Gazzetta n. 139 del 18 giugno 2003 (vai al sommario) |
PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA |
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 maggio 2003 |
Approvazione del Piano sanitario nazionale 2003-2005. |
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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visto l'art. 1, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, che demanda al Governo la predisposizione e l'adozione del Piano sanitario nazionale, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia e le Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; Visto l'art. 8 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997; Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, recante individuazione dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'art. 1, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni; Viste le osservazioni delle Regioni formulate dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle Province autonome nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 20 giugno 2002; Acquisito il parere delle Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative; Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Preso atto dell'intesa intervenuta nell'ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, unificata con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali nella seduta del 15 aprile 2003; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 aprile 2003; Sulla proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri per gli affari regionali e dell'economia e delle finanze; Decreta: Art. 1. 1. E' approvato il Piano sanitario nazionale 2003-2005 nel testo risultante dall'atto di intesa tra Stato e Conferenza unificata, di cui all'allegato. Il presente decreto, previa registrazione da parte della Corte dei conti, sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Dato a Roma, addi' 23 maggio 2003 CIAMPI Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Sirchia, Ministro della salute La Loggia, Ministro per gli affari regionali Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze Visto, il Guardasigilli: Castelli Registrato alla Corte dei conti il 13 giugno 2003 Ufficio di controllo preventivo sui Ministeri dei servizi alla persona e dei beni culturali, registro n. 4, foglio n. 113 |
| Allegato
PIANO SANITARIO NAZIONALE 2003-2005
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I N D I C E
il quadro di riferimento
|I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario
1. |nazionale
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1.1. |Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento
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1.1.1.|L'etica del sistema
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|Dalla sanita' alla salute: la nuova visione ed i principi
1.2. |fondamentali
Parte Prima: I dieci progetti per la strategia del cambiamento
2. |I dieci progetti per la strategia del cambiamento
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|Attuare, monitorare e aggiornare l'accordo sui livelli
|essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste
2.1. |di attesa
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|Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali
|per l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai
2.2. |disabili
---------------------------------------------------------------------
|La cronicita', la vecchiaia, la disabilita': una realta'
|della societa' italiana che va affrontata con nuovi mezzi e
2.2.1. |strategie
---------------------------------------------------------------------
2.2.2. |Le sfide per il Servizio sanitario nazionale
---------------------------------------------------------------------
|Garantire e monitorare la qualita' dell'assistenza sanitaria
2.3. |e delle tecnologie biomediche
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|Potenziare i fattori di sviluppo (o {capitali}) della
2.4. |sanita'
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|Realizzare una formazione permanente di alto livello in
2.5. |medicina e sanita'
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere l'eccellenza e riqualificare le strutture
2.6. |ospedaliere
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e
2.7. |di governo dei percorsi sanitari e socio-sanitari
---------------------------------------------------------------------
2.7-bis.|Potenziare i Servizi di urgenza ed emergenza
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella
2.8. |sui servizi sanitari
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
2.9. |comunicazione pubblica sulla salute
---------------------------------------------------------------------
|Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la
2.10. |farmacovigilanza
Parte Seconda: Gli obiettivi generali
3. |La promozione della salute
---------------------------------------------------------------------
3.1. |Vivere a lungo, vivere bene
---------------------------------------------------------------------
3.2. |Combattere le malattie
---------------------------------------------------------------------
3.2.1. |Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari
---------------------------------------------------------------------
3.2.2. |I tumori
---------------------------------------------------------------------
3.2.3. |Le cure palliative
---------------------------------------------------------------------
3.2.4. |Il diabete, le malattie metaboliche
---------------------------------------------------------------------
3.2.5. |I disturbi del comportamento alimentare
---------------------------------------------------------------------
3.2.6. |Le malattie respiratorie e allergiche
---------------------------------------------------------------------
3.2.7. |Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
---------------------------------------------------------------------
3.2.8. |Le malattie rare
---------------------------------------------------------------------
3.2.9. |Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
---------------------------------------------------------------------
|La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le
3.2.10.|malattie a trasmissione sessuale
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3.3. |Ridurre gli incidenti e le invalidita'
---------------------------------------------------------------------
3.4. |Sviluppare la riabilitazione
---------------------------------------------------------------------
3.5. |Migliorare la medicina trasfusionale
---------------------------------------------------------------------
3.6. |Promuovere i trapianti di organo
---------------------------------------------------------------------
4. |L'ambiente e la salute
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4.1. |I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette
---------------------------------------------------------------------
4.2. |L'inquinamento atmosferico
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4.2.1. |L'amianto
---------------------------------------------------------------------
4.2.2. |Il benzene
---------------------------------------------------------------------
4.3. |La carenza dell'acqua potabile e l'inquinamento
---------------------------------------------------------------------
4.4. |Le acque di balneazione
---------------------------------------------------------------------
4.5. |L'inquinamento acustico
---------------------------------------------------------------------
4.6. |I campi elettromagnetici
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4.7. |Lo smaltimento dei rifiuti
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|Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi
4.8. |terroristici ed emergenze di altra natura
---------------------------------------------------------------------
4.9 |Salute e sicurezza nell'ambiente di lavoro
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5. |La sicurezza alimentare e la sanita' veterinaria
---------------------------------------------------------------------
6. |La salute e il sociale
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6.1. |Le fasce di poverta' e di emarginazione
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6.2. |La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente
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6.3. |La salute mentale
---------------------------------------------------------------------
6.4. |Le tossicodipendenze
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6.5. |La sanita' penitenziaria
---------------------------------------------------------------------
6.6. |La salute degli immigrati
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IL QUADRO DI RIFERIMENTO
1. I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario nazionale
1.1. Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento
Il Piano 2003-2005 e' il primo ad essere varato in uno scenario
sociale e politico radicalmente cambiato.
La missione del Ministero della salute si e' significativamente
modificata da «pianificazione e governo della sanita» a «garanzia
della salute» per ogni cittadino. Il Servizio sanitario nazionale e'
un importante strumento di salute, ma non e' l'unico: infatti il
benessere psico-fisico si mantiene se si pone attenzione agli stili
di vita, evitando quelli che possono risultare nocivi.
Per quanto riguarda lo scenario politico-istituzionale, il
recente decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni sta
assumendo l'aspetto di una reale devoluzione. Il decentramento fa
parte da tempo degli obiettivi della sanita' italiana ed era gia'
presente fra le linee ispiratrici della legge 23 dicembre 1978, n.
833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, come del riordino
degli anni '90, nell'ambito del quale veniva riconosciuto alla
Regione un ruolo fondamentale nella programmazione, organizzazione e
gestione dei servizi sanitari.
La fase attuale rappresenta un ulteriore passaggio dal
decentramento dei poteri ad una graduale ma reale devoluzione,
improntata alla sussidiarieta', intesa come partecipazione di diversi
soggetti alla gestione dei servizi, partendo da quelli piu' vicini ai
cittadini.
Significativi passi in avanti sono stati realizzati con la
modifica del titolo V della Costituzione e, nella seconda meta' del
2001, con l'Accordo tra Stato e Regioni (8 agosto 2001), alcuni punti
del quale sono stati recepiti con il successivo decreto attuativo,
convertito in legge (decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, e legge
16 novembre 2001, n. 405).
La legge costituzionale recante «Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione», varata dal Parlamento l'8 marzo
2001 e approvata in sede di referendum confermativo il 7 ottobre
2001, ha introdotto i principi della potesta' di legislazione
concorrente dello Stato e delle Regioni e della potesta'
regolamentare delle Regioni in materia di sanita'.
Rientra nella competenza esclusiva dello Stato la «determinazione
dei Livelli Essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale» (art. 117), definiti secondo quanto stabilito nel novembre
2001 a stralcio del Piano sanitario nazionale con le procedure
previste dal decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito poi
nella legge 16 novembre 2001, n. 405, ferma restando la tutela della
salute che la Repubblica garantisce ai sensi dell'art. 32 della
Costituzione. In altri termini lo Stato formula i principi
fondamentali, ma non interviene sul come questi principi ed obiettivi
saranno attuati, perche' cio' diviene competenza esclusiva delle
Regioni.
Il ruolo dello Stato in materia di sanita' si trasforma, quindi,
da una funzione preminente di organizzatore e gestore di servizi a
quella di garante dell'equita' sul territorio nazionale.
In tale contesto i compiti del Ministero della salute saranno
quelli di:
garantire a tutti l'equita' del sistema, la qualita',
l'efficienza e la trasparenza anche con la comunicazione corretta ed
adeguata;
evidenziare le disuguaglianze e le iniquita' e promuovere le
azioni correttive e migliorative;
collaborare con le Regioni a valutare le realta' sanitarie e a
migliorarle;
tracciare le linee dell'innovazione e del cambiamento e
fronteggiare i grandi pericoli che minacciano la salute pubblica.
Nonostante i risultati raggiunti negli ultimi decenni siano
apprezzabili in termini di maggiore aspettativa di vita e di minore
prevalenza delle patologie piu' gravi, ulteriori e piu' avanzati
traguardi e miglioramenti vanno perseguiti nella qualificazione
dell'assistenza, nell'utilizzo piu' razionale ed equo delle risorse,
nell'omogeneita' dei livelli di prestazione e nella capacita' di
interpretare meglio la domanda e i bisogni sanitari.
Inoltre, non va dimenticato che la popolazione anziana nel nostro
Paese e' cresciuta e cresce di numero piu' che in altri Paesi europei
e che e' aumentato il peso delle risorse private investite nella
salute, sia da parte delle famiglie che del terzo settore e di altri
soggetti privati.
Al Piano sanitario nazionale e' affidato il compito di delineare
gli obiettivi da raggiungere per attuare la garanzia costituzionale
del diritto alla salute e degli altri diritti sociali e civili in
ambito sanitario. Tali obiettivi si intendono conseguibili nel
rispetto dell'Accordo dell'8 agosto 2001, come integrato dalle leggi
finanziarie per gli anni 2002 e 2003 e nei limiti e in coerenza dei
programmati Livelli Essenziali di Assistenza di cui al decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e successive
integrazioni.
Cio' avviene, peraltro, in coerenza con l'Unione europea e le
altre Organizzazioni internazionali, quali l'Organizzazione Mondiale
della Sanita' (OMS) e il Consiglio d'Europa, che elaborano in modo
sistematico gli obiettivi di salute e le relative strategie.
La competenza dell'Unione europea, in materia sanitaria, e' stata
ulteriormente rafforzata dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato
in vigore nel 1999, secondo il quale il Consiglio dell'Unione
europea, deliberando con la procedura di co-decisione, puo' adottare
provvedimenti per fissare i livelli di qualita' e sicurezza per
organi e sostanze di origine umana, sangue ed emoderivati nonche',
nei settori veterinario e fitosanitario, misure il cui obiettivo
primario sia la protezione della sanita' pubblica.
Nel mese di settembre 2002 e' entrato in vigore il nuovo
Programma di Azione Comunitario nel settore della sanita' pubblica
2003-2008, che individua tra le aree orizzontali di azione
comunitaria:
la lotta contro i grandi flagelli dell'umanita', le malattie
trasmissibili, quelle rare e quelle legate all'inquinamento;
la riduzione della mortalita' e della morbilita' correlate alle
condizioni di vita e agli stili di vita;
l'incoraggiamento ad una maggiore equita' nella sanita'
dell'Unione europea (U.E.), da perseguire attraverso la raccolta,
analisi e distribuzione delle informazioni;
la reazione rapida a pericoli che minacciano la salute
pubblica;
la prevenzione sanitaria e la promozione della salute.
Anche in questo campo, con i commi secondo e quarto dell'art. 117
del novellato titolo V della Costituzione, alle Regioni sono state
affidate nuove competenze in materia comunitaria, sia nella fase
ascendente di formazione degli atti normativi comunitari sia
nell'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell'Unione europea.
Il ruolo del PSN e' significativo in questa prospettiva, tenuto
conto anche della recente elaborazione della «strategia sociale»
comunitaria avviata dal Consiglio Europeo di Lisbona, proseguita con
quello di Nizza ed esplicitata dalla decisione n. 50/2002/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 dicembre 2001, che
istituisce un programma d'azione comunitaria per incoraggiare la
cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere
l'emarginazione sociale e, con la piu' ampia accezione, di garantire
la coesione sociale in Europa.
Il Piano sanitario nazionale 2003-2005 tiene conto degli
obiettivi comunitari in tema di salute e del necessario coordinamento
con i programmi dell'Unione europea.
Per rispondere alle esigenze del nuovo scenario il PSN si
articola in due parti:
la prima specifica gli obiettivi strategici di salute;
la seconda individua le linee di sviluppo per gli altri
obiettivi generali di salute.
L'efficacia del Piano dipende dall'attuazione di una produttiva
cooperazione fra i diversi livelli di responsabilita', e per quanto
di competenza, comuni e province, chiamati a:
trasformare gli obiettivi in progetti specifici e ad attuarli;
investire nella qualificazione delle risorse umane;
adottare soluzioni organizzative e gestionali innovative ed
efficaci;
adeguare gli standard quantitativi e qualitativi;
garantire i Livelli Essenziali di Assistenza su tutto il
territorio nazionale.
In questo senso e' necessaria una impostazione intersettoriale
delle politiche per la tutela della salute, che contempli anche le
politiche sociali, ambientali ed energetiche, quelle del lavoro,
della scuola e dell'istruzione, delle politiche agricole e di quelle
produttive: la tutela della salute, pertanto, si persegue attraverso
una strategia coordinata di interventi delle diverse istituzioni per
rispondere pienamente ed in maniera specifica ai nuovi bisogni di
salute dei cittadini.
In sintesi, alla luce dei cambiamenti politici e giuridici
avvenuti e di quelli tuttora in corso, il presente Piano sanitario
nazionale 2003-2005 si configura come un documento di indirizzo e di
linea culturale, piu' che come un progetto che stabilisce tempi e
metodi per il conseguimento degli obiettivi, in quanto questi aspetti
operativi rientrano nei poteri specifici delle Regioni, cui il
presente Piano e' diretto e con le quali e' stato costruito.
1.1.1. L'etica del sistema.
La necessita' di garantire ai cittadini un sistema sanitario equo
diviene sempre piu' urgente per il nostro Paese. L'equita' dovrebbe
guidare le politiche sanitarie, ma nel dibattito e' stata finora
sottovalutata, uscendo spesso perdente nel conflitto con
l'efficienza. Si sono create cosi' diverse iniquita' di sistema che
vanno dalle differenze quali-quantitative nei servizi erogati in
varie aree del Paese, alle disuniformi e lunghe liste d'attesa anche
per patologie che non possono aspettare, allo scarso rispetto per il
malato, agli sprechi e all'inappropriatezza delle richieste e delle
prestazioni, al condizionamento delle liberta' di scelta dei malati,
alla insufficiente attenzione posta al finanziamento e all'erogazione
dei servizi per cronici ed anziani. Iniquita' genera iniquita' e le
lunghe liste di attesa innescano talvolta il sistema perverso della
raccomandazione, per cui il servizio puo' risultare ottimo o
accettabile per una parte dei cittadini, ma non altrettanto buono per
altri.
Nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni, il cosiddetto Gruppo
di Tavistock, ha sviluppato alcuni principi etici di massima che si
rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con la sanita' e la
salute e che, non essendo settoriali, si distinguono dai codici etici
elaborati dalle singole componenti del sistema (medici, enti).
Nel 2000 i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito
riportati sono stati aggiornati e offerti alla considerazione
internazionale.
1) Diritti. I cittadini hanno diritto alla salute e alle azioni
conseguenti per la sua tutela.
2) Equilibrio. La cura del singolo paziente e' centrale, ma anche
la salute e gli interessi della collettivita' vanno tutelati. In
altri termini non si puo' evitare il conflitto tra interesse dei
singoli e interesse della collettivita'. Ad esempio, la
somministrazione di antibiotici per infezioni minori puo' giovare al
singolo paziente, ma nuoce alla collettivita' perche' aumenta la
resistenza dei batteri agli antibiotici.
3) Visione olistica del paziente, che significa prendersi cura
di tutti i suoi problemi e assicurargli continuita' di assistenza
(dobbiamo sforzarci continuamente di essere ad un tempo specialisti e
generalisti).
4) Collaborazione degli operatori della sanita' tra loro e con il
paziente, con il quale e' indispensabile stabilire un rapporto di
partenariato: «Nulla che mi riguardi senza di me» e' il motto del
paziente che dobbiamo rispettare (Maureen Bisognano, Institute of
Health Care Improvement, Boston).
5) Miglioramento. Non e' sufficiente fare bene, dobbiamo fare
meglio, accettando il nuovo e incoraggiando i cambiamenti
migliorativi. Vi e' ampio spazio per migliorare, giacche' tutti i
sistemi sanitari soffrono di «overuse, underuse, misuse» delle
prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso improprio).
6) Sicurezza. Il principio moderno di «Primum non nocere»
significa lavorare quotidianamente per massimizzare i benefici delle
prestazioni, minimizzarne i danni, ridurre gli errori in medicina.
7) Onesta', trasparenza, affidabilita', rispetto della dignita'
personale sono essenziali a qualunque sistema sanitario e a qualunque
rapporto tra medico e paziente.
Altri due principi che alcuni propongono di aggiungere ai 7
sopraelencati sono la responsabilizzazione di chi opera in sanita' e
la libera scelta del paziente.
A questi principi il Piano sanitario nazionale intende ispirarsi,
proponendo azioni concrete e progressive per la loro attuazione, dal
momento che e' compito dello Stato garantire ai cittadini i diritti
fondamentali sanciti dalla Costituzione.
1.2. Dalla sanita' alla salute: la nuova visione ed i principi
fondamentali
La nuova visione della transizione dalla «sanita» alla «salute»
e' fondata, in particolare, sui seguenti principi essenziali per il
Servizio sanitario nazionale, che rappresentano altresi' i punti di
riferimento per l'evoluzione prospettata:
il diritto alla salute;
l'equita' all'interno del sistema;
la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti;
la dignita' ed il coinvolgimento «di tutti i cittadini»;
la qualita' delle prestazioni;
l'integrazione socio-sanitaria;
lo sviluppo della conoscenza e della ricerca;
la sicurezza sanitaria dei cittadini.
Il diritto alla salute e alle cure, indipendentemente dal
reddito, costituisce da tempo parte integrante dei principi che
costituiscono l'ossatura del patto sociale, ma non ha trovato fino ad
oggi attuazione sufficiente. Nella nuova visione, esso costituisce un
obiettivo prioritario. Pertanto e' indispensabile, garantire i
Livelli Essenziali di Assistenza, concordati fra Stato e Regioni,
assicurare un'efficace prevenzione sanitaria e diffondere la cultura
della promozione della salute.
L'equita' negli accessi ai servizi, nell'appropriatezza e nella
qualita' delle cure e' un fondamentale diritto da garantire. Troppo
spesso accade che, a parita' di gravita' ed urgenza, l'assistenza
erogata sia diversificata a seconda del territorio, delle
circostanze, delle carenze strutturali e organizzative e di altri
fattori. In particolare, e' necessario ridurre al minimo la mobilita'
dei pazienti derivante dalla carenza nel territorio di residenza di
strutture sanitarie idonee a fornire le prestazioni di qualita'
richieste.
La responsabilizzazione piena dei soggetti e delle istituzioni
incaricati di organizzare ed erogare le prestazioni di cura e'
fondamentale per promuovere concreti percorsi di salvaguardia delle
garanzie. In questo senso va sviluppata la piena consapevolezza di
tutti, in relazione alla complessita' dei bisogni, agli obblighi che
discendono dal patto costituzionale, alla sempre maggiore ampiezza
delle possibili risposte in termini professionali e tecnologici e
alla necessita' di modulare gli interventi sulla base delle linee di
indirizzo comuni e degli obiettivi prioritari del sistema, nel
rispetto rigoroso delle compatibilita' economiche.
La dignita' e la partecipazione di tutti coloro che entrano in
contatto con i servizi e di tutti i cittadini costituisce nella nuova
visione della salute un principio imprescindibile, che comprende il
rispetto della vita e della persona umana, della famiglia e dei
nuclei di convivenza, il diritto alla tutela delle relazioni e degli
affetti, la considerazione e l'attenzione per la sofferenza, la
vigilanza per una partecipazione quanto piu' piena possibile alla
vita sociale da parte degli ammalati e la cura delle relazioni umane
tra operatori ed utenti. Il cittadino e la sua salute devono essere
al centro del sistema, unitamente al rispetto dei principi etici e
bioetici per la tutela della vita, che sono alla base della
convivenza sociale.
La qualita' delle prestazioni deve essere perseguita per il
raggiungimento di elevati livelli di efficienza ed efficacia
nell'erogazione dell'assistenza e nella promozione della salute. E',
inoltre, necessario garantire l'equilibrio fra la complessita' ed
urgenza delle prestazioni ed i tempi di erogazione delle stesse,
riducendo la lunghezza delle liste di attesa. La crescita e la
valorizzazione professionale degli operatori sanitari e' un requisito
essenziale che deve essere assicurato tramite la formazione
permanente ed altri meccanismi di promozione.
L'integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello
locale e' indispensabile cosi' come la collaborazione tra Istituzioni
e pazienti e la disponibilita' delle cure specialistiche e
riabilitative domiciliari per i pazienti cronici, i malati terminali,
i soggetti deboli e coloro che non sono totalmente autosufficienti;
inoltre, e' molto rilevante, sotto il profilo sociale, concorrere
allo sviluppo di forme di supporto ai familiari dei pazienti.
Lo sviluppo della conoscenza nel settore della salute, attraverso
la ricerca biomedica e sanitaria, e' fondamentale per vincere le
nuove sfide derivanti, in particolare, dalle malattie attualmente non
guaribili, attraverso nuove procedure diagnostiche e terapie
efficaci.
La sicurezza sanitaria dei cittadini e' stata messa in evidenza
in tutta la sua importanza anche dai recenti drammatici avvenimenti
connessi al terrorismo. La sanita' di questi anni non puo' quindi
prescindere dal comprendere tra gli elementi costitutivi della nuova
visione quello dello sviluppo di strategie e strumenti di gestione
dei rischi, di precauzione rispetto alle minacce, di difesa e
prevenzione, nonche' ovviamente di cura degli eventuali danni.
Il raggiungimento di tutti i suddetti obiettivi necessita della
misurazione e della valutazione comparativa dei risultati ottenuti,
sul versante sia quantitativo sia qualitativo. Non e' infatti
possibile assicurare pari dignita' e pari trattamento a tutti gli
utenti senza disporre di strumenti per la verifica del lavoro fatto e
della qualita' raggiunta nelle varie realta'. La soddisfazione degli
utenti e la loro corretta informazione, la qualita' delle
prestazioni, i risultati ottenuti in termini clinici e sociali,
nonche' il rapporto tra costi e risultati devono costituire una parte
significativa degli obiettivi da raggiungere e delle misurazioni e
valutazioni da effettuare in modo comparativo fra le diverse realta'
territoriali.
A seguire, in questa Parte prima, si descrivono le linee di
pensiero e di azione per l'attuazione dei progetti per la strategia
del cambiamento, mentre gli obiettivi generali del Servizio sanitario
nazionale sono trattati nella Parte seconda.
Parte Prima
I DIECI PROGETTI
PER LA STRATEGIA DEL CAMBIAMENTO
2. I dieci progetti per la strategia del cambiamento
2.1. Attuare, monitorare ed aggiornare l'accordo sui livelli
essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa
Il primo frutto concreto dell'Accordo stipulato tra il Governo e
le Regioni in materia sanitaria l'8 agosto 2001 e' costituito dalla
definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, da assicurare e
garantire su tutto il territorio nazionale.
Tale definizione e' costruita sui seguenti fondamentali principi:
il livello dell'assistenza erogata, per essere garantita, deve
poter essere misurabile tramite opportuni indicatori;
le prestazioni, che fanno parte dell'assistenza erogata, non
possono essere considerate essenziali se non sono appropriate;
l'appropriatezza delle prestazioni e' collegata al loro
corretto utilizzo e non alla tipologia della singola prestazione,
fatte salve quelle poche considerate non strettamente necessarie;
gli indicatori di appropriatezza vengono calcolati ai diversi
livelli di erogazione del servizio (territorio, Ospedale, ambiente di
lavoro) e verificano la correttezza dell'utilizzo delle risorse
impiegate in termini di bilanciamento qualita-costi.
L'introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza costituisce
l'avvio di una nuova fase per la tutela sanitaria, in quanto per la
prima volta si da' seguito all'esigenza, emersa da anni, di garantire
ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantita' e
qualita' delle prestazioni erogate e di individuare il corretto
livello di erogazione dei servizi resi.
La definizione dei LEA, prima con l'Accordo del 22 novembre 2001
poi con l'adozione degli stessi con il decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, in attuazione dell'art.
6 della legge n. 405/2001 ha definito i confini a carico del SSN
utilizzando due concetti principali:
a) quello di servizi «essenziali», intesi come accettabili sul
piano sociale nonche' tecnicamente appropriati ed efficaci, in quanto
fondati sulle prove di evidenza ed erogati nei modi economicamente
piu' efficienti;
b) quello delle «liste negative» consistente nell'individuare
precisamente cio' che non deve piu' essere erogato con finanziamenti
a carico del SSN.
Il significato innovativo dell'introduzione dei LEA e' consistito
nell'aver definito i diritti sanitari dei cittadini in modo
complessivo e non in termini residuali (anche per questo i LEA non
possono esser definiti come livelli minimi) e nell'aver introdotto
uno strumento per il governo dell'evoluzione del SSN e non un
semplice modo per ridimensionare la spesa.
La messa a punto di tale strumento tuttavia ha portato alla luce
alcune aree di complessita' tra le quali si ritiene opportuno
segnalare le seguenti:
i) appropriatezza clinico-assistenziale e organizzativa che
richiede un processo continuo che va sostenuto sistematicamente da
parte del livello centrale, regionale, aziendale e professionale del
SSN per gli aspetti di relativa competenza, per migliorare l'impiego
delle risorse e la qualita' dei servizi, anche in rapporto alla
introduzione di nuove tecnologie;
ii) integrazione socio-sanitaria che richiede di individuare
ulteriori fonti di finanziamento per le prestazioni che sono state
escluse totalmente o parzialmente dai LEA.
La definizione dei livelli di assistenza e' un primo importante
passo di un percorso che richiede la verifica, sul territorio,
dell'effettiva erogazione degli stessi e dei relativi costi, a
garanzia dell'equita' della tutela della salute sul territorio e
dell'efficienza del sistema.
In attuazione dell'accordo in materia di spesa sanitaria, sancito
dalla Conferenza Stato-Regioni l'8 agosto 2001, e' stato istituito,
nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, il Tavolo di monitoraggio
e verifica sui LEA effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai
volumi di spesa stimati e previsti, cui sono affidati i compiti
indicati ai punti 15 degli accordi Governo-Regioni dell'8 agosto
2001, 5.2 dell'accordo del 22 novembre 2001 sui LEA e lettera a)
dell'accordo del 14 febbraio 2002 sulle modalita' di accesso alle
prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle
liste di attesa.
Nel tavolo di monitoraggio e verifica vengono anche definiti
specifici criteri di monitoraggio all'interno del sistema di garanzie
introdotto dall'art. 9 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n.
56, per assicurare trasparenza, confrontabilita' e verifica
dell'assistenza erogata attraverso i LEA con un sistema di indicatori
essenziali, pertinenti e caratterizzati da dinamicita' e
aggiornamento continuo.
L'accordo del 22 novembre 2001 prevede, inoltre, la costituzione
di un organismo nazionale ad hoc, cui affidare l'aggiornamento delle
prestazioni erogate sotto il profilo tecnico-scientifico, valutando
periodicamente quelle da mantenere, escludere o includere ex novo,
senza alterarne il profilo economico finanziario. Con la legge
15 giugno 2002, n. 112, tale organismo e' stato individuato ed
istituito quale Commissione (C-LEA), per le attivita' di valutazione
in relazione alle risorse definite, dei fattori scientifici,
tecnologici ed economici relativi alla definizione ed aggiornamento
dei LEA e delle prestazioni in esso contenute.
Con il collegato alla finanziaria 2003 e' stata istituita una
Commissione unica per i dispositivi medici, cui e' affidato un
compito di aggiornamento del repertorio dei dispositivi medici e di
classificazione dei prodotti in classi e sottoclassi specifiche con
l'indicazione del prezzo di riferimento. Attraverso tale
classificazione, anche ad integrazione di quanto previsto dalla
normativa comunitaria, si garantira' un omogeneo sistema di
caratterizzazione qualitativa di dispositivi medici utilizzabili e si
porranno le basi per agevolare iniziative di ottimizzazioni delle
procedure di acquisto rispettose delle esigenze di qualita' e
sicurezza dei prodotti.
Con i tre organismi sopra citati si realizza un organico sistema
di garanzia, articolato secondo il seguente schema:
il Tavolo di Monitoraggio e verifica dei Livelli essenziali di
assistenza effettivamente erogati ha il compito di verificarne la
corrispondenza con i volumi di spesa stimati e previsti, articolati
per fattori produttivi e responsabilita' decisionali, al fine di
identificare i determinanti di tale andamento, a garanzia
dell'efficacia e dell'efficienza del Servizio sanitario nazionale;
la Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento
dei LEA (C-LEA), garantisce, a parita' di risorse impiegate, che
siano effettuati gli indispensabili interventi di manutenzione degli
elenchi delle prestazioni ricomprese nei LEA, proponendone
l'introduzione, la sostituzione o la cancellazione, con le procedure
previste dalla normativa vigente;
la Commissione unica per i dispositivi medici (CUD), garantisce
che l'utilizzo dei dispositivi medici nella varie tipologie di
prestazioni sia ispirato a criteri di qualita' e sicurezza,
assicurando anche la congruita' del prezzo.
Nell'ambito dell'accordo sui LEA, particolare importanza riveste
la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per
le prestazioni sanitarie, sottolineata piu' volte anche dal
Presidente della Repubblica, e anch'essa obiettivo di primaria
importanza per il cittadino: il tempo di attesa rappresenta, da un
lato, la prima risposta che egli riceve dal sistema e, dall'altro, il
fondamentale principio di tutela dei diritti in tema di accesso alle
cure e di eguaglianza nell'ambito del Servizio sanitario.
Il diritto all'accesso alle prestazioni diagnostiche e
terapeutiche, in conseguenza di richieste appropriate, deve essere
messo in relazione, per i tempi e per i modi, con una ragionevole
valutazione della prestazione richiesta e della sua urgenza.
Per contribuire al miglioramento complessivo dell'efficienza
delle strutture e dell'accessibilita' alle prestazioni sanitarie, e'
stato sottoscritto il recente accordo relativo alle attivita' di
chirurgia di giorno (day surgery), che consente una diversificazione
dell'offerta sanitaria per i cittadini ed una maggiore appropriatezza
nell'utilizzo delle tipologie di assistenza.
Gli obiettivi strategici:
disporre di un consolidato sistema di monitoraggio dei Livelli
Essenziali di Assistenza, tramite indicatori che operino in modo
esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero,
territoriale e ambiente di lavoro), grazie anche all'utilizzo dei
dati elaborati dal Nuovo Sistema Informativo Sanitario;
rendere pubblici i valori monitorati dei tempi di attesa,
garantendo il raggiungimento del livello previsto;
costruire indicatori di appropriatezza a livello del territorio
che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni, come avviene
oggi;
diffondere i modelli gestionali delle Regioni e delle Aziende
Sanitarie in grado di erogare i Livelli Essenziali di Assistenza con
un corretto bilanciamento tra i costi e la qualita' (bench-marking a
livello regionale ed aziendale);
promuovere i migliori protocolli di appropriatezza che verranno
via via sperimentati e validati ai diversi livelli di assistenza;
attivare tutte le possibili azioni capaci di garantire ai
cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di
salute, anche sulla base delle indicazioni presenti nell'Accordo
Stato-Regioni 11 luglio 2002.
2.2. Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per
l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili
2.2.1. La cronicita', la vecchiaia, la disabilita': una realta'
della societa' italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie
Il mondo della cronicita' e quello dell'anziano hanno delle
peculiarita' che in parte li rendono assimilabili:
sono aree in progressiva crescita;
richiedono una forte integrazione dei servizi sanitari con
quelli sociali;
necessitano di servizi residenziali e territoriali finora non
sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese;
hanno una copertura finanziaria insufficiente.
Piu' che mai si rende necessario, innanzitutto, che si intervenga
in sede preventiva; prevenire in questo caso significa rallentare e
ritardare l'instaurarsi di condizioni invalidanti, che hanno in
comune un progressivo percorso verso la non-autosufficienza e quindi
verso la necessita' di interventi sociali e sanitari complessi e
costosi. Per quanto riguarda i diversi approcci praticabili per la
prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione primaria (stili
di vita salutari) e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi di
tumore), nonche' profilassi di particolari malattie. Le Regioni,
pienamente responsabili dell'assistenza sanitaria e della relativa
spesa, sanno che investire in prevenzione significa risparmiare gia'
nel medio termine; questa consapevolezza induce a ritenere che le
misure di prevenzione in questa area avranno in futuro uno sviluppo
maggiore che in passato.
Per gli anziani importante e' la possibilita' di mantenere una
vita attiva sia dal punto di vista fisico che intellettuale, in
quanto spesso essi tendono ad isolarsi e a trascurare gli stili di
vita piu' appropriati. Le Campagne istituzionali di comunicazione
possono essere di grande aiuto anche in tal senso.
L'anziano vive meglio nel proprio domicilio e nel contesto di una
famiglia. Spesso, tuttavia, la famiglia ha difficolta' economiche e
logistiche ad assistere in casa l'anziano che necessita di cure. E',
quindi, necessario supportare la famiglia in questo compito.
A fronte di un fabbisogno stimato in circa 15 miliardi di euro
per anno, oggi l'Italia spende per l'assistenza sociale circa 6,5
miliardi di euro. Tutti i Paesi del mondo occidentale hanno avuto il
problema di finanziare adeguatamente un settore dell'assistenza che
solo 30 anni or sono era di dimensioni insignificanti, ma che ora,
con l'allungamento dell'aspettativa media di vita, e' in aumento
progressivo. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha
piu' di 75 anni (poco meno nel Sud del Paese) e sappiamo che la
disabilita' in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%.
Anche gli altri Paesi europei sono intervenuti a sostegno della
non-autosufficienza, con modalita' differenti. Tutte le modalita',
tuttavia, come ben evidenziato da Costanzo Ranci (2001) nella ricerca
«L'assistenza agli anziani in Italia e in Europa», sembrano
condividere, pur con accentuazioni ed enfasi diverse, il seguente
aspetto: tentare di combinare interventi di trasferimento monetario
alle famiglie con l'erogazione di servizi finali, allo scopo di
sostenere il lavoro familiare ed informale di cura (cash and care).
Rispetto ai principali Paesi europei, l'Italia ancora spicca
soprattutto per l'assenza di un pensiero e di una proposta forti che
affrontino il problema della non-autosufficienza, un problema di
dimensione crescente, che tanto disagio provoca a molte persone
anziane e disabili e alle loro famiglie.
Occorre puntare pertanto a:
rendere piu' efficace ed efficiente la gestione dei servizi
esistenti tramite l'introduzione di meccanismi competitivi;
attribuire maggiore capacita' di scelta ai beneficiari finali
dei servizi;
sostenere maggiormente le famiglie che si incaricano
dell'assistenza;
regolarizzare e stimolare la pluralita' dell'offerta di
servizi;
sostenere la rete di assistenza informale ed il volontariato;
sperimentare nuove modalita' di organizzazione dei servizi
anche ricorrendo a collaborazioni con il privato;
attivare sistemi di garanzia di qualita' e adeguati controlli
per gli erogatori di servizi sociali e sanitari.
2.2.2. Le sfide per il Servizio sanitario nazionale.
Non vi e' dubbio che il Servizio sanitario nazionale debba
prepararsi a soddisfare una domanda crescente di assistenza di natura
diversa da quella tradizionale e caratterizzata da nuove modalita' di
erogazione, basate sui principi della continuita' delle cure per
periodi di lunga durata e dell'integrazione tra prestazioni sanitarie
e sociali erogate in ambiti di cura molto diversificati tra loro
(assistenza continuativa integrata).
Le categorie di malati interessate a questo nuovo modello di
assistenza sono sempre piu' numerose: pazienti cronici, anziani non
autosufficienti o affetti dalle patologie della vecchiaia in forma
grave, disabili, malati afflitti da dipendenze gravi, malati
terminali.
Gli obiettivi di questa assistenza sono la stabilizzazione della
situazione patologica in atto e la qualita' della vita dei pazienti,
raramente quelle della loro guarigione.
Deve pertanto svilupparsi, nel mondo sanitario, un nuovo tipo di
assistenza basata su un approccio multidisciplinare, volto a
promuovere i meccanismi di integrazione delle prestazioni sociali e
sanitarie rese sia dalle professionalita' oggi presenti, sia da
quelle nuove da creare nei prossimi anni.
Innanzitutto e' indispensabile che la continuita' delle cure sia
garantita tramite la presa in carico del paziente da parte dei
Servizi e delle Istituzioni allo scopo di coordinare tutti gli
interventi necessari al superamento delle condizioni che ostacolano
il completo inserimento nel tessuto sociale, quando possibile, o che
limitano la qualita' della vita.
A tale scopo i Servizi e le Istituzioni devono divenire nodi di
una rete di assistenza nella quale viene garantita al paziente
l'integrazione dei servizi sociali e sanitari, nonche' la continuita'
assistenziale nel passaggio da un nodo all'altro, avendo cura che
venga ottimizzata la permanenza nei singoli nodi in funzione
dell'effettivo stato di salute. Dovra' essere, di conseguenza,
ridotta la permanenza dei pazienti negli Ospedali per acuti e
potenziata l'assistenza riabilitativa e territoriale.
La gestione dei servizi in rete comporta che le Aziende Sanitarie
Locali ed i Comuni individuino le forme organizzative piu' adatte
affinche' le prestazioni sanitarie e sociali siano disponibili per il
paziente in modo integrato. Per permettere il maggior recupero
raggiungibile dell'autosufficienza e la diminuzione della domanda
assistenziale, gli interventi vanno integrati, nei casi in cui e'
opportuno, con l'erogazione dell'assistenza protesica.
Gli obiettivi strategici:
la realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al
rischio di non autosufficienza della popolazione;
la realizzazione di reti di servizi di assistenza integrata,
economicamente compatibili, rispettose della dignita' della persona;
il corretto dimensionamento dei nodi della rete (ospedalizzazione
a domicilio, assistenza domiciliare integrata, centri diurni
integrati, residenze sanitarie assistenziali e istituti di
riabilitazione) in accordo con il loro effettivo utilizzo;
la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per
acuti e la riduzione della durata di degenza dei ricoveri
appropriati, grazie alla presenza di una rete efficace ed efficiente;
il miglioramento della autonomia funzionale delle persone
disabili, anche in relazione alla vita familiare ed al contesto
sociale e lavorativo;
l'introduzione di misure che possono prevenire o ritardare la
disabilita' e la non autosufficienza, che includono le informazioni
sugli stili di vita piu' appropriati e sui rischi da evitare.
2.3. Garantire e monitorare la qualita' dell'assistenza sanitaria e
delle tecnologie biomediche
Un obiettivo importante da perseguire nell'ambito del diritto
alla salute e' quello della qualita' dell'assistenza sanitaria. E' la
cultura della qualita' che rende efficace il sistema, consentendo di
attuare un miglioramento continuo, guidato dai bisogni dell'utente.
Sempre piu' frequentemente emerge in sanita' l'intolleranza
dell'opinione pubblica verso disservizi ed incidenti, che originano
dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualita' e che vanno
dagli errori medici alle lunghe liste d'attesa, alle evidenti
duplicazioni di compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi
del personale strutturati e documentati, alla mancanza di procedure
codificate, agli evidenti sprechi.
La qualita' in sanita' riguarda un insieme di aspetti del
servizio, che comprendono sia la dimensione tecnica, che quella
umana, economica e clinica delle cure e va perseguita attraverso la
realizzazione di una serie articolata di obiettivi, dalla efficacia
clinica, alla competenza professionale e tecnica, all'efficienza
gestionale, all'equita' degli accessi, alla appropriatezza dei
percorsi terapeutici.
Per l'aspetto umano, e' opportuno che venga misurata anche la
qualita' percepita da parte dei pazienti, che rappresenta un
importante indicatore della soddisfazione dell'utente.
Gli obiettivi strategici:
promuovere, divulgare e monitorare esperienze di miglioramento
della qualita' all'interno dei servizi per la salute;
coinvolgere il maggior numero di operatori in processi di
informazione e formazione sulla qualita';
valorizzare la partecipazione degli utenti al processo di
definizione, applicazione e misurazione della qualita';
promuovere la conoscenza dell'impatto clinico, tecnico ed
economico dell'uso delle tecnologie, anche con comparazione tra le
diverse Regioni italiane;
mantenere e sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle
procedure diagnostico-terapeutiche ad essi associati, con i relativi
costi;
attivare procedure di bench-marking sulla base di dati attinenti
agli esiti delle prestazioni.
2.4. Potenziare i fattori di sviluppo (o «capitali») della sanita'
Le organizzazioni complesse utilizzano tre forme di «capitale»:
umano, sociale e fisico in ordine di importanza. Questo concetto,
ripreso recentemente anche nel Piano Sanitario inglese, e' in linea
con il pensiero espresso fin dalla meta' del secolo scorso da Carlo
Cattaneo, grande filosofo ed «economista pubblico». Nonostante gli
sforzi compiuti, nessuna delle tre risorse citate e' stata ancora
valorizzata nella nostra sanita' in misura sufficiente.
Il «capitale umano», ossia il personale del Servizio sanitario
nazionale, e' quello che presenta aspetti di maggiore delicatezza. La
Pubblica amministrazione, che gestisce la maggior parte dei nostri
ospedali, non rivolge sufficiente attenzione alla motivazione del
personale e alla promozione della professionalita' e molti strumenti
utilizzati a questo scopo dal privato le sono sconosciuti.
Solo oggi si comincia in Italia a realizzare un organico
programma di aggiornamento del personale sanitario. Dal 2002 e'
diventata, infatti, realta' l'acquisizione dei crediti per tutti gli
operatori sanitari che partecipano agli eventi autorizzati dalla
Commissione Nazionale per l'Educazione Medica Continua. Ben piu'
importante, secondo l'accordo del 20 dicembre 2001 con le Regioni, e
grazie all'adesione di varie organizzazioni e associazioni, inclusi
gli Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori
Generali delle Aziende Sanitarie e le Societa' scientifiche italiane,
inizia l'aggiornamento aziendale, che prevede un impegno delle
Aziende Sanitarie ad attivare postazioni di educazione e corsi
aziendali per il personale, utilizzando anche la rete informatica.
Un personale aggiornato e' garanzia, per il malato, di buona
qualita' delle cure, ma l'aggiornamento sistematico costituisce anche
un potente strumento di promozione dell'autostima del personale
stesso, che sa di migliorare in tal modo la propria immagine
professionale e la propria credibilita' verso la collettivita'.
Ovviamente l'aggiornamento sistematico e' solo uno degli strumenti di
valorizzazione del personale. Operare in un sistema nel quale vi sia
certificazione della qualita' e' un altro elemento di gratificazione
per gli operatori sanitari. Un ulteriore elemento e' costituito da un
rapporto di lavoro che premi la professionalita' ed il merito e
liberi il medico da una serie di vincoli e limitazioni per rendere
piu' efficace la sua opera.
Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione
infermieristica e delle altre professioni sanitarie, per le quali si
impone la nascita di una nuova «cultura della professione», cosi' che
il ruolo dell'infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della
classe medica sia dell'utenza, all'autentico fondamento
epistemologico del nursing. Il capitale sociale va inteso come quella
rete di relazioni che devono legare in un rapporto di partnership
tutti i protagonisti del mondo della salute impegnati nei settori
dell'assistenza, del volontariato e del no profit, della
comunicazione, dell'etica, dell'innovazione, della produzione, della
ricerca, che possono contribuire ad aumentare le risorse per l'area
del bisogno socio-sanitario, oggi largamente sottofinanziato. Tutta
questa rete sociale, grande patrimonio del vivere civile, e' ancora
largamente da valorizzare ed e' la cultura di questo capitale sociale
che va prima di tutto sviluppata. L'altro punto da valorizzare e' il
capitale «fisico» del S.S.N.: gli investimenti per l'edilizia
ospedaliera e per le attrezzature risalgono per la maggior parte alla
legge 11 marzo 1988, n. 67 e molti dei fondi da allora impegnati non
sono ancora stati utilizzati per una serie di difficolta' incontrate
sia dallo Stato sia dalle Regioni in fase di progettualita' e di
realizzazioni. E' necessario provvedere, come per i LEA, ad una
manutenzione continua del patrimonio fisico, partendo da un
monitoraggio dello stesso perche' il sistema possa essere
effettivamente competitivo in termini di qualita' dell'offerta.
Gli obiettivi strategici:
dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina;
valorizzare le figure del medico e degli altri operatori
sanitari;
garantire una costante manutenzione strutturale e tecnologica dei
presidi sanitari del SSN, rilanciando il programma di investimenti
per l'edilizia sanitaria e per le attrezzature, secondo quanto
stabilito dall'Accordo dell'8 agosto 2001;
strutturare un piano di sviluppo della ricerca capace di attirare
anche gli investitori privati ed i ricercatori italiani e stranieri;
alleggerire le strutture pubbliche ed il loro personale dai
vincoli e dalle procedure burocratiche che limitano le capacita'
gestionali e rallentano l'innovazione, consentendo loro una gestione
imprenditoriale finalizzata anche all'autofinanziamento;
investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento
della societa' civile e strumento per rapportare i cittadini alle
Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e privati.
2.5. Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina
e sanita'
L'Educazione Continua in Medicina (ECM), vale a dire la
formazione permanente nel campo delle professioni sanitarie, deve
rispondere alla esigenza di garantire alla collettivita' il
mantenimento della competenza professionale degli operatori. Come
tale, essa si configura come un elemento di tutela dell'equita'
sociale e riassume in se' i concetti di responsabilita' individuale e
collettiva, insiti nell'esercizio di ogni attivita' volta alla tutela
e alla promozione della salute della popolazione.
Gia' nel 1999 (Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229), e nel
2000 (Decreto Ministeriale 5 luglio 2000) ne sono state delineate
l'infrastruttura amministrativa, decisionale e politica, ed e' stato
valorizzato il ruolo sociale della formazione permanente, in una
situazione nella quale le iniziative, pur numerose, e prevalentemente
di tipo congressuale, erano focalizzate quasi esclusivamente sulla
professione medica, interessando le altre professioni dell'area
sanitaria solo in maniera frammentaria.
La volontarieta' era, del resto, la caratteristica portante di
queste iniziative: nonostante il valore spesso molto elevato di
alcune di esse, non e' sempre stata data sufficiente importanza alla
dimensione deontologica della formazione professionale, intesa non
solo come un dovere di valorizzazione della propria professionalita'
e di autoarricchimento, ma anche come una responsabilita' forte nei
riguardi della collettivita'.
L'accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 ha
sancito, in maniera positiva, la convergenza di interesse tra
Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di un programma
nazionale che, partendo dal lavoro compiuto dalla Commissione
Nazionale per la Formazione Continua, si estenda capillarmente cosi'
da creare una forte coscienza della autoformazione e
dell'aggiornamento professionale estesa a tutte le categorie
professionali impegnate nella sanita'.
La Commissione Nazionale per la Formazione Continua, istituita
nel 2000 e rinnovata il 1° febbraio 2002, ha affrontato innanzitutto
il problema dell'impostazione ex novo del sistema della formazione
permanente e dell'aggiornamento sia sotto il profilo organizzativo ed
amministrativo sia sotto quello della cultura di riferimento,
attraverso confronti nazionali e regionali con diversi attori del
sistema sanitario: cio' ha portato alla attivazione di un programma
nazionale di formazione continua attivo dal gennaio 2002.
Un elemento caratterizzante del programma e' la sua estensione a
tutte le professioni sanitarie, con una strategia innovativa rispetto
agli altri Paesi. Il razionale sotteso a questo approccio e'
evidente: nel momento in cui si afferma la centralita' del paziente e
muta il contesto dell'assistenza, con la nascita di nuovi
protagonisti e con l'emergere di una cultura del diritto alla
qualita' delle cure, risulta impraticabile la strada di una
formazione elitaria, limitata ad una o a poche categorie
professionali e diviene obbligo morale la garanzia della qualita'
professionale estesa trasversalmente a tutti i componenti della
equipe sanitaria, una utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse
professioni sanitarie e tecniche.
In una prospettiva ancora piu' ampia, la formazione continua
potra' diventare uno degli strumenti di garanzia della qualita'
dell'esercizio professionale, divenendo un momento di sviluppo di una
nuova cultura della responsabilita' e del giusto riconoscimento della
eccellenza professionale.
Partendo dalle premesse culturali e sociali sopra delineate, il
programma si pone l'obiettivo di disegnare le linee strategiche della
formazione continua, nella quale i contenuti ed i fini della
formazione siano interconnessi con gli attori istituzionali. E cio'
e' particolarmente significativo per quanto concerne la ripartizione
tra obiettivi formativi di rilevanza nazionale, di rilevanza
regionale e di libera scelta.
Gli obiettivi nazionali devono discendere, attraverso una intesa
tra Ministero della salute e Regioni, dal presente Piano e stimolare
negli operatori una nuova attenzione alle dimensioni della salute
- in aggiunta a quelle della malattia - alla concretezza dei problemi
sanitari emergenti ed ai nuovi problemi di natura socio-sanitaria.
Gli obiettivi formativi di interesse regionale devono rispondere
alle specifiche esigenze formative delle amministrazioni regionali,
chiamate ad una azione piu' capillare legata a situazioni
epidemiologiche, socio-sanitarie e culturali differenti. Il ruolo
delle Regioni, nel campo della formazione sanitaria continua, diviene
cosi' un ulteriore strumento per il pieno esercizio delle competenze
attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse: elemento di
crescita degli operatori sanitari, di loro sensibilizzazione alle
realta', in una parola, di coerenza e di compliance della qualita'
professionale con le specifiche richieste dei cittadini e del
territorio.
Infine, gli obiettivi formativi di libera scelta dell'operatore
sanitario rappresentano l'elemento eticamente forse piu' rilevante
della nuova formazione permanente: essi, infatti, si richiamano
direttamente alla capacita' dell'operatore di riconoscere le proprie
esigenze formative, ammettere i propri limiti e decidere di colmarli.
Un ulteriore elemento di novita' e' rappresentato dal
coinvolgimento di Ordini, Collegi e Associazioni professionali, non
solo quali attori della pianificazione della formazione, ma anche
quali organismi di garanzia della sua aderenza agli standard europei
ed internazionali. Sotto quest'ultimo profilo, attenzione dovra'
essere posta proprio all'armonizzazione tra il sistema formativo
italiano e quello europeo, in coerenza con i principi della libera
circolazione dei professionisti.
Ancora, le Societa' Scientifiche dovranno trovare ampia
valorizzazione nel sistema della formazione continua, garanti non
solo della solidita' delle basi scientifiche degli eventi formativi,
ma anche della qualita' pedagogica e della loro efficacia.
Da ormai molti anni la maggior parte delle Societa' Medico
Scientifiche Italiane si e' riunita nella Federazione Italiana delle
Societa' Medico Scientifiche (FISM), che ha operato per dare agli
specialisti italiani un ruolo di interlocuzione con le Istituzioni,
inteso primariamente come contributo culturale ed operativo
all'identificazione ed allo sviluppo delle attivita' sanitarie e
mediche nel Paese. Oggi le Societa' Scientifiche hanno trovato pieno
riconoscimento del loro ruolo per l'ECM, la cui organizzazione si e'
cosi' arricchita di risorse culturali ed umane.
Nel sistema che si sta creando, dovra' anche essere dedicata
attenzione al mondo della editoria, sia cartacea che on-line, in
maniera da garantire che i prodotti immessi in circolazione siano
coerenti con le finalita' del sistema formativo.
Da ultimo, ma non meno importante, e' il coinvolgimento degli
Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, delle Aziende
Ospedaliere e delle Universita' nonche' delle altre strutture
sanitarie pubbliche e private: esse rappresentano la naturale sede
della formazione continua, in quanto in grado di offrire quella
«formazione in contesto professionale», eminentemente pratica ed
operativa, senza la quale la formazione continua rimane un mero
esercizio cognitivo, privo di qualsiasi possibilita' di ricaduta
concreta sulla qualita' delle cure.
2.6. Promuovere l'eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere
Per molti anni l'ospedale ha rappresentato nella sanita' il
principale punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un
Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto
merito, ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza
dalla propria residenza e' diventato un elemento di sicurezza e di
fiducia per la popolazione, che ha portato l'Italia a realizzare ben
1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialita' variabili.
Ancora fino agli anni '70 gli strumenti diagnostici e terapeutici
dei medici e degli Ospedali erano relativamente limitati: non
esistevano le apparecchiature sofisticate di oggi e quindi non era
necessario disporre di superspecialisti. Gli importanti sviluppi
intervenuti successivamente, basta citare l'impetuoso affermarsi
delle tecnologie sanitarie basate sulle bio-immagini, che ha visto il
progressivo diffondersi delle ecografie, TAC, NMR, e PET a fianco
della radiologia tradizionale hanno comportato l'obsolescenza di
costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni. Negli ultimi 20
anni e' cambiata la tecnologia, ed e' cambiata la demografia:
l'aspettativa di vita e' cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per
gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicche' la patologia
dell'anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente
imponendosi su quella dell'acuto. Si sviluppa conseguentemente anche
il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte patologie
croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto
servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della
non-autosufficienza, l'organizzazione del domicilio e della famiglia,
sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la
necessita' di portare al domicilio del paziente le cure di
riabilitazione e quelle palliative con assiduita' e competenza, e di
realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale
specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il
disagio di recarsi in Ospedale.
Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione
ospedaliera, un tempo assai soddisfacente, necessita oggi di un
ripensamento.
Un Ospedale piccolo sotto casa non e' piu' una sicurezza, in
quanto spesso non puo' disporre delle attrezzature e del personale
che consentono di attuare cure moderne e tempestive.
Solo se si sapra' cogliere, con questa ed altre modalita', il
cambiamento ed il nuovo che avanza in sanita', se si sapra' attuare
una buona comunicazione con i cittadini per far loro capire come sia
necessario, nel loro interesse, assecondare il cambiamento ed
adeguarvisi, se si sapra' gestire il servizio pubblico con mentalita'
imprenditoriale sara' offerta al Paese una sanita' piu' efficace,
piu' moderna ed anche economicamente piu' vantaggiosa, modificando
una realta' che continua ad assorbire risorse per mantenere servizi
di limitata utilita'.
E' importante sottolineare che l'Italia recentemente, ha ritenuto
strategico il collegamento in rete degli Ospedali di eccellenza e di
questi con gli Ospedali Italiani nel mondo. Si tratta di oltre 40
strutture distribuite nei vari Continenti, con le quali il
collegamento offre potenziali vantaggi in quanto contribuisce a
legare le comunita' italiane all'estero, ma che ha vantaggi evidenti
soprattutto per i Paesi africani dove esistono ben 20 strutture
italiane per le quali si puo' ipotizzare la costruzione di una |
| 4.6. I campi elettromagnetici
Negli ultimi anni si e' verificato un aumento senza precedenti
del numero e della varieta' di sorgenti di campi elettrici, magnetici
ed elettromagnetici utilizzate a scopo individuale, industriale e
commerciale. Tali sorgenti comprendono, oltre le linee di trasposto e
distribuzione dell'energia elettrica, apparecchiature per uso
domestico, personal computers (dispositivi operanti tutti alla
frequenza di 50 Hz), telefoni cellulari con le relative stazioni
radio base, forni a microonde, radar per uso civile e militare
(sorgenti a radio frequenza e microonde), nonche' altre
apparecchiature usate in medicina, nell'industria e nel commercio.
Tali tecnologie, pur di grande utilita', generano continue
preoccupazioni per i possibili rischi sanitari della popolazione.
Per quanto riguarda i campi a frequenza estremamente bassa (ELF),
l'esposizione dell'uomo e' principalmente collegata alla produzione,
alla distribuzione ed all'utilizzazione dell'energia elettrica. Nel
1998, il gruppo di esperti internazionali del National Institute of
Environmental Health Sciences (USA) ha affermato che, usando i
criteri stabiliti dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul
Cancro (IARC), i campi ELF dovrebbero essere considerati come
«possibili cancerogeni». Possibile cancerogeno per l'uomo significa
che esistono limitate evidenze scientifiche sulla possibilita' che
l'esposizione a campi ELF possa essere associata all'insorgenza dei
tumori. Sulla base di queste valutazioni di esposizioni e della stima
del livello di rischio di leucemia per l'infanzia, e' stato calcolato
che ogni anno si potrebbero verificare 1,3 (95% intervallo di
certezza: 0 - 4,1) casi aggiuntivi di leucemia infantile collegabili
alla vicinanza delle abitazioni a linee elettriche ad alta tensione e
26,7 casi (95% intervallo di certezza: 3,9 - 57,3) collegabili
all'esposizione nelle case. Tali dati corrisponderebbero
rispettivamente a valori che variano da 0,3% a 6,1% del totale dei
432 casi di leucemia infantile che si verificano ogni anno in Italia.
Restano, tuttavia, ovvie incertezze sul rapporto causa-effetto.
4.7. Lo smaltimento dei rifiuti
Il rischio per la salute si manifesta anche quando risultano
assenti o inadeguati i processi di raccolta, trasporto, stoccaggio,
trattamento o smaltimento finale dei rifiuti, nonche' quando lo
smaltimento avviene senza il rispetto delle norme sanitarie rigorose
previste dalle norme vigenti. La mancata raccolta dei rifiuti
costituisce una causa importante di deterioramento del benessere e
dell'ambiente di vita. I rifiuti, qualora non vengano adeguatamente
smaltiti, possono contaminare il suolo e le acque di superficie.
L'esalazione di metano dai siti di interramento non idonei
rappresenta un rischio di incendio ed esplosioni. Tuttavia, se
trattati adeguatamente, i rifiuti possono costituire una fonte
combustibile. Le emissioni in atmosfera in strutture atte alla
produzione di compost e negli impianti di incenerimento dei rifiuti,
qualora non opportunamente abbattute, sono state identificate quali
fattori di rischio per la salute dei lavoratori addetti.
La discarica rimane il sistema piu' diffuso di smaltimento dei
rifiuti, sia perche' i costi sono ancora oggi competitivi con quelli
degli altri sistemi sia perche' l'esercizio e' molto piu' semplice.
La discarica controllata, se ben condotta, non presenta particolari
inconvenienti, purche' sia ubicata in un idoneo sito e sia dotata
degli accorgimenti atti ad evitare i pericoli di inquinamento che i
rifiuti possono provocare in via diretta ed indiretta.
I principali obiettivi in questo settore sono:
l'adozione di un regime di smaltimento dei rifiuti urbani ed
industriali, che minimizzi i rischi per la salute dell'uomo ed
elimini i danni ambientali;
l'attivazione di azioni educative per ridurre la produzione dei
rifiuti;
l'incentivazione della gestione ecocompatibile dei rifiuti, con
particolare riferimento al riciclaggio;
l'incremento delle attivita' di tutela ambientale per
l'individuazione delle discariche abusive e delle altre forme di
smaltimento non idonee;
il monitoraggio accurato delle emissioni inquinanti degli
impianti di incenerimento.
4.8. Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi
terroristici ed emergenze di altra natura
Negli ultimi anni, ed in particolare nel corso del 2001, si e'
presentato in forme nuove la minaccia del terrorismo con uso di armi
non convenzionali. Gli episodi di bioterrorismo sono diventati un
rischio piu' plausibile per molti Paesi occidentali, ivi inclusa
l'Italia.
Risposte rapide ed efficaci a questo tipo di emergenze, come
d'altra parte ad altre emergenze associate, ad esempio, a gravi
incidenti chimici o a disastri naturali, non possono essere
assicurate se non esiste un'attivita' di preparazione continua a
monte dell'evento. Questo e' particolarmente vero per il Servizio
Sanitario, specie nelle grandi citta' ove e' piu' elevato il rischio,
e dove i servizi sono, di norma, gia' saturi di richieste e spesso
troppo rigidi per adattarsi in tempi brevi alle emergenze.
Anche se la risposta ad eventuali attacchi terroristici e ad
altre emergenze non e' solo di competenza del settore sanitario, e'
ovvia la necessita' di preparare e, quando necessario, mobilitare il
servizio sanitario alla cooperazione con le forze di soccorso, di
difesa e di ordine interno, a seconda del caso.
Il sistema di emergenza 118, gli Ospedali e le ASL, i
dipartimenti di prevenzione, i laboratori diagnostici, i Centri
anti-veleni e le Agenzie regionali per l'ambiente, unitamente all'ISS
ed all'ISPESL, sono alcuni dei soggetti che devono collaborare per
sviluppare un'adeguata rete di difesa e protezione sanitaria. In sede
locale, un piano di interventi sanitari contro il terrorismo ed altri
gravi eventi non puo' pertanto che risultare dalla progettualita' di
ciascuna Regione e dall'efficacia e dall'efficienza delle attivita'
svolte dalle diverse articolazioni in ciascuna Azienda Sanitaria.
Per garantire una pronta risposta sanitaria di fronte a possibili
aggressioni terroristiche di natura chimica, fisica e biologica ai
danni del nostro Paese sono state gia' assunte iniziative a livello
centrale e locale, che hanno consentito di superare il primo momento
dell'emergenza.
Fra le iniziative piu' importanti assunte immediatamente a
ridosso dei tragici eventi dell'11 settembre 2001:
e' stata costituita, con Decreto Ministeriale 24 settembre 2001
un'apposita Unita' di crisi che, fra l'altro, ha elaborato il
protocollo operativo per la gestione della minaccia terroristica
derivante da un eventuale uso del bacillo dell'antrace;
sono stati individuati, d'intesa con le Regioni, l'ISS e
l'ISPESL, come Centri di consulenza e supporto, rispettivamente, per
gli eventi di natura biologica e chimico-fisica e per gli ambienti di
lavoro; l'Ospedale L. Sacco di Milano, l'IRCSS L. Spallanzani di
Roma, il Policlinico di Bari e il Presidio Ascoli Tomaselli di
Catania, quali Centri nosocomiali di riferimento per il supporto
clinico nonche' l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Foggia
quale centro di riferimento per il controllo analitico del materiale
sospetto (alla data del 15 febbraio 2002 sono stati analizzati 1876
campioni di materiale sospetto);
e' stato istituito un numero telefonico verde dedicato tanto
agli operatori sanitari quanto ai singoli cittadini che, alla data
del 15 febbraio 2001, ha dato riscontro a 4.239 richieste pervenute;
si e' provveduto al reperimento dei vaccini e altri medicinali
ritenuti essenziali;
si e' fattivamente collaborato in sede UE e G8 al necessario
coordinamento per la costruzione di una elevata capacita' di risposta
sanitaria.
Contestualmente, si e' reso necessario predisporre altre misure
sanitarie utili per far fronte ad altre situazioni ipotizzabili,
stabilendo l'idonea pianificazione degli interventi.
In linea con il Piano nazionale di difesa da attacchi
terroristici di tipo biologico, chimico e radiologico, emanato dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri, e' stato, percio', redatto un
documento di Piano che si articola in due parti: nella prima e' presa
in considerazione la minaccia biologica; nella seconda, e' trattata
la minaccia chimica e radiologica. Ognuna di dette parti puo', a sua
volta, essere considerata come sostanzialmente suddivisa in due
capitoli. Nel primo, di tipo divulgativo, vengono fornite
informazioni sui criteri essenziali per l'identificazione di eventi
dannosi a seguito di atto terroristico, sui siti bersaglio, sugli
aggressivi presumibilmente utilizzabili in tali scenari, sulle
modalita' patogenetiche di detti aggressivi, ipotizzando, in ultimo,
una scala di gravita' riferita alle caratteristiche specifiche di
ciascun aggressivo e rapportata alle varie tipologie di siti
bersaglio ed al numero di individui colpiti; nel secondo, a carattere
eminentemente operativo, vengono enunciate considerazioni di massima
di tipo organizzativo in base alle quali possono essere sviluppate in
sede locale le procedure di intervento piu' idonee. Nell'allegato
sono riportate le schede tecniche relative ad agenti biologici,
chimici e fisici nonche' approfondimenti su alcuni temi
particolarmente critici, che riprendono, sviluppano ed integrano
argomenti ed informazioni gia' esposti nella prima e nella seconda
parte del Piano.
Il documento di Piano, redatto con l'apporto dell'ISS,
dell'ISPESL e della Direzione generale della Sanita' Militare, tiene
conto della linea organizzativa prevista dalle vigenti disposizioni
in materia di gestione delle crisi, che individuano nel Presidente
del Consiglio dei Ministri, nel Consiglio dei Ministri e nel Comitato
Politico Strategico gli organismi decisionali nazionali, nel Nucleo
Politico Militare il massimo organo di coordinamento nazionale, nella
Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile l'organo
di coordinamento tecnico delle attivita' di difesa civile al momento
dell'emergenza e nel Prefetto l'autorita' di coordinamento della
difesa civile a livello periferico. Nel rispetto dell'autonomia
organizzativa e gestionale delle Istituzioni centrali e territoriali
che potrebbero essere chiamate ad attivare operazioni di soccorso ai
cittadini, il documento di Piano vuole offrirsi come un punto di
riferimento per le successive fasi di pianificazione e di messa in
atto, a livello territoriale, delle azioni volte alla tutela della
salute.
Gli obiettivi strategici in questo settore sono sostanzialmente
riconducibili a:
programmare le misure preventive;
definire le misure di sorveglianza, ovvero attivare
preventivamente le funzioni specifiche e modellarle rispetto alla
minaccia;
pianificare le misure di soccorso e trattamento, al fine di
ripristinare le condizioni di salute dei soggetti eventualmente
colpiti, bonificare gli ambienti colpiti e/o i materiali contaminati
nonche' contenere e/o inattivare il rischio residuo;
diffondere la cultura dell'emergenza e migliorare la capacita'
degli operatori a risposte pronte ed adeguate;
incrementare la capacita' informativa a favore della
popolazione (anche attraverso l'accesso al numero telefonico verde),
al fine di accrescere la fiducia del cittadino e la conoscenza dei
comportamenti piu' opportuni da adottare.
Conseguentemente, le principali azioni da realizzare sono:
predisporre piani operativi regionali, articolati in ciascuna
Azienda Sanitaria, che individuino le funzioni da esperire,
specifichino le modalita' di svolgimento ed identifichino i diversi
livelli di responsabilita';
approntare adeguate attrezzature, risorse e protocolli per
affrontare i diversi scenari di emergenza;
adottare procedure operative standard per la risposta a falsi
allarmi;
intensificare l'aggiornamento e la formazione di operatori
sanitari;
sviluppare le indagini epidemiologiche e potenziare il
collegamento e l'integrazione tra diversi sistemi informativi.
4.9 Salute e sicurezza nell'ambiente di lavoro
Una profonda trasformazione delle condizioni di lavoro e' in atto
in tutti i settori lavorativi a causa dell'impiego di nuove
tecnologie e del conseguente cambiamento dei modelli di produzione.
Inoltre la competitivita' del mercato ha determinato la graduale
introduzione di nuovi modelli organizzativi e operativi.
Nel settore della sicurezza e della salute occupazionale cio' sta
determinando la comparsa di nuovi rischi e induce una progressiva
modificazione dei modelli tradizionali di esposizione al rischio.
La mutata organizzazione del lavoro (telelavoro,
esternalizzazione della produzione), la comparsa e il rapido
incremento di nuove tipologie di lavoro flessibile (lavori atipici,
lavoro interinale) e le diverse caratteristiche della forza lavoro,
introducono modifiche nella distribuzione e diffusione dei rischi.
Nel frattempo permangono in numerosi settori lavorativi i rischi
tradizionali, non sempre e non diffusamente risolti.
Negli ultimi anni si e' inoltre profondamente modificata la
normativa di riferimento, con l'avvento delle direttive comunitarie
ed in particolare con il decreto legislativo n. 626 e successive
modifiche che hanno introdotto varie innovazioni nell'organizzazione
della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro ma la cui
applicabilita' non sempre e' risultata agevole, soprattutto nella
Piccola e Media Impresa (PMI). Ciononostante il ruolo centrale
dell'impresa nei processi di valutazione dei rischi e di
organizzazione e gestione della sicurezza e' risultato rafforzato.
Cio' comporta quindi nuove dinamiche anche nei rapporti tra il
sistema delle imprese e quello dello Stato e delle Regioni. Per
quanto concerne il primo, e' necessario che sia completato il
processo di adeguamento alle norme e siano potenziati gli strumenti
della partecipazione previsti dal decreto legislativo n. 626.
Per quanto concerne il sistema pubblico, cui compete il ruolo di
promozione, regolazione, verifica e controllo, si pone l'esigenza di
una strategia di pianificazione e intervento in ordine a una reale
promozione della sicurezza e della salute nelle Piccole e Medie
Imprese. Altrettanto significativa e' la necessita' di una migliore
integrazione con l'attivita' delle Agenzie Regionali per l'ambiente.
Gli infortuni
Il fenomeno infortunistico, nonostante mostri una complessiva
affermazione se osservato sul lungo periodo, appare ancora rilevante
in termini sia di numero di eventi sia di gravita' degli effetti
conseguenti. L'andamento infortunistico dell'anno 2000 mostra una
modesta crescita del numero degli infortuni nell'Industria e Servizi
(+1,2%), con riduzione peraltro degli infortuni mortali, e una
diminuzione in Agricoltura (-7,4%). Tale andamento e' in linea con la
crescita occupazionale registrata nell'ultimo periodo.
I settori a maggior incidenza infortunistica (tenendo conto sia
della frequenza sia della gravita' delle conseguenze), pur con
andamenti non costanti in tutte le regioni, rimangono l'industria del
legno, quella dei metalli, l'industria della trasformazione ed il
settore delle costruzioni.
A conferma di una tendenza degli ultimi anni, una parte assai
rilevante (piu' del 50%) dei 1.354 infortuni mortali e degli
infortuni particolarmente gravi e' stata legata a mezzi di trasporto
e ad incidenti stradali.
Per quel che riguarda il 2001, i dati relativi al primo
trimestre, mostrano un ulteriore crescita degli infortuni
nell'industria e nei servizi, in prevalenza nella popolazione
femminile. Permane il decremento generalizzato in agricoltura.
Altro aspetto rilevante e' quello relativo alla sicurezza dei
lavoratori in «nero». Applicando gli indici infortunistici della
popolazione regolarmente occupata ai dati ISTAT sull'occupazione non
regolare (anno '97) e' stato stimato che il numero degli infortuni
nel «sommerso» sia pari a 165.000 casi. Tale stima appare
conservativa in quanto e' presumibile che le attivita' non regolari
vengano svolte senza alcuna applicazione delle norme di prevenzione.
I dati relativi agli infortuni, su base regionale mostrano il
seguente andamento (Tab. 2):
Tabella 2
Frequenze relative di infortunio (x 1.000 addetti) per
regione e tipo di conseguenza (media triennio 1997-1999)
=====================================================================
Tipo di conseguenza
=====================================================================
| Inabilita' | |
Regioni | temporanea |Inabilita' permanente|Morte
=====================================================================
Industria e Servizi | | |
---------------------------------------------------------------------
Umbria | 52.92 | 3.82 |0.08
---------------------------------------------------------------------
Emilia | 49.63 | 2.21 |0.09
---------------------------------------------------------------------
Marche | 48.81 | 3.01 |0.10
---------------------------------------------------------------------
Friuli-Venezia | | |
Giulia | 49.12 | 2.10 |0.09
---------------------------------------------------------------------
Basilicata | 46.94 | 2.80 |0.14
---------------------------------------------------------------------
Veneto | 47.90 | 1.60 |0.09
---------------------------------------------------------------------
Abruzzo | 43.83 | 2.55 |0.12
---------------------------------------------------------------------
Liguria | 42.57 | 2.69 |0.06
---------------------------------------------------------------------
Puglia | 42.27 | 2.83 |0.15
---------------------------------------------------------------------
Toscana | 41.53 | 2.44 |0.08
---------------------------------------------------------------------
Trentino-Alto Adige | 41.36 | 1.74 |0.07
---------------------------------------------------------------------
Molise | 37.83 | 2.43 |0.15
---------------------------------------------------------------------
Sardegna | 34.81 | 2.21 |0.12
---------------------------------------------------------------------
Valle d'Aosta | 33.92 | 1.51 |0.11
---------------------------------------------------------------------
Piemonte | 33.69 | 1.44 |0.07
---------------------------------------------------------------------
Lombardia | 33.07 | 1.40 |0.06
---------------------------------------------------------------------
Calabria | 28.89 | 2.38 |0.14
---------------------------------------------------------------------
Sicilia | 26.64 | 1.92 |0.10
---------------------------------------------------------------------
Campania | 25.12 | 2.55 |0.13
---------------------------------------------------------------------
Lazio | 25.45 | 1.41 |0.07
---------------------------------------------------------------------
Italia | 37.99 | 1.90 |0.09
Le malattie professionali
Per quanto riguarda le malattie professionali, la loro
valutazione include un rapporto stretto tra lo studio dei rischi
attuali e pregressi e le tendenze in atto nelle patologie legate al
lavoro.
Accanto alle patologie da rischi noti (prevalentemente in
attenuazione), acquistano sempre maggior rilievo le patologie da
rischi emergenti, non necessariamente legate a rischi nuovi, rispetto
alle quali sono iniziati approfondimenti soprattutto negli ultimi
anni. Tra queste si segnalano le patologie dell'arto superiore da
sovraccarico meccanico, le patologie da fattori psico-sociali
associate a stress e la cancerogenesi professionale Tab. 3). Per
quanto riguarda quest'ultima, il recente studio multicentrico europeo
CAREX stima che i lavoratori potenzialmente esposti in Italia a
sostanze cancerogene siano pari al 24% degli occupati, ed e' stimato
in 160.000 il numero di morti per anno dovute a cancro e correlabili
a esposizioni lavorative.
Tabella 3a
Patologie da rischi noti
=====================================================================
Industria | Agricoltura
=====================================================================
Ipoacusie da rumore |Broncopneumopatie
Malattie cutanee |Asma bronchiale
Pneumoconiosi |Alveoliti allergiche
Tabella 3b
Patologie da rischi emergenti
Patologie dell'arto superiore da sovraccarico meccanico
Patologie da fattori psico-sociali associate a stress (burn-out,
mobbing, alterazioni delle difese immunitarie e patologie
cardiovascolari)
Patologie da sensibilizzazione
Patologie da agenti biologici
Patologie da composti chimici (effetti riproduttivi e cancerogeni)
Tumori di origine professionale
Effetti sulla salute dei fattori organizzativi del lavoro
Obiettivi:
riduzione dei rischi per la sicurezza in particolare in quei
settori contrassegnati da un maggior numero di eventi infortunistici
e da una maggiore gravita' degli effetti;
riduzione dei rischi per la salute e progressivo miglioramento
delle condizioni di lavoro;
riduzione dei costi umani ed economici conseguenti ai danni
alla salute dei lavoratori;
riordino, coordinamento e semplificazione in un testo unico
delle norme vigenti in materia di igiene e la sicurezza del lavoro,
nel rispetto delle normative comunitarie e delle prerogative
regionali, al fine dello snellimento delle procedure di applicazione;
promozione di linee guida per l'applicazione della normativa in
settori specifici (PMI, agricoltura, lavori atipici);
potenziamento e coordinamento delle attivita' di prevenzione e
vigilanza rispetto ai processi ed alle procedure di lavoro anche
attraverso il monitoraggio dell'applicazione del decreto legislativo
n. 626;
programmazione delle priorita' d'intervento nei settori piu' a
rischio in funzione degli studi epidemiologici e dei dati provenienti
da un adeguato sistema informativo;
attuazione di programmi per il contrasto del lavoro sommerso e
la tutela della sicurezza e la salute sul lavoro degli impiegati in
lavori atipici;
azioni per la specificita' di genere sul lavoro a tutela delle
lavoratrici;
azioni per l'inserimento o reinserimento lavorativo di
particolari tipologie di lavoratori come i minori, i disabili, i
tossicodipendenti, gli immigrati;
integrazione dei sistemi informativi;
azioni per la formazione dei soggetti deputati alla attuazione
della sicurezza nei luoghi di lavoro (datori di lavoro, addetti alla
sicurezza, medici competenti rappresentanti dei lavoratori) ivi
compreso il personale del Servizio Sanitario Nazionale addetto alla
prevenzione e vigilanza nei luoghi di lavoro;
promozione di programmi di formazione nella scuola;
miglioramento progressivo dei processi di verifica della
qualita' e dell'efficacia delle azioni di prevenzione basata
sull'evidenza;
miglioramento dell'accertamento e dell'evidenziazione delle
malattie professionali;
individuazione di strumenti adeguati di carattere informativo,
tecnico ed economico per la corretta implementazione delle norme.
5. La sicurezza alimentare e la sanita' veterinaria
L'impatto della globalizzazione dei mercati sia sulla sicurezza
degli alimenti sia sulla salute delle popolazioni animali e' stato
considerevole. Il sistema Italia ha registrato notevoli difficolta'
di adattamento rispetto agli scenari che si sono venuti delineando in
seguito alla stipula dell'Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie (Accordo SPS) nell'ambito dell'Organizzazione Mondiale
del Commercio. Questi accordi hanno modificato de facto in modo
radicale una serie di impostazioni tradizionali nella gestione della
sicurezza igienico-sanitaria. Tali difficolta' sono, per certi
aspetti, comuni a tutta l'Unione europea, ma in Italia l'adattamento
e' risultato, sotto diversi aspetti, piu' difficile.
Molte energie sono state assorbite dalla necessita' di gestire
una serie di emergenze che si sono succedute negli ultimi anni.
Zoonosi causate da nuovi patogeni ed, in particolare, l'encefalopatia
spongiforme bovina (BSE) hanno costituito un serio problema negli
ultimi anni in Italia e in numerosi altri Stati europei. Altre
recenti crisi sanitarie hanno investito il sistema
agrozootecnico-alimentare, quali la contaminazione da PCB, diossina e
altre sostanze chimiche, nonche' la febbre catarrale degli ovini, la
peste suina classica e l'influenza aviaria.
Nonostante i successi registrati nel fronteggiare questi ed altri
problemi, la realizzazione di una rete di sorveglianza epidemiologica
nazionale (come componente primaria di una politica di gestione del
rischio adeguata alla sfida posta dall'internazionalizzazione dei
mercati), malgrado l'impegno profuso da parte di diverse componenti
del sistema di Sanita' pubblica veterinaria nazionale, non e' ancora
sufficientemente sviluppata.
Una politica di sicurezza degli alimenti, soprattutto per un
Paese come l'Italia, che e' membro della Unione Europea e forte
importatore sia di animali e loro derivati sia di vegetali da tutto
il mondo, deve assumere come riferimento imprescindibile la realta'
del mercato globale delle materie prime e dei prodotti trasformati.
Inoltre, le grandi trasformazioni dei sistemi di produzione e
distribuzione degli alimenti richiedono anche sul piano nazionale e
locale che i metodi e l'organizzazione dei controlli si rinnovino e
si adeguino continuamente.
Il controllo igienico-sanitario degli alimenti, in un contesto di
questo tipo, assume connotati completamente diversi rispetto alla
realta' esistente fino alla meta' degli anni '90. In particolare, i
controlli non sono piu' concentrati sul prodotto, ma sono distribuiti
lungo tutto il processo di produzione «dall'aratro al piatto» e le
garanzie date dal produttore sono parte non esclusiva, ma certamente
determinante del sistema della sicurezza.
In questo senso deve essere inquadrato il recente accordo tra il
Ministro della Salute e la Federazione Italiana Pubblici Esercizi -
Confcommercio, che ha portato alla elaborazione di Linee Guida per la
Certificazione delle imprese di somministrazione di alimenti e
bevande, con l'obiettivo di garantire una maggiore e piu' diffusa
sicurezza alimentare. L'accordo prevede che le aziende di
ristorazione commerciale e collettiva si sottopongano ad una
periodica verifica di conformita' da parte di organismi accreditati,
al cui superamento consegue il rilascio di un marchio, denominato
«Bollino Blu»: questo certifica il rispetto dei requisiti di
sicurezza alimentare e di igiene sanciti dall'accordo, nonche'
l'attivazione della Carta dei Servizi nel cui contesto rientra
l'informazione puntale sugli alimenti nonche' la disponibilita' ad
adattare le preparazioni a corretti stili di vita per la prevenzione
delle malattie metaboliche e delle intolleranze alimentari.
La sicurezza degli alimenti, pertanto, assume in concreto una
dimensione internazionale e puo' essere assicurata solo attraverso
un'azione che non solo si basi su accordi commerciali bi- o
multi-laterali, ma sia capace di influire sulle istanze comunitarie
ed internazionali dove si discutono e si approvano le norme che
regolano la sicurezza e la tutela igienico-sanitaria, degli scambi di
animali, vegetali e prodotti derivati. Paradossalmente, a fronte di
una sempre piu' marcata domanda di autonomia istituzionale dei
livelli locali dei sistemi di controllo, la sicurezza degli alimenti
diventa sempre piu' dipendente dalla capacita' di azione a livello
internazionale.
Per l'Italia che fonda parte importante del successo economico
delle proprie imprese agro-alimentari sulla capacita' di trasformare
materie prime nazionali e di importazione in prodotti di alto pregio
qualitativo da collocare sul mercato dei Paesi piu' avanzati, la
capacita' di assicurare alti livelli di sicurezza delle filiere
produttive diventa non solo elemento determinante per la sicurezza
dei propri consumatori, ma anche per lo sviluppo economico. La
mancanza o la percezione di mancanza di sicurezza igienico-sanitaria
degli alimenti puo' indurre, infatti, sconvolgimenti profondi del
mercato agro-alimentare. La mancanza di fiducia dei consumatori, nel
contesto di una forte competizione, puo' portare a perdite
significative di quote di mercato.
Il sistema dei controlli deve assicurare nel concreto delle
azioni quotidiane la qualita' dei processi, dalla produzione delle
materie prime alla somministrazione, per consentire la libera
circolazione delle merci e la concorrenza sui mercati. In
particolare, i pericoli insiti nei sistemi di produzione devono
essere individuati e eliminati o minimizzati mediante processi
trasparenti e documentati di analisi e gestione del rischio secondo
le norme internazionali e comunitarie che regolano in modo molto
puntuale il controllo della sicurezza degli alimenti, della salute e
del benessere degli animali.
La strategia e gli obiettivi da perseguire, in materia di
sicurezza degli alimenti e delle popolazioni animali, dunque, devono
necessariamente tener conto del contesto internazionale, comunitario
e nazionale. Essi, pertanto, da un lato devono essere tali da
garantire che i fornitori comunitari ed internazionali di animali,
materie prime e prodotti, operino secondo criteri di sicurezza
equivalenti a quelli attesi dai produttori e consumatori italiani.
Dall'altro, l'Italia deve essere in grado di garantire ai consumatori
nazionali ed a quelli dei Paesi che importano le derrate alimentari
prodotte in Italia livelli di sicurezza omogenei del piu' alto
tenore, su tutto il territorio nazionale.
La sicurezza degli alimenti oggi puo' essere assicurata solo
attraverso azioni di prevenzione, eliminazione e mitigazione del
rischio che iniziano nella fase di produzione agricola e si estendono
in modo integrato nelle fasi di trasformazione, distribuzione,
conservazione e somministrazione. Livelli di sicurezza adeguati non
sono raggiungibili se non si adottano misure operative integrate
concertate e verificate a livello internazionale, comunitario,
nazionale e locale.
Gli obiettivi prioritari sono i seguenti:
definire una politica della sicurezza degli alimenti e della
salute e del benessere degli animali basata sulla valutazione e la
gestione del rischio che consenta di uscire gradualmente dalla logica
dell'emergenza, realizzando una politica fondata su obbiettivi di
sicurezza e di salute misurabili e verificati;
ridurre i rischi connessi al consumo degli alimenti ed alle
zoonosi, assicurando alti livelli di sicurezza igienico-sanitaria
degli alimenti ai consumatori italiani;
ridurre l'incidenza delle zoonosi e delle malattie diffusive
nelle popolazioni degli animali domestici, con particolare
riferimento alle infezioni della lista A dell'OIE, alla brucellosi
bovina, ovi-caprina e bufalina ed alla tubercolosi, nonche' alle
encefalopatie spongiformi trasmissibili.
Il perseguimento degli obiettivi posti richiede l'attenzione agli
strumenti organizzativi e l'attuazione di numerosi programmi
operativi. In particolare, e' necessario garantire un sistema che:
fornisca la consulenza ed il supporto tecnico e scientifico per
le attivita' di pianificazione e legislazione nei settori che hanno
un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti
destinati all'uomo ed agli animali, nonche' sulla salute ed il
benessere degli animali;
rappresenti l'interfaccia operativa nazionale dell'Autorita'
europea degli alimenti, che ha visto l'avvio con l'inizio del 2002, e
costituisce un importante modello di coordinamento istituzionale dei
diversi soggetti tenuti a collaborare in vista del raggiungimento
dell'obiettivo di sicurezza alimentare nell'Unione Europea.
All'Autorita' europea, soggetto indipendente che agisce secondo il
principio dell'elevata qualita' scientifica e della trasparenza, e'
attribuito il compito fondamentale dell'analisi scientifica del
rischio su cui fondare le decisioni politiche e amministrative.
L'Autorita' Europea cura in particolare l'analisi scientifica e la
valutazione del rischio, la comunicazione del rischio per consentire
una chiara comprensione dello stesso e delle implicazioni sottostanti
e il sistema di allerta;
raccolga e analizzi i dati che permettono la caratterizzazione
ed il monitoraggio dei rischi per la sicurezza alimentare che hanno
un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti
destinati all'uomo ed agli animali e sulla salute ed il benessere di
questi ultimi;
assicuri le analisi e valutazioni scientifiche che servono come
base scientifica per l'azione legislativa e regolamentare nei campi
della sicurezza degli alimenti, della salute e del benessere degli
animali;
realizzi un sistema di auditing per la verifica dell'efficacia
del sistema nazionale del controllo ufficiale degli alimenti e delle
popolazioni animali, conformemente ai requisiti stabiliti da norme
riconosciute a livello internazionale (OIE, Codex, ISO EN) che
permettono di misurare la qualita' del servizio/prodotto;
organizzi un sistema per la gestione delle emergenze
veterinarie, soprattutto per quelle ad andamento prevalentemente
diffusivo, coordinato a livello nazionale ed in grado di mobilitare
le risorse necessarie ove occorrano, nei tempi e nei modi adeguati
alle esigenze. Particolare attenzione dovra' essere rivolta agli
strumenti di mobilitazione delle risorse umane ed al reperimento
delle attrezzature necessarie, anche, ove indispensabile, mediante la
mobilitazione della protezione civile ed ai sistemi di abbattimento e
distruzione delle carcasse animali;
migliori in modo significativo il sistema di sorveglianza
epidemiologica nazionale nel settore della sicurezza degli alimenti,
della salute e del benessere degli animali e delle zoonosi,
attui concretamente un programma di formazione straordinario
per favorire la realizzazione di sistemi di gestione ed assicurazione
della qualita' nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale e
assumere comportamenti che assicurino omogeneita' di prestazioni su
tutto il territorio nazionale. In particolare deve essere assicurato
l'accreditamento dei servizi di Sanita' pubblica secondo norme di
assicurazione della qualita' riconosciute a livello internazionale.
L'accreditamento e' indispensabile per poter continuare nel
medio-lungo termine le attivita' di certificazione, indispensabili
per la libera circolazione degli animali e degli alimenti in ambito
internazionale. Le attivita' di formazione devono, inoltre, essere
indirizzate all'introduzione e utilizzazione della sorveglianza
epidemiologica e dell'analisi del rischio.
Nel settore della sicurezza alimentare, piu' che in molti altri
settori, il raggiungimento degli obbiettivi posti e' fortemente
condizionato dal contesto internazionale e comunitario. E'
indispensabile, pertanto, creare le condizioni, sia a livello
nazionale che a livello comunitario ed internazionale, che consentano
il perseguimento degli obbiettivi e delle azioni identificate. In
particolare:
gli obiettivi di sicurezza degli alimenti e di salute e
benessere degli animali devono essere individuati in modo esplicito e
trasparente e verificati sistematicamente, assicurando l'efficace
integrazione del controllo pubblico con l'effettiva attribuzione di
responsabilita' agli operatori economici della produzione primaria,
della trasformazione, e del commercio degli alimenti;
l'attuale revisione delle politiche di sicurezza degli
alimenti, in ambito dell'Unione Europea deve tenere conto delle
peculiarita' del sistema di produzione agro-alimentare dell'Italia;
la partecipazione dell'Italia alle attivita' delle
Organizzazioni internazionali che operano nel campo della sicurezza
degli alimenti e della salute e al benessere degli animali deve
essere rafforzata;
la collaborazione dell'Italia con i Paesi dai quali il sistema
agro-industriale italiano si approvvigiona, deve essere rafforzata,
dando alla cooperazione internazionale un ruolo piu' importante ed
organico.
6. La salute e il sociale
Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, puo'
soddisfare a pieno la propria missione se non e' rispettoso dei
principi fondamentali di solidarieta' sociale e di integrazione
socio-sanitaria.
6.1. Le fasce di poverta' e di emarginazione
Numerosi studi hanno documentato che la mortalita' in Italia,
come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale.
Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalita' non si
riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini
adulti.
Effetti diretti della poverta' e dell'emarginazione sono
misurabili sulla mortalita' delle persone e delle famiglie assistite
dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali,
dipendenze, poverta', disoccupazione), che in alcune zone presentano
uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e
7 per le donne, rispetto al resto della popolazione.
Le cause di morte e di malattia piu' frequentemente associate
alle differenze sociali sono quelle correlate alle dipendenze e al
disagio sociale (droga, alcool e fumo), quelle legate a storie di
vita particolarmente svantaggiate (malattie respiratorie e tumori
allo stomaco), quelle che hanno a che fare con la prevenzione nei
luoghi di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la
scarsa qualita' dell'assistenza sanitaria (morti evitabili) e, in
minore misura, quelle ischemiche del cuore.
Un'associazione con la condizione socio-economica, misurata in
base al livello d'istruzione della madre, e' stata osservata anche
per il peso alla nascita; la probabilita' di mettere al mondo un
bambino sotto peso risulta 1,5 volte maggiore per le madri con un
basso livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri
con un livello di studi universitari.
Per quanto riguarda il ruolo del sistema sanitario sono
documentati svantaggi sociali sia nell'accesso alla prevenzione
primaria e alla diagnosi precoce, sia nell'accesso a cure tempestive
ed appropriate. Per quanto riguarda la prevenzione primaria si
possono citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud d'Italia nella
prevenzione della carie dentaria e nella pratica delle vaccinazioni
obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi.
Nel campo della prevenzione secondaria occorre ricordare il
minore ricorso allo screening dei tumori femminili delle donne meno
istruite.
Rispetto all'accesso alle cure, merita ricordare le
diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a favore delle sedi che
dispongono di strutture sanitarie in grado di erogare trattamenti
piu' efficaci.
Altri indizi di discriminazione sono ricavabili dall'esame
dell'accesso al by-pass coronarico o alle cure per l'AIDS, o del
ricorso ad una ospedalizzazione inappropriata, che risultano a
vantaggio delle persone di piu' alto stato sociale.
In generale, i gruppi di popolazione che meritano piu'
attenzione, per gli svantaggi sociali che li caratterizzano sono: i
bambini e i ragazzi poveri (0-18 anni), gli anziani poveri (piu' di
65 anni), le madri sole con figli a carico, i disoccupati di lunga
durata (piu' di un anno), i disoccupati giovani (15-24 anni), gli
stranieri immigrati da Paesi poveri a forte pressione migratoria, i
tossicodipendenti, gli alcoolisti e i senza fissa dimora, cioe' da un
lato i gruppi che sono piu' esposti alla marginalita' sociale (si
tratta di bambini, adulti e anziani in difficolta' e in poverta),
dall'altro gli emarginati estremi (i senza fissa dimora), e nel mezzo
le categorie come quelle delle persone affette da una dipendenza (gli
alcoolisti o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri immigrati
che cercano di inserirsi nella societa' italiana con un nuovo
progetto di vita.
Secondo gli obiettivi adottati dall'OMS nel 1999, il divario
nella salute tra diversi gruppi socio-economici dovrebbe essere
ridotto, entro l'anno 2020, di almeno un quarto. In particolare il
divario in termini di aspettativa di vita tra i vari gruppi
socio-economici dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori
dei principali indicatori di morbilita', disabilita' e mortalita' nei
diversi gruppi socio-economici dovrebbero essere distribuiti piu'
uniformemente. Inoltre, dovrebbero essere migliorate le condizioni
socio-economiche che possono produrre effetti dannosi per la salute,
quali il basso reddito, bassi livelli di istruzione e limitato
accesso al mondo del lavoro, cosi' da ridurre la percentuale di
persone che vivono in poverta'. Infine, i soggetti che hanno bisogni
speciali, in ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero
essere protetti dall'esclusione e fruire di un agevole accesso a cure
appropriate.
Le azioni prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano
in primo luogo gli interventi sulle cause che generano le
disuguaglianze nella salute soprattutto per quanto riguarda i bambini
in poverta' e le madri sole con figli a carico, i disoccupati, gli
stranieri immigrati ed altri gruppi.
E' ben noto che la lotta alla poverta' e' uno degli strumenti
piu' efficaci per migliorare lo stato di salute. Si tratta, quindi,
di misure di carattere sociale tipiche dello Stato assistenziale per
contrastare la poverta' le quali non rientrano direttamente nella
competenza del Servizio Sanitario Nazionale. E', quindi, molto
importante l'efficace collegamento delle politiche finalizzate alla
riduzione delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla
poverta' con le politiche di sviluppo economico e sociale.
Nell'ambito piu' specificamente sanitario si tratta, in
particolare, di assicurare l'accesso ai servizi sanitari superando,
attraverso idonee modifiche organizzative ed appositi programmi di
attivita', le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi, linguistiche
che si frappongono alla fruibilita' dei servizi sanitari. Specifici
programmi di formazione e obiettivi di qualita' per il personale
addetto sono auspicabili.
Un'altra serie di interventi di carattere piu' strettamente
sanitario riguarda quelli finalizzati al contenimento dei danni delle
disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e i soggetti dipendenti
da sostanze o alcool), nonche' ad interrompere i processi di
esclusione che nascono da problemi di salute, quali
l'istituzionalizzazione degli anziani poveri e la segregazione dei
malati poveri.
Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi
e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati
cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di
vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute
(Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 6.3);
(iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 6.4); e (v) salute degli
immigrati (Parte II, Sezione 6.6). Prezioso in tale ambito e
specialmente per l'assistenza dei senza fissa dimora, e' la
collaborazione tra le strutture del Servizio Sanitario Nazionale e le
Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore
flessibilita' e capacita' di integrazione con questo gruppo di
emarginati. La messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed
intersettoriale per facilitare azioni congiunte e' fortemente
auspicabile.
Infine, e' molto importante continuare l'approfondimento dei
determinanti sociali, economici ed ambientali piu' direttamente
collegati con i problemi della salute, associati alla poverta', e la
sistematica valutazione delle diverse iniziative ed opportunita' per
alleviare o rimuovere le difficolta' esistenti.
6.2. La salute del neonato, del bambino e dell'adolescente
Premesso che il Progetto Obiettivo Materno-Infantile del PSN
1998-2000 ancora non ha avuto piena applicazione, pur conservando in
linea di massima la sua validita', vengono focalizzati in questo
capitolo solo alcuni aspetti che riguardano la salute del bambino.
Dal 1975 ad oggi il tasso di mortalita' infantile (morti entro il
primo anno di vita per 1.000 nati vivi) in Italia e' sceso di piu'
del 76%, dal 20,5 del 1975 al 4,9/1.000 del 1999. Si tratta di uno
dei piu' significativi miglioramenti registrati nell'Europa
occidentale durante questo periodo. Tuttavia vi sono ancora notevoli
differenze tra le Regioni italiane: in alcune Regioni meridionali
(Puglia, Sicilia, Basilicata) il tasso di mortalita' infantile nel
1999 era di 7,33/1.000 nati vivi, rispetto al 3,0 delle Regioni con
il tasso di mortalita' piu' basso (Friuli-Venezia Giulia, Liguria,
Lombardia). La mortalita' neonatale (entro le prime quattro settimane
di vita, ed in particolare entro la prima) piu' elevata nelle Regioni
del Centro-Sud, e' responsabile della maggior parte di tale
mortalita'.
Obiettivo fondamentale e' quindi innanzitutto ridurre le
disparita' regionali nei tassi di mortalita' neonatale, avvicinando
la media nazionale a quella della regione con indice di mortalita'
piu' basso. Per quanto riguarda la mortalita' nel primo anno di vita,
le malformazioni congenite rappresentano, insieme alla prematurita',
l'83% di tutte le cause. Confronti sulla base dei registri della
popolazione in alcune aree d'Italia che partecipano alla rete EUROCAT
(«European Registration of Congenital Anomalies»), indicano che il
tasso di malformazioni congenite in Italia e' simile a quello di
altre aree d'Europa.
Nella valutazione dello stato di salute della popolazione
infantile un importante indicatore e' il peso alla nascita dei
neonati a termine. Esso e' influenzato dallo stato sociale e da altri
fattori come il fumo. In Italia il tasso di basso peso alla nascita
nel 1995 era del 4,7% (4,1% maschi e 5,3% femmine, dati ISTAT).
L'incidenza di basso peso alla nascita non e' cambiata in maniera
significativa nel corso degli ultimi 15 anni.
Per raggiungere l'obiettivo adottato dall'OMS per l'anno 2020, la
prevalenza dei bambini sottopeso alla nascita dovrebbe diminuire al
valore globale di 3,8% (3,3% per i maschi e 4,2% per le femmine).
La tutela della salute del prodotto del concepimento deve
iniziare gia' in epoca preconcezionale e deve realizzarsi gia' con il
coinvolgimento dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta,
della scuola, dei centri di aggregazione sociale e dei mezzi di
comunicazione di massa.
La promozione della salute consiste nel dare corrette
informazioni sul possibile rischio genetico, sulla contraccezione,
sulla necessita' di abolire il fumo, l'alcool e le droghe, sulle
problematiche della nutrizione, sulla necessita' di profilassi con
acido folico e di un supporto sociale ed emozionale tempestivo. Vanno
inoltre date precise informazioni sull'esistenza nel territorio di
reparti e centri ostetrici-neonatologici specificamente indirizzati
all'assistenza delle gravidanze normali e ad alto rischio.
Infatti, un fattore molto importante per prevenire le patologie
del prodotto del concepimento e' certamente la promozione
dell'assistenza preconcezionale al fine di ridurre i fattori di
rischio ed in particolare la prematurita'. L'educazione a
comportamenti corretti in gravidanza, soprattutto per quanto riguarda
il fumo, e' a tal riguardo di fondamentale importanza. Esistono,
inoltre, molte disuguaglianze sul piano organizzativo e gestionale
nelle strutture dove avviene la nascita e questo pesa negativamente
sulla mortalita' perinatale e sugli esiti a distanza (handicap).
Occorre anche ridurre le morti improvvise in culla, prima causa
di mortalita' infantile dopo la prima settimana di vita, attraverso
campagne informative atte a ridurre i fattori di rischio.
Per quanto riguarda il gruppo di eta' tra 1 e 14 anni, il tasso
di mortalita' ha mostrato un importante declino negli ultimi 25 anni,
da 49,9/100.000 all'attuale 19,7. Le maggiori cause di morte in
questo gruppo di eta' sono gli incidenti (5/100.000) e il cancro
(5/100.000). Le differenze geografiche riscontrate in Italia nel 1997
indicano una mortalita' piu' elevata (+14% circa) al Sud che al Nord.
L'obiettivo della riduzione della mortalita' per incidenti, sia
domestici che stradali, deve prevedere misure legislative, di
controllo, ed una forte campagna di prevenzione con misure di
educazione stradale e di sicurezza in casa e nelle scuole.
Le condizioni morbose croniche prevalenti nei bambini e negli
adolescenti sia in Italia che nel resto dell'Europa, con un andamento
in continua crescita, sono l'asma e l'obesita'. E' significativo che
le due condizioni morbose piu' frequenti siano legate a problematiche
ambientali e a comportamenti alimentari errati, rispettivamente: la
prevenzione, in termini di salvaguardia ambientale (con lotta
all'inquinamento e al fumo passivo) e di educazione alimentare nella
popolazione, deve essere l'obiettivo fondamentale della politica
sanitaria per l'immediato futuro.
In Italia si riscontra una bassa percentuale di gravidanze in
eta' adolescenziale (2,25%), paragonabile ai tassi osservati in altri
Paesi europei quali Germania, Danimarca, Finlandia, Svezia e Francia.
I dati riguardanti le Regioni italiane relativi al 1995 mostrano
marcate differenze geografiche: nelle Regioni meridionali si registra
una percentuale piu' elevata di gravidanze in eta' adolescenziale in
confronto alle Regioni del Nord anche se questo avviene nel contesto
di unioni legali.
Obiettivo di questo settore dovra' essere la prevenzione primaria
delle gravidanze non desiderate in eta' adolescenziale con una
appropriata educazione sessuale, che deve vedere coinvolti tutti gli
educatori e il personale sociosanitario, accanto alle famiglie,
nell'ambito di un progetto di educazione volto alla procreazione
responsabile e alla prevenzione delle malattie trasmissibili per via
sessuale.
La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentativi di
razionalizzazione, appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad
altri Paesi europei, con un numero di strutture pari a 504 nell'anno
1999, mentre la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un
bambino e' garantita nel 50% degli Ospedali, l'attivita' di pronto
soccorso pediatrico e' presente solo nel 30% degli Ospedali. La
guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il
parto e' garantita solo nel 45% dei reparti. Inoltre, malgrado la
forte diminuzione della natalita', il numero dei punti nascita e'
ancora molto elevato, 605 in strutture pubbliche o private
accreditate: tra queste poco meno della meta' ha meno di 500 parti
all'anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese.
L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di
una continuita' assistenziale sul territorio, ha determinato, nel
1999 un tasso di ospedalizzazione del 119 %, un valore
significativamente piu' elevato rispetto a quello dei Paesi europei,
quali ad esempio il Regno Unito (51 %) e la Spagna (60 %). E'
necessario aggiungere che i fattori sopra indicati hanno una
distribuzione geografica diversa, e sono tra i piu' importanti
determinanti delle differenze interregionali nei tassi di mortalita'
infantile e neonatale a sfavore delle Regioni del Sud, anche sulla
base di differenti sistemi organizzativi e gestionali delle unita'
operative pediatriche.
Gli stessi fattori condizionano anche l'elevato numero di parti
per taglio cesareo nel nostro Paese, ben il 33% nel 1999, piu'
frequenti nelle strutture del Centro-Sud con un basso numero di nati,
fino a raggiungere in Campania il 51%, mentre le Regioni Trentino
Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia hanno una percentuale di parti per
taglio cesareo pari al 20%, valori di poco superiori a quelli
riportati dalla maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea. Fattori
economici relativi al sistema di rimborso delle prestazioni come
anche fattori organizzativi del sistema sanitario hanno contribuito
in questi anni ad incrementare il ricorso al parto cesareo, a scapito
di quello per via naturale.
Peraltro, va notato che la pratica del parto indolore ancora non
e' garantita in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale, e cio'
induce alcune gravide ad effettuare parto cesareo o a recarsi
all'estero per partorire.
Malgrado la Convenzione Internazionale di New York e la Carta
Europea dei bambini degenti in ospedale (con la risoluzione del
Parlamento Europeo del 1986), ancora piu' del 30% dei pazienti in
eta' evolutiva viene ricoverato in reparti per adulti e non in area
pediatrica. L'area pediatrica e' «l'ambiente in cui il Servizio
Sanitario Nazionale si prende cura della salute dell'infanzia con
caratteristiche peculiari per il neonato, il bambino e
l'adolescente».
Gli obiettivi strategici:
attivare i programmi specifici per la protezione della maternita'
e migliorare l'assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel
periodo perinatale;
educare alla salute e all'igiene i giovani e le famiglie, col
contributo essenziale della scuola e degli enti territoriali e dei
servizi socio-assistenziali competenti con particolare riguardo alla
prevenzione dei maltrattamenti, abusi e sfruttamento minorile,
dell'obesita', delle malattie sessualmente trasmesse, con particolare
riguardo alla prevenzione della tossicodipendenza, e degli infortuni
ed incidenti;
valorizzare la centralita' di ruolo del pediatra di libera scelta
e del medico di base nella definizione di percorsi
diagnostico-terapeutici e la sua funzione di educazione sanitaria
individuale;
attivare in ogni Regione il Servizio di trasporto di emergenza
dei neonati e delle gestanti a rischio;
ridurre il tasso di ospedalizzazione con l'obiettivo di ridurlo
del 10% per anno;
elaborare Linee Guida e percorsi diagnostico-terapeutici
condivisi anche in ambito locale con particolare attenzione alle
patologie che comportano il maggior numero di ricoveri in eta'
pediatrica e alle patologie chirurgiche piu' a rischio di interventi
inappropriati;
diminuire la frequenza dei parti per taglio cesareo, e ridurre le
forti differenze regionali attualmente esistenti, arrivando entro il
triennio ad un valore nazionale pari al 20%, in linea con i valori
medi degli altri Paesi europei, anche tramite una revisione dei DRG
relativi;
ottimizzare il numero dei punti nascita;
riqualificare i consultori-ambulatori che operino sul
territorio ed in ospedale gia' in epoca preconcezionale per una
promozione attiva di tutte le iniziative atte a ridurre i rischi
durante la gravidanza;
promuovere campagne informative rivolte alle gestanti e alle
puerpere sulle norme comportamentali di prevenzione quali la
promozione dell'allattamento al seno, l'estensione delle
vaccinazioni, il corretto trasporto in auto del bambino, ricordando
l'importanza della prevenzione della morte in culla del lattante:
posizione nel sonno supina, evitare il fumo di sigaretta e
temperature ambientali elevate.
6.3. La salute mentale
I problemi relativi alla salute mentale rivestono, in tutti i
Paesi industrializzati, un'importanza crescente, perche' la loro
prevalenza mostra un trend in aumento e perche' ad essi si associa un
elevato carico di disabilita' e di costi economici e sociali, che
pesa sui pazienti, sui loro familiari e sulla collettivita'.
Numerose evidenze tratte dalla letteratura scientifica
internazionale segnalano che nell'arco di un anno il 20% circa della
popolazione adulta presenta uno o piu' dei disturbi mentali elencati
nella Classificazione Internazionale delle Malattie
dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'.
Tra i disturbi mentali piu' frequenti vi sono i disturbi d'ansia,
il cui tasso di prevalenza supera il 15%, con un incremento degli
attacchi di panico e delle forme ossessivo-compulsive.
La depressione nelle sue varie forme cliniche colpisce tutte le
fasce d'eta' e il tasso di prevalenza supera il 10%. Spesso
depressione e disturbi d'ansia coesistono. Significativa anche la
prevalenza dei disturbi della personalita' e dei disturbi
dell'alimentazione (anoressia e bulimia). Il tasso di prevalenza
delle psicosi schizofreniche, che rappresentano senza dubbio uno dei
piu' gravi disturbi mentali, e' pari a circa lo 0,5%.
Occorre considerare, inoltre, i disturbi mentali che affliggono
la popolazione anziana, soprattutto le demenze nelle loro diverse
espressioni. Va segnalata, infine, la complessa problematica relativa
alle condizioni di comorbidita' tra disturbi psichiatrici e disturbi
da abuso di sostanze e tra disturbi psichiatrici e patologie
organiche (con particolare riferimento alle patologie
cronico-degenerative: neoplasie, infezione da HIV, malattie
degenerative del Sistema Nervoso Centrale).
Recenti studi hanno documentato che molti disturbi mentali
dell'eta' adulta sono preceduti da disturbi dell'eta'
evolutiva-adolescenziale. In particolare, l'8% circa dei bambini e
degli adolescenti presenta un disturbo mentale, che puo' determinare
difficolta' interpersonali e disadattamento; non va dimenticato che
il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra gli
adolescenti.
Le condizioni cliniche citate presentano un differente indice di
disabilita': i disturbi ansioso-depressivi, pur numerosi, possono,
quando appropriatamente trattati, presentare una durata e gradi di
disabilita' non marcati, anche se alcuni casi di sindrome
ossessivo-compulsiva o di agorafobia sono seriamente invalidanti.
D'altro canto le psicosi (schizofreniche, affettive e le
depressioni maggiori ricorrenti) impegnano i servizi sanitari e
sociali in maniera massiccia, per via della gravita', del rischio di
suicidio, della lunga durata e delle disabilita' marcate che le
caratterizzano.
Nel nostro Paese, il processo di adeguamento dell'assistenza
psichiatrica alle necessita' reali dei malati ed agli orientamenti
piu' attuali della sanita' pubblica, avviato con la legge 23 dicembre
1978, n. 833, ha determinato l'integrazione dell'assistenza
psichiatrica nel Servizio Sanitario Nazionale, l'orientamento
comunitario dell'assistenza alle persone con disturbi mentali, il
superamento del modello custodialistico rappresentato dall'Ospedale
Psichiatrico.
Le aree critiche che si rilevano nella tutela della salute
mentale, al momento attuale, sono:
la disomogenea distribuzione dei Servizi sul territorio
nazionale, con particolare riferimento ai Servizi Psichiatrici di
Diagnosi e Cura ospedalieri, ai Centri Diurni ed alle Strutture
Residenziali per attivita' riabilitative, insieme ad una mancanza di
coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l'eta' evolutiva,
i servizi per gli adulti ed i servizi per i soggetti anziani;
la mancanza di un numero adeguato di Strutture residenziali per
le condizioni psichiatriche che prevedono una piu' elevata intensita'
e durata dell'intervento riabilitativo;
la carenza di sistemi informativi nazionali e regionali per il
monitoraggio quali-quantitativo delle prestazioni erogate e dei
bisogni di salute della popolazione;
la scarsa diffusione delle conoscenze scientifiche in materia
di interventi basati su prove di efficacia e la relativa adozione di
Linee Guida da parte dei servizi, nonche' di parametri per
l'accreditamento delle strutture assistenziali pubbliche e private;
la presenza di pregiudizi ed atteggiamenti di esclusione
sociale nella popolazione;
la scarsa attenzione alla prevenzione primaria e secondaria, ai
problemi della salute mentale in eta' evolutiva e nell'eta' «di
confine», che si concretizza in un'offerta di servizi insufficiente
ed alla quale e' utile rispondere anche con il contributo, almeno in
fase sperimentale, di strutture accreditate del privato sociale ed
imprenditoriale;
la carente gestione delle condizioni di comorbidita' tra
disturbi psichiatrici e disturbi da abuso di sostanze, e tra disturbi
psichiatrici e patologie organiche;
la scarsa attenzione alla presenza di disturbi mentali nelle
carceri. Tale evidenza segnala l'importanza della sperimentazione in
corso in alcune Regioni sulla base di quanto previsto dal Decreto
Legislativo 22 giugno 1999, n. 230, e dal relativo progetto
obiettivo, anche ai fini della valutazione della rispondenza del
modello organizzativo ivi delineato.
Gli obiettivi strategici da realizzare sono rappresentati da:
la riduzione dei comportamenti suicidari, con particolare
attenzione all'eta' adolescenziale e a quella anziana;
la riduzione delle interruzioni non concordate di trattamento,
mediante attuazione di prog |
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