Per i Medici Competenti e gli operatori dei Servizi di Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro

Tutto il personale addetto alla sicurezza nei luoghi di lavoro ha un ruolo importante per la promozione della salute, anche per quel che riguarda l'esposizione a fumo di tabacco ambientale. I lavoratori dovranno essere informati sui rischi attribuibili alla esposizione a fumo passivo e sulle conseguenze per la salute della esposizione contemporanea a piu' sostanze cancerogene. Il datore di lavoro, inoltre, dovra' essere informato degli obblighi derivanti dalla normativa vigente, nello specifico l'art. 9 DPR 303/56, art. 9 L. 300/70, art. 1, 4, 31 D.Lgs 626/94.

SCHEDA I

Consigli per l'uso della terapia sostitutiva della nicotina

- Il trattamento con la terapia sostitutiva della nicotina puo'
aiutare i fumatori a smettere di fumare, anche se questi hanno gia'
provato senza successo
- Interventi clinici controllati hanno dimostrato che l'uso della
terapia sostitutiva, da parte dei fumatori che vogliono smettere di
fumare, raddoppia la probabilita' di successo
- La terapia sostitutiva non e' una cura magica. Non sostituisce le
sigarette o la forza di volonta' di smettere di fumare. Durante il
periodo di astinenza, questa terapia aiuta a non riprendere a
fumare
- La terapia sostitutiva fornisce nicotina in maniera lenta e meno
soddisfacente rispetto alle sigarette ma e' sicura e da' meno
dipendenza
- La terapia sostitutiva contiene nicotina ma non contiene catrame
o monossido di carbonio come il fumo di sigaretta. Non esiste
nessuna evidenza che la nicotina sia causa del cancro
- La terapia sostitutiva riduce ma non elimina i sintomi di
irritabilita', depressione e desiderio di fumare tipici del periodo
di astinenza
- Pochissime persone diventano dipendenti della terapia
sostitutiva. Alcuni ex-fumatori continuano questa terapia per un
anno, il che e' per lo piu' dovuto al timore di riprendere a fumare
- Per raggiungere risultati ottimali, la terapia sostitutiva
dovrebbe essere usata in dosi adeguate e per un periodo
sufficientemente lungo. I fumatori dovrebbero seguire le istruzioni
indicate nel foglietto illustrativo e chiedere al farmacista
informazioni piu' dettagliate sul prodotto

2) ALIMENTAZIONE ED ALCOOL

Circa le abitudini alimentari il Piano sanitario nazionale fissa specifici obiettivi per adeguare l'Italia agli standard nutrizionali internazionalmente raccomandati, in quanto fattori in grado di aumentare la capacita' individuale a controllare, mantenere e migliorare lo stato di salute in generale e probabilmente, anche nei confronti delle patologie neoplastiche.

Prove sulla cancerogenicita' o azione protettiva di costituenti dell'alimentazione

Non ancora del tutto esaurienti prove scientifiche indicano che ad alcuni comportamenti alimentari (es. una dieta ricca in verdura e frutta) potrebbe essere associata una diminuzione importante del rischio di cancro. La relativa concordanza tra gli studi per alcune abitudini alimentari puo' quindi consentire l'elaborazione di linee-guida di pratica applicazione pratiche.
Al contrario, per quanto riguarda le integrazioni alimentari con vitamine e/o elementi oligominerali, attualmente molto diffuse, non vi sono prove della loro efficacia per la prevenzione dei tumori, o addirittura e' dimostrato un effetto negativo. In ogni caso, non e' appropriato riportare tra le indicazioni di questi preparati la prevenzione del cancro.
Per quanto riguarda le prove, relative all'effetto cancerogeno o protettivo di diverse abitudini alimentari, si riporta nella scheda n. 2 una valutazione di adeguatezza basata su rassegne sistematiche pubblicate nella letteratura internazionale. Tale classificazione del livello qualitativo delle prove puo' tradursi in raccomandazioni piu' specifiche che sono qui di seguito riassunte:

- scegliere prevalentemente alimenti di origine vegetale, con
un'ampia varieta' di verdura e frutta, legumi e cereali;
- mangiare diverse porzioni al giorno di verdura e di frutta
fresca, scegliendo varieta' di stagione;
- mangiare diverse porzioni di cereali al giorno;
- preferire prodotti non raffinati; (es. zucchero e farina non
raffinati)
- consumare regolarmente pesce, riducendo il consumo di carne
rossa;
- limitare il consumo di grassi, in particolare di origine animale
(latte, burro, formaggio, carni);
- evitare il consumo di cibi conservati sotto sale;
- non lasciare per lungo tempo a temperatura ambiente cibi
deteriorabili;
- limitare il consumo di cibi cotti ad elevate temperature (alla
griglia) o affumicati;
- limitare il consumo di alcolici.

A queste indicazioni si aggiunge la raccomandazione di controllare il peso, evitando sovrappeso ed obesita' attraverso un adeguato apporto calorico ed un appropriato livello di esercizio fisico.

SCHEDA 2

Livello qualitativo delle prove sulla relazione tra alcune abitudini alimentari e prevenzione dei tumori

Livello qualitativo Raccomandazione delle prove

(A) adottare una dieta ricca di frutta e verdura (A) consumare alcolici solo in quantità moderate (B) adottare una dieta povera di grassi (meno
del 30% delle calorie totali) (B) adottare una dieta povera di grassi saturi
(meno del 10% delle calorie totali) (B) adottare una dieta povera di carne rossa (B) mantenere il peso forma (B) adottare una dieta ricca di fibre (B) ridurre i nitriti, le carni affumicate e i
cibi conservati sotto sale (E) non è suggerito assumere preparati
vitaminici, se non per patologie da carenza

Nota - Livelli qualitativi di prova:

A: un buon livello di prove suggerisce che l'intervento dovrebbe
essere avviato B: le prove sono incerte o incomplete, ma suggeriscono che
l'intervento dovrebbe essere avviato C: un livello insoddisfacente delle prove suggerisce che
l'intervento non dovrebbe essere avviato, anche se può essere
avviato sulla base di altre considerazioni (non scientifiche) D: prove incerte o incomplete suggeriscono che l'intervento non
dovrebbe essere avviato E: un buon livello di prove suggerisce che l'intervento non dovrebbe
essere avviato

Pesticidi ed additivi

Oltre alla relazione tra nutrienti e rischio di cancro, va considerato anche il problema dei pesticidi e degli additivi. Una stima degli effetti dannosi alle concentrazioni abitualmente presenti nei cibi italiani e' estremamente complessa. Sulla base dell'attuale legislazione e dei controlli effettuati nei paesi europei, la presenza di additivi o pesticidi non e' tale da contrastare il suggerimento di mangiare molte porzioni di frutta o verdura al giorno. Tuttavia le incertezze sono tali e il problema interessa una popolazione cosi' ampia, da richiedere specifici investimenti per la ricerca sulla tossicita' a lungo termine dei pesticidi. Si puo' fin da ora raccomandare, ai fini di riduzione dell'esposizione ad antiparassitari, in particolare per le fasce di popolazione piu' vulnerabili (come i bambini), di sbucciare la frutta fresca, o lavarla accuratamente, e di privilegiare il consumo di verdura e frutta coltivate con procedure biologiche o, quantomeno, con procedure di lotta ai parassiti guidata o integrata.

Prove sull'efficacia degli interventi di educazione alimentare

Il problema principale dell'educazione alimentare e' costituito dalla difficolta' di valutarne l'efficacia e quantificarne l'effetto sul lungo periodo. Da studi condotti, le strategie risultate piu' efficaci sono le seguenti:

- prendere in considerazione gruppi a rischio o con abitudini
particolari;
- utilizzare metodi di autovalutazione;
- partecipazione attiva dei destinatari dei messaggi;
- la disponibilita' di cibi salutari nei ristoranti e nelle mense
rinforza l'efficacia di messaggi;
- la maggiore efficacia di una campagna si raggiunge se il
programma e' orchestrato su diversi piani (politica dei prezzi,
informazione univoca e chiara da parte dei mass-inedia, dei medici,
della pubblicita)

Le strategie per l'intervento

I decreti legislativi 502 e 517 ed il decreto legislativo 229, agli art.7 bis, 7 ter, 7 quater, identificano nei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL le strutture deputate alle attivita' di prevenzione primaria e di educazione alla salute. Inoltre, il D.M. 16/10/1998 "Approvazione delle linee guida concernenti l'organizzazione del Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (SIAN) nell'ambito del Dipartimento di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali" gia' prevede che l'Area Funzionale Igiene della Nutrizione svolga, tra l'altro, interventi di prevenzione nutrizionale anche nell'ambito della ristorazione collettiva e diffonda le linee guida. Affinche' tali strutture garantiscano il rispetto degli obiettivi posti dal Piano Sanitario Nazionale, sono necessarie alcune tappe intermedie:

- la definizione di obiettivi intermedi, entro i Piani Sanitari
Regionali, la definizione di indicatori, per verificarne il
raggiungimento (es. quale proporzione di persone, in diverse fasce
di eta', sono state raggiunte da messaggi di educazione alimentare;
quante mense sono state certificate per la loro adesione ad un
programma preventivo di efficacia dimostrata, ecc.)
- la definizione dei criteri di accreditamento dei Dipartimenti di
Prevenzione, che includano la elaborazione di linee-guida
articolate e basate sulle prove scientifiche, e di indicatori per
la verifica della messa in atto delle linee-guida stesse.

Non va peraltro sottovalutata l'esperienza specifica maturata in alcuni Dipartimenti Materno-Infantili sullo specifico problema dell'alimentazione. E' opportuno il coinvolgimento di tali strutture per la progettazione e l'implementazione dei programmi educativi. Nella stesura delle linee guida, e' necessario tenere presente che, accanto agli interlocutori obbligati rappresentati dal mondo della scuola e della ristorazione collettiva, occorre coinvolgere nelle attivita' preventive, dopo una fase di sperimentazione e di fattibilita', i medici di medicina generale, soprattutto per quanto riguarda il "counseling" nutrizionale nei soggetti ad alto rischio, in particolare obesi e sovrappeso. A tal proposito occorre notare che, mentre il "counseling" nei soggetti sovrappeso puo' seguire metodiche analoghe a quello dedicato agli abituali fumatori (non dipendenti) e ai bevitori non alcolisti, il trattamento dell'obesita'
 
si configura sempre di piu' come una tematica ad alto contenuto clinico, che comporta un supporto specialistico sia psicologico che terapeutico.

Raccomandazioni specifiche sp; 1. Alimentazione

Le raccomandazioni che seguono tengono conto delle esigenze di attuazione pratica di attivita' di prevenzione nonche' delle esigenze di ricerca ad esse legate:

1. Stesura di indicazioni operative alimentari altamente
specifiche nelle raccomandazioni, che considerino la
multidimensionalita' del problema (politiche dei prezzi,
pubblicita', messaggi educativi, ecc.), sulla base delle
indicazioni scientifiche delle linee-guida gia' disponibili
(Commissione Europea, ovvero le linee-guida elaborate nel 1997
dall'Istituto Nazionale della Nutrizione)
2. Definizione di messaggi semplici, focalizzati e rivolti a
diversi sottogruppi della popolazione.
3. Avvio di una sperimentazione nei luoghi della ristorazione
collettiva che associ ai messaggi educativi la disponibilita' di
piatti che rispondano alle esigenze nutrizionali, e di ricette da
utilizzare anche a casa.

Alcool

Le prove scientifiche relative agli effetti dannosi dell'alcool sono ditale livello da non richiedere una revisione sistematica. Resta tuttavia irrisolto il problema dei rischi e dei benefici associati con il consumo di quantita' medio-basse. Numerosi studi indicano, infatti, che la relazione dose-risposta tra consumo di alcool e mortalita' generale e da malattie cardiovascolari ha una forma ad U; la mortalita' e' cioe' piu' bassa per i consumatori moderati rispetto a chi non beve affatto. Non e' ancora chiaro come questi dati scientifici debbano tradursi in linee-guida operative. E' necessario inoltre valutare l'efficacia di diversi modelli di intervento educativo, e progettare un intervento di lotta contro l'abuso di alcool (non solo l'etilismo, ma consumi medio-alti), tenendo conto delle esperienze gia' in corso in Italia e delle revisioni sistematiche della letteratura.

3) INFEZIONI

La rilevanza delle infezioni nella eziologia dei tumori.

Si stima che il 15% di tutti i tumori che sono diagnosticati ogni anno nel mondo siano attribuibili ad agenti infettivi: tale quota varia dal 21% per i paesi in via di sviluppo al 9% per i paesi industrializzati come l'Italia. Circa 1.500.000 nuovi casi di tumore potrebbero essere teoricamente evitati ogni anno in tutto il mondo prevenendo le infezioni da agenti infettivi rilevanti.

Virus Epatite B (HBV)

Il ruolo dell'infezione cronica da HBV nell'eziologia del carcinoma epatocellulare e' ormai ben definito, con una stima del rischio relativo che varia da 3 a 150. Nel 1994, la Agenzia Internazionale di Ricerche sul Cancro ha incluso l'HBV tra gli agenti di provata cancerogenicita'. Complessivamente, all'infezione da HBV e' attribuibile il 52% dei carcinomi epatocellulari al mondo.

Virus Epatite C (HCV)

Anche l'HCV e' stato incluso tra gli agenti di provata cancerogenicita' nel 1994 dalla IARC per il suo ruolo (in quanto infezione cronica) nell'epatocarcinoma. La quota di tali tumori attribuibile all'infezione da HCV e' stimata intorno al 25%.

Helicobacter pylori (HP)

Nove studi caso-controllo che hanno indagato la relazione tra HP e carcinoma gastrico hanno evidenziato una associazione positiva, con una stima del rischio relativo compresa tra 1.8 e 6. Altri studi hanno evidenziato aumenti ristretti a sottogruppi specifici. Assumendo un rischio relativo di 2, e una prevalenza dell'infezione da HP intorno al 50% nei paesi industrializzati, e' stato stimato che nel 71% dei carcinomi gastrici l'infezione da HP ha un ruolo determinante.

Human papillomavirus (HPV)

La IARC ha indicato nel 1995 che i sottotipi 16 e 18 di HPV sono agenti sicuramente cancerogeni, anche se l'ipotesi che HPV fosse coinvolto nell'eziologia del carcinoma della cervice uterina era stata formulata da molti decenni. Ulteriori studi hanno dimostrato che anche i sottotipi 31, 33, 35, 45, 51, 52, 58, 59 possono essere considerati cancerogeni. Complessivamente, gli studi caso-controllo indicano che le donne HPV positive hanno un rischio di circa 60 volte piu' alto di carcinoma cervicale delle donne negative per HPV. L'HPV e' responsabile di circa l'80% dei tumori cervicali nei paesi industrializzati e del 90% di tali tumori nei paesi in via di sviluppo.

HIV

L'HIV e' stato incluso nel 1996 tra gli agenti sicuramente cancerogeni per l'uomo a causa della sua associazione causale con il sarcoma di Kaposi e con alcuni tipi di linfoma non-Hodgkin. L'infezione da HIV e' associata anche con un aumento del rischio di carcinoma invasivo della cervice (una neoplasia inclusa nella definizione d'AIDS) e del linfoma di Hodgkin.

Epstein-Barr virus (EBV)

L'associazione tra EBV e alcuni tipi di tumore acquisisce una sempre maggiore consistenza, dovuta al crescere negli anni del numero di tumori umani in cui e' dimostrata la presenza e l'espressione di sequenze di EBV. E' stata riportata un'associazione con l'infezione da EBV per il linfoma di Hodgkin, per i linfomi non-Hodgkin a cellule B o a cellule T, per il linfoepitelioma timico, in aggiunta ad alcuni carcinomi come il carcinoma gastrico, i tumori delle ghiandole salivari, ed i tumori del tratto uro-genitale. Nei pazienti che presentano una compromissione del sistema immunitario, la frequenza di tumori solidi in pazienti con infezione da EBV e' molto piu' rara. La maggior parte delle neoplasie EBV associate sono di origine linfoide, come e' ormai ben dimostrato per i disordini linfoproliferativi che originano nei pazienti sottoposti a trapianto d'organo, o per i linfomi immunoblastici ed i linfomi primitivi del sistema nervoso centrale che si verificano nei pazienti con AIDS.

Le strategie per l'intervento

Una potenziale campagna di prevenzione primaria dei tumori associati alle infezioni prevede interventi di tipo comportamentale e vaccinale. Per gli interventi di tipo comportamentale, le vie di trasmissione dei virus sopra citati sono ben conosciute e la prevenzione dell'infezione e quella neoplastica coincidono. Per la riduzione del rischio da HBV, HCV, HTV, collegati alla trasmissione per via ematica, si raccomanda l'uso di siringhe sterili, per la trasmissione per via sessuale si raccomanda l'uso del condom con partner occasionali o con partner di cui non sia noto lo stato anticorpale. Analoga raccomandazione sull'uso del condom vale per l'HPV.
Per quanto riguarda la possibilita' di prevenzione primaria vaccinale, la vaccinazione contro HBV e' efficace nel prevenire la morbosita' da epatite ed e' plausibile che l'eliminazione dell'infezione possa portare all'annullamento del rischio neoplastico. La vaccinazione contro HBV e' gia' una realta' in Italia, mentre altri vaccini contro l'HPV e l'HP sono attualmente in via di preparazione e valutazione.

Raccomandazioni specifiche

In connessione con il Piano Nazionale AIDS, devono essere proseguite le campagne di informazione relative alla trasmissione di infezioni durante i rapporti sessuali non protetti e per aumentare la frequenza dell'uso del condom. Le numerose esperienze condotte in questi anni per la prevenzione dell'AIDS (interventi nelle scuole basate sugli insegnanti, interventi di educazione fra pari, unita' di strada ecc.) dovrebbero fungere da riferimento per lo sviluppo di attivita' educative volte alla prevenzione di altre patologie infettive associate allo sviluppo di neoplasie.
E' affidato alle Regioni il compito di programmare adeguati interventi di educazione alla salute, finalizzati alla prevenzione delle infezioni trasmesse per via sessuale ed ematica. L'inserimento nelle campagne dei contenuti relativi alla prevenzione dei tumori, accanto a quella delle infezioni in quanto tali, puo' migliorare la consapevolezza dell'utenza e adeguare il messaggio. E' fortemente auspicato inoltre che tali programmi siano accompagnati da adeguate attivita' di valutazione, volte a verificare la loro efficacia in termini di aumento della proporzione di soggetti con comportamenti consapevoli e positivi.
E' fortemente raccomandato considerare nei programmi la possibilita' di distribuire gratuitamente siringhe e condom ai gruppi a rischio. I programmi di educazione dovrebbero essere implementati a livello Aziendale coinvolgendo nella loro realizzazione i m.m.g, in primo luogo, tutte le strutture sanitarie pubbliche con le quali l'utenza a rischio puo' venire in contatto, il mondo della scuola e l'associazionismo, soprattutto giovanile. I servizi di educazione alla salute dovranno essere sistematicamente coinvolti per la progettazione degli interventi, al fine di garantire l'uso di tecniche comunicative adeguate. I Dipartimenti di Prevenzione sono sistematicamente chiamati in causa:
- per la progettazione degli interventi;
- per la loro valutazione;
- per il controllo della copertura vaccinale soprattutto per quanto riguarda l'epatite B.
Si ritiene inoltre opportuno, quando possibile, che le strutture di ricerca italiane partecipino ai progetti internazionali multicentrici volti ad implementare e sperimentare i nuovi vaccini con potenzialita' di prevenzione primaria dei tumori.

4) ESPOSIZIONI IN AMBIENTE DI LAVORO

Il PSN fa riferimento all'ambiente di lavoro nelle "azioni da sviluppare nei piani regionali e aziendali". Alcune azioni sono pertinenti alla prevenzione dei tumori, quali le seguenti:

- potenziamento e razionalizzazione della formazione degli addetti
alla vigilanza e controllo;
- informazione ai lavoratori;
- realizzazione di una rete di epidemiologia occupazionale;
- piena realizzazione della recente normativa di settore e
perseguimento sanzionatorio e giudiziario delle inadempienze alla
legge;
- miglioramento delle rilevazioni sulle malattie professionali.

Le evidenze disponibili

Sono stati identificati come cancerogeni dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (LARC) numerosi agenti, processi produttivi ed esposizioni lavorative. Si ritiene che le esposizioni professionali contribuiscano ad almeno il 3-4% di tutta la patologia neoplastica, con una percentuale maggiore per alcune sedi tumorali come il polmone (fino al 40%) o la vescica (fino al 25% circa). Esiste, tuttavia, un divario notevole tra il numero di tumori professionali stimati sulla base delle indagini epidemiologiche e il numero molto inferiore dei tumori indennizzati. Nel quinquennio 1993-97 sono stati riconosciuti e indennizzati in Italia 476 casi di tumore di origine professionale, a fronte di un numero (desumibile dalle suddette stime della letteratura scientifica) dell'ordine delle migliaia per anno. Si consideri che solo l'amianto causa ogni anno in Italia circa 1000 mesoteliomi pleurici e un numero verosimilmente analogo di tumori polmonari. Si tratta quindi di un fenomeno largamente sommerso. Tra le cause di tale divario vi e' la difficolta' nel ricostruire le esposizioni lavorative lontane nel tempo, la insorgenza della patologia neoplastica dopo il pensionamento, quando i lavoratori cessano di essere seguiti dai servizi di prevenzione competenti, nonche' la non sufficiente attenzione e preparazione delle strutture di diagnosi e cura all'identificazione delle cause lavorative della patologia neoplastica.

Le strategie per l'intervento

La prevenzione primaria dei tumori professionali si ottiene in primo luogo attraverso interventi tecnologici mirati alla modificazione dei cicli lavorativi e degli agenti chimici impiegati, nonche' con una capillare azione di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, come prevede la normativa vigente.
L'efficacia di questi interventi e' valutabile indirettamente attraverso studi epidemiologici, che confrontino l'incidenza dei tumori nelle stesse coorti lavorative prima e dopo gli interventi di prevenzione. Considerando i tempi di latenza delle neoplasie in esame (20-30 anni), e' possibile oggi valutare l'efficacia degli interventi di prevenzione dei primi anni Settanta.
Appare prioritario attivare azioni che permettano la identificazione delle popolazioni di lavoratori a rischio di cancro nel contesto nazionale. In Italia la normativa prevede due sistemi nazionali di registrazione dell'esposizione: il registro degli esposti a cancerogeni previsto dal D.Lgs 626\94 ed il registro degli esposti ad amianto previsto dal D.Lgs 277\91. Ambedue i sistemi si basano sull'attivazione di flussi informativi tra le unita' produttive, l'organo di vigilanza e l'ISPESL, presso di cui sono istituiti i registri di esposizione. I modelli e le modalita' di registrazione sono stati predisposti dall'ISPESL. Tuttavia i decreti attuativi, cui la normativa rimanda per l'applicazione delle disposizioni, non sono ancora stati emanati. Appare necessario che tali strumenti ed i relativi flussi informativi siano al piu' presto adottati, al fine di attivare il previsto sistema nazionale di registrazione.
Sulla base delle considerazioni esposte, si rimanda all'iniziativa regionale l'elaborazione di piani per la prevenzione dei tumori professionali e si raccomanda il perseguimento dei seguenti obbiettivi:

- Identificazione e classificazione delle aziende che impiegano e
producono cancerogeni, ordinandole per comparto e tipologia di
lavorazione, e quantificare l'esposizione professionale.
- Indicazione e promozione di soluzioni tecnologiche concretamente
attuabili in grado di sostituire le sostanze cancerogene dai cicli
lavorativi o, quanto meno, di ridurre al minimo le esposizioni
professionali conseguenti alla loro presenza.
- Definizione di archivi di esposti a cancerogeni di origine
professionale e realizzazione della sorveglianza epidemiologica sui
tumori professionali e lavoro-correlati, prioritariamente rivolta
verso quelli a piu' elevata frazione eziologica, finalizzata anche
al loro riconoscimento in sede medico-legale.

Un contributo importante alla prevenzione dei tumori professionali puo' venire da un maggior coinvolgimento e partecipazione, su questa tematica, delle strutture di diagnosi e cura dei tumori. In particolare, si propone che per le due neoplasie professionali piu' frequenti, quelle polmonari e vescicali, le strutture del Servizio Sanitario Nazionale s'impegnino a raccogliere in modo standardizzato un'adeguata anamnesi lavorativa dei casi, utilizzando apposita modulistica ben sperimentata. Tali notizie dovranno far parte della documentazione clinica individuale. Dall'insieme di queste segnalazioni potra' derivare l'individuazione di eventuali focolai epidemici attualmente non riconosciuti, con la possibilita' di attivare interventi di prevenzione mirati.

Raccomandazioni specifiche

1. Attivare piani per la sorveglianza a livello regionale in grado di identificare e classificare i comparti e le lavorazioni con impiego e produzione di cancerogeni, registrare i soggetti esposti a sostanze cancerogene come espressamente previsto dal DLgs 626/94, riconoscere la patologia tumorale dovuta ad esposizioni professionali.
2. Aumentare la sensibilita' delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale nel riconoscimento di tumori di origine professionale, adeguando le procedure attualmente carenti e deficitarie nella raccolta dell'anamnesi professionale dei casi. Cio' permettera' di migliorare la qualita' delle informazioni relative ai casi di neoplasia di origine professionale, che devono essere trasmesse all'ISPESL, ai fini della registrazione nell'archivio nazionale dei casi di tumore di sospetta origine professionale, cosi' come previsto all'art. 71 del d.Lgs 626\94. A tal fine, appare opportuno che le Amministrazioni Regionali predispongano apposite schede con l'elenco delle esposizioni e delle attivita' lavorative per le quali esiste evidenza di associazione con i tumori del polmone e della vescica.

5)RADON

Il problema dei rischi sanitari connessi alla presenza del radon negli edifici e' affrontato esplicitamente nel Piano Sanitario Nazionale 1998-2000. Gli obbiettivi sono l'intensificazione della ricerca scientifica nel settore e la riduzione della concentrazione di radon nelle abitazioni ed in altri luoghi chiusi. Dovranno essere attivate azioni per l'identificazione delle situazioni con una concentrazione di radon piu' elevata, la predisposizione di norme specifiche, lo studio di adeguate azioni di rimedio, la formazione professionale e l'informazione della popolazione.

Gli effetti sanitari del radon

L'esposizione al radon ed ai suoi prodotti di decadimento e' un fattore di rischio per il tumore polmonare ed e' generalmente considerata come una delle principali cause di tale neoplasia, dopo il fumo di sigaretta. L'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha classificato tali radionuclidi tra le sostanze cancerogene di gruppo 1. Si stima che il rischio individuale sull'intera vita dovuto all'esposizione continua a 100 Bq/m3 sia dell'ordine di 1%, con un'incertezza stimabile in un fattore 3.
A tutt'oggi le incertezze sulle stime quantitative del rischio sono rilevanti, anche se minori di quelle relative a molti altri cancerogeni, in particolare per quel che riguarda l'estrapolazione alla popolazione esposta in ambienti domestici, l'entita' del sinergismo con il fumo di sigarette ed il rischio per i non fumatori. .sp, La situazione in Italia

L'esposizione della popolazione in Italia e' stata valutata tramite un'indagine nazionale, promossa e coordinata dall'Istituto Superiore di Sanita' e dall'ANPA in collaborazione con le Regioni su un campione di 5000 abitazioni. Tale indagine condotta negli anni 1989-96 ha permesso di stimare la distribuzione della concentrazione di radon nelle abitazioni, il cui valore medio e' risultato di 75 Bq/m3, cui corrisponde, secondo una stima preliminare, un rischio individuale sull'intera vita dell'ordine di 0.5%. Indagini effettuate in scuole materne ed elementari di sei regioni italiane hanno messo in evidenza che anche in questa tipologia di edifici si riscontrano livelli equivalenti o superiori a quelli delle abitazioni. Sulla base di tali dati, e' stato stimato che il 5-15% dei circa 30.000 tumori polmonari l'anno, che si verificano in Italia, sono attribuibili al radon.
La maggior parte dei tumori attribuibili al radon e' dovuta all'interazione radon-fumo.
In Italia, a differenza di molti paesi Europei, non esiste al momento normativa in materia di radon. A livello comunitario, una raccomandazione del 1990, prevede l'adozione per le abitazioni esistenti di un livello di riferimento di 400Bq\mc sopra il quale effettuare interventi per ridurre la concentrazione di radon e, per le abitazioni future, l'adozione di un limite superiore di 200Bq\mc. Inoltre la direttiva 96\29 Euratom, in materia di radioprotezione, prevede che gli stati membri emanino una normativa per il radon nei luoghi di lavoro entro il maggio del 2000.
Con l'indagine nazionale nelle abitazioni si e' stimato che in circa l'1% di esse (circa 200.000 abitazioni) vi e' una concentrazione di radon superiore ai 400Bq e in circa il 4% delle abitazioni (circa 800.0000) si superano i 200 Bq.
Una situazione non molto diversa e' prevedibile anche per le scuole ed i luoghi di lavoro. I livelli di riferimento citati sono livelli normativi e non soglie di pericolo, in quanto il rischio di tumore polmonare associato all'esposizione a radon e', allo stato attuale delle conoscenze, un effetto senza soglia.

L'efficacia degli interventi.

Dal punto di vista tecnico le azioni preventive piu' studiate si riferiscono a sistemi per ridurre l'ingresso nelle case monofamiliari del radon proveniente dal suolo. Con tali sistemi si ottiene anche una riduzione del 90% della concentrazione del radon. Per gli edifici di grandi dimensioni i risultati sono generalmente inferiori. Per le situazioni per le quali i materiali da costruzione contribuiscono in maniera rilevante, non sono ancora stati trovati rimedi efficaci e duraturi e l'unico approccio si basa sull'uso di materiali che emanano poco radon.

Raccomandazioni specifiche

Il PSN 1998-2000 si pone come obiettivo la riduzione del rischio di tumore polmonare derivante dall'esposizione a radon nelle abitazioni ed in altri luoghi chiusi, tramite azioni e raccomandazioni specifiche che sono qui riprese e puntualizzate. Le azioni suggerite costituiscono i primi elementi del "Programma nazionale radon" pluriennale - da effettuarsi in collaborazione con altri enti ed amministrazioni, in analogia a quanto fatto in altri Paesi Europei - la cui elaborazione complessiva e' promossa da parte del Ministero della Sanita'.
Emanazione di linee guida per l'individuazione delle aree e degli edifici con concentrazione di radon piu' elevata, sia per i luoghi di lavoro e le scuole (oggetto dell'imminente recepimento della direttiva europea 96/29) sia per le abitazioni. Lo strumento principale saranno adeguate campagne di misura, da effettuarsi in collaborazione tra il SSN e i laboratori regionali per il controllo della radioattivita' ambientale. Tali laboratori, realizzati dal Ministero della Sanita' dopo l'incidente di Chemobyl generalmente presso i Presidi Multizonali di Prevenzione, e in molti casi gia' transitati alle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale partecipando all'indagine nazionale sul radon nelle abitazioni, hanno acquisito una notevole esperienza, e sono dotati della strumentazione necessaria.
2. Promozione di un'indagine epidemiologica multicentrica per la stima del rischio radon tra i soggetti non fumatori, che coinvolga le Regioni in cui sono stati riscontrati i valori medi piu' alti di concentrazione di radon nelle abitazioni, al fine di valutare il numero di casi di tumore polmonare attribuibili al radon tra i non fumatori.
3. Predisposizione di una normativa specifica per il radon nelle abitazioni, che si armonizzi con quella per i luoghi di lavoro, che sara' contenuta nel recepimento della direttiva europea 96/29.
4. Raccolta sistematica dei dati relativi alle misurazioni di concentrazione di radon ed alle azioni di rimedio o preventive sugli edifici, al fine di valutare l'efficacia degli interventi in termini di numero di edifici individuati con alti valori di concentrazione di radon, di percentuale di tali edifici "risanati", e di entita' e durata della riduzione della concentrazione di radon.
5. Emanazione di linee guida per la formazione del personale del SSN e per una corretta informazione della popolazione. Cio' si rende particolarmente utile anche in vista dell'imminente recepimento della direttiva europea 96/29.

6) RADIAZIONI IONIZZANTI PER SCOPI MEDICI

Il PSN si pone come obiettivo la riduzione del rischio (di tumore) associato all'esposizione a radiazioni ionizzanti per le persone sottoposte ad indagini cliniche di radiodiagnostica e di medicina nucleare, mediante la riduzione degli esami non necessari (anche con campagne di educazione sanitaria) l'adozione di adeguati programmi di assicurazione di qualita' e la sostituzione degli apparati obsoleti.

Strategie per l'intervento

Anche con riferimento ad una vasta esperienza internazionale si puo' ritenere che il conseguimento degli obiettivi indicati dal PSN in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti in campo medico debba essere associato alla esigenza di poter far fronte all'aumento considerevole del numero di pratiche radiologiche, e piu' recentemente di quelle ad alta dose come la Tomografia Computerizzata ed alle indagini su soggetti in eta' pediatrica. Si deve inoltre tenere conto che le prestazioni radiologiche sono spesso ancora non ottimizzate. E' stato, infatti, verificato che la stessa indagine puo' essere effettuata con dosi estremamente diverse a parita' di qualita' o produrre immagini di qualita' non sufficiente con conseguente necessita' di ripetizione dell'esame.
Pertanto, mentre da una parte e' necessario intervenire sulla riduzione del numero di esposizioni attraverso la limitazione di tutte le esposizioni non necessarie, si deve altresi' intervenire per migliorare il rapporto tra la qualita' dell'immagine o della prestazione e la dose associata alla singola procedura, e standardizzare al livello delle prestazioni migliori le prestazioni sull'intero territorio nazionale.
Il primo obiettivo, oltre a richiedere una maggiore sensibilizzazione della popolazione su questo tema, richiede soprattutto un aumento di consapevolezza degli stessi, medici, che puo' essere perseguito promuovendo la diffusione della conoscenza dei problemi della radioprotezione del paziente.
L'ottimizzazione delle prestazioni e' invece il risultato di una operazione piu' complessa che riguarda non solo l'efficienza delle apparecchiature ma anche un loro uso ottimale e quindi prevede un impegno per la formazione e l'aggiornamento del personale su specifici temi di radioprotezione del paziente.
Importante e' infine un impegno di ricerca e di aggiornamento continuo per la individuazione di metodi e di procedure per raggiungere tale obiettivo. Le recenti disposizioni legislative per la protezione dalle radiazioni in campo medico (D.Lgs 230/95 e decreti applicativi) hanno delineato un quadro diversificato di adempimenti che riguardano tra l'altro sia la giustificazione delle indagini con radiazioni ionizzanti e la definizione delle responsabilita', sia l'obbligo di effettuare programmi di controllo di qualita' sulla strumentazione.
Non risultano dati sulla reale applicazione delle attuali disposizioni legislative. Si ricorda peraltro che e' stato pubblicato il D.Lgs. n. 187 del 26\5\2000 in attuazione della direttiva EURATOM 97/43 sulle esposizioni mediche, Il suddetto D.Lgs. modifica ed abroga la sezione II del capo IX del D.Lgs. 230\95, introduce dosi di riferimento per gli esami di radiodiagnostica e di medicina nucleare, indica che si ponga particolare attenzione agli esami ad alta dose, agli esami effettuati per " screening", alle indagini effettuate su pazienti in eta' pediatrica, e che si predispongano programmi di assicurazione della qualita'.

Raccomandazioni specifiche

Per un'attuazione piu' efficace delle disposizioni legislative si raccomandano le seguenti azioni:

1. Emanazione di linee guida, in via prioritaria, per la
definizione di programmi di garanzia della qualita', delle dosi di
riferimento e dei criteri di accettabilita' della strumentazione;
2. Messa a punto di procedure di valutazione dell'efficacia degli
interventi, per le quali e' necessario e' sviluppare le attivita'
conoscitive sotto elencate:

- sistematizzare ed organizzare l'inventario delle apparecchiature
radiologiche, anche per poter consentire il controllo della
applicazione della normativa vigente da parte delle autorita'
preposte alla vigilanza;
- organizzare una raccolta sistematica di dati su tipo e frequenza
degli esami radiologici (inclusa la medicina nucleare), allo scopo
di individuare su quali settori intervenire in modo prioritario;

7) RADIAZIONI ULTRAVIOLETTE

Il PSN affronta il problema dei rischi cancerogeni connessi all'esposizione a radiazioni ultraviolette, ponendosi come obiettivo la riduzione di tali rischi mediante adeguate campagne di educazione sanitaria.

L'evidenza disponibile

La radiazione ultravioletta (RUV) e' un accertato fattore di rischio per danni a breve e a lungo termine sia di natura deterministica sia di natura probabilistica. Fra essi particolare rilievo sanitario riveste la fotoinduzione dei tumori cutanei. L'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro colloca la radiazione solare, in particolare la componente ultravioletta, tra gli agenti cancerogeni per l'uomo (gruppo 1). La stessa Agenzia analizza i problemi connessi con l'esposizione umana alla RUV e raccomanda piu' incisive ed idonee azioni di prevenzione primaria da parte delle autorita' sanitarie nazionali. Nelle popolazioni di ceppo caucasico di tutti i Paesi economicamente ricchi, nel corso degli ultimi decenni, l'incremento dell'incidenza delle neoplasie cutanee e' stato tra i piu' elevati. E' stata osservata una associazione tra la probabilita' che si manifesti il carcinoma della pelle e la dose accumulata da ciascun individuo nel corso della sua vita. Per il melanoma della pelle si e' osservato che il rischio dipende anche dalla storia personale delle ustioni cutanee da esposizione acuta, soprattutto se occorse durante l'infanzia e l'adolescenza.
La struttura socio-economica della societa' influisce significativamente sul rischio sanitario da RUV, nel senso che quanto maggiori sono le disponibilita' economiche, tanto piu' sono probabili abitudini, comportamenti e condizioni a rischio (viaggi in localita' tropicali, escursioni ad alta quota, trattamenti estetici con sorgenti artificiali, cambio repentino dei livelli di esposizione alla radiazione solare per attivita' ricreative praticate nel fine settimana, ecc.).

Nel definire le priorita', i settori di intervento e le misure concrete da adottare, bisogna considerare:

- gli effetti benefici ed essenziali dell'esposizione alle RUV;
- le peculiari caratteristiche della sorgente che maggiormente
contribuisce all'esposizione umana, il sole;
- le attivita' ricreative ed il desiderio che induce la maggior
parte della popolazione ad esporre il proprio corpo alle RUV solari
o artificiali.

Raccomandazioni specifiche

- Promuovere l'informazione e educazione sanitaria volta a ridurre
l'eccessiva esposizione alla RUV solare, soprattutto nei soggetti
maggiormente a rischio;
- Regolamentare, con misure normative ed amministrative, l'impiego
della RUV artificiale nei trattamenti estetici;
- Aggiornare le norme di protezione che individuino livelli massimi
di esposizione per tutti coloro che sono esposti per motivi
professionali in ambiente di lavoro;
- Promuovere l'applicazione dei principi di ottimizzazione
nell'impiego terapeutico della RUV;

5. Valutare l'efficacia delle misure di protezione adottate.

8) CANCEROGENI AMBIENTALI

Il PSN, pur ascrivendo al contesto ambientale e all'inquinamento atmosferico un ruolo importante per la salute dei cittadini, ha reso esplicita l'oggettiva difficolta' nella elaborazione di obbiettivi specifici. Tra le misure indicate nel P.S.N. per ridurre l'inquinamento atmosferico, vengono qui sotto indicate quelle che si prestano ad iniziative in contesti regionali o comunali.

- Regolamentazione della circolazione e riduzione del traffico
veicolare privato. E' da sottolineare che nel contesto della
prevenzione primaria dei tumori, la riduzione del traffico
veicolare avrebbe il duplice risultato del contenimento
dell'inquinamento atmosferico e l'incoraggiamento indiretto ad un
maggiore ricorso all'esercizio fisico.
- Politiche dei trasporti basate sull'utilizzo di fonti energetiche
alternative e riorientamento del traffico commerciale verso il
trasporto su rotaia o per mare.
- Sensibilizzazione della popolazione all'uso razionale delle fonti
energetiche per il trasporto e il riscaldamento.
- Trasformazione dei sistemi di riscaldamento domestico e
collettivo verso l'utilizzo di combustibili meno inquinanti.
- Controllo, delle perdite di volatili organici in prossimita' di
complessi industriali.

Le evidenze disponibili

1. Inquinamento atmosferico

L'inquinamento atmosferico e' un fenomeno complesso che coinvolge un largo numero di inquinanti, che vanno incontro a continue trasformazioni chimiche e fisiche. Fra gli agenti inquinanti numerose sono le sostanze considerate cancerogene per l'uomo come gli idrocarburi policiclici aromatici, il benzene, l'amianto, l'arsenico ed alcune nitrosamine. A questi si aggiungono sostanze irritanti come l'anidride solforica, l'ossido di azoto, l'ozono, il particolato fine, etc. La relazione fra agenti inquinanti tossici, quali compaiono nell'aria ambiente in complesse miscele ed effetti sulla salute e' stato l'oggetto di un grande numero di indagini epidemiologiche.
Dall'insieme di questi dati e dall'evidenza epidemiologica disponibile, si ritiene giustificata la preoccupazione che l'esposizione mista a sostanze con proprieta' cancerogene aumenti il rischio di tumore, ed in particolare dell'apparato respiratorio. Tuttavia, la valutazione della dimensione del rischio legato all'esposizione a concentrazioni basse per periodi prolungati e con inizio talora nelle prime eta' della vita, e' tuttora oggetto di studio, anche a causa delle difficolta' esistenti nella definizione dell'esposizione e di fattori confondenti come il fumo.
Va inoltre sottolineata, seppur sulla base di una evidenza epidemiologica piu' limitata, la possibilita' di un eccesso di neoplasie per altre sedi specifiche, ed in particolare per i tumori e le leucemie infantili. In relazione ad altre patologie, numerosi sono gli studi che hanno evidenziato un'associazione tra livelli elevati d'inquinamento e mortalita' generale, ricoveri ospedalieri per cause cardiovascolari e respiratorie e prevalenza di malattie respiratorie in eta' pediatrica.
Tutti questi elementi concorrono a confermare che l'inquinamento atmosferico e' una fonte di danno alla salute, per le popolazioni esposte, che esige l'elaborazione di strategie preventive. In questo senso va migliorato e reso piu' efficiente il monitoraggio delle caratteristiche e dei livelli dell'inquinamento. Non va dimenticato, infatti, che le tre maggiori componenti dell'inquinamento atmosferico: industria, combustione domestica e traffico veicolare, hanno tendenze temporali e dimensioni molto diverse nelle diverse aree italiane. Pur tenendo conto della limitata disponibilita' dei dati, le prime due componenti sono tendenzialmente in diminuzione a partire dagli anni '70, mentre, a partire dallo stesso periodo, si fa sempre piu' importante nei centri urbani italiani il contributo dato all'inquinamento dell'aria dal traffico veicolare, che e' oggi la maggior fonte di inquinamento atmosferico. Di conseguenza, le emissioni veicolari costituiscono l'esposizione che puo' maggiormente contribuire nell'immediato e medio futuro ad un aumento del rischio per tumori, soprattutto respiratori, nelle popolazioni esposte.
Una particolare attenzione va dedicata alla pericolosita' delle emissioni derivanti dai motori a combustione diesel per i quali esistono consolidate evidenze di tipo sperimentale ed epidemiologico che indicano un ruolo specifico di questa esposizione nella eziologia del tumore polmonare.
Queste osservazioni impongono l'adozione di politiche di contenimento delle emissioni nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie con il coinvolgimento di diversi attori: industria, autorita' locali, associazioni di consumatori, organismi di controllo, mezzi di informazione, ecc.. E', infatti, del tutto evidente che nessuna politica ambientale in questo settore potra' essere coronata da successo senza il coinvolgimento dei cittadini e delle loro abitudini che si affianchi a un comportamento coerente e coraggioso delle amministrazioni e dei produttori. Inoltre, in considerazione dei lunghi tempi di latenza tra esposizione e insorgere di patologie tumorali, nonche' degli effetti dell'inquinamento sulle patologie respiratorie in eta' pediatrica, ogni ulteriore ritardo nell'adozione di politiche di controllo portera' inevitabilmente a un aggravamento ulteriore dell'impatto sulla salute nei prossimi decenni con un conseguente aggravio dei costi sanitari ed economici per gli individui e la societa' nel suo complesso.

2. Esposizione ambientale ad amianto

E' noto dalla letteratura scientifica internazionale che l'esposizione a fibre di amianto di tipo ambientale, non professionale, ma associata alla residenza in prossimita' di luoghi nei quali l'amianto e' lavorato, e' in grado di causare il mesotelioma pleurico.
In Italia, come in generale in Europa, la frequenza del mesotelioma pleurico e' in aumento. Dei circa 1000 nuovi casi l'anno, si stima che la maggior parte riguardi i lavoratori esposti per motivi professionali, ma un certo numero di casi si sviluppa in soggetti che sono stati esposti all'amianto nell'ambiente generale in assenza di documentate esposizioni professionali. Le segnalazioni sinora disponibili riguardano soggetti residenti presso gli stabilimenti per la produzione di manufatti in cemento-amianto, presso i cantieri navali e inoltre in situazioni isolate dove si e' fatto uso di materiale da costruzione contaminato con tremolite. Non esistono al momento attuale stime quantitative del numero di mesoteliomi pleurici associati ad esposizione ambientale ad amianto nel nostro paese.
Il quadro normativo sull'amianto e' in Italia definito dalla legge n. 257 del 1992, che ha sancito la dismissione dell'uso dell'amianto nel nostro paese. I complessi problemi tecnologici, ambientali, sanitari e giuridici connessi con l'attuazione della legge 257 sono stati oggetto nel marzo 1999 della Conferenza Nazionale sull'Amianto, organizzata dalla Presidenza del Consiglio. Il documento conclusivo della Conferenza contiene un articolato elenco di raccomandazioni alle quali si rinvia per una trattazione piu' esaustiva.
Si raccomanda che, a livello regionale, siano sviluppate azioni volte al monitoraggio sistematico della applicazione della normativa relativa all'abbandono dell'amianto e per la riduzione della esposizione nei gruppi a rischio e nella popolazione generale, comprensivo delle problematiche legate alle azioni di decoibentazione e stoccaggio e di quelle derivanti dalla diffusione dell'amianto attraverso il traffico veicolare. Particolare rilevanza riveste inoltre la verifica di assenza o il grado di pericolosita' degli eventuali sostituti dell'amianto, onde garantire che la sostituzione dell'amianto, con altri materiali, non sia all'origine di nuovi rischi per la salute dei lavoratori. Inoltre, si raccomanda che gli aspetti relativi alla esposizione delle popolazione ed all'eventuale rischio per la salute siano sistematicamente compresi nelle relazioni di valutazione ambientale, realizzando in tal senso una integrazione di competenze ambientali e sanitarie finalizzate ad un piu' completo controllo del rischio cancerogeno. Tale integrazione puo' essere realizzata a livello locale tramite azioni concertate fra Agenzie per la protezione ambientale ed istituzioni sanitarie (in particolare gli Istituti a carattere scientifico, le Agenzie Sanitarie Regionali, i Dipartimenti di prevenzione delle aziende USL, e le altre eventuali competenze epidemiologiche), coordinate e promosse dai Governi Regionali. Si raccomanda inoltre che nell'ambito di tali azioni sia compresa la identificazione e la sorveglianza epidemiologica delle popolazioni a rischio e degli ex-esposti, anche al fine della adeguata identificazione dei casi di neoplasia asbestocorrelata, come previsto dalla attuale normativa.

Le strategie per l'intervento

E' indispensabile sottolineare la rilevanza delle problematiche del traffico, e nello specifico dell'inquinamento atmosferico, nel definire le politiche nazionali del trasporto e dell'ambiente. Ogni scelta programmatica di carattere nazionale e locale dovrebbe tener conto della componente salute. (Piani per la Salute zonali) E' evidente che gli interventi di natura complessiva dovrebbero interessare l'intera organizzazione urbanistica delle citta', come ad esempio la separazione drastica dei flussi veicolari dalle aree di permanenza della popolazione e la creazione di una rete efficiente di trasporto urbano non inquinante. In tale ottica dovrebbero essere facilitate le iniziative volte a limitare il traffico privato nell'ambito urbano, al potenziamento del trasporto pubblico, all'esclusivo uso di auto catalizzate, alla limitazione della circolazione nell'ambito urbano dei ciclomotori a due tempi, al posizionamento dei distributori di carburante lontano dalle abitazioni e dai presidi scolastici. L'orientamento verso politiche piu' restrittive sulla circolazione di auto private, d'altra parte, e' stato anche sancito dalla recente Conferenza Interministeriale di Londra, dove i ministri di Sanita', Ambiente e Trasporti di 54 paesi hanno sottoscritto un documento con precisi impegni programmatici.
Tutte le azioni indicate dovrebbero essere accompagnate da un progetto strategico italiano, fortemente caratterizzato dal punto di vista epidemiologico, sulle caratteristiche degli inquinanti urbani, sull'impatto di questi sulla salute della popolazione, sulle efficacia delle politiche e delle strategie preventive proposte ed adottate. E' da ricordare la necessita' di una attenta sorveglianza degli effetti sanitari delle emissioni derivanti dai grandi complessi industriali e per la produzione di energia elettrica e dagli impianti' di incenerimento.

Raccomandazioni specifiche

1. Adozione di misure che favoriscano il potenziamento del trasporto pubblico, in particolare quello non su gomma e ad energia pulita, scoraggiando la diffusione tuttora in crescita dell'uso privato dell'automobile, e favoriscano il trasporto merci per ferrovia e per nave.
2. Programmazione di interventi strutturali a carattere interdisciplinare (urbanistica, ingegneria, igiene, etc.) miranti ad una sempre maggiore separazione fra traffico veicolare ed attivita' residenziali della popolazione.
3. Protezione della popolazione infantile con la creazione di aree pubbliche (scuole, asili, parchi) esenti dal rischio di inquinamento atmosferico.
4. Potenziamento nelle aree urbane del monitoraggio delle singole componenti dell'inquinamento atmosferico con particolare attenzione per le componenti cancerogene.
5. Monitoraggio degli effetti sulla salute della popolazione esposta all'inquinamento da traffico veicolare e di provenienza industriale, anche in relazione agli interventi di prevenzione adottati, con particolare attenzione agli effetti nella fascia di eta' infantile.
6. Introduzione di corsi di educazione ambientale nelle scuole primarie e secondarie.
Coerentemente con gli impegni presi a livello Europeo, si raccomanda la introduzione nei PSR di azioni concertate con gli altri soggetti pubblici e privati competenti, volte a salvaguardare la salute della popolazione residente rispetto a fonti inquinanti ambientali ed in particolare al traffico veicolare. Tali azioni dovranno tenere conto delle particolarita' delle problematiche locali, con particolare riferimento ai centri urbani ed alle grandi direttrici di traffico. In particolare, si raccomanda che gli aspetti relativi alla esposizione delle popolazioni ed all'eventuale rischio per la salute siano sistematicamente compresi nelle relazioni di valutazione ambientale, realizzando in tal senso una integrazione di competenze ambientali e sanitarie finalizzate ad un piu' completo controllo del rischio cancerogeno. Tale integrazione puo' essere realizzata a livello locale tramite azioni concertate fra Agenzie per la protezione ambientale ed Istituzioni sanitarie (in particolare gli IRCCS, le Agenzie Sanitarie Regionali, i Dipartimenti di prevenzione delle aziende USL, e le altre eventuali competenze epidemiologiche), coordinate e promosse dai Governi Regionali. Si raccomanda l'elaborazione di un progetto integrato di respiro nazionale per la valutazione dell'impatto dell'inquinamento ambientale sullo stato di salute della popolazione, anche in rapporto alle strategie di contenimento delle emissioni nell'ambiente urbano.
Si raccomanda, infine, la ricerca e lo sviluppo di metodi efficaci per l'informazione corretta alla popolazione sui rischi da esposizione ambientale anche in relazione al livello di percezione del rischio.

Obiettivo specifico intermedio n°5

POTENZIAMENTO DELLA RICERCA CLINICA IN ONCOLOGIA, DA REALIZZARE TRAMITE L'ALLOCAZIONE DI ADEGUATE RISORSE E LA PREDISPOSIZIONE DI UN PIANO NAZIONALE DI SETTORE.

La ricerca biomedica, clinica e sanitaria in genere risponde al fabbisogno conoscitivo ed operativo del Sistema sanitario nazionale. Il Piano sanitario nazionale e il D.leg. 229/99 definiscono le finalita' generali ed i settori principali della ricerca biomedica e sanitaria. La ricerca oncologica rappresenta un settore prioritario nell'ambito della ricerca biomedica, clinica e sanitaria per i seguenti motivi:

- la rilevanza sociale della patologia oncologica;
- i risultati ancora insoddisfacenti dei trattamenti codificati in
molte neoplasie avanzate;
- il rapido avanzamento delle conoscenze scientifiche, che rende
impossibile separare nettamente i protocolli
diagnostico-terapeutici codificati da procedure innovative, che
contengono tematiche di ricerca clinica.
- la necessita' di sviluppare specifici progetti di ricerca
relativamente alle prestazioni assistenziali infermieristiche.

L'assunto su cui si basa il presente documento, che propone interventi di razionalizzazione delle risorse disponibili, e' che la ricerca clinica di buona qualita' scientifica si traduce inevitabilmente in un miglioramento della qualita' dell'assistenza.
Pertanto, per la realizzazione degli obiettivi indicati nel Piano sanitario nazionale, occorre potenziare e sviluppare la ricerca biomedica, clinica e sanitaria in genere, indirizzando le risorse verso programmi in grado di:

- promuovere un miglioramento delle conoscenze scientifiche per
tutte le professionalita' coinvolte;
- individuare le scelte piu' opportune per situazioni complesse e
controverse, al fine di migliorare la qualita' dei servizi e delle
prestazioni sanitarie e per indicare corretti percorsi diagnostico-
terapeutici.

Il Piano oncologico conferma l'importanza della ricerca scientifica, ribadendo l'esigenza di un collegamento tra gli obiettivi individuati dalla programmazione sanitaria. In questa direzione va coordinata l'attivita' di ricerca facente capo al Ministero della sanita', il cui indirizzo e la cui valutazione devono risultare intimamente coerenti con le linee di azione indicate per il triennio l998\2000.
Per il Piano oncologico sara' predisposto dalla C.O.N. un rapporto annuale per la ricerca oncologica, che riunira' le attivita' scientifiche realizzate in questo settore dagli organismi nazionali e regionali, pubblici e privati, anche se non facenti riferimento al Ministero della sanita'.
Sara' possibile in tal modo monitorizzare i progetti di ricerca attivati, le risorse destinate a tale scopo e consequenzialmente formulare le indicazioni operative per il successivo anno, sottoponendo tali risultanze alla Commissione per la Ricerca Sanitaria, istituita presso il Ministero della sanita'.
E', infatti, sempre piu' indispensabile garantire alcuni aspetti, fondamentali per una ricerca scientifica oncologica finalizzata al raggiungimento di obiettivi utili per il miglioramento delle conoscenze in tema di prevenzione, diagnosi e cura delle patologie neoplastiche. A tale proposito si raccomanda fortemente di porre in essere iniziative atte a garantire:

- il coordinamento dei programmi e delle iniziative di ricerca
nell'ambito delle strutture del SSN;
- la cooperazione tra le maggiori organizzazioni o i programmi
internazionali impegnati nel settore della ricerca, con particolare
riferimento alle iniziative assunte in sede di Unione Europea;
- il trasferimento dei risultati della ricerca alla pratica clinica
corrente, al fine di ottenere elevati standard qualitativi di
attivita';
- la metodologia piu' idonea per la conduzione delle
sperimentazioni cliniche;
- l'uso corretto dei test genetici in oncologia;
- l'utilizzazione di infrastrutture comuni;
- l'allocazione delle risorse in centri di eccellenza, che potranno
essere costituiti anche in seguito ad accordi istituiti fra centri
diversi, purche' tra loro formalmente coordinati, al fine di
trasformare l'eccellenza scientifica in eccellenza applicativa;
- la partecipazione delle istituzioni private riconosciute ai
programmi stabiliti dal Ministero della sanita';
- il coordinamento delle attivita' delle associazioni private
impegnate nella raccolta di fondi per la ricerca biomedica con il
Ministero della sanita', al fine di una razionale allocazione delle
risorse;
- la partecipazione delle strutture del SSN ai programmi di ricerca
comunitari attraverso un'adeguata informazione ed assistenza.

Fortemente raccomandata e' inoltre la cooperazione di istituzioni scientifiche su obiettivi specifici. Si rammenta, a tal proposito, che l'Unione Europea con il rapporto "Inventare il domani: la ricerca europea al servizio del cittadino" , ha sottolineato nel 5o Programma Quadro il ruolo sempre piu' centrale della ricerca scientifica nei riguardi di temi sociali quali crescita, occupazione, salute, ambiente, il cui miglioramento e' strettamente connesso agli stati di avanzamento in campo scientifico e tecnologico.
La ricerca sanitaria e' indubbiamente elemento essenziale per una migliore utilizzazione delle risorse, per una migliore qualita' delle prestazioni e dei servizi e per la formazione di operatori sanitari nel rispetto del rigore metodologico nell'espletamento delle specifiche attivita' professionali.
L'Italia deve quindi promuovere le iniziative piu' idonee a potenziare tali attivita', tenuto conto che esistono nel nostro paese competenze e strutture altamente qualificate.
La formazione permanente in oncologia deve inoltre garantire competenze di tipo specialistico, ma deve essere inoltre in grado di preparare in modo adeguato gli operatori sanitari ad un lavoro multidisciplinare e di equipe, coerentemente con quanto sottolineato in precedenti capitolo del presente Piano oncologico nazionale.
In tal senso la Commissione oncologica nazionale, dovra' formulare, alle istituzioni competenti, raccomandazioni per la realizzazione di programmi per un'adeguata formazione in questo settore. indicazioni
Disposizioni legislative che regolano la sperimentazione clinica
Per quanto attiene, in maniera specifica il problema relativo alla necessita' di ridurre i tempi necessari per il trasferimento dei risultati dalla ricerca alla pratica clinica corrente e' auspicata l'accelerazione ed esemplificazione delle procedure autorizzative per la conduzione di studi clinici innovativi in oncologia.
La sperimentazione di trattamenti oncologici pone problemi specifici rispetto alle altre sperimentazioni farmacologiche ed in particolare: esiste la necessita' di disporre con rapidita' di farmaci potenzialmente efficaci in malattie ad alta letalita';

- l'indice terapeutico e' spesso ridotto e pertanto le Fasi I delle
sperimentazioni non sono condotte su volontari sani, ma su
portatori di neoplasie non suscettibili di terapie efficaci;
- gli studi preclinici non utilizzano di norma modelli animali, ma
linee cellulari tumorali umane in vitro o trapiantate in topi nudi;
- accanto ad end-point tradizionali occorre valutare end-point
alternativi.

In considerazione di cio', in aggiunta alle disposizioni normative vigenti, sono state introdotte e rese operative specifiche linee guida per la sperimentazione dei prodotti Antitumorali, che rappresentano lo strumento di tutela del soggetto della sperimentazione e di garanzia degli studi scientifici.

Accreditamento dei centri per la ricerca.

L'accreditamento per la ricerca e' importante sia sotto il profilo scientifico, (sperimentazioni complesse possono dare risultati molto diversi secondo la tipologia delle istituzioni coinvolte) che sotto il profilo della ricaduta assistenziale. (le istituzioni che devono applicare i protocolli diagnosticoterapeutici, validati da sperimentazioni cliniche, devono assicurare lo stesso standard qualitativo delle istituzioni ove si e' svolta la sperimentazione clinica. Per svolgere attivita' di sperimentazione clinica le strutture dovrebbero essere in possesso dei seguenti requisiti:

- esistenza di un Comitato Etico Locale, secondo quanto previsto
dalla normativa vigente;
- modello organizzativo che garantisca l'approccio
interdisciplinare ed integrato al paziente oncologico (IRCCS, Poli
oncologici, Dipartimenti oncologici);
- attivita' di ricerca clinica del personale operante nella
struttura, documentata dai curricula e dalla partecipazione a studi
clinici nazionali ed internazionali;
- partecipazione ad attivita' formative sulla ricerca clinica;
- collegamenti con analoghe istituzioni nazionale ed
internazionali;

Al fine del raggiungimento degli obiettivi avanzati nel presente capitolo del piano si auspica inoltre l'istituzione di un'Anagrafe nazionale delle ricerche cliniche in oncologia.

Un registro prospettico delle sperimentazioni ha lo scopo di:

- fornire una descrizione della distribuzione e dell'evoluzione
temporale della ricerca clinica per quanto riguarda le condizioni
cliniche studiare, i tipi di trattamento, i centri partecipanti, il
numero dei pazienti arruolati, lo sponsor etcc;
- promuovere un miglioramento complessivo della qualita' delle
sperimentazioni cliniche oncologiche;
- fornire a medici e pazienti un centro di consultazione per
l'eventuale partecipazione ad una delle sperimentazioni in corso.

Per raggiungere questi scopi, il Registro delle sperimentazioni dovrebbe garantire che il censimento delle sperimentazioni sia completo, che l'acquisizione delle informazioni sia accurata ed esaustiva, che la gestione e diffusione delle informazioni sia tempestiva.
Le disposizioni legislative sulla sperimentazione clinica garantiscono la qualita' dei dati sperimentali prodotti ai fini registrativi. Spesso la sperimentazione con finalita' registrativa non permette di individuare lo scenario clinico o la modalita' ottimale di utilizzazione del nuovo farmaco. Di fatto, quindi l'utilizzazione clinica dei nuovi farmaci e' in gran parte influenzata dai protocolli sperimentali che sono attivati dopo la registrazione. La maggior parte di questi protocolli di fase III e IV sono condotti nell'ambito di Gruppi Cooperatori di cui e' talora difficile individuare le modalita' organizzative, le fonti di finanziamento e gli eventuali controlli di qualita' sui prodotti. Sarebbe pertanto opportuno attivare un Albo dei Gruppi Cooperatori con il compito di:

- verificare la modalita' di conduzione e monitoraggio degli studi
clinici multicentrici;
- definire criteri di accreditamento per il coordinamento e la
partecipazione a studi multicentrici;
- incentivare la ricerca clinica multicentrica su tematiche di
interesse nazionale.

Tale Albo potrebbe essere costituito presso il Ministero della sanita' e contenere gli elementi identificativi essenziali: finalita', modello organizzativo, fonti di finanziamento, rappresentante legale, centro elaborazione dati, ufficio operativo etc.

Parte III

ATTIVAZIONE DI SISTEMI DI MONITORAGGIO E CONTROLLO IN ONCOLOGIA.

A) CONSOLIDAMENTO E SVILUPPO DELLA RETE DI MONITORAGGIO
EPIDEMIOLOGICO BASATA SUI REGISTRI TUMORI DI POPOLAZIONE.

Nel Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 (PSN) sono indicati specifici obiettivi di salute e modalita' di intervento finalizzate alla loro realizzazione. Nel Piano e' inoltre espressa l'esigenza di attivare meccanismi di sorveglianza dei parametri di salute, per valutare 'lo stato di realizzazione degli obiettivi previsti. Si afferma in tal modo con chiarezza la necessita' di disporre di ulteriori e puntuali indicatori di salute, in quanto di primaria importanza per la programmazione e la valutazione degli interventi in campo sanitario. Sino ad oggi si e' fatto prevalente ricorso ad indici di mortalita', che pur presentando il vantaggio derivato da una statistica completezza, periodica e stabilizzata, assicurata dall' ISTAT, rappresentano solo parzialmente lo stato di salute della popolazione italiana.
A livello di alcune Regioni, adeguati sistemi informativi permettono di articolare ulteriori e piu' perfezionate "famiglie" di indicatori di salute. Tuttavia tali informazioni, non essendo disponibili in modo sistematico a livello nazionale, permettono una valutazione solo parziale degli indicatori e delle loro modifiche nel tempo, e quindi rivestono un valore prevalentemente locale.
In considerazione dei limiti riscontrati, il P.S.N. stesso indica la necessita' di un coerente progetto di ampliamento della base di dati disponibili sulla salute e sui suoi determinanti, che permetta la costituzione di un valido set di indicatori nazionali a carattere socio-sanitario da applicare periodicamente, adeguato alle rinnovate esigenze, espresse a livello nazionale ed internazionale, di dati epidemiologici per la programmazione. Tale progetto deve porsi l'obiettivo di realizzare un nuovo sistema informativo nazionale sullo stato di salute, coerente con le esigenze ed adeguato alle scadenze della programmazione. Lo sviluppo di tale sistema appare peraltro improrogabile a fronte delle attuali richieste informative a livello europeo ed internazionale.
Esso deve prevedere l'integrazione, all'interno delle statistiche correnti nazionali, dei dati prodotti dai Registri di Patologia opportunamente estesi e validati (Registri Tumori, AIDS, malattie cardiovascolari, patologia rare). Deve inoltre prevedere il contributo della Medicina Generale, all'interno di studi a hoc, volti al dimensionamento dei bisogni sanitari ed alla valutazione della qualita' dell'assistenza e della vita, e la realizzazione di studi campionari nazionali sullo stato di salute della popolazione, basati su misure obiettive e strumentali.
In campo oncologico e' essenziale la stabilizzazione e riorganizzazione della rete dei Registri Tumori che, per il suo carattere di sistematicita' e di qualita', costituisce una fondamentale fonte informativa nazionale sulla patologia neoplastica. Tale rete deve integrarsi a pieno titolo nella nuova strategia informativa sullo stato di salute.

La registrazione dei tumori in Italia

Definizione.

I Registri Tumori (RT) sono strutture che raccolgono, valutano, organizzano ed archiviano, in modo continuativo e sistematico, le piu' importanti informazioni su tutti i casi di neoplasia che insorgono nella popolazione interessata. La maggioranza dei R.T. identifica le neoplasie maligne di tutti i tipi e insorte a qualsiasi eta'. Per alcune neoplasie, soprattutto se rare, vi sono inoltre R.T. specializzati.

La situazione Italiana.

In Italia e' attualmente operante una Rete di Registri Tumori di Popolazione che ha in osservazione circa il 15% dei residenti sul territorio nazionale, oltre ad alcuni Registri specializzati (tumori infantili, dell'osso, del colon-retto, dei mesoteliomi). Analogamente a quanto accaduto nella maggior parte dei Paesi europei, l'orientamento e' stato quello di realizzare un certo numero di registri a carattere locale o regionale che permettessero, attraverso l'uso integrato dei propri dati, di rappresentare adeguatamente la situazione dei tumori a livello nazionale.
Tutti i Registri italiani aderiscono alla Associazione Italiana Registri Tumori (AIRT). Essi contribuiscono alla pubblicazione periodica internazionale a cura dell'OMS (Cancer Incidence in Five Continents) e al network dei RT Europei (European Network of Cancer Registries-EuroCIM). L'inserimento dei Registri Italiani e' stato possibile in quanto questi seguono metodiche rilevazione e trattamento dei dati di qualita' adeguata sulla base delle indicazioni internazionali.
In aggiunta alle pubblicazioni internazionali, l'AIRT pubblica periodicamente con maggior dettaglio e con elaborazioni a hoc i dati relativi ai RT italiani (v. successive edizioni di "Il cancro in Italia".) .il,

Funzioni

- La prima funzione dei RT e' quella di descrivere il fenomeno
neoplastico e le sue variazioni territoriali e temporali Cio'
avviene attraverso la produzione sistematica, e con metodologie di
raccolta, trattamento ed analisi confrontabili, di misure di
incidenza e mortalita'.
- I RT producono dati di sopravvivenza per le diverse sedi
neoplastiche, fornendo cosi' un indicatore fondamentale della
qualita' dei servizi diagnostici e terapeutici nei diversi
territori e del suo evolversi nel tempo. Tale informazione offre un
valore aggiunto importante rispetto ai dati di sopravvivenza basati
su serie cliniche. Infatti, i RT utilizzano serie non selezionate
di pazienti, e quindi forniscono una rappresentazione del quadro
legato alle attivita' cliniche a livello dell'intera popolazione.
- I RT producono dati di prevalenza a livello locale e stime di
prevalenza a livello nazionale. La prevalenza e' l'indicatore piu'
diretto del carico sanitario dovuto ai tumori in una popolazione ed
e' particolarmente utile per valutare i bisogni sanitari.
- Per le tre funzioni sopraddette, i RT rappresentano il sistema
informativo di riferimento sulla patologia neoplastica per i
Governi nazionale e regionali, nonche' l'unica fonte sistematica di
incidenza disponibile in Italia che riguardi una patologia di tale
importanza sociale ed economica. Il Piano Sanitario Nazionale
1998-2000, infatti, indica la necessita' di promuovere "la
rilevazione della incidenza dei tumori tramite la rete dei Registri
Tumori e la realizzazione di stime di incidenza, prevalenza e
sopravvivenza per l'intera popolazione italiana".
- Essi sono strumento indispensabile per l'organizzazione e
valutazione dell'efficacia di interventi di prevenzione primaria in
aree e/o popolazioni ad alto rischio. La situazione italiana e',
infatti, caratterizzata da una notevole variabilita' delle
frequenze della malattia neoplastica.
- Nell'ambito degli studi valutativi, i RT Italiani sono
indispensabili per la valutazione degli screening oncologici
tramite indicatori di efficacia. Tale attivita' si inserisce nella
valutazione di qualita' dei numerosi programmi di screening
recentemente avviati o in fase di avvio, concordemente con quanto
previsto dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000.
- Ulteriore importante funzione e' rappresentata dalla
partecipazione a ricerche di epidemiologia clinica ed eziologica.
Cio' e' reso possibile dalla presenza presso i RT di casistiche
molto vaste, rappresentative di tutte le sedi tumorali e ben
documentate sia sul piano diagnostico, che per quanto riguarda lo
stato in vita. Cio' li rende strumenti particolarmente validi
soprattutto per grandi studi su base di popolazione, per studi
multicentrici e per studi sulla qualita' della assistenza
oncologica e sulla qualita' di vita del paziente neoplastico, anche
in collaborazione con i medici di medicina generale.

Rappresentativita' territoriale.

I R.T. italiani sono nati in periodi diversi ed in assenza di un
quadro programmatorio nazionale. Dei 13 Registri di popolazione
consolidati, 3 sono collocati nel Nord- Ovest, 2 nel Nord-Est, 4 in
Emilia Romagna, 3 nel Centro ed 1 nel Sud Italia. Alcuni Registri
Tumori sono di dimensioni medio-piccole (popolazioni inferiori a
500.000 abitanti). Due aspetti sono legati a questo profilo
territoriale:

- la ridotta presenza del Sud Italia nella rete informativa. Cio'
rappresenta una fonte di imprecisione per le stime di incidenza,
prevalenza e sopravvivenza per il territorio nazionale. Inoltre,
sfuggono alla valutazione le diversita' fra aree all'interno del
Sud. A parziale correzione di questa situazione, e' da segnalare la
esistenza a Sud di alcune nuove iniziative di registrazione, per le
quali e' in corso di valutazione l'adesione alle norme di qualita'
internazionali.
- la forte necessita' di coordinamento fra Registri, mirato alla
confrontabilita' delle rilevazioni, al miglioramento della
rappresentativita' regionale e nazionale, alla realizzazione di
pubblicazioni congiunte ed alla collaborazione a studi
multicentrici. Di particolare rilevanza e' l'individuazione di una
strategia di sviluppo della registrazione che, nei prossimi anni,
permetta il raggiungimento di una migliore rappresentativita'
nazionale.

NECESSITA' ORGANIZZATIVE E CONDIZIONI ATTUALI DI FUNZIONAMENTO DEI REGISTRI

I problemi.

Data l'assenza di programmazione nazionale, ed in mancanza di una normativa comune, fino ad oggi i RT italiani sono stati fortemente penalizzati da condizioni di precarieta' economica ed amministrativa legata a disomogeneita' di comportamento e ritardi nella presa in carico da parte delle Regioni. I registri del Sud, che e' anche il territorio meno rappresentato nella rete nazionale, sono i maggiormente penalizzati. La precarieta' organizzativa e' incompatibile con le caratteristiche insite nel sistema di registrazione, che ha valore in quanto sistema informativo a funzionamento costante, con qualita' confrontabile nel tempo e senza soluzioni di continuita'.
Appare pertanto opportuno superare la fase "spontaneistica" della registrazione dei tumori in Italia, intervenendo per stabilizzare le strutture gia' funzionanti, per programmare con criteri rigorosi le eventuali nuove iniziative, per valorizzare le iniziative periodiche di produzione di dati di interesse Nazionale.

Il ruolo delle Regioni.

E' fortemente raccomandato che le Regioni, aderendo ad una concordata strategia di registrazione in Italia, promuovano iniziative atte a stabilizzare i Registri esistenti e a favorire la crescita di nuovi Registri, di adeguata qualita', nelle aree considerate strategiche, ai fini del raggiungimento di una adeguata rappresentativita' della situazione nazionale.

La qualita' della registrazione e dei sistemi informativi. Affinche' la rete dei Registri italiani dia garanzie di adeguatezza vi e' una assoluta necessita' di alta qualita' e confrontabilita' delle rilevazioni. A livello di singolo Registro tali esigenze si realizzano solo se a livello locale vi e' un adeguato investimento sulla qualita' dei sistemi informativi, che sono alla base delle attivita' di registrazione (Schede di Dimissioni Ospedaliere, Mortalita' e Anatomie Patologiche).

Il coordinamento nazionale fra Registri.

Al fine di assicurare la produzione di dati adeguati a livello Nazionale, e' necessario un coordinamento, che garantisca l'uniformita' delle tecniche di registrazione, dei sistemi di classificazione, della qualita' della completezza. A livello nazionale, tali esigenze sono garantite dal coordinamento dei Registri ad opera dell'AIRT, che promuove l'uso di tecniche omogenee di buona qualita' ed assicura ai singoli R.T. l'assistenza tecnica e la valutazione. L'uso integrato dei dati e' assicurato dalla "Banca Dati Nazionale dei RT" (contenente dati individuali non nominativi), alla quale aderiscono tutti i Registri italiani di adeguata qualita', e che rappresenta l'interlocutore per l'utenza scientifica e per gli organismi nazionali ed internazionali, nonche' una fonte unificata ad aggiornamento periodico per le pubblicazioni di dati a livello nazionale.

La rappresentativita' nazionale.

Al fine di perseguire appieno il proprio ruolo nell' ambito del nuovo sistema informativo sanitario italiano, e' necessario che le nuove iniziative di registrazione si inquadrino in una strategia di adeguata rappresentativita' del territorio nazionale.

PROMOZIONE DI NUOVE TECNICHE DI REGISTRAZiONE, TEMPESTIVITA' E COSTI.

La informatizzazione delle principali fonti informative utilizzate dai RT offre l'opportunita' di migliorare la tempestivita' di pubblicazione dei dati e di ridurre i costi. In particolare, il linkage dei dati individuali nominativi derivanti dagli archivi delle Schede di Dimissione Ospedaliere (SDO), di mortalita' e delle Anatomie Patologiche si e' dimostrato efficiente per ridurre i costi (presumibilmente alla meta) ed accelerare la produzione dei dati (di circa 2 anni), cosi' da renderli piu' adeguati, soprattutto per le attivita' di valutazione.
Tale metodo e' gia' in uso presso alcuni Registri italiani, ed e' all'attenzione degli Organismi internazionali (IARC, 1998). L'uso diffuso di tale tecnica di registrazione permetterebbe, a parita' di risorse, di interessare aree piu' vaste del territorio nazionale e di superare cosi' i problemi di rappresentativita' a parita' di costi. E' tuttavia da notare che le tecniche di record linkage sono possibili e compatibili con una buona qualita' della registrazione solo se la qualita' delle fonti informative essenziali, a livello locale, e' risultata adeguata sulla base di una attenta valutazione preliminare e di un sistema di controllo continuativo.

RAPPORTO CON UN NUOVO SISTEMA INFORMATIVO NAZIONALE SULLO STATO DI SALUTE.

Il carattere di continuita', di sistematicita' e di integrazione delle informazioni da piu' fonti, colloca a pieno titolo la Rete dei RT all'interno del progetto di un nuovo sistema informativo sullo stato di salute, secondo i criteri espressi nel Piano Sanitario Nazionale. Utilizzando la Banca Dati Nazionale saranno prodotti periodicamente Rapporti descrittivi relativi alla situazione nazionale e delle regioni, in relazione anche con le scadenze dei prossimi Piani sanitari nazionali e delle esigenze informative nazionali e internazionali.
Per quanto riguarda i tumori, il debito informativo e' quindi pienamente assolto dalle attivita' della rete dei RT, in collaborazione con le Istituzioni Nazionali di raccolta ed analisi dei dati. Particolare importanza assume in tal senso il rapporto con l'ISTAT e con l'Istituto Superiore di Sanita'.
Inoltre i RT, in stretta collaborazione con l'ISPESL, costituiscono la base informativa sui tumori di origine professionale, come previsto dalla normativa nazionale. Infatti, e' da notare come e' affidata all'ISPESL la costituzione di un Registro Nazionale dei Mesoteliomi da Amianto (Dlgs 277/91, art. 36) e di un Registro dei tumori legali ad esposizioni lavorative (DLgs. 626/94, art.71 -Registrazione dei tumori).

I RT E LA LEGGE SULLA RISERVATEZZA.

Il fatto che i RT usino piu' fonti informative per costruire la serie dei propri casi, a livello cartaceo o informatizzato, comporta obbligatoriamente l'uso di dati individuali nominativi. Inoltre le casistiche individuali e nominative presenti nei Registri sono comunemente utilizzate per studi clinici finalizzati alla tutela della salute individuale. L'enorme mole di dati obbligatoriamente nominativi (sono attualmente registrati in Italia ogni anno circa 40.000 casi incidenti ed individuati altrettanti casi prevalenti), spesso relativi a soggetti deceduti o in gravi condizioni, rende impossibile l'ottenimento del consenso informato a livello di RT. Tale problema e' peraltro tenuto in debito conto nella normativa vigente. Tutti i Registri aderenti al AIRT utilizzano correntemente un Codice di Autoregolamentazione, che garantisce la Tutela della Riservatezza dei dati sensibili.

I NUOVI RT ED I CRITERI DI AMMISSIBILITA'.

La fase di crescita spontanea dei RT italiani ha comunque permesso di maturare know-how di ottimo livello e di produrre dati unici nel panorama dei monitoraggio dei fenomeni oncologici.
Ne e' emerso un forte interesse per le attivita' di registrazione, che ha portato, negli ultimi anni, alla nascita di nuove iniziative in territori precedentemente non coperti. Attualmente, oltre ai 13 Registri generali, i cui dati sono gia' presenti nelle pubblicazioni internazionali, vi sono nuovi Registri in fasi diverse di realizzazione, che presumibilmente porteranno la proporzione della popolazione interessata dalla registrazione dal 15% ad almeno il 20%.
Al momento attuale, e' opportuno un intervento programmatorio, che regoli la nascita di nuovi R.T. sulla base di criteri adeguati. Questi sono:

- miglioramento della rappresentativita' nazionale. Devono essere
valorizzate le iniziative di registrazione nelle Regioni
attualmente non rappresentate o scarsamente rappresentate.
- verifica delle precondizioni del sistema informativo locale, tali
da permettere la raccolta di dati di buona qualita', con
particolare riferimento alle fonti informatizzate;
- adesione ai criteri internazionali di qualita' richiesti
dall'OMS.
- disponibilita' al controllo di qualita' ed alla partecipazione al
network nazionale ed internazionale dei RT (condizione
indispensabile per partecipare alla Banca dati Nazionale;
- dimensione sufficiente;
- garanzia di continuita'.

Infine, deve essere valorizzato un processo di ulteriore informatizzazione dei RT esistenti, e stimolato l'eventuale processo di accorpamento di aree limitrofe, al fine di ridurre il numero delle strutture di registrazione ed aumentarne la dimensione.
La nascita di un nuovo RT deve essere preceduta dalla realizzazione di uno studio pilota che affronti il tema della qualita' delle fonti informative e permetta la costruzione di un adeguato archivio dei casi prevalenti.

CONCLUSIONI ED INDICAZIONI OPERATIVE

I Registri Tumori Italiani (R.T.) rappresentano una fonte informativa essenziale per il governo nazionale e per le amministrazioni regionali relativamente ad incidenza, mortalita', prevalenza e sopravvivenza per tumori in Italia, come peraltro rilevato dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000.
I R.T. rappresentano inoltre strumenti fondamentali, per la valutazione delle attivita' diagnostiche e terapeutiche in campo oncologico, per la valutazione di qualita' degli screening, per la ricerca eziologica e clinica nazionale ed internazionale. Costituiscono inoltre la base informativa altamente qualificata per la programmazione e la valutazione di efficacia degli interventi di prevenzione primaria.
Si ritiene pertanto opportuno sensibilizzare le amministrazioni regionali nei confronti di iniziative finalizzate al consolidamento dei R.T. esistenti ed al raggiungimento di una piu' adeguata rappresentativita' nazionale delle attivita' di registrazione.

Considerato quanto espresso si raccomanda fortemente che:

- I R.T. siano inseriti nell'ambito del progetto di nuovo sistema
informativo sullo stato di salute della popolazione, necessario per
assolvere al debito informativo nazionale ed internazionale ai fini
della programmazione. Per quanto riguarda i tumori, infatti, il
debito informativo e' assolto dalle attivita' della rete dei R.T.
svolta in collaborazione con le istituzioni nazionali di raccolta
ed analisi dei dati ed in particolare con l'ISTAT, con l'Istituto
Superiore di Sanita' e con l'ISPESL, per quanto concerne, i tumori
di origine professionale.
- L'Associazione Italiana Registri Tumori, attraverso la Banca Dati
Nazionale, garantisca la produzione di dati, a carattere nazionale,
di epidemiologia descrittiva dei tumori e ne curi la pubblicazione
con periodicita' adeguata alle scadenze di programmazione
nazionale. Si raccomanda che la associazione medesima risponda, per
la Rete dei R.T., al Ministero della Sanita' ed alla Commissione
Oncologica Nazionale.
- Attraverso adeguate risorse umane e materiali ed opportuna
attenzione nei confronti della qualita' dei sistemi informativi
locali, le amministrazioni regionali garantiscano la continuita'
delle attivita' di registrazione, tramite il sostegno ai R.T. gia'
operanti sul territorio di competenza e promuovano e valorizzino le
iniziative di registrazione nelle aree rappresentate o
adeguatamente rappresentate. Relativamente a cio', si raccomanda
che l'individuazione di nuovi Registri avvenga coerentemente con
criteri di programmazione nazionale, tenendo conto della
rappresentativita' territoriale della registrazione, valorizzando e
promuovendo la registrazione nelle aree attualmente non coperte.
- L'inserimento di nuovi RT nella rete nazionale preveda un sistema
di accreditamento, secondo standard di qualita' internazionale,
attualmente gia' garantito dalla AIRT.
- Ai fini della operativita', che i RT possano trattare dati
sensibili in assenza di consenso informato, come peraltro previsto
dalla attuale normativa. Al fine di produrre dati aggiornati ed a
basso costo, i RT devono, infatti, poter avere accesso alle fonti
informatizzate nominative sui casi di neoplasia, con particolare
riferimento alle schede di dimissione ospedaliera, ai certificati
di morte, agli archivi dei referti istologici e citologici, delle
quali peraltro deve essere opportunamente valutata la qualita' in
ciascun territorio.

B) LE MIGRAZIONI SANITARIE PER CURE DEI PAZIENTI ONCOLOGICI.

1b) Premessa

L'analisi su cui si basa il presente documento e' stato elaborata, per quanto attiene le migrazioni sanitarie interregionali, utilizzando i dati relativi alle schede di dimissione ospedaliera, provenienti dalle singole regioni italiane, in possesso del Dipartimento della Programmazione del Ministero della sanita'.
Le SDO relative l'anno 1997, riguardano tutti i ricoveri avvenuti negli ospedali pubblici (presidi ospedalieri, ed aziende ospedaliere), negli I.R.C.C.S. nelle case di cura convenzionate e nelle case di cura non convenzionate. Per queste ultime, permangono dei dubbi sulla completezza dei dati.
I dati si riferiscono ai ricoveri in regime ordinario ed attengono al numero dei ricoveri, non al numero di soggetti ricoverati e si riferiscono esclusivamente alle patologie neoplastiche dell'adulto.

Le neoplasie da monitorizzare, sono state scelte in base a due criteri:

- La rilevanza numerica;
- La rarita' della patologia, con conseguente possibile necessita'
di alta specializzazione e concentrazione territoriale.

2b) Considerazioni sul bilancio migratorio delle diverse regioni e la mobilita' dei pazienti oncologici per regione

I ricoveri dei cittadini italiani ammalati di tumore maligno, che avvengono in regioni diverse da quella di residenza rappresentano un fenomeno imponente.
Infatti, nel 1997 essi sono stati oltre 73.000, a fronte di un totale di ricoveri per neoplasia che sono stati 726.000.
Alle evidenti implicazioni di carattere economico correlate al fenomeno migratorio, si associano i disagi ed i problemi che i pazienti oncologici e le loro famiglie devono affrontare, nell'allontanarsi dal consueto luogo di residenza. Il fenomeno migratorio per cure oncologiche, divide le regioni italiane in tre gruppi:

- Le regioni con un bilancio positivo, intendendo in tal senso
quelle regioni in cui gli ingressi da altre regioni sono superiori
alle migrazioni; - Le regioni con un bilancio sostanzialmente in pareggio; - Le regioni con un bilancio negativo.

La maggior parte delle regioni del Sud appartiene a quest'ultimo gruppo.
Per l'anno 1997, la regione che attrae il maggior numero di pazienti residenti fuori del proprio territorio e' la Lombardia, con circa 19.500 ricoveri, pari al 12,3% di tutti i ricoveri avvenuti nelle strutture territoriali. Ad essa seguono il Lazio, con circa 9.900. ricoveri, pari ai 10.4 di tutti i ricoveri e l'Emilia e Romagna, con quasi 9.000. ricoveri, pari all'11.8% del totale dei ricoveri.
Al contrario, la regione che perde il maggior numero di pazienti oncologici e' la Sicilia, con circa 8.700 ricoveri fuori regione. Tale dato e' comunque da considerare con cautela, per la possibile incompletezza delle informazioni. Alla Sicilia seguono la Campania, con circa 8.300 ricoveri fuori regione e la Calabria, con circa 7.000 ricoveri extraregione.
Piu' in generale si osserva che la mobilita' interregionale dei residenti nel Centro-Nord riguarda prevalentemente spostamenti in regioni limitrofe, nelle regioni del Sud si nota una tendenza agli spostamenti di lunga distanza.
Infatti, per quanto attiene la Lombardia, piu' di 10.000. sui 19.000. ricoveri suddetti, riguardano pazienti provenienti da regioni meridionali.

3b) La mobilita' per patologia

Le patologie oncologiche che piu' frequentemente comportano una migrazione sanitaria sono:
i tumori della mammella, con 6726 ricoveri fuori regione;
i linfomi, con 5395 ricoveri fuori regione;
i tumori del polmone, con 5340 ricoveri fuori regione.
La percentuale maggiore di migrazioni sanitarie si riscontra nelle neoplasie del connettivo e dei tessuti molli (23%), seguiti dai linfomi (22.1%), dai tumori dell'encefalo (17%) e da quelli dello stomaco (14.8%)
Sempre in termini proporzionali i tumori del colon (6.4 %9, della prostata (7.2%) comportano meno frequentemente migrazioni interregionali.
L'analisi dei dati evidenzia che il fenomeno migratorio per patologia oncologica avviene sia per alcune patologie considerate piuttosto rare, (i tumori del connettivo, i tumori dei tessuti molli i tumori dell'encefalo) sia per alcune tra le patologie oncologiche maggiormente incidenti, quali le neoplasie mammarie, le neoplasie polmonari o i linfomi.
Pertanto la mobilita' per patologia oncologica riguarda sia le neoplasie per le quali e' prevedibile il coinvolgimento di strutture altamente specializzate, che le neoplasie per le quali le tecniche terapeutiche sono piu' facilmente disponibili ed ampiamente standardizzate. Le neoplasie maligne della mammella rappresentano un chiaro esempio di quanto anzidetto. Basti dire che in termini percentuali l'11.3% dei ricoveri extraregionali e' attribuibile a questa patologia. Inoltre la migrazione non si limita a spostamenti in regioni limitrofe, ma presenta linee di attrazione a lunga distanza. La regione che di gran lunga ricovera, per ca. della mammella e' la Lombardia, seguita, a notevole distanza dal Lazio e dall'Emilia Romagna.
Anche per questa patologia le regioni del Sud mostrano un elevato livello di non autosufficienza.
I tumori dell'encefalo rappresentano un esempio di patologia relativamente rara, il cui trattamento in pochi centri di riferimento ad alta specializzazione potrebbe meglio garantire un adeguato livello terapeutico. Anche questa patologia e' caratterizzata da forti fenomeni migratori. Infatti, a fronte di un totale di circa 11.000 ricoveri avvenuti nel 1997, 2250 sono avvenuti fuori della regione di residenza. Anche per questa patologia sono soprattutto le regioni del sud a determinare i maggiori flussi migratori, diretti, verso la Lombardia e moderatamente verso il Veneto l'Emilia Romagna ed il Lazio.

4b) Le Migrazioni sanitarie all'estero

L'esame dei dati, relativi alle migrazioni sanitarie all'estero per cure dei pazienti oncologici, forniti dal Dipartimento delle professioni sanitarie del Ministero, relativi l'anno 1997, conferma l'importanza in termini numerici del fenomeno.
La migrazione all'estero dei cittadini Italiani costituisce per dimensioni un fenomeno unico in Europa, estremamente rilevante pertanto sia dal punto di vista economico che sociale. Le motivazioni sottese a tale fenomeno sono legate a richieste autorizzative per prestazioni chemioterapiche, radioterapiche, diagnostiche e neurochirurgiche. Dall'analisi dei modelli autorizzativi rilasciati dai centri regionali di riferimento emergere una certa disomogeneita' nelle prassi autorizzative regionali, nella completezza del flusso informativo, della congruita' della autorizzazione rispetto al trattamento che sara' effettuato all'estero.

5b) Conclusioni

Per quanto attiene le migrazioni sanitarie all'interno del territorio nazionale, le schede di dimissione ospedaliera, nel loro complesso e per le patologie osservate, hanno messo in evidenza un forte flusso migratorio dal sud verso il Nord. Come gia' espresso, il fenomeno non e' esclusivamente legato all'insorgenza di forme neoplastiche rare che potrebbero essere motivate dalla necessita' di afferire in strutture e competenze di alta specialita', ma anche patologie per le quali sono ampiamente diffusi, standardizzati e condivisi i protocolli diagnostico-terapeutici. In questi ultimi casi quindi il trattamento dei pazienti oncologici dovrebbe poter avvenire all'interno della regione di provenienza. Risulta pertanto urgente procedere ad un'analisi, che tenda ad individuare le specifiche prestazioni per le quali avviene la migrazione. Tale studio deve essere finalizzato anche a distinguere le migrazioni cosi' dette di comodo, cioe' legate alla vicinanza geografica ad un centro di diagnosi e cura delle malattie oncologiche, dalle migrazioni legate ad una effettiva carenza di offerta di servizi in loco.
L'analisi di tali informazioni potra' consentire il perseguimento di obiettivi di programmazione sanitaria, che tendano:

- ad assicurare le prestazioni essenziali nelle regioni di
residenza, per quanto attiene le patologie a maggiore incidenza e
per le quali esistono protocolli terapeutici standardizzati;
- a valorizzare la concentrazione di del trattamento delle
patologie rare e di tecniche complesse in centri di eccellenza;
- a ridurre il fenomeno delle migrazioni all'estero, assicurando la
razionalizzazione dei percorsi diagnostico-terapeutici.

Per quanto attiene il fenomeno migratorio extranazionale, appare
opportuno

- migliorare i flussi informativi, relativi ai modelli TSR.01 ed E1
12;
- attivare, da parte delle regioni, il flusso informatizzato dei
dati individuali relativi alle migrazioni all'estero;
- modificare la scheda informatizzata, al fine di ottenere piu'
dettagliate informazioni;
- omogeneizzare, per quanto possibile, la prassi autorizzativa
regionale.

C) ATTIVAZIONE DI PROGRAMMI OPERATIVI DI CONTROLLO DI QUALITA' DELLE ATTIVITA' DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE.

Introduzione

Le numerose iniziative in corso e le procedure di accreditamento delle strutture assistenziali fanno riferimento a criteri gestionali, organizzativi e strutturali, atti a garantire efficienza e qualita' delle prestazioni erogate, due livelli che richiedono approcci e controlli ovviamente diversificati. Infatti, l'efficienza e' un requisito necessario, ma non sufficiente, a garantire la qualita' delle prestazioni.
Gli esami eseguiti nel paziente oncologico possono essere grossolanamente suddivisi in esami strumentali o di laboratorio e sono eseguiti e utilizzati durante tutto l'iter diagnostico-terapeutico del paziente oncologico, dalla prevenzione primaria e secondaria (screening), alla diagnosi, alla formulazione della prognosi, alla pianificazione terapeutica, al monitoraggio della evoluzione della malattia e degli effetti collaterali nel paziente trattato.
Attualmente, a livello nazionale, non sono state assunte iniziative finalizzate a verificare l'attendibilita' degli, esami forniti dalle strutture sanitarie al momento del loro accreditamento, ne' alcun sistema di monitoraggio della qualita' delle prestazioni per le strutture accreditate, che costituiscono la rete del Sistema Sanitario Nazionale. L'eterogeneita' della qualita' e del tipo di prestazioni fornite dalle diverse strutture, in funzione di diversi fattori quali, non ultimo, l'ubicazione topografica, ha rappresentato e tuttora rappresenta un problema per la qualita' dell'assistenza sanitaria fornita al Paese.
Nel settore dell'oncologia, l'evoluzione tecnologica delle procedure di laboratorio e delle apparecchiatura medicali ha portato all'acquisizione di rilevanti informazioni e aperto importanti prospettive per la gestione del paziente affetto da patologia oncologica. I diversi esami, anche per la successione cronologica con cui sono stati proposti ed utilizzati, sono attualmente a diversi stadi dell'iter del controllo di qualita' previsto per garantire la riproducibilita' intra- ed inter-laboratorio. Si rimanda all'allegato no4 al presente documento per un approfondimento della tematica in oggetto.

CONCLUSIONI

Al fine della realizzazione di quanto previsto nel presente Piano oncologico nazionale, si auspica fortemente che in ogni regione si provveda a garantire il coordinamento delle attivita' oncologiche. A tale scopo, si raccomanda fortemente la costituzione di una Commissione oncologica regionale, che includa al suo interno le diverse competenze coinvolte in materia.
La suddetta Commissione avra' il compito di supportare tecnicamente le amministrazioni regionali nella formulazione di linee guida comportamentali e per il monitoraggio delle attivita' poste in essere, al fine della programmazione e implementazione del Piano oncologico regionale.
L'attuazione delle indicazioni inerenti il Piano oncologico nazionale, nei suoi diversi aspetti, sara' oggetto di periodico monitoraggio da parte del Ministero della sanita', tramite la Commissione oncologica nazionale.
A tale scopo si procedera' all'attivazione di un sistema di rilevazione periodica dei dati inerenti gli obiettivi specifici intermedi indicati nel presente Piano.
Tali rilevazioni, da effettuare con cadenza annuale presso le Amministrazioni regionali, forniranno il materiale per la stesura di un report annuale al Ministro della sanita' sullo stato d'avanzamento e di implementazione delle strategie sottese all'implementazione del Piano Tumori.
 
ALLEGATO No1 INDICAZIONI SUI MODELLI TENDENZIALI DI ORGANIZZAZIONE DELLA RETE DEI
SERVIZI

1a) Unita' operative di oncologia medica

Negli ospedali per acuti, ove prevista, l'articolazione organizzativa dei servizi di oncologia medica puo' comprendere:

- posti letto per ricoveri in regime ordinario, la cui
disponibilita', ferma restando la compatibilita' con il numero
globale dei posti letto stabiliti dalla programmazione regionale,
potra' essere realizzata anche tramite la riconversione
dell'utilizzo dei posti letto esistenti;
- posti letto in regime di day- hospital, dimensionati secondo le
norme vigenti in materia;
- ambulatori per attivita' terapeutiche e cliniche;
- spazi adeguati per l'accettazione e l'accoglienza dei malati;
- ambienti protetti per la preparazione dei farmaci antiblastici,
secondo quanto previsto dal "Documento di linee guida per la
sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici
antiblastici in ambiente sanitario" pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 236 del 7 ottobre 1999.

La terapia chirurgica dei tumori e' di primaria importanza nel controllo della malattia neoplastica. Peraltro la complessita' delle strategie terapeutiche richiede la massima integrazione fra la chirurgia e le altre discipline implicate nella terapia dei tumori maligni. Tale integrazione puo' realizzarsi favorendo, in strutture ospedaliere complesse, l'istituzione di " chirurgie" particolarmente dedicate al trattamento dei tumori maligni, quali le chirurgie oncologiche o le chirurgie ad orientamento oncologico.

1b) Il Dipartimento oncologico

Il Dipartimento di oncologia, inteso come l'aggregazione tecnico-funzionale o strutturale, secondo le indicazioni del Decreto Legislativo 229, di competenze ed unita' operative, rappresenta il livello ospedaliero di integrazione fra le unita' operative coinvolte nella diagnosi, cura e riabilitazione del malato oncologico.
Il Dipartimento di oncologia trova ulteriori livelli di integrazione tecnico-funzionale con il Dipartimento di Prevenzione, con il Distretto ed altri Dipartimenti, impegnati a vario titolo, nella realizzazione di programmi di prevenzione primaria, diagnosi precoce e monitoraggio epidemiologico. Al fine di realizzare il coordinamento di tutte le attivita' in materia di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie oncologiche, si puo' inoltre prevedere la costituzione, nell'osservanza delle disposizioni regionali in materia di accordi interaziendali, di Dipartimenti tecnico-funzionali oncologici interaziendali.

Il Polo oncologico

E' raccomandata la realizzazione di un efficace ed organico coordinamento a livello regionale di tutta l'attivita' oncologica, per garantire qualita' omogeneita' ed equita' di intervento. In alcune realta' regionali tale azione di forte coordinamento puo' essere in grado di garantire un'ottimizzazione dei percorsi assistenziali, anche in riferimento al trattamento di patologie tumorali rare o comunque abbisognevoli, per la complessita' del trattamento, di un approccio specialistico di alto livello. Nelle situazioni in cui tale rete regionale e' insufficientemente sviluppata, ovvero i bacini di riferimento lo suggeriscano, l'alta integrazione puo' conseguirsi attraverso l'attivazione di poli oncologici che, in quanto dotati di oncologia medica, di chirurgia ad indirizzo oncologico e di radioterapia, preferibilmente insistenti in una stessa sede e comunque strettamente connesse in termini sia strutturali sia tecnico-funzionali, sono in grado di erogare risposte integrate e coordinate in funzione della complessita' della patologia oncologica.
Nel Polo oncologico dovrebbero essere inoltre presenti competenze di prevenzione oncologica e di epidemiologia, con apposite Unita' operative o strutture complesse, ove esistenti.
Per garantire un'effettiva attivita' integrata e di alta complessita', dovrebbero essere previste fra le attivita' del Polo quelle proprie di anatomia patologica, ematologia, diagnostica strumentale e di laboratorio, endoscopia, specialita' d'organo, anestesia e rianimazione, riabilitazione, psicologia, nutrizione clinica, genetica e il servizio farmaceutico. Tali servizi, anche quando non dedicati esclusivamente alle attivita' oncologiche, ne dovrebbero supportare in modo determinante l'azione. Fatta salva l'autonomia organizzativa e normativa regionale, il Polo oncologico prevede articolazioni organizzative con il Dipartimento oncologico strutturato all'interno di presidi ospedalieri delle ASL, di AO, di strutture universitarie, secondo quanto previsto all'art. 6 del decreto legislativo 229, ovvero coincidere con gli I.R.C.C.S. oncologici.

- All'interno del Polo il modello Dipartimentale e' in grado di
garantire il coordinamento delle attivita' e di fornire una piu'
efficace organizzazione delle attivita' assistenziali, un migliore
utilizzo delle risorse, minori ritardi e disfunzioni.

L'adeguamento delle strutture e delle modalita' operative sopra indicate dovrebbe consentire inoltre di ridurre marcatamente la mobilita' interregionale dei pazienti oncologici.

2d) I.R.C.C.S. oncologici

Gli I.R.C.C.S. ad indirizzo oncologico perseguono finalita' di ricerca in campo biomedico e nella organizzazione e gestione dei servizi sanitari, oltre a fornire prestazioni di ricovero e cura. Gli I.R.C.C.S. sono qualificati ospedali di rilievo nazionale e di alta specialita' per le patologie di maggior rilievo nazionale.
Gli I.R.C.C.S. garantiscono le funzioni di ricerca epidemiologica, preclinica e clinica. Funzione specifica di alto rilievo e' la ricerca integrata tra competenze sperimentali e cliniche, con l'uso di alte e innovative tecnologie. E' compito degli I.R.C.C.S. il trasferimento dei risultati ottenuti al Sistema Sanitario Nazionale, per una migliore qualificazione della assistenza (attraverso il supporto tecnico e operativo alla rete delle strutture e dei servizi oncologici nell'esercizio delle loro funzioni, per il perseguimento degli obiettivi del P.S.N. nonche' attraverso la formazione continua del personale)
L'attivita' assistenziale connessa all'attivita' di ricerca e' svolta sulla base della programmazione regionale.
 
ALLEGATO No2
ESAME DELLO STATO DELLA RADIOTERAPIA IN ITALIA

La radioterapia e' fondamentale nella terapia specifica e palliativa dei tumori maligni. Infatti, per un bacino di utenza di 500.000 abitanti, sono attesi, tendenzialmente ogni anno, circa 2600 nuovi casi di tumore. La meta' di questi casi, (a cui va aggiunta una quota pari a circa il 20% di soggetti gia' irradiati, che necessitano di ulteriore trattamento), fa ricorso prima o poi ad un trattamento radioterapico.
Le strutture di radioterapia attualmente esistenti sono, in molte aree del paese, inadeguate a far fronte alle richieste di prestazioni; esse, infatti, necessitano di riorganizzazione e di adeguamento tecnologico sia qualitativo sia quantitativo. Infatti, l'incidenza dei tumori e le relative indicazioni alla radioterapia rendono opportuna la previsione, per ambiti territoriali definiti dalle Regioni di:

- un'apparecchiatura di alta energia, considerando che annualmente
con un acceleratore lineare sono trattati dai 400 ai 500 pazienti;
- attrezzature accessibili per una corretta identificazione del
volume da irradiare ed una corretta valutazione della dose in esso
distribuita (Simulatore, TAC, Sistema per piani di cura);
- un numero adeguato di specialisti ed operatori sanitari;

Il modello organizzativo della radioterapia deve fare riferimento alla rete dei servizi, calata nella realta' dipartimentale.
L'analisi dettagliata della situazione della radioterapia in Italia e' riportata nelle sottostanti tabelle che si riferiscono al censimento condotto dall'AIRO nel 1995 e forniscono un quadro complessivo della situazione di fatto della radioterapia nel nostro paese.

Stato della radioterapia (1995) TAB 1: CASI ATTESI PER RADIOTERAPIA =================================================================== Anno 1995 Nord-Centro Sud Italia ------------------------------------------------------------------- Abitanti 36.537.793 20.923.184 57.460.977 ------------------------------------------------------------------- Centri 76 21 97 ------------------------------------------------------------------- Rapporto 480.760 996.343 592.381 Abitanti centri ------------------------------------------------------------------- Nuovicasi tumori 5% 3.5% 4.47% anno ------------------------------------------------------------------- Casi attesi\anno 182.700 74.150 256.850 ------------------------------------------------------------------- Casi attesi per 109.610 44.490 154.100 radioterapia ------------------------------------------------------------------- - Media pesata su tutti i registri, incidenza stimata, 1991 - Calcolati sulla base del 50% dei nuovi casi di tumore attesi ogni
anno, ai quali si somma il 10% dei casi ritrattati.

TAB 2: ATTREZZATURE RT ESTERNA ===================================================================
NORD SUD ITALIA (95) ITALIA
CENTRO (89) =================================================================== LINAC* 48 5 53 27 ------------------------------------------------------------------- LINAC** 42 10 52 37 ------------------------------------------------------------------- COBALTO 43 10 53 82 ------------------------------------------------------------------- CESIO 5 1 6 9 ------------------------------------------------------------------- ORTOVOLTAGGI 67 9 76 94 ------------------------------------------------------------------- *Acceleratore lineare **Acceleratore lineare ad elettroni

TAB 3: ATTREZZATURE RT ESTERNA: TIPOLOGIA E VETUSTÀ =================================================== Centri con 1 sola unità 30 --------------------------------------------------- Centri con una sola unità Co60 16 --------------------------------------------------- Acceleratori lineari con età superiore a 10 31 anni --------------------------------------------------- Unita Co60 speriore ai 10 anni 36 ---------------------------------------------------

TAB 4: ATTREZZATURE SIMULAZIONE ===================================================================
NORD SUD ITALIA (95) ITALIA
CENTRO (89) =================================================================== Unità RX 21 7 28 -- ------------------------------------------------------------------- Simulatore 47 7 54 49 ------------------------------------------------------------------- Accesso Tac 51 8 59 -- ------------------------------------------------------------------- SIM-TAC * 11 5 16 -- ------------------------------------------------------------------- TPS** 80 11 91 63 ------------------------------------------------------------------- *SIM.TAC= TAC Simulatori **TPS= Sistemi per piani di trattamento

TAB 5: ATTREZZATURE BRACHITERAPIA ===================================================================
NORD SUD ITALIA (95) ITALIA
CENTRO (89) =================================================================== Numero 2 1 3 2 Centri con Ra226 ------------------------------------------------------------------- Numero 34 3 38 38 centri con after Remote loading ------------------------------------------------------------------- N° LDR 40 2 42 -- ------------------------------------------------------------------- N° HDR 15 2 17 6 -------------------------------------------------------------------

TAB 6: DEGENZE ===================================================================
NORD SUD ITALIA (95) ITALIA
CENTRO (89) =================================================================== Degenza 902 121 1023 1308 ordinaria ------------------------------------------------------------------- Day 92 53 145 -- Hospital ------------------------------------------------------------------- Pz\trattati -- -- 80 56 letto -------------------------------------------------------------------

TAB 7: PERSONALE ===================================================================
NORD SUD ITALIA (95) ITALIA
CENTRO (89) =================================================================== Medici 454 79 533 426 ------------------------------------------------------------------- Fisici 177 24 201 -- ------------------------------------------------------------------- TSRM 566 83 649 518 -------------------------------------------------------------------

NB: Mentre il personale medico e tecnico e' totalmente assorbito dalla radioterapia e quindi il dimensionamento dei centri di radioterapia deve tener conto della specificita' di queste figure professionali, il personale fisico e' coinvolto solo parzialmente in questo tipo d'attivita' avendo anche altri compiti di supporto. Naturalmente il dimensionamento delle risorse deve tenere in debito conto questi fatti in modo da ottimizzare anche queste professionalita' di supporto, (il rischio e' che, in carenza d'adeguata programmazione, proliferino in maniera non adeguata, togliendo risorse necessarie ad altri compiti prioritari. Le tabelle successive hanno quindi, per quel che riguarda questa figura professionale, questo bias e vanno quindi lette con accortezza.

TAB 8 PAZIENTI TRATTATI ===================================================================
NORD SUD ITALIA (95) ITALIA
CENTRO (89) =================================================================== Pazienti 73.424 8.606 82.030 73.884 TR Esterna 67.043 7.709 74.752 71.786 alte energie ------------------------------------------------------------------- Brachiterapia 1985 559 2.544 2.098 ------------------------------------------------------------------- Tecniche 1520 259 1.779 -- speciali ------------------------------------------------------------------- Chemioterapia 17.857 1.223 19.080 10.988 -------------------------------------------------------------------

TAB 9:RAPPORTO PAZIENTI\ATTREZZATURE PERSONALE ===================================================================
NORD SUD ITALIA (95) ITALIA
CENTRO (89) =================================================================== Npz\ 552 344 519 506 unità\.A.E ------------------------------------------------------------------- N°pz\medico 162 109 154 173 ------------------------------------------------------------------- N°pz\fisioc 415 359 408 -- ------------------------------------------------------------------- N° PZ TSRM 130 104 126 143 ------------------------------------------------------------------- N°PZ 1080 662 1013 972 Centro RT -------------------------------------------------------------------

TAB 10: STATO DELLA RADIOTERAPIA Centri censiti\Centri presenti anni 89, 91, 93, 95. ===================================================================
Abitanti 1989 1991 1993 1995 =================================================================== Italia 57.460.9 76\89 93\93 83\89 81\97
77 ------------------------------------------------------------------- Nord- 36.537.7 61\70 71\71 70\71 68\76 Centro 93 ------------------------------------------------------------------- Sud 20.923.1 15\19 22\22 13\18 13\21
84 -------------------------------------------------------------------
 
ALLEGATO N°3
Tabella n°1

Accettabile Desiderabile

Partecipazione = 50% 70% Tasso di richiami allo = 8% = 5% screening iniziale Tasso di richiami agli = 4% = 2% screening successivi Rapporto biopsie chirurgiche = 1:1 = 0.5:1 Benigne\Maligne

Screening iniziale: Tasso di identificazione = 5 x 1000 = 6 x 1000 (per 1000 donne esaminate)

Rapporto Prevalenza/Incidenza 3 > 3

Screening successivi;
- Tasso di identificaztone = 3.5 x 1000
(per 1000 donne esaminate)
- Rapporto Prevalenza/Incidenza > 1.5 >2
- Tasso di identificazione per = 1.5 x 1000
tumori invasivi < 10 mm

Screening iniziale: proporzione di casi diagnosticati allo screening in stadio II o più avanzato (#) = 40%

Screening successivi: proporzione di casi diagnosticati allo screening in stadio II o = 30% più avanzato

(*)per richiami in differita. (#)Stadio II= dalla classificazione TNM-UICC.

ALLEGATO 3 bis

INDICATORI E STANDARD PER LA VALUTAZIONE DI PROCESSO DEI
PROGRAMMI DI SCREENING DEL CANCRO DEL COLLO DELL'UTERO.

Proposto dal GISCi

====================================================================
Tabella 1 - INDICATORI "DIRETTI" ==================================================================== INDICATORE STANDARD --------------------------------------------------------------------
Tabella 1a - COPERTURA -------------------------------------------------------------------- 1) COPERTURA (%di donne della Proposta: Donne 25-64 aa: popolazione-obiettivo con almeno DESIDERABILE: >80% una diagnosi citologica negli ACCETTABILE: >65% ultimi tre anni) CEE: 85% della popolazione
obiettivo,
NHSCSP; >80% donne 25-64 aa -------------------------------------------------------------------- 2) ADESIONE ALL'INVITO Da determinarsi empiricamente
Valori diversi a seconda che
siano invitate tutte le donne
o solo quelle non "coperte"
spontaneamente. Dovrebbe
soprattutto essere stabilita
una proporzione minima della
copertura che derivi dagli
inviti --------------------------------------------------------------------
Tabella 1b - VALIDITÀ E PREDITTIVITÀ DEL PROGRAMMA -------------------------------------------------------------------- 3) DETECTION RATE Da stabilire, per l'Italia, (Proporzione di casi di lesione in base alla distribuzione invasiva o preinvasiva individuati empirica osservata, tenendo come risultato dello screening tra conto delle differenze le donne screenate confermati geografiche di rischio istologicamente) di Ca in assenza di screening Per CIN I - CIN II-I - Ca invasivo ed in base a considerazioni
teoriche sul valore atteso
dato il rischio suddetto.
Gli unici standard esistenti
sono quelli NHSCSP, riguardano
in realtà la distribuzione dei
risultati citologici:
(moderato/grave 1.6% +-0.4;
lieve/borderline; 5.5%+- 1.5)
e sono ottenuti empiricamente.
Non applicabili in Italia -------------------------------------------------------------------- 4) VALORE PREDITTIVO POSITIVO Da stabilire dopo una da calcolare vs. istologia tra le ricognizione della situazione donne rinviate in colposcopia italiana. per categoria diagnostica (ASCUS, NHSCSP; 65-85% delle citologia LSIL, HSIL) e complessivamente moderate/gravi con CIN II+; (tutte le inviate in colposcopia) riferimento; istologia CIN I o CEE; nessuno standard. più grave
istologia CIN II
o più grave -------------------------------------------------------------------- 5) CASI INTERVALLO (incidenza di CEE; Nessuno standard Ca invasivo entro tre anni da una Proposta: OTTIMALE: <10% del citologia negativa) tasso in assenza di ogni
attività di diagnosi precoce.. --------------------------------------------------------------------
Tabella 1c - DIAGNOSI E TRATTAMENTO ADEGUATI -------------------------------------------------------------------- 6) COMPLIANCE ALLA COLPOSCOPIA CEE: follow-up e trattamento
attivati entro tre mesi dal
test anormale.
NHSCSP; Citologia moderata/
grave >=90% <4 settimane.
Qualsiasi invio >=90% <8
settimane
Proposta:
Qualsiasi invio
ACCETTABILE: >=80%
DESIDERABILE: >=90%
Invio per HSIL;
ACCETTABILE; >=90%
DESIDERABILE: >=95%
In ogni caso entro 4 mesi -------------------------------------------------------------------- 7) COMPLIANCE AL TRATTAMENTO DI Proposta: LESIONI PREINVASIVE. >=90% -------------------------------------------------------------------- 8) % CON CITOLOGIA NEGATIVA PER Proposta: SIL A 6 MESI DAL TRATTAMENTO >=90% coincidente con lo
standard NHSCSP -------------------------------------------------------------------- 9) % ISTERECTOMIE SUI CASI Evento sentinella per tutti i INDIVIDUATI DALLO SCREENING casi senza Ca invasivo(valutare
appropriatezza). Per istologia Proposta: ACCETTABILE; <2% dei CIN I - CIN II-III - Ca invasivo casi CIN II-III
Praticamente nessun caso con
istologia CIN I -------------------------------------------------------------------- 10) INCIDENZA CA INVASIVO IN EVENTO SENTNELLA DONNE CHE HANNO AVUTO UN'INDICAZIONE ALLA COLPOSCOPIA Proposta: (Include le donne che non hanno DESIDERABILE; praticamente fatto la colposcopia nonostante nulla. l'indicazione, quelle trattate, ACCETTABILE: non più di 3 casi quelle in follow-up diagnostico ogni 100000 donne screenate o dopo terapia, da considerarsi separatamente) --------------------------------------------------------------------
Tabella 2 - INDICATORI "INDIRETTI" -------------------------------------------------------------------- INDICATORE STANDARD -------------------------------------------------------------------- 11)% DONNE NON ADERENTI Proposta: ALL'INDICAZIONE DI RIPETERE <5% di quelle con almeno un IL PAP-TEST (rispetto al totale di test donne con almeno un test). -------------------------------------------------------------------- 12) % CITOLOGIE INADEGUATE Proposta:
DESIDERABLLE: <5%
ACCETTABILE: <7%
CEE <5%; NHSCSP: 7% +- 2 -------------------------------------------------------------------- 13) INTERVALLO TEST-REFERTO Proposta:
>80% entro 4 settimane
100% entro 6 settimane
coincidente con lo standard
NHSCSP: CEE: entro 3 settimane -------------------------------------------------------------------- 14) NUMERO TEST LETTI PER ANNO LABORATORIO
CEE e NHSCSP:> 15000
Proposta: > 25000
Con eventuale aggregazione
laboratori
LETTORE:
NHSCSP:> 3000 (non a tempo
pieno)
7500 (massimo se a tempo pieno)
Proposta: >7000 (screening
primario) -------------------------------------------------------------------- 15) NUMERO DONNE VISTE PER Proposta: COLPOSCOPISTA >100 nuovi casi- coincidente
con lo standard NHSCSP --------------------------------------------------------------------
 
ALLEGATO N°4

ATTIVAZIONE DI PROGRAMMI OPERATIVI DI CONTROLLO DI
QUALITA' DELLE ATTIVITA' DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE:

1) ESAMI RADIODIAGNOSTICI.

Premessa

Nel settore della radiodiagnostica e' molto sentita la necessita' di accurati controlli, sia per quanto riguarda la qualita' delle immagini radiologiche, sia per le dosi di radiazioni utilizzate. Tale carenza e' particolarmente avvertita per gli esami mammografici, considerata la loro larga diffusione, che vede coinvolto anche un elevato numero di donne asintomatiche.
Attualmente gli esami mammografici possono essere eseguiti con dosi superiori a quelle mediamente necessarie (con rischio di danno indotto) e produrre immagini di pessima qualita' e quindi non idonee ad evidenziare tumori di piccole dimensioni (inefficacia dell'esame).
La Commissione della Comunita' Europea ha promulgato direttive che sono riportate nella circolare del Ministero della Sanita' n. 62 dell'agosto 1984 e nella G.U. n. 265 del 5 ottobre 1984, al fine di ottenere sia il miglioramento della qualita' delle immagini radiologiche sia la riduzione della dose.
Il controllo e l'assicurazione di qualita' in radiodiagnostica si possono ottenere se e' applicato un protocollo esecutivo estremamente dettagliato, come quello proposto nel 1992 dalla Commissione delle Comunita' Europee (pubblicazione DGV 775/92) e che prevede il coinvolgimento interdisciplinare di varie figure professionali: radiologi, fisici, esperti qualificati, tecnici sanitari di radiologia medica.

Situazione attuale

L'Italia dispone di una cospicua normativa di riferimento. Il Decreto Legislativo n. 230/95 (GU 136 del 13 giugno 1995) ed i successivi decreti applicativi, hanno ben recepito molte delle norme di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione, dei pazienti e dei lavoratori contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti, connesse ad esposizioni mediche (direttiva 97/43 EURATOM) ed hanno stabilito anche il tipo, le modalita' e la periodicita' dei controlli di qualita' e la necessita' che i radiologi, i fisici specialisti e gli esperti qualificati predispongano idonei protocolli e i criteri minimi di accettabilita' delle apparecchiatura.
Qualificate pubblicazioni, ( si cita a puro titolo di esempio "ISTISAN 95/12 Controllo di qualita' in mammografia, aspetti tecnici e clinici"; "Controlli di qualita' in Radiologia, basi tecnologiche e riferimenti normativi") hanno gia' affrontato problemi specifici, suggerendo idonei protocolli per gli esami piu' comuni.
Nella realta' si e' ancora in fase organizzativa e il raggiungimento della fase operativa si presenta ancora lontano sia per la carenza di figure professionali qualificate, sia per il costo piuttosto impegnativo per rendere operativi programmi di garanzia di qualita'.

Proposta

Il raggiungimento di una situazione soddisfacente e possibilmente ottimale su tutto il territorio nazionale, richiede:

a) disponibilita', da parte di tutte le unita' di radiodiagnostica,
di un set minimo di apparecchiature necessarie per espletare
giornalmente in sede ed in un modo autonomo i controlli di qualita'
di primo livello;
b) potenziamento dei Servizi di Fisica Sanitaria esistenti in
rapporto al reale numero di apparecchiature presenti nel territorio
di afferenza;
c) individuazione di Centri di Riferimento Regionali per
l'assicurazione di Qualita' (C.R.Q.). Questi centri, dovranno
essere collocati presso qualificate Unita' Operative di
Radiodiagnostica dove esistano competenze cliniche, indispensabili
per un corretto controllo di qualita'.

Per quanto riguarda i controlli di qualita' di I livellava precisato che, per garantire in radiologia una buona qualita', costante nel tempo, e' necessario eseguire quotidianamente su ogni unita' di radiodiagnostica almeno la valutazione della qualita' dell'immagine e della dose in ingresso e un controllo del sistema di trattamento (sensitometria) Queste semplici procedure di test dovranno essere eseguite in sede ed in maniera autonoma quindi le amministrazioni sanitarie o i datori di lavoro dovranno fornire le attrezzature necessarie (esposimetro e/o dosimetro, fantoccio dedicato, sensitometro, densitometro automatico e manuale) e adeguate iniziative di formazione del personale. Per quanto riguarda la funzionalita' dei C.R.Q. vanno considerati e ottemperati alcuni aspetti fondamentali.
Per quanto riguarda il personale, l'istituzione del Centro presso Unita' Operative assicura la presenza delle competenze cliniche (radiologo); e' indispensabile assicurare la presenza di almeno un fisico sanitario e di un operatore tecnico. Il CRQ operera' in stretta collaborazione con i servizi di Fisica Sanitaria esistenti e attuera' le procedure di certificazione ai fini dell'accreditamento delle strutture sanitarie.
Oltre alle attrezzature summenzionate il Centro dovra' essere dotato di termometro, misuratore dei kV e del tempo di esposizione, fotometro, lastre di plexiglas, filtri di alluminio, dispositivo per la misurazione della macchia focale e del contatto schermo-film, personal-computer. In conclusione e come per tutti gli altri esami e' necessario garantire un programma di controllo di qualita' periodico.

2) ESAMI DI MEDICINA NUCLEARE

Premessa

In medicina nucleare valgono, in linea di massima, le premesse sia concettuali sia normativa trattate nel capitolo relativo agli esami di radiodiagnostica.
Schematicamente, il controllo di qualita' delle prestazioni medico-nucleari deve partire proprio da un approccio clinico, cosi' come prescritto dal Decreto Legislativo n. 230\95, per poi continuare con verifiche sulla qualita' e tipo di radionuclide da somministrare, sulla strumentazione e sui protocolli da seguire. Ogni singola prestazione diagnostica o terapeutica di medicina nucleare richiede una attenta valutazione clinica sulla base:

- dell'età, sesso, grado di autonomia o dipendenza, spettanza
di vita; - diagnosi di accesso e quesito clinico; - situazioni metabolico-funzionali che possono modificare la
risposta della prestazione.

Per quanto riguarda la scelta della molecola di supporto e del radionuclide, questa deve essere orientata ad ottenere il miglior risultato clinico con la minor dose per il paziente. La scelta della molecola di supporto e' legata al tipo di informazioni diagnostiche che si vogliono avere, tenendo in conto la necessita' della rispondenza della qualita' del radiofarmaco agli standard della Farmacopea Ufficiale, quali la purezza radionuclinica, la resa di marcatura, la stabilita' del prodotto, ecc.
Un altro aspetto importante e' il controllo della strumentazione previsto dal D.M. attuativo dell'art. 113 del Decreto Legislativo n. 230\95. E' pertanto necessario, cosi' come recita la normativa vigente, che il responsabile delle apparecchiature di medicina nucleare provveda affinche' esse siano sottoposte a controllo di qualita' da parte del fisico specialista o dell'esperto qualificato e che il giudizio della qualita' tecnica sia dato dal medico specialista.
Le linee guida proposte dal Gruppo di Studio A.I.M.N. propongono controlli sperimentali, mensili ed annuali, tali da rendere omogenei i test di verifica su tutto il territorio nazionale.
E' auspicabile che i parametri ottenuti possano essere riportati in un apposito programma in modo da poter effettuare una valutazione statistica della costanza di risposta dei sistemi sotto controllo.

Situazione attuale

Al momento, non e' stato predisposto un sistema di verifica dello stato di attuazione della normativa predetta ne' tanto meno un sistema di monitoraggio della qualita' della strumentazione e delle prestazioni.

Proposta

Nel campo specifico oncologico appare ancora piu' evidente la necessita' di un controllo anche delle metodologie applicate. Per tale motivo si potrebbe ipotizzare, come proposto per la radiodiagnostica, l'individuazione di Centri di Riferimento regionali, o interregionali, per la verifica globale della qualita'. Compito di queste strutture sarebbe quello di verificare nel tempo tutti i parametri strumentali e metodologici, imposti dalla normativa vigente e definiti anche tramite il contributo delle Societa' e Associazioni Scientifiche, con verifiche almeno annuali.

3) ESAMI DI LABORATORIO

3.1 I marcatori serici

Premessa

La comparsa del fenotipo maligno comporta un incremento della produzione e/o del rilascio da parte della cellula trasformata di una serie di sostanze, la cui determinazione a livello serico e' utilizzata a fini diagnostico-prognostici.
La rilevanza clinica di detti Marcatori Tumorali Serici e' essenzialmente proporzionale alla precocita' con la quale sono capaci di descrivere un determinato fenomeno clinico. L'alto contenuto tecnologico, la grossa valenza economica, ed il continuo aggiornamento delle conoscenze scientifiche, particolarmente rapido nell'ultimo periodo, ha fatto si che il settore sia caratterizzato da una crescente disponibilita' di indicatori biologici per uso routinario. A fronte di una crescente e duttile potenzialita' diagnostica, fa riscontro una eterogeneita' di utilizzo da parte dei medici e pertanto un alto tasso di utilizzo improprio. A questo stato di cose ha sicuramente contribuito la mancanza in letteratura di studi prospettici, controllati e randomizzati, che definiscano inequivocabilmente la valenza clinica dei marcatori tumorali serici.
L'utilizzo clinico di detti marcatori e' guidato da alcuni fattori, quali il livello di evidenza scientifica della validita' diagnostica, la specificita' tissutale (d'organo, tipo cellulare o istologico) e l'obiettivo clinico da perseguire.

Situazione attuale

Alla luce delle considerazioni di cui sopra, esistono indicazioni specifiche per l'utilizzo di marcatori tumorali serici , basati sulle evidenze scientifiche in funzione del tipo di tumore e dell'uso che se ne vuole fare (Tab. 1).

Tabella I Tipo Neoplasia Obiettivo Clinico Marker Elettivo

Ca. Tiroide Diagnosi, Stadio, Calcitonina (ca.midoli.)
Prognosi, Tireoglobulina (ca.diff.)

Monitoraggio dopo
terapia radicale
Monitoraggio della
Terapia

Ca. Polmone Stadio, Prognosi, NSE (microcitoma)
Monitoraggio dopo
terapia radicale
Monitoraggio risposta
terapia

Ca. Colon-retto Monitoraggio dopo CEA
terapia radicale

Ca. Fegato Stadio, AFP
Monitoraggio risposta
terapia

Ca. Ovaio Stadio, Prognosi, Ca125AFP, HCG
Monitoraggio risposta
terapia

Ca. Utero Stadio, Prognosi, HCG(mola vescicolare)
Monitoraggio
Risposta terapia

Tumori Germinali Diagnosi, Stadio, AFP, HCG Testicolo Prognosi
Monitoraggio risposta
terapia

Ca. prostata Diagnosi, Stadio PSA Totale
Prognosi, rapporto PSA totale/PSA
Monitoraggio risposta libero
terapia

Ca. Mammella Monitoraggio risposta Ca 15.3
Terapia

Importante sottolineare come la determinazione di molti di questi markers sia inclusa nel tariffario nazionale.

Proposta

Analogamente a quanto avviene per la maggior parte degli esami di laboratorio ad uso clinico, anche per i markers tumorali circolanti esiste la necessita' di una valutazione e validazione della accuratezza dei metodi di analisi adottati per la valutazione dei singoli marcatori e della appropriatezza clinica di utilizzo.
La soluzione di detti problemi rimanda ad iniziative di diverso tipo e a diversi livelli. (Tab. 2) riassumibili nella necessita' di attivare 1) una continua revisione della letteratura scientifica sugli argomenti in questione, 2) programmi di Controllo di Qualita' Analitici e Pre-analitici relativi ai singoli marcatori e 3) un programma di aggiornamento continuo degli operatori.

Tabella 2

=================================================================== Problema Soluzione Livello di Ref
approccio =================================================================== Appropriatezza Revisione Nazionale Comitato utilizzo letteratura Esperti ------------------------------------------------------------------- Criteri Univocità Nazionale Comitato interpretazione Revisione Esperti
Educazione ------------------------------------------------------------------- Valutazione Errore Controllo Regionale Centro Analitico qualità Riferimento ------------------------------------------------------------------- Valutazione Errore Certificazione Nazionale Centro Preanalitico Laboratorio Nazionale Riferimento -------------------------------------------------------------------

Delle iniziative indicate, attualmente risulta attivato solo un programma di controllo di qualita' della fase analitica (analisi variabilita' intra ed interlaboratorio) relativa solo ad una serie di marcatori tumorali circolanti.

3.2 MARCATORI TISSUTALI

3.2.1 Test genetici per la diagnosi di predisposizione ereditaria

Premessa

Sulla base delle attuali evidenze scientifiche, i tumori possono essere definiti malattie multifattoriali in cui lo sviluppo di cellule neoplastiche e' dovuto all'accumularsi di mutazioni multiple in geni cruciali per il controllo della proliferazione, differenziazione e apoptosi cellulare, per la riparazione del DNA.
Una storia oncologica, in familiari di primo o di secondo grado, e' riscontrata in oltre il 20% dei pazienti affetti da neoplasie. Secondo i dati attualmente disponibili, l'1,5% di tutti i casi di tumore e' associato a sindromi specifiche di natura ereditaria. L'identificazione dei portatori di forme di suscettibilita' ereditaria allo sviluppo delle neoplasie rappresenta, quindi, una parte integrante dell'opera di prevenzione in campo oncologico in quanto, in casi selezionati, il riconoscimento del rischio ereditario di sviluppare tumori specifici si puo' accompagnare all'attuazione di interventi mirati, in grado di ridurre la morbilita' e/o la mortalita' per tali neoplasie.
Tenuto conto delle molteplici determinazioni genetiche, gia' condotte nei laboratori di numerose istituzioni, della rapida evoluzione delle conoscenze di genetica molecolare in questo settore, si rende indispensabile l'attivazione di programmi nazionali per il controllo di qualita' dei test genetici e delle procedure di raccolta e restituzione di informazioni genetiche a famiglie e soggetti a rischio.

Situazione attuale

Al momento attuale, i test genetici ritenuti in grado di fornire informazioni clinicamente utili e sulla base della quale sono prese decisioni mediche di provata efficacia, riguardano diverse sindromi ereditarie.

Un primo gruppo di sindromi comprende:

- Retinoblastoma Familiare (gene RB), - Poliposi Familiare del Colon (gene APC), - Sindrome di von Hippel-Lindau (gene VHL), - Neoplasie Endocrine Multiple tipo 2 (gene RET).

L'esecuzione di test genetici per l'identificazione di portatori asintomatici, all'interno delle famiglie in cui si e' manifestata in precedenza una delle condizioni di cui sopra, e', pertanto, da considerarsi parte integrante di una corretta prassi di assistenza clinica e di conseguenza si raccomanda di valutare l'opportunita' che questi test siano riconosciuti dal Servizio Sanitario Nazionale come analisi di tipo diagnostico.
Un secondo gruppo comprende sindromi ereditarie predisponenti al cancro di cui sono stati identificati alcuni dei geni responsabili quali:

Carcinoma Familiare del colon-retto non-associato a Poliposi o HNPCC - geni hMSH2, hMLH1, hPMS1, hPMS2, hMSH6; Carcinoma Familiare della mammella e ovaio - geni BRCA1, BRCA2; Sindrome di Li-Fraumeni - gene TP53; Atassia-Telangiectasia - gene ATM; Xeroderma Pigmentoso - geni.XP; Neurofibromatosi tipo 1 - gene NF1; Melanoma Familiare - gene p16.

I relativi test genetici devono essere utilizzati, attualmente, solo nell'ambito di programmi di ricerca genetica e clinica, in quanto i protocolli di follow-up oggi proposti a livello nazionale ed internazionale sono ancora in via di definizione (es. HNPCC) o non e' ancora stata dimostrata una provata efficacia (es. sindrome di Li-Fraumeni).
In particolare, relativamente a questo secondo gruppo di sindromi ereditarie predisponenti al cancro, va segnalato il carcinoma familiare della mammella e dell'ovaio per il notevole impatto sociale, psicologico ed assistenziale insito in tale forma tumorale. La presenza di una documentata alterazione dei geni BRCA1 o BRCA2 in una paziente consente l'individuazione dei soggetti a rischio nell'ambito della famiglia.
Allo stato attuale, e' ancora in corso di valutazione l'efficacia dei protocolli di follow-up adottati da vari Centri.

Proposta

La moltiplicazione incontrollata dei laboratori che forniscono informazioni sui test genetici impone l'attivazione di controlli di qualita' per la certificazione della qualita' delle determinazioni genetiche condotte, quale premessa indispensabile per l'istituzione di una rete di laboratori accreditati in cui questi test sono condotti e nella prospettiva di un loro utilizzo clinico. Va inoltre sottolineato che l'attivazione di tale rete rappresenta solo il primo segmento di tutta la complessa problematica relativa alla predisposizione ereditaria allo sviluppo dei tumori e che un corretto utilizzo di queste informazioni genetiche potra' essere garantito solo dalla istituzione di Centri di riferimento multi e interdisciplinari per la consulenza genetico-oncologica.
Tali Centri si possono configurare come unita' funzionali composte da genetisti, biologi molecolari, patologi, oncologi clinici e psicologi, che, mediante un lavoro di equipe, siano in grado di assicurare una adeguata integrazione nella pratica clinica delle nuove conoscenze scientifiche via via disponibili. E' opportuno, pertanto, che tali Centri si realizzino in istituzioni oncologiche (IRCCS, Dipartimenti Oncologici Universitari ed Ospedalieri) attive, per quanto attiene la ricerca, nel campo della genetica medica oncologica.
La determinazione del rischio genetico di cancro deve sempre avvenire nell'ambito di una consulenza genetica i cui elementi principali sono: la ricostruzione della storia familiare, la valutazione di quest'ultima alla luce delle conoscenze attuali, una corretta trasmissione al paziente e/o ai suoi familiari delle informazioni relative alle varie opzioni disponibili (diagnostiche, terapeutiche e profilattiche).
L'offerta a pazienti e a loro familiari asintomatici di test genetici, volti ad individuare una predisposizione ereditaria allo sviluppo di neoplasie, deve avvenire esclusivamente nell'ambito di tre situazioni: a) consulenza genetica per sindromi ereditarie note predisponenti al cancro; b) programmi di ricerca genetica e clinica approvati da istituzioni nazionali e/o internazionali; c) eventuali programmi di screening, che in futuro dovessero rivelarsi efficaci e vantaggiosi sul piano del rapporto costi/benefici.
Inoltre, la raccolta di un consenso informato all'esecuzione di analisi genetiche da parte dei pazienti e dei loro familiari, rappresenta un elemento centrale del processo interattivo della consulenza genetica e richiede da un lato la piena consapevolezza da parte di chi si sottopone all'analisi delle potenzialita' e dei limiti della stessa, e dall'altro una garanzia di totale riservatezza circa i risultati del test.
Da quanto esposto si evince la necessita' di proporre l'attivazione di fasi successive per la verifica dell'utilita' dei test e il riconoscimento dei laboratori coinvolti in tutta la complessa problematica della predisposizione genetica.
E' inoltre opportuno che tali informazioni genetiche, per la complessita' delle problematiche cliniche ed etico-sociali da esse suscitate, siano gestite da Centri di riferimento multi- ed interdisciplinari per la consulenza genetica oncologica opportunamente individuati.
L'offerta di test genetici deve essere proposta solo da Laboratori altamente qualificati, in stretta connessione con i servizi di genetica afferenti o collaboranti con i Poli oncologici, dotati delle figure professionali necessarie a garantire elevati standard di qualita' e attivamente impegnati in una ricerca migliorativa delle prestazioni stesse, come certificato dalla loro produzione scientifica e/o dalla loro partecipazione a progetti pilota in ambito nazionale e internazionale. E' auspicabile che tali laboratori ed i servizi di genetica operino in modo sinergico e siano tra loro collegati in rete.

3.2.2 Test Virali

Premessa

Indagini epidemiologiche e osservazioni clinico-sperimentali indicano che circa il 15% di tutte le neoplasie umane e' causato direttamente o indirettamente da infezioni virali. I meccanismi attraverso i quali alcuni virus producono la trasformazione cellulare sono stati in gran parte chiariti e, in alcuni casi, sono state definite le interazioni con altri fattori cancerogeni ambientali. La caratterizzazione delle varianti virali coinvolte e dei livelli di espressione del genoma virale potrebbe consentire un miglior inquadramento prognostico e l'adozione di piu' appropriati schemi terapeutici. Infine, la concreta possibilita' di attuare strategie di prevenzione e di terapia basate su interventi di immunoterapia attiva specifica (vaccini profilattici e terapeutici) rende estremamente importante l'accuratezza diagnostica delle infezioni virali e l'individuazione delle neoplasie associate.

Situazione attuale

Per la patologia epatica, conseguente ad infezioni con virus B e C, le relative tecniche di analisi e l'interpretazione diagnostica sono ormai standardizzate ai fini della valutazione clinica e terapeutica. Lesioni preneoplastiche e neoplastiche sono associate a diversi tipi di infezioni virali.
Papilloma virus (HPV): e' responsabile delle lesioni proliferative del tratto genitourinario, delle prime vie aeree e digestive e della cute. Sono stati identificati finora piu' di 80 diversi tipi di HPV.
La ricerca di sequenze HPV puo' essere effettuata con metodi diversi, caratterizzati da una diversa sensibilita' e applicabilita': metodi di ibridizzazione diretta (dot blot, Southern biot, ibridizzazione in situ (ISH, "Hybrid Capture" (HC) e metodi di amplificazione (PCR).
Virus di Epstein-Barr (EBV): e' un virus DNA ed appartiene alla famiglia dei virus herpetici gamma. La sua infezione e' correlata con lo sviluppo della mononucleosi infettiva, dei linfomi di Burkitt e simil-Burkitt, del linfoma immunoblastico in individui immunocompromessi, del carcinoma rinofaringeo. Meno frequentemente l'EBV e' coinvolto nel linfoma di Hodgkin, in alcuni linfomi a cellule T, nel carcinoma gastrico e nella sindrome di Duncan (sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X).
Le tecniche diagnostiche dell'infezione da EBV sono basate essenzialmente sulla dimostrazione sierologica di anticorpi virus-specifici svelati attraverso immunofluorescenza, ELISA, fissazione del complemento, immunoblotting etc. Per quanto concerne la dimostrazione dell'EBV nei tessuti, sono utilizzate le tecniche molecolari di Southern e la PCR; molto usate sono anche l'ibridizzazione in situ per evidenziare gli EBER.
Virus herpetico umano tipo 8 (HHV-8/KSHV): appartiene alla famiglia dei virus herpetici gamma ed e' associato al sarcoma di Kaposi. E' presente nelle varianti di KS classico, endemico, iatrogeno, epidemico (AIDS-associato); inoltre e' stato rinvenuto in alcuni rari linfomi caratterizzati da versamenti sierosi (body cavity, based lymphoma o BCBL, primary effusion lymphoma o PEL). Da indagini preliminari sieroepidemiologiche risulta una prevalenza di infezione nella popolazione adulta sana italiana del 10-25%, con elevata prevalenza nel sud e in Sardegna.
La diagnosi di infezione si basa sulla ricerca di anticorpi verso antigeni virali (proteine del ciclo litico, proteine di latenza) eseguite con metodi ELISA e di immunofluorescenza.
Virus umano T-Iinfotropico (HTLV-1): e' un retrovirus complesso e la sua infezione e' legata allo sviluppo della leucemia/linfoma a cellule T dell'adulto (ATLL). Questa neoplasia e' osservata endemicamente in alcune aree geografiche. L'HTLV-1 e' inoltre correlato eziologicamente con una neuropatia cronica degenerativa nota come paraparesi spastica tropicale (TSP) e con alcune patologie su sfondo immunitario (artropatia, uveite, miosite etc..). E' stato isolato anche un HTLV-2, diffuso in Italia soprattutto nella popolazione HIV-1 positiva tossicodipendente, la cui infezione non e' ancora stata correlata con condizioni patologiche definite.
La diagnostica di queste infezioni si basa sulla dimostrazione di anticorpi (test ELISA, immunoblot) e sulla ricerca di sequenze nucleotidiche mediante Southern blot e PCR. La definizione della clonalita' del sito di integrazione dei DNA provirale e' oltremodo utile nella diagnostica differenziale dell'ATLL e nel monitoraggio della malattia minima residua. In ragione della relativa bassa prevalenza dall'infezione da HTLV, la relativa diagnostica nei laboratori non e' tuttavia molto sviluppata; inoltre, la differenziazione tra HTLV-1 e HTLV-2 e' frequentemente trascurata.

Proposta

Molti dei test virali, soprattutto quelli molecolari, basati essenzialmente su PCR, e utilizzati per l'evidenziazione di sequenze nucleotidiche virali non sono attualmente standardizzati e necessitano di opportuni controlli.

3.2.3 TEST BIOLOGICI

Premessa

Negli ultimissimi decenni, la crescente acquisizione di informazioni sulla biologia del tumore e l'affinamento delle metodologie di laboratorio hanno portato ad una vera e propria rivoluzione culturale e alla introduzione, nella attivita' routinaria, di esami sempre piu' sofisticati. In particolare, nel settore degli esami di laboratorio, si e' assistito ad una evoluzione dagli esami morfologici e biochimici a quelli cellulari e, piu' recentemente, molecolari.
La grande svolta culturale si e' concretizzata nell'integrazione della tradizionale stadiazione patologica con una stadiazione biofunzionale. Tale integrazione ha comportato la transizione da un approccio deterministico, basato sul modello tradizionale della diffusione progressiva e ordinata della malattia oncologica da locale, a regionale, a sistemica, ad un approccio nel quale sono considerati anche fattori biologici, legati in parte all'entita' della trasformazione cellulare e in parte alle caratteristiche immunologiche dell'ospite. La caratterizzazione biologica del tumore primitivo, infatti, si e' dimostrata in grado di fornire sia informazioni prognostiche ad un buon livello di accuratezza, sia informazioni utili per pianificare il tipo di trattamento, loco-regionale e/o sistemico.
Questa innovativita' concettuale e' gia' stata trasferita nella pratica clinica in alcune istituzioni e lascia intravedere importanti ripercussioni in termini di efficacia terapeutica e di costo-beneficio sia economico che di tossicita' per il paziente.

Situazione attuale

L'interesse suscitato dai risultati ottenuti da studi biologico-clinici condotti in istituzioni di eccellenza ha portato ad un'ampia diffusione delle varie determinazioni biologiche sul tumore, alcune delle quali incluse nel tariffario nazionale delle prestazioni rimborsate dal SSN, in laboratori di anatomia patologica o di ricerca.
Queste determinazioni sono attualmente utilizzate non solo per analisi retrospettive, a scopo di ricerca per definire e convalidare le potenzialita' dei marcatori biologici, quali indicatori prognostici o predittori di risposta ai diversi trattamenti, ma anche prospetticamente per la pianificazione del trattamento clinico.
Questa auspicata svolta nell'atteggiamento della gestione clinica del paziente non e' stata preceduta o accompagnata da un adeguato controllo di qualita' intra ed interlaboratorio delle diverse determinazioni morfologiche, biochimiche, cellulari o molecolari.
L'esigenza e l'attivazione di controlli di qualita' e' stata per la prima volta avvertita per i recettori per ormoni steroidei in occasione del loro utilizzo per la definizione prognostica e per la programmazione di ormonoterapie nelle pazienti con carcinoma mammario e per i diversi marcatori serici.
Successivamente ulteriori iniziative scientifiche hanno promosso l'attivazione di un controllo di qualita' sulle caratteristiche proliferativi del tumore, utilizzando diversi approcci, quale indicatore prognostico e predittore di risposta alla chemioterapia.
Successivamente, sempre in ambito scientifico e' stato esteso il controllo di qualita' ad altri aspetti e variabili cellulari coinvolti nella trasformazione e progressione tumorale e percio' determinanti per la diagnosi e prognosi della malattia tumorale.
Questi controlli, scaturiti da iniziative di piccoli gruppi ed estesi a poche istituzioni, hanno evidenziato un'allarmante eterogeneita' dei risultati tra i diversi laboratori, che si traduce in una errata gestione terapeutica dei pazienti. Inoltre, il progressivo accumularsi delle conoscenze sulla biologia cellulare e molecolare dei tumori ha portato alla identificazione di numerosi eventi correlati alla predisposizione, trasformazione e progressione tumorale, anch'essi tutti determinati e utilizzati al di fuori di controlli di qualita'.

Proposta

Si raccomanda fortemente l'assunzione di iniziative atte ad istituzionalizzare controlli di qualita', per le determinazioni morfologiche e biologiche del tumore, per le quali la rilevanza a fini diagnostici, prognostici e nella pianificazione del trattamento e' ormai convalidata, come requisito essenziale per l'accreditamento dei laboratori di oncologia.

SUPPORTO BIOSTATISTICO AGLI ESAMI DI LABORATORIO.

L'ottimizzazione delle risorse impiegate nei laboratori oncologici deve essere basata su un adeguata valutazione statistica della qualita' delle informazioni provenienti dalle misure in studio. In particolare devono essere evidenziate le proprieta' quantitative delle misure in atto in relazione al tipo di utilizzo clinico previsto.
La ricerca di base permette di caratterizzare biologicamente il marcatore e quindi l'informazione derivante dallo stesso. Le fasi di ricerca successive prevedono la messa a punto del saggio, la validazione del saggio, il controllo di qualita' entro e tra laboratori.
Il controllo di qualita' tra laboratori Dopo la messa a punto e validazione del saggio, la ricerca e' focalizzata sull'impatto clinico della misura del biomarcatore stesso. In particolare l'interesse riguarda la possibilita' di definire specifici protocolli terapeutici e piu' generalmente di identificare pazienti a diversa probabilita' di ricaduta e/o morte nel periodo di follow-up successivo all'intervento terapeutico primario.
La competenza biostatistica offre la possibilita' di strutturare la ricerca susseguente a quella di base in modo quantitativo. La ricerca puo' articolarsi nelle attivita' schematizzate nei seguenti punti, con l'indicazione delle corrispondenti metodologie biostatistiche di riferimento:

1) Messa a punto del saggio: disegno dell'esperimento, analisi
della varianza ed analisi delle scale di misura;
2) Validazione del saggio: analisi della regressione lineare e
non-lineare per problemi di calibrazione e di confronto tra
metodi.
3) Controllo di qualita' entro laboratorio: metodi di
campionamento, analisi della varianza ed analisi della concordanza
tra misure.
4) Controllo di qualita' tra laboratori: analisi della varianza,
analisi della regressione ed analisi della concordanza tra misure.

Se i punti 3 e 4 di controllo di qualita' vero e proprio presuppongono l'esecuzione del saggio nell'ambito della routine, l'esecuzione dei punti 1 e 2 deve comunque precedere la ricerca clinica sulle proprieta' dei saggio stesso. Lo studio dell'impatto diagnostico o prognostico di un saggio comporta la valutazione della dipendenza delle variabili, che esprimono lo stato patologico del paziente od il tempo di sopravvivenza libero da malattia, dai valori misurati nel saggio stesso considerando congiuntamente le altre variabili note come fattori di diagnosi o prognosi. La ricerca a questo livello e' organizzata secondo quanto previsto dai punti successivi.

5) Disegno e realizzazione dello studio clinico, metodi di
campionamento e disegno sperimentale.
6) Analisi dei dati dello studio: tecniche di costruzione di
modelli di regressione flessibile per la discriminazione
diagnostica o per l'analisi dei tempi di sopravvivenza in presenza
di variabili continue e/o discrete.
7) Validazione dei modelli. Questa operazione e' fondamentale
per l'utilizzo clinico del modello statistico. Permette la
verifica della capacita' discriminatoria e predittiva in generale
del modello statistico realizzato nella fase precedente,
possibilmente sulla base di dati provenienti da studi
indipendenti.
1) Sintesi dei risultati e definizione di criteri per la
decisione clinica. Presentazione del risultato di un modello
statistico possibilmente complesso in termini di informazioni piu'
facilmente interpretabili dal punto di vista clinico-biologico. Il
lavoro congiunto di medici, biologi e biostatistici permette la
derivazione delle regole decisionali cliniche.

Tale attivita' deve prevedere:

Raccolta, valutazione e selezione della letteratura scientifica per biomarcatori; Valutazione delle modalita' di esecuzione, utilizzo e richiesta di biomarcatori; Progettazione e pianificazione di studi per la valutazione di biomarcatori.
Il supporto biostatistico integrato e' uno degli aspetti fondamentali prelusivi alla fase di accreditamento dei saggi nell'ottica della garanzia di qualita' del servizio erogato e dell'ottimizzazione dei rapporto costi/benefici.

CONCLUSIONI

Da quanto espresso emerge l'opportunita' di attivare controlli di qualita' per gli esami strumentali e di laboratorio, eseguiti per la gestione del paziente oncologico, dal momento diagnostico a quello terapeutico.
L'obiettivo e' quello di controllare la riproducibilita' degli esami, ossia della loro qualita', quale requisito per l'accreditamento dei laboratori deputati all'esecuzione di questi.
Al contempo appare utile sottolineare l'importanza della attivazione di studi mono o multicentrici pilota e confirmatori per la validazione del valore biologico e clinico dei risultati ottenibili dai diversi esami.
L'ottemperanza di questi due punti, potrebbe determinare una migliore allocazione delle risorse del SSN, derivante dalla conoscenza dell'effettivo valore clinico di alcuni test diagnostici utilizzati in oncologia, e dalla migliore gestione del paziente oncologico.
Alla luce di quanto considerato si potrebbe inoltre provvedere ad una revisione ed aggiornamento del tariffario nazionale delle prestazioni a carico del SSN, escludendo test diagnostici obsoleti o ancora oggetto di studio e ricerca per la definizione della loro utilita' clinica e ricomprendere test ed esami di rilevanza validata e correntemente utilizzati a scopo diagnostico terapeutico.
 
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