Gazzetta n. 84 del 10 aprile 2006 (vai al sommario)
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
DECRETO 7 febbraio 2006, n. 144
Regolamento, ai sensi dell'articolo 19, comma 2, della legge 13 febbraio 2001, n. 45, in materia di trattamento penitenziario di coloro che collaborano con la giustizia.

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
di concerto con
IL MINISTRO DELL'INTERNO

Visto il decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, recante «Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonche' per la protezione ed il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia», come da ultimo modificata dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45, recante «Modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonche' disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza» e, in particolare l'articolo 17-bis, comma 2;
Vista la legge 26 luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta», nonche' il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, «Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta»;
Visto l'articolo 17, commi 3 e 4, legge 23 agosto 1988, n. 400;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 30 maggio 2005, le cui osservazioni sono state recepite, ad eccezione di quella concernente la formula utilizzata nell'articolo 4, il cui accoglimento importerebbe conseguenze in contrasto con le regole fondamentali del trattamento penitenziario;
Vista la comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a norma dell'articolo 17, comma 3, della citata legge 23 agosto 1988, n. 400;

E m a n a
il seguente regolamento:

Art. 1.
Ambito di applicazione
1. Sono sottoposti alle disposizioni del presente regolamento:
a) i detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte di collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni speciali relativamente ai delitti previsti dall'articolo 9, comma 2, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, e che siano ammessi alle speciali misure di protezione o per i quali sia stata avanzata la proposta di ammissione a misure speciali di protezione, ovvero per i quali sia stata avanzata richiesta di piano provvisorio di protezione, ovvero che siano sottoposti a piano provvisorio di protezione, ovvero che siano sottoposti a misure di eccezionale urgenza ai sensi dell'articolo 13, comma 1, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8;
b) i detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte di collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni speciali relativamente ai delitti previsti dall'articolo 9, comma 2, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, per i quali, sebbene non sia stata avanzata richiesta di speciali misure di protezione, il Procuratore della Repubblica che sta raccogliendo o che ha raccolto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto dall'articolo 16-quater del medesimo decreto-legge, richiede, in vista della formulazione della proposta di ammissione a speciali misure di protezione, l'adozione di particolari cautele nella gestione penitenziaria;
c) i soggetti che sono stati sottoposti nel passato alle speciali misure di protezione e ne sono fuoriusciti con misure di reinserimento sociale ai sensi dell'articolo 13, comma 5, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, salvo che, anche sulla base di informazioni provenienti dall'autorita' giudiziaria, il nuovo stato di detenzione o di internamento non sia conseguente a fatti incompatibili con le condotte di collaborazione con la giustizia;
d) i detenuti e gli internati che sono stati sottoposti nel passato alle speciali misure di protezione poi revocate, ovvero al piano provvisorio di protezione non seguito dalla richiesta delle speciali misure di protezione, ovvero a misure di eccezionale urgenza non seguite dalla definizione di un piano provvisorio o delle speciali misure di protezione;
e) i detenuti e gli internati che, sebbene non tengono o non hanno tenuto condotte di collaborazione, sono sottoposti alle speciali misure di protezione in ragione delle situazioni previste dall'articolo 9, comma 5, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.



Avvertenza:
Il testo delle note qui pubblicato e' stato redatto
dall'amministrazione competente per materia, ai sensi
dell'art. 10, comma 3, del testo unico delle disposizioni
sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei
decreti del Presidente della Repubblica e sulle
pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana,
approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo
fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge
alle quali e' operato il rinvio. Restano invariati il
valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti.
Note alle premesse:
- Si riporta il testo del comma 2 dell'art. 17-bis del
decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82 (Nuove
norme in materia di sequestri di persona a scopo di
estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia,
nonche' per la protezione e il trattamento sanzionatorio di
coloro che collaborano con la giustizia):
«2. Con decreto del Ministro della giustizia, emanato
di concerto con il Ministro dell'interno, sono stabiliti i
presupposti e le modalita' di applicazione delle norme sul
trattamento penitenziario, previste dal Titolo I della
legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e
dal Titolo I del relativo regolamento di esecuzione,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica
29 aprile 1976, n. 431, e successive modificazioni, alle
persone ammesse alle misure speciali di protezione e a
quelle che risultano tenere o aver tenuto condotte di
collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni
speciali relativamente ai delitti di cui all'art. 9, comma
2.».
- Si riporta il testo dell'art. 17, commi 3 e 4, della
legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di
Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri):
«3. Con decreto ministeriale possono essere adottati
regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di
autorita' sottordinate al Ministro, quando la legge
espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per
materie di competenza di piu' Ministri, possono essere
adottati con decreti interministeriali, ferma restando la
necessita' di apposita autorizzazione da parte della legge.
I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono
dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati
dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente
del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione.
4. I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti
ministeriali ed interministeriali, che devono recare la
denominazione di "regolamento", sono adottati previo parere
del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla
registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale.».
Nota all'art. 1:
- Si riporta il testo dell'art. 9, 13 e 16-quater del
citato decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82:
«Art. 9 (Condizioni di applicabilita' delle speciali
misure di protezione). - 1. Alle persone che tengono le
condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai
commi 2 e 5 possono essere applicate, secondo le
disposizioni del presente Capo, speciali misure di
protezione idonee ad assicurarne l'incolumita' provvedendo,
ove necessario, anche alla loro assistenza.
2. Le speciali misure di protezione sono applicate
quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di
tutela adottabili direttamente dalle autorita' di pubblica
sicurezza o, se si tratta di persone detenute o internate,
dal Ministero della giustizia - Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria e risulta altresi' che
le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in
grave e attuale pericolo per effetto di talune delle
condotte di collaborazione aventi le caratteristiche
indicate nel comma 3 e tenute relativamente a delitti
commessi per finalita' di terrorismo o di eversione
dell'ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di
cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura
penale e agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater e
600-quinquies del codice penale.
3. Ai fini dell'applicazione delle speciali misure di
protezione, assumono rilievo la collaborazione o le
dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale. La
collaborazione e le dichiarazioni predette devono avere
carattere di intrinseca attendibilita'. Devono altresi'
avere carattere di novita' o di completezza o per altri
elementi devono apparire di notevole importanza per lo
sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per
le attivita' di investigazione sulle connotazioni
strutturali; le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le
articolazioni e i collegamenti interni o internazionali
delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o
terroristico-eversivo o sugli obiettivi, le finalita' e le
modalita' operative di dette organizzazioni.
4. Se le speciali misure di protezione indicate
nell'art. 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravita'
ed attualita' del pericolo, esse possono essere applicate
anche mediante la definizione di uno speciale programma di
protezione i cui contenuti sono indicati nell'art. 13,
comma 5.
5. Le speciali misure di protezione di cui al comma 4
possono essere applicate anche a coloro che convivono
stabilmente con le persone indicate nel comma 2 nonche', in
presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che
risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a
causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.
Il solo rapporto di parentela, affinita' o coniugio, non
determina, in difetto di stabile coabitazione,
l'applicazione delle misure.
6. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si
tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di
collaborazione o della rilevanza e qualita' delle
dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione
del gruppo criminale in relazione al quale la
collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con
specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il
gruppo e' localmente in grado di valersi.».
«Art. 13 (Contenuti delle speciali misure di protezione
e adozione di provvedimenti provvisori). - 1. Sulla
proposta di ammissione alle speciali misure di protezione,
la commissione centrale di cui all'art. 10, comma 2,
delibera a maggioranza dei suoi componenti, purche' siano
presenti alla seduta almeno cinque di questi. In caso di
parita' prevale il voto del presidente. Quando risultano
situazioni di particolare gravita' e vi e' richiesta
dell'autorita' legittimata a formulare la proposta la
commissione delibera, anche senza formalita' e comunque
entro la prima seduta successiva alla richiesta, un piano
provvisorio di protezione dopo aver acquisito, ove
necessario, informazioni dal Servizio centrale di
protezione di cui all'art. 14 o per il tramite di esso. La
richiesta contiene, oltre agli elementi di cui all'art. 11,
comma 7, la indicazione quantomeno sommaria dei fatti sui
quali il soggetto interessato ha manifestato la volonta' di
collaborare e dei motivi per i quali la collaborazione e'
ritenuta attendibile e di notevole importanza; specifica
inoltre le circostanze da cui risultano la particolare
gravita' del pericolo e l'urgenza di provvedere. Il
provvedimento con il quale la commissione delibera il piano
provvisorio di protezione cessa di avere effetto se,
decorsi centottanta giorni, l'autorita' legittimata a
formulare la proposta di cui all'art. 11 non ha provveduto
a trasmetterla e la commissione non ha deliberato
sull'applicazione delle speciali misure di protezione
osservando le ordinarie forme e modalita' del procedimento.
Il presidente della commissione puo' disporre la
prosecuzione del piano provvisorio di protezione per il
tempo strettamente necessario a consentire l'esame della
proposta da parte della commissione medesima. Quando
sussistono situazioni di eccezionale urgenza che non
consentono di attendere la deliberazione della commissione
e fino a che tale deliberazione non interviene, su motivata
richiesta della competente autorita' provinciale di
pubblica sicurezza, il Capo della polizia - direttore
generale della pubblica sicurezza puo' autorizzare detta
autorita' ad avvalersi degli specifici stanziamenti
previsti dall'art. 17 specificandone contenuti e
destinazione. Nei casi in cui e' applicato il piano
provvisorio di protezione, il presidente della commissione
puo' richiedere al Servizio centrale di protezione una
relazione riguardante la idoneita' dei soggetti a
sottostare agli impegni indicati nell'art. 12.
2. Per stabilire se sia necessario applicare taluna
delle misure di protezione e, in caso positivo, per
individuare quale di esse sia idonea in concreto, la
commissione centrale puo' acquisire specifiche e
dettagliate indicazioni sulle misure di prevenzione o di
tutela gia' adottate o adottabili dall'autorita' di
pubblica sicurezza, dall'Amministrazione penitenziaria o da
altri organi, nonche' ogni ulteriore elemento eventualmente
occorrente per definire la gravita' e l'attualita' del
pericolo in relazione alle caratteristiche delle condotte
di collaborazione.
3. Esclusivamente al fine di valutare la sussistenza
dei presupposti per l'applicazione delle speciali misure di
protezione, la commissione centrale puo' procedere anche
all'audizione delle autorita' che hanno formulato la
proposta o il parere e di altri organi giudiziari,
investigativi e di sicurezza; puo' inoltre utilizzare gli
atti trasmessi dall'autorita' giudiziaria ai sensi
dell'art. 118 del codice di procedura penale.
4. Il contenuto del piano provvisorio di protezione
previsto dal comma 1 e delle speciali misure di protezione
che la commissione centrale puo' applicare nei casi in cui
non provvede mediante la definizione di uno speciale
programma e' stabilito nei decreti previsti dall'art.
17-bis, comma 1. Il contenuto delle speciali misure di
protezione puo' essere rappresentato, in particolare, oltre
che dalla predisposizione di misure di tutela da eseguire a
cura degli organi di polizia territorialmente competenti,
dalla predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza,
dall'adozione delle misure necessarie per i trasferimenti
in comuni diversi da quelli di residenza, dalla previsione
di interventi contingenti finalizzati ad agevolare il
reinserimento sociale nonche' dal ricorso, nel rispetto
delle norme dell'ordinamento penitenziario, a modalita'
particolari di custodia in istituti ovvero di esecuzione di
traduzioni e piantonamenti.
5. Se, ricorrendone le condizioni, la commissione
centrale delibera la applicazione delle misure di
protezione mediante la definizione di uno speciale
programma, questo e' formulato secondo criteri che tengono
specifico conto delle situazioni concretamente prospettate
e puo' comprendere, oltre alle misure richiamate nel comma
4, il trasferimento delle persone non detenute in luoghi
protetti, speciali modalita' di tenuta della documentazione
e delle comunicazioni al servizio informatico, misure di
assistenza personale ed economica, cambiamento delle
generalita' a norma del decreto legislativo 29 marzo 1993,
n. 119, e successive modificazioni, misure atte a favorire
il reinserimento sociale del collaboratore e delle altre
persone sottoposte a protezione oltre che misure
straordinarie eventualmente necessarie.
6. Le misure di assistenza economica indicate nel comma
5 comprendono, in specie, sempreche' a tutte o ad alcune
non possa direttamente provvedere il soggetto sottoposto al
programma di protezione, la sistemazione alloggiativa e le
spese per i trasferimenti, le spese per esigenze sanitarie
quando non sia possibile avvalersi delle strutture
pubbliche ordinarie, l'assistenza legale e l'assegno di
mantenimento nel caso di impossibilita' di svolgere
attivita' lavorativa. La misura dell'assegno di
mantenimento e delle integrazioni per le persone a carico
prive di capacita' lavorativa e' definita dalla commissione
centrale e non puo' superare un ammontare di cinque volte
l'assegno sociale di cui all'art. 3, commi 6 e 7, della
legge 8 agosto 1995, n. 335. L'assegno di mantenimento puo'
essere annualmente modificato in misura pari alle
variazioni dell'indice dei prezzi al consumo per le
famiglie di operai ed impiegati rilevate dall'ISTAT.
L'assegno di mantenimento puo' essere integrato dalla
commissione con provvedimento motivato solo quando
ricorrono particolari circostanze influenti sulle esigenze
di mantenimento in stretta connessione con quelle di tutela
del soggetto
sottoposto al programma di protezione, eventualmente
sentiti l'autorita' che ha formulato la proposta, il
procuratore nazionale antimafia o i procuratori generali
interessati a norma dell'art. 11. Il provvedimento e'
acquisito dal giudice del dibattimento su richiesta della
difesa dei soggetti a cui carico sono utilizzate le
dichiarazioni del collaboratore. Lo stesso giudice, sempre
su richiesta della difesa dei soggetti di cui al periodo
precedente, acquisisce l'indicazione dell'importo
dettagliato delle spese sostenute per la persona sottoposta
al programma di protezione. [Le spese di assistenza legale
sono liquidate dal giudice previo parere del Consiglio
dell'ordine degli avvocati presso cui il difensore e'
iscritto].
7. Nella relazione prevista dall'art. 16, il Ministro
dell'interno indica il numero complessivo dei soggetti e
l'ammontare complessivo delle spese sostenute nel semestre
per l'assistenza economica dei soggetti sottoposti a
programma di protezione e, garantendo la riservatezza dei
singoli soggetti interessati, specifica anche l'ammontare
delle integrazioni dell'assegno di mantenimento
eventualmente intervenute e le esigenze che le hanno
motivate.
8. Ai fini del reinserimento sociale dei collaboratori
e delle altre persone sottoposte a protezione, e' garantita
la conservazione del posto di lavoro ovvero il
trasferimento ad altra sede o ufficio secondo le forme e le
modalita' che, assicurando la riservatezza e l'anonimato
dell'interessato, sono specificate in apposito decreto
emanato dal Ministro dell'interno, di concerto con il
Ministro della giustizia, sentiti gli altri Ministri
interessati. Analogamente si provvede per la definizione di
specifiche misure di assistenza e di reinserimento sociale
destinate ai minori compresi nelle speciali misure di
protezione.
9. L'autorita' giudiziaria puo' autorizzare con
provvedimento motivato i soggetti di cui al comma 2
dell'art. 16-quater ad incontrarsi tra loro quando
ricorrono apprezzabili esigenze inerenti alla vita
familiare.
10. Al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza
e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a
speciale programma di protezione a norma del comma 5 e che
non sono detenute o internate e' consentita l'utilizzazione
di un documento di copertura.
11. L'autorizzazione al rilascio del documento di
copertura indicato nel comma 10 e' data dal Servizio
centrale di protezione di cui all'art. 14 il quale chiede
alle autorita' competenti al rilascio, che non possono
opporre rifiuto, di predisporre il documento e di procedere
alle registrazioni previste dalla legge e agli ulteriori
adempimenti eventualmente necessari. Si applicano le
previsioni in tema di esonero da responsabilita' di cui
all'art. 5 del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119.
Presso il Servizio centrale di protezione e' tenuto un
registro riservato attestante i tempi, le procedure e i
motivi dell'autorizzazione al rilascio del documento.
12. Quando ricorrono particolari motivi di sicurezza,
il procuratore della Repubblica o il giudice possono
autorizzare il soggetto interrogato o esaminato a eleggere
domicilio presso persona di fiducia o presso un ufficio di
polizia, ai fui delle necessarie comunicazioni o
notificazioni.
13. Quando la proposta o la richiesta per l'ammissione
a speciali forme di protezione e' formulata nei confronti
di soggetti detenuti o internati, il Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria provvede ad assegnare i
soggetti medesimi a istituti o sezioni di istituto che
garantiscano le specifiche esigenze di sicurezza. Allo
stesso modo il Dipartimento provvede in vista della
formulazione della proposta e su richiesta del Procuratore
della Repubblica che ha raccolto o si appresta a
raccogliere le dichiarazioni di collaborazione o il verbale
illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto
dall'art. 16-quater.
14. Nei casi indicati nel comma 13, la custodia e'
assicurata garantendo la riservatezza dell'interessato
anche con le specifiche modalita' di cui al decreto
previsto dall'art. 17-bis, comma 2, e procurando che lo
stesso sia sottoposto a misure di trattamento
penitenziario, specie organizzative, dirette ad impedirne
l'incontro con altre persone che gia' risultano collaborare
con la giustizia e dirette ad assicurare che la genuinita'
delle dichiarazioni non possa essere compromessa. E' fatto
divieto, durante la redazione dei verbali e comunque almeno
fino alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti
della collaborazione, di sottoporre la persona che rende le
dichiarazioni ai colloqui investigativi di cui all'art.
18-bis, commi 1 e 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e
successive modificazioni. E' fatto altresi' divieto, alla
persona medesima e per lo stesso periodo, di avere
corrispondenza epistolare, telegrafica o telefonica,
nonche' di incontrare altre persone che collaborano con la
giustizia, salvo autorizzazione dell'autorita' giudiziaria
per finalita' connesse ad esigenze di protezione ovvero
quando ricorrano gravi esigenze relative alla vita
familiare.
15. L'inosservanza delle prescrizioni di cui al comma
14 comporta l'inutilizzabilita' in dibattimento, salvi i
casi di irripetibilita' dell'atto, delle dichiarazioni rese
al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria
successivamente alla data in cui si e' verificata la
violazione.».
«Art. 16-quater (Verbale illustrativo dei contenuti
della collaborazione). - 1. Ai fini della concessione delle
speciali misure di protezione di cui al Capo II, nonche'
per gli effetti di cui agli articoli 16-quinquies e
16-nonies, la persona che ha manifestato la volonta' di
collaborare rende al Procuratore della Repubblica, entro il
termine di centottanta giorni dalla suddetta manifestazione
di volonta', tutte le notizie in suo possesso utili alla
ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui quali e'
interrogato nonche' degli altri fatti di maggiore gravita'
ed allarme sociale di cui e' a conoscenza oltre che alla
individuazione e alla cattura dei loro autori ed altresi'
le informazioni necessarie perche' possa procedersi alla
individuazione, al sequestro e alla confisca del denaro,
dei beni e di ogni altra utilita' dei quali essa stessa o,
con riferimento ai dati a sua conoscenza, altri
appartenenti a gruppi criminali dispongono direttamente o
indirettamente.
2. Le informazioni di cui al comma 1 relative alla
individuazione del denaro, dei beni e delle altre utilita'
non sono richieste quando la volonta' di collaborare e'
stata manifestata dai testimoni di giustizia.
3. Le dichiarazioni rese ai sensi dei commi 1 e 2 sono
documentate in un verbale denominato «verbale illustrativo
dei contenuti della collaborazione», redatto secondo le
modalita' previste dall'art. 141-bis del codice di
procedura penale, che e' inserito, per intero, in apposito
fascicolo tenuto dal Procuratore della Repubblica cui le
dichiarazioni sono state rese e, per estratto, nel
fascicolo previsto dall'art. 416, comma 2, del codice di
procedura penale relativo al procedimento cui le
dichiarazioni rispettivamente e direttamente si
riferiscono. Il verbale e' segreto fino a quando sono
segreti gli estratti indicati nel precedente periodo. Di
esso e' vietata la pubblicazione a norma dell'art. 114 del
codice di procedura penale.
4. Nel verbale illustrativo dei contenuti della
collaborazione, la persona che rende le dichiarazioni
attesta, fra l'altro, di non essere in possesso di notizie
e informazioni processualmente utilizzabili su altri fatti
o situazioni, anche non connessi o collegati a quelli
riferiti, di particolare gravita' o comunque tali da
evidenziare la pericolosita' sociale di singoli soggetti o
di gruppi criminali.
5. Nel verbale illustrativo dei contenuti della
collaborazione la persona indica i colloqui investigativi
eventualmente intrattenuti.
6. Le notizie e le informazioni di cui ai commi 1 e 4
sono quelle processualmente utilizzabili che, a norma
dell'art. 194 del codice di procedura penale, possono
costituire oggetto della testimonianza. Da esse, in
particolare, sono escluse le notizie e le informazioni che
il soggetto ha desunto da voci correnti o da situazioni a
queste assimilabili.
7. Le speciali misure di protezione di cui ai Capi II e
II-bis non possono essere concesse, e se concesse devono
essere revocate, qualora, entro il termine di cui al comma
1, la persona cui esse si riferiscono non renda le
dichiarazioni previste nei commi 1, 2 e 4 e queste non
siano documentate nel verbale illustrativo dei contenuti
della collaborazione.
8. La disposizione del comma 7 si applica anche nel
caso in cui risulti non veritiera l'attestazione di cui al
comma 4.
9. Le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 4 rese al
pubblico ministero o alla polizia giudiziaria oltre il
termine previsto dallo stesso comma 1 non possono essere
valutate ai fini della prova dei fatti in esse affermati
contro le persone diverse dal dichiarante, salvo i casi di
irripetibilita'.».



 
Art. 2.
Principi direttivi del trattamento penitenziario
dei collaboratori di giustizia
1. I soggetti indicati all'articolo 1 godono dei diritti e sono sottoposti ai doveri previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, ed al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
2. Le modalita' di esercizio dei diritti e di adempimento dei doveri dei soggetti indicati all'articolo 1 possono essere modificate soltanto al fine di garantire la genuinita' delle dichiarazioni, di assicurare la riservatezza nonche' di tutelare l'incolumita' personale del detenuto o dell'internato.
3. Nei confronti di un soggetto che al momento dell'ingresso in carcere si trova nelle condizioni previste dall'articolo 1, l'Amministrazione penitenziaria adotta, a richiesta delle autorita' preposte alla tutela del soggetto e, in caso di urgenza, di propria iniziativa, le misure di protezione necessarie ad assicurarne l'incolumita' personale.
4. La direzione dell'istituto di pena adotta tutte le misure di sostegno e di trattamento, compatibili con le esigenze di sicurezza, idonee ad evitare che le condizioni di vita dei soggetti indicati all'articolo 1 risultino deteriori rispetto a quelle degli altri detenuti.
 
Art. 3.
Provvedimenti nei confronti dei detenuti
che manifestano la volonta' di collaborare
1. Qualora il detenuto o l'internato manifesta la volonta' di collaborare con la giustizia, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, in attuazione dall'articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, dispone immediatamente le misure necessarie ad evitare l'incontro con altre persone che collaborano con la giustizia, i colloqui investigativi di cui all'articolo 18-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e le comunicazioni epistolari, telefoniche o telegrafiche, nonche' adotta le specifiche misure volte a garantire la sicurezza. Le misure sono mantenute fino alla completa conclusione della redazione dei verbali e comunque almeno fino alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione.
2. Se la manifestazione della volonta' di collaborare e' comunicata dall'autorita' giudiziaria, le disposizioni sono impartite dalla Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, che adotta altresi' le opportune misure di protezione, dandone immediata comunicazione al Procuratore della Repubblica ed al Procuratore nazionale antimafia.
3. Nell'ipotesi indicata al comma 2, qualora ricorrano ragioni di urgenza, la direzione dell'istituto che abbia ricevuto direttamente la comunicazione dall'autorita' giudiziaria adotta provvedimenti di contenuto analogo a quelli indicati nel comma precedente, dandone immediata comunicazione al Procuratore della Repubblica, al Procuratore nazionale antimafia, nonche' alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento per le successive disposizioni.
4. Analoghe misure d'urgenza si applicano ai detenuti ed agli internati che manifestano la volonta' di collaborare direttamente alla direzione dell'istituto che provvede alle comunicazioni di cui al comma 3.
5. Qualora non pervenga diversa comunicazione da parte del Procuratore della Repubblica al quale il detenuto sta rendendo o ha reso le dichiarazioni indicate all'articolo 16-quater, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, le misure previste dai commi 2 e 3 sono revocate decorsi centottanta giorni da quello in cui il soggetto ha manifestato la volonta' di collaborare, secondo quanto comunicato dal Procuratore della Repubblica.



Note all'art. 3:
- Per il testo degli articoli 13 e 16-quater della
citata legge 15 gennaio 1991, n. 8, vedi note all'art. 1.
- Si riporta il testo dell'art. 18-bis della citata
legge 26 luglio 1975, n. 354:
«Art. 18-bis (Colloqui a fini investigativi). - 1. Il
personale della direzione investigativa antimafia di cui
all'art. 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre
1991, n. 410, e dei servizi centrali e interprovinciali di
cui all'art. 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152,
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991,
n. 203, nonche' gli ufficiali di polizia giudiziaria
designati dai responsabili, a livello centrale, della
predetta direzione e dei predetti servizi, hanno facolta'
di visitare gli istituti penitenziari e possono essere
autorizzati, a norma del comma 2 del presente articolo, ad
avere colloqui personali con detenuti e internati, al fine
di acquisire informazioni utili per la prevenzione e
repressione dei delitti di criminalita' organizzata.
1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano
anche ai responsabili di livello almeno provinciale degli
uffici o reparti della Polizia di Stato o dell'Arma dei
carabinieri competenti per lo svolgimento di indagini in
materia di terrorismo, nonche' agli ufficiali di polizia
giudiziaria designati dai responsabili di livello centrale
e, limitatamente agli aspetti connessi al finanziamento del
terrorismo, a quelli del Corpo della guardia di finanza,
designati dal responsabile di livello centrale, al fine di
acquisire dai detenuti o dagli internati informazioni utili
per la prevenzione e repressione dei delitti commessi per
finalita' di terrorismo, anche internazionale, o di
eversione dell'ordine democratico.
2. Al personale di polizia indicato nei commi 1 e
1-bis, l'autorizzazione ai colloqui e' rilasciata:
a) quando si tratta di internati, di condannati o di
imputati, dal Ministro di grazia e giustizia o da un suo
delegato;
b) quando si tratta di persone sottoposte ad
indagini, dal pubblico ministero.
3. Le autorizzazioni ai colloqui indicate nel comma 2
sono annotate in apposito registro riservato tenuto presso
l'autorita' competente al rilascio.
4. In casi di particolare urgenza, attestati con
provvedimento del Ministro dell'interno o, per sua delega,
dal Capo della Polizia, l'autorizzazione prevista nel comma
2, lettera a), non e' richiesta, e del colloquio e' data
immediata comunicazione all'autorita' ivi indicata, che
provvede all'annotazione nel registro riservato di cui al
comma 3.
5. La facolta' di procedere a colloqui personali con
detenuti e internati e' attribuita, senza necessita' di
autorizzazione, altresi' al Procuratore nazionale antimafia
ai fini dell'esercizio delle funzioni di impulso e di
coordinamento previste dall'art. 371-bis del codice di
procedura penale; al medesimo Procuratore nazionale
antimafia sono comunicati i provvedimenti di cui ai commi 2
e 4, qualora concernenti colloqui con persone sottoposte ad
indagini, imputate o condannate per taluno dei delitti
indicati nell'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura
penale.».



 
Art. 4.
Criteri di assegnazione agli istituti o alle sezioni
1. Fatte salve le misure indicate all'articolo 3, comma 1, i detenuti e gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettere a) e c), sono assegnati, con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, ad appositi istituti o sezioni di istituto. L'assegnazione deve essere effettuata in modo da evitare contatti fra collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall'autorita' giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
2. Fatte salve le misure indicate all'articolo 3, comma 1, su richiesta del Procuratore della Repubblica che sta raccogliendo o che ha raccolto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, o su richiesta di altro Procuratore della Repubblica, d'intesa con il primo, i detenuti e gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettera b), sono assegnati con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, ad appositi istituti o sezioni di istituto, comunque diversi da quelli indicati al comma 1. L'assegnazione deve essere effettuata in modo da evitare contatti fra collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall'autorita' giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
3. I detenuti e gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettere d) ed e), sono rispettivamente assegnati, con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, ad appositi e tra loro distinti istituti o sezioni di istituto, comunque diversi da quelli indicati ai commi 1 e 2.
4. Le disposizioni previste ai precedenti commi si applicano, compatibilmente con le modalita' di fruizione del beneficio concesso, anche ai detenuti e agli internati, collaboratori di giustizia:
a) assegnati al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21, legge 26 luglio 1975, n. 354;
b) ammessi alla misura della semiliberta' ai sensi dell'articolo 48 della medesima legge;
c) ammessi alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di eta' non superiore agli anni dieci ai sensi dell'articolo 21-bis della medesima legge.
5. Per il compimento di specifici atti non esperibili nell'istituto o nella sezione di assegnazione, su richiesta del Procuratore della Repubblica che svolge le indagini, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria puo' trasferire, per il tempo strettamente necessario e comunque preventivamente indicato, i detenuti e gli internati di cui all'articolo 1 ad istituti o sezioni diversi da quelli indicati ai commi 1, 2, 3 e 4, assicurando comunque le esigenze di sicurezza ed evitando i contatti con altri collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall'autorita' giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
6. Qualora agli internati che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 1, per salvaguardare la genuinita' delle dichiarazioni nonche' per tutelare l'incolumita' personale, non sia possibile assicurare nella casa di lavoro o nella colonia agricola di assegnazione le stesse condizioni restrittive e le stesse opportunita' di trattamento applicate agli altri internati, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria puo' assegnarli ad un'altra casa di lavoro o colonia agricola, assicurando comunque le suddette esigenze.
7. I medesimi criteri indicati al comma 6 si applicano agli internati che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 1 e che sono assegnati ad una casa di cura e custodia, ad un ospedale psichiatrico giudiziario, ad un istituto per infermi o minorati, ovvero che sono sottoposti ad osservazione psichiatrica ai sensi dell'articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
8. La Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, qualora ricorrano gravi ragioni di sicurezza, puo', sentita l'autorita' giudiziaria, assegnare i detenuti o gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettera d), ad istituti o sezioni di istituto ordinari.



Note all'art. 4:
- Si riporta il testo degli articoli 21, 21-bis e 48
della citata legge 26 luglio 1975, n. 354:
«Art. 21 (Lavoro all'esterno). - 1. I detenuti e gli
internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in
condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli
scopi previsti dall'art. 15. Tuttavia, se si tratta di
persona condannata alla pena della reclusione per uno dei
delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis,
l'assegnazione al lavoro esterno puo' essere disposta dopo
l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di
non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati
all'ergastolo l'assegnazione puo' avvenire dopo
l'espiazione di almeno dieci anni.
2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro
all'esterno sono avviati a prestare la loro opera senza
scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi
di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro
all'esterno previa autorizzazione della competente
autorita' giudiziaria.
3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve
svolgersi sotto il diretto controllo della direzione
dell'istituto a cui il detenuto o l'internato e' assegnato,
la quale puo' avvalersi a tal fine del personale dipendente
e del servizio sociale.
4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento
di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo
l'approvazione del magistrato di sorveglianza.
4-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la
disposizione di cui al secondo periodo del comma sedicesimo
dell'art. 20 si applicano anche ai detenuti ed agli
internati ammessi a frequentare corsi di formazione
professionale all'esterno degli istituti penitenziari.».
«Art. 21-bis (Assistenza all'esterno dei figli minori).
- 1. Le condannate e le internate possono essere ammesse
alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di eta'
non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste
dall'art. 21.
2. Si applicano tutte le disposizioni relative al
lavoro all'esterno, in particolare l'art. 21, in quanto
compatibili.
3. La misura dell'assistenza all'esterno puo' essere
concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto,
se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo
di affidare la prole ad altri che al padre.».
«Art. 48 (Regime di semiliberta). - 1. Il regime di
semiliberta' consiste nella concessione al condannato e
all'internato di trascorrere parte del giorno fuori
dell'istituto per partecipare ad attivita' lavorative,
istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
I condannati e gli internati ammessi al regime di
semiliberta' sono assegnati in appositi istituti o apposite
sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti
civili.».
- Si riporta il testo dell'art. 112 del citato decreto
del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230:
«Art. 112 (Accertamento delle infermita' psichiche). -
1. L'accertamento delle condizioni psichiche degli
imputati, dei condannati e degli internati, ai fini
dell'adozione dei provvedimenti previsti dagli
articoli 148, 206, 212, secondo comma, del codice penale,
dagli articoli 70, 71 e 72 del codice di procedura penale e
dal comma 4 dell'art. 111 del presente regolamento, e'
disposto, su segnalazione della direzione dell'istituto o
di propria iniziativa, nei confronti degli imputati,
dall'autorita' giudiziaria che procede, e, nei confronti
dei condannati e degli internati, dal magistrato di
sorveglianza. L'accertamento e' espletato nel medesimo
istituto in cui il soggetto si trova o, in caso di
insufficienza di quel servizio diagnostico, in altro
istituto della medesima categoria.
2. L'autorita' giudiziaria che procede o il magistrato
di sorveglianza possono, per particolari motivi disporre
che l'accertamento sia svolto presso un ospedale
psichiatrico giudiziario, una casa di cura e custodia o in
un istituto o sezione per infermi o minorati psichici,
ovvero presso un ospedale civile. Il soggetto non puo'
comunque permanere in osservazione per un periodo superiore
a trenta giorni.
3. All'esito dell'accertamento, l'autorita' giudiziaria
che procede o il magistrato di sorveglianza, ove non adotti
uno dei provvedimenti previsti dagli articoli 148, 206 e
212, secondo comma, del codice penale o dagli articoli 70,
71, e 72 del codice di procedura penale e dal comma 4
dell'art. 111 del presente regolamento, dispone il rientro
nell'istituto di provenienza.



 
Art. 5.
Ordini di servizio in materia di sicurezza
1. La direzione dell'istituto penitenziario dotato di sezione per detenuti o internati indicati all'articolo 1 adotta, anche sulla base di eventuali disposizioni del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, un apposito ordine di servizio contenente tutte le prescrizioni alle quali deve attenersi il personale per la gestione dei soggetti ivi ristretti e in ogni caso:
a) l'assegnazione, ai servizi di sezione, di personale capace ed esperto, nonche' la rigorosa limitazione e la registrazione degli accessi;
b) le cautele per assicurare la riservatezza degli atti relativi al collaboratori di giustizia;
c) le modalita' di spostamento e di uscita dei detenuti dalla sezione;
d) le cautele per assicurare che il cibo, i farmaci e gli oggetti che i detenuti possono legittimamente acquistare o detenere non possano subire manipolazioni;
e) l'indicazione delle misure per garantire il rispetto dei divieti contenuti nell'articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.
3. Qualora l'istituto penitenziario non sia dotato di sezione per collaboratori di giustizia, la direzione dell'istituto di pena in cui sia ristretto un soggetto che abbia manifestato la volonta' di collaborare o che comunque si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 1, emana un ordine di servizio di contenuto analogo a quello indicato nel comma 2.



Nota all'art. 5:
- Per il testo dell'art. 13 del citato decreto-legge
15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.



 
Art. 6.
Colloqui e corrispondenza
1. Ai detenuti ed agli internati indicati all'articolo 1 si applicano integralmente le disposizioni previste dagli articoli 18 e 18-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354, e dagli articoli 37, 38, 39 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, salve le limitazioni previste dall'articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.
2. Le condizioni indicate all'articolo 1 integrano le particolari circostanze previste dall'articolo 37, comma 9, decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
3. Ai detenuti o internati che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 1, comma 1, lettere a) e c), puo' essere concessa l'autorizzazione al colloquio telefonico con propri familiari o conviventi sottoposti a protezione mediante connessione ad utenza cellulare, purche' il Servizio centrale di protezione attesti la disponibilita' dell'utenza da parte del familiare o del convivente. La connessione e' effettuata dalla direzione dell'istituto tramite personale specificatamente addetto ed a spese del detenuto.



Note all'art. 6:
- Si riporta il testo degli articoli 18 e 18-ter della
citata legge 26 luglio 1975, n. 354:
«Art. 18 (Colloqui, corrispondenza e informazione). - I
detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e
corrispondenza con i congiunti e con altre persone, anche
al fine di compiere atti giuridici.
I colloqui si svolgono in appositi locali, sotto il
controllo a vista e non auditivo del personale di custodia.
Particolare favore viene accordato ai colloqui con i
familiari.
L'amministrazione penitenziaria pone a disposizione dei
detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti gli
oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.
Puo' essere autorizzata nei rapporti con i familiari e,
in casi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica
con le modalita' e le cautele previste dal regolamento.
I detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere
presso di se' i quotidiani, i periodici e i libri in libera
vendita all'esterno e ad avvalersi di altri mezzi di
informazione.
Salvo quanto disposto dall'art. 18-bis, per gli
imputati i permessi di colloquio fino alla pronuncia della
sentenza di primo grado e le autorizzazioni alla
corrispondenza telefonica sono di competenza dell'autorita'
giudiziaria, ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma
dell'art. 11. Dopo la pronuncia della sentenza di primo
grado i permessi di colloquio sono di competenza del
direttore dell'istituto.».
«Art. 18-ter (Limitazioni e controlli della
corrispondenza). - 1. Per esigenze attinenti le indagini o
investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per
ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto, possono
essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o
internati, per un periodo non superiore a sei mesi,
prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:
a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e
telegrafica e nella ricezione della stampa;
b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di
controllo;
c) il controllo del contenuto delle buste che
racchiudono la corrispondenza, senza lettura della
medesima.
2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora
la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata
ai soggetti indicati nel comma 5 dell'art. 103 del codice
di procedura penale, all'autorita' giudiziaria, alle
autorita' indicate nell'art. 35 della presente legge, ai
membri del Parlamento, alle rappresentanze diplomatiche o
consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini
ed agli organismi internazionali amministrativi o
giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di
cui l'Italia fa parte.
3. I provvedimenti previsti dal comma 1 sono adottati
con decreto motivato, su richiesta del Pubblico ministero o
su proposta del direttore dell'istituto:
a) nei confronti dei condannati e degli internati,
nonche' nei confronti degli imputati dopo la pronuncia
della sentenza di primo grado, dal magistrato di
sorveglianza;
b) nei confronti degli imputati, fino alla pronuncia
della sentenza di primo grado, dal giudice indicato
nell'art. 279 del codice di procedura penale; se procede un
giudice collegiale, il provvedimento e' adottato dal
presidente del tribunale o della Corte di Assise.
4. L'autorita' giudiziaria indicata nel comma 3, nel
disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di
controllo, se non ritiene di provvedere direttamente, puo'
delegare il controllo al direttore o ad un appartenente
all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso
direttore.
5. Qualora, in seguito al visto di controllo,
l'autorita' giudiziaria indicata nel comma 3 ritenga che la
corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o
inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia
trattenuta. Il detenuto e l'internato vengono
immediatamente informati.
6. Contro i provvedimenti previsti dal comma 1 e dal
comma 5 puo' essere proposto reclamo, secondo la procedura
prevista dall'art. 14-ter, al tribunale di sorveglianza, se
il provvedimento e' emesso dal magistrato di sorveglianza,
ovvero, negli altri casi, al tribunale nel cui circondario
ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. Del
collegio non puo' fare parte il giudice che ha emesso il
provvedimento. Per quanto non diversamente disposto dal
presente comma si applicano le disposizioni dell'art. 666
del codice di procedura penale.
7. Nel caso previsto dalla lettera c) del comma 1,
l'apertura delle buste che racchiudono la corrispondenza
avviene alla presenza del detenuto o dell'internato.».
- Si riporta il testo degli articoli 37, 38 e 39 del
citato decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno
2000, n. 230:
«Art. 37 (Colloqui). - 1. I colloqui dei condannati,
degli internati e quelli degli imputati dopo la pronuncia
della sentenza di primo grado sono autorizzati dal
direttore dell'istituto. I colloqui con persone diverse dai
congiunti e dai conviventi sono autorizzati quando
ricorrono ragionevoli motivi.
2. Per i colloqui con gli imputati fino alla pronuncia
della sentenza di primo grado, i richiedenti debbono
presentare il permesso rilasciato dall'autorita'
giudiziaria che procede.
3. Le persone ammesse al colloquio sono identificate e,
inoltre, sottoposte a controllo, con le modalita' previste
dal regolamento interno, al fine di garantire che non siano
introdotti nell'istituto strumenti pericolosi o altri
oggetti non ammessi.
4. Nel corso del colloquio deve essere mantenuto un
comportamento corretto e tale da non recare disturbo ad
altri. Il personale preposto al controllo sospende dal
colloquio le persone che tengono comportamento scorretto o
molesto, riferendone al direttore, il quale decide sulla
esclusione.
5. I colloqui avvengono in locali interni senza mezzi
divisori o in spazi all'aperto a cio' destinati. Quando
sussistono ragioni sanitarie o di sicurezza, i colloqui
avvengono in locali interni comuni muniti di mezzi
divisori. La direzione puo' consentire che, per speciali
motivi, il colloquio si svolga in locale distinto. In ogni
caso, i colloqui si svolgono sotto il controllo a vista del
personale del Corpo di polizia penitenziaria.
6. Appositi locali sono destinati ai colloqui dei
detenuti con i loro difensori.
7. Per i detenuti e gli internati infermi i colloqui
possono avere luogo nell'infermeria.
8. I detenuti e gli internati usufruiscono di sei
colloqui al mese. Quando si tratta di detenuti o internati
per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo
comma dell'art. 4-bis della legge e per i quali si applichi
il divieto di benefici ivi previsto, il numero di colloqui
non puo' essere superiore a quattro al mese.
9. Ai soggetti gravemente infermi, o quando il
colloquio si svolge con prole di eta' inferiore a dieci
anni ovvero quando ricorrano particolari circostanze,
possono essere concessi colloqui anche fuori dei limiti
stabiliti nel comma 8.
10. Il colloquio ha la durata massima di un'ora. In
considerazione di eccezionali circostanze, e' consentito di
prolungare la durata del colloquio con i congiunti o i
conviventi. Il colloquio con i congiunti o conviventi e'
comunque prolungato sino a due ore quando i medesimi
risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede
l'istituto, se nella settimana precedente il detenuto o
l'internato non ha fluito di alcun colloquio e se le
esigenze e l'organizzazione dell'istituto lo consentono. A
ciascun colloquio con il detenuto o con l'internato possono
partecipare non piu' di tre persone. E' consentito di
derogare a tale norma quando si tratti di congiunti o
conviventi.
11. Qualora risulti che i familiari non mantengono
rapporti con il detenuto o l'internato, la direzione ne fa
segnalazione al centro di servizio sociale per gli
opportuni interventi.
12. Del colloquio, con l'indicazione degli estremi del
permesso, si fa annotazione in apposito registro.
13. Nei confronti dei detenuti che svolgono attivita'
lavorativa articolata su tutti i giorni feriali, e'
favorito lo svolgimento dei colloqui nei giorni festivi,
ove possibile.».
«Art. 38. (Corrispondenza epistolare e telegrafica). -
1. I detenuti e gli internati sono ammessi a inviare e a
ricevere corrispondenza epistolare e telegrafica. La
direzione puo' consentire la ricezione di fax.
2. Al fine di consentire la corrispondenza,
l'amministrazione fornisce gratuitamente ai detenuti e agli
internati, che non possono provvedervi a loro spese,
settimanalmente, l'occorrente per scrivere una lettera e
l'affrancatura ordinaria.
3. Presso lo spaccio dell'istituto devono essere sempre
disponibili, per l'acquisto, gli oggetti di cancelleria
necessari per la corrispondenza.
4. Sulla busta della corrispondenza epistolare in
partenza il detenuto o l'internato deve apporre il proprio
nome e cognome.
5. La corrispondenza in busta chiusa, in arrivo o in
partenza, e' sottoposta a ispezione al fine di rilevare
l'eventuale presenza di valori o altri oggetti non
consentiti. L'ispezione deve avvenire con modalita' tali da
garantire l'assenza di controlli sullo scritto.
6. La direzione, quando vi sia sospetto che nella
corrispondenza epistolare, in arrivo o in partenza, siano
inseriti contenuti che costituiscono elementi di reato o
che possono determinare pericolo per l'ordine e la
sicurezza, trattiene la missiva, facendone immediata
segnalazione, per i provvedimenti del caso, al magistrato
di sorveglianza, o, se trattasi di imputato sino alla
pronuncia della sentenza di primo grado, all'autorita'
giudiziaria che procede.
7. La corrispondenza epistolare, sottoposta a visto di
controllo su segnalazione o d'ufficio, e inoltrata o
trattenuta su decisione del magistrato di sorveglianza o
dell'autorita' giudiziaria che procede.
8. Le disposizioni di cui ai commi 6 e 7, si applicano
anche ai telegrammi e ai fax in arrivo.
9. Ove la direzione ritenga che un telegramma in
partenza non debba essere inoltrato, per i motivi di cui al
comma 6, ne informa il magistrato di sorveglianza o
l'autorita' giudiziaria procedente, che decide se si debba
o meno provvedere all'inoltro.
10. Il detenuto o l'internato viene immediatamente
informato che la corrispondenza e' stata trattenuta.
11. Non puo' essere sottoposta a visto di controllo la
corrispondenza epistolare dei detenuti e degli internati
indirizzata ad organismi internazionali amministrativi o
giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell'uomo, di
cui l'Italia fa parte.».
«Art. 39 (Corrispondenza telefonica). - 1. In ogni
istituto sono installati uno o piu' telefoni secondo le
occorrenze.
2. I condannati e gli internati possono essere
autorizzati dal direttore dell'istituto alla corrispondenza
telefonica con i congiunti e conviventi, ovvero, allorche'
ricorrano ragionevoli e verificati motivi, con persone
diverse dai congiunti e conviventi, una volta alla
settimana. Essi possono, altresi', essere autorizzati ad
effettuare una corrispondenza telefonica, con i familiari o
con le persone conviventi, in occasione del loro rientro
nell'istituto dal permesso o dalla licenza. Quando si
tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti
dal primo periodo del primo comma dell'art. 4-bis della
legge, e per i quali si applichi il divieto dei benefici
ivi previsto, il numero dei colloqui telefonici non puo'
essere superiore a due al mese.
3. L'autorizzazione puo' essere concessa, oltre i
limiti stabiliti nel comma 2, in considerazione di motivi
di urgenza o di particolare rilevanza, se la stessa si
svolga con prole di eta' inferiore a dieci anni, nonche' in
caso di trasferimento del detenuto.
4. Gli imputati possono essere autorizzati alla
corrispondenza telefonica, con la frequenza e le modalita'
di cui ai commi 2 e 3, dall'autorita' giudiziaria
procedente o, dopo la sentenza di primo grado, dal
magistrato di sorveglianza.
5. Il detenuto o l'internato che intende intrattenere
corrispondenza telefonica deve rivolgere istanza scritta
all'autorita' competente, indicando il numero telefonico
richiesto e le persone con cui deve corrispondere.
L'autorizzazione concessa e' efficace fino a che non ne
intervenga la revoca. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, il
richiedente deve anche indicare i motivi che consentono
l'autorizzazione, che resta efficace, se concessa, solo
fino a che sussistono i motivi indicati. La decisione sul
richiesta, sia in caso di accoglimento che di rigetto, deve
essere motivata.
6. Il contatto telefonico viene stabilito dal personale
dell'istituto con le modalita' tecnologiche disponibili. La
durata massima di ciascuna conversazione telefonica e' di
dieci minuti.
7. L'autorita' giudiziaria competente a disporre il
visto di controllo sulla corrispondenza epistolare, ai
sensi dell'art. 18 della legge, puo' disporre che
conversazioni telefoniche vengano ascoltate e registrate a
mezzo di idonee apparecchiature. E' sempre disposta la
registrazione delle conversazioni telefoniche autorizzate
su richiesta di detenuti o internati per i reati indicati
nell'art. 4-bis della legge.
8. La corrispondenza telefonica e' effettuata a spese
dell'interessato, anche mediante scheda telefonica
prepagata.
9. La contabilizzazione della spesa avviene per
ciascuna telefonata e contestualmente ad essa.
10. In caso di chiamata dall'esterno, diretta ad avere
corrispondenza telefonica con i detenuti e gli internati,
all'interessato puo' essere data solo comunicazione del
nominativo dichiarato dalla persona che ha chiamato sempre
che non ostino particolari motivi di cautela. Nel caso in
cui la chiamata provenga da congiunto o convivente
anch'esso detenuto, si da' corso alla conversazione,
purche' entrambi siano stati regolarmente autorizzati ferme
restando le disposizioni di cui al comma 7.».
- Per il testo dell'art. 13 del citato decreto-legge
15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.



 
Art. 7.
Traduzioni e trasferimenti
1. La traduzione, il trasferimento ed il piantonamento dei soggetti indicati all'articolo 1, anche se detenuti o internati in luoghi esterni agli istituti di pena, sono effettuati da personale del Corpo di Polizia penitenziaria.
2. La direzione dell'istituto penitenziario che provvede alla traduzione o al trasferimento emana le disposizioni ritenute utili ad assicurare l'incolumita' fisica del detenuto o internato e della scorta, ad impedire tentativi di evasione, ad assicurare l'effettivita' dei divieti di colloquio e di incontro stabiliti dalla legge o da disposizioni dell'autorita' giudiziaria competente.
3. La direzione dell'istituto penitenziario comunica tempestivamente l'ordine di traduzione o trasferimento al Servizio centrale di protezione che ne informa le Questure ed i Comandi provinciali dell'Arma dei Carabinieri competenti in relazione all'itinerario previsto.
4. Le Forze di polizia interessate dispongono la vigilanza ritenuta adeguata alle concrete esigenze di sicurezza.
5. Salvi i provvedimenti adottati dall'autorita' di pubblica sicurezza, per particolari esigenze di ordine e di sicurezza pubblica, il responsabile del servizio di traduzione puo' richiedere, in situazioni di emergenza attinenti la sicurezza, l'intervento della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri competenti per territorio.
6. La traduzione ed il trasferimento dei soggetti collocati in detenzione domiciliare o agli arresti domiciliari e sottoposti alle speciali misure di protezione, al piano provvisorio di protezione e alle misure di eccezionale urgenza ai sensi dell'articolo 13, comma 1, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, sono effettuati a cura del Servizio centrale di protezione, il quale vi provvede mediante le forze di polizia territoriali.
7. Qualora venga concesso un permesso ai sensi degli articoli 30 e 30-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354, se l'autorita' giudiziaria ne ha disposto la fruizione in localita' nota al Servizio centrale di protezione, la traduzione del soggetto e' effettuata a cura del Servizio medesimo, il quale vi provvede mediante le Forze di polizia territoriali.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
Roma, 7 febbraio 2006
Il Ministro della giustizia: Castelli Il Ministro dell'interno: Pisanu

Visto, il Guardasigilli: Castelli
Registrato alla Corte dei conti il 27 marzo 2006
Ministeri istituzionali, registro n. 3, foglio n. 196



Note all'art. 7:
- Per il testo dell'art. 13 del citato decreto-legge
15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.
- Si riporta il testo degli articoli 30 e 30-ter della
citata legge 26 luglio 1975, n. 354:
«Art. 30 (Permessi). - 1. Nel caso di imminente
pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai
condannati e agli internati puo' essere concesso dal
magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a
visitare, con le cautele previste dal regolamento
l'infermo. Agli imputati il permesso e' concesso, durante
il procedimento di primo grado, dalle medesime autorita'
giudiziarie, competenti ai sensi del secondo comma
dell'art. 11 a disporre il trasferimento in luoghi esterni
di cura degli imputati fino alla pronuncia della sentenza
di primo grado. Durante il procedimento di appello provvede
il presidente del collegio e, nel corso di quello di
cassazione, il presidente dell'ufficio giudiziario presso
il quale si e' svolto il procedimento di appello.
2. Analoghi permessi possono essere concessi
eccezionalmente per eventi di particolare gravita'.
3. Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere
del permesso senza giustificato motivo, se l'assenza si
protrae per oltre tre ore e per non piu' di dodici, e'
punito in via disciplinare; se l'assenza si protrae per un
tempo maggiore, e' punibile a norma del primo comma
dell'art. 385 del codice penale ed e' applicabile la
disposizione dell'ultimo capoverso dello stesso articolo.
4. L'internato che rientra in istituto dopo tre ore
dalla scadenza del permesso senza giustificato motivo e'
punito in via disciplinare.».
«Art. 30-ter (Permessi premio). - 1. Ai condannati che
hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo
comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il
magistrato di sorveglianza, sentito il direttore
dell'istituto, puo' concedere permessi premio di durata non
superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di
coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La
durata dei permessi non puo' superare complessivamente
quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione.
1-bis.
2. Per i condannati minori di eta' la durata dei
permessi premio non puo' superare ogni volta i venti giorni
e la durata complessiva non puo' eccedere i sessanta giorni
in ciascun anno di espiazione.
3. L'esperienza dei permessi premio e' parte integrante
del programma di trattamento e deve essere seguita dagli
educatori e assistenti sociali penitenziari in
collaborazione con gli operatori sociali del territorio.
4. La concessione dei permessi e' ammessa:
a) nei confronti dei condannati all'arresto o alla
reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta
all'arresto;
b) nei confronti dei condannati alla reclusione
superiore a tre anni, salvo quanto previsto dalla lettera
c), dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena;
c) nei confronti dei condannati alla reclusione per
taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis,
dopo l'espiazione di almeno meta' della pena e, comunque,
di non oltre dieci anni;
d) nei confronti dei condannati all'ergastolo, dopo
l'espiazione di almeno dieci anni.
5. Nei confronti dei soggetti che durante l'espiazione
della pena o delle misure restrittive hanno riportato
condanna o sono imputati per delitto doloso commesso
durante l'espiazione della pena o l'esecuzione di una
misura restrittiva della liberta' personale, la concessione
e' ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del
fatto.
6. Si applicano, ove del caso, le cautele previste per
i permessi di cui al primo comma dell'art. 30; si applicano
altresi' le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma
dello stesso articolo.
7. Il provvedimento relativo ai permessi premio e'
soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le
procedure di cui all'art. 30-bis.
8. La condotta dei condannati si considera regolare
quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato
costante senso di responsabilita' e correttezza nel
comportamento personale, nelle attivita' organizzate negli
istituti e nelle eventuali attivita' lavorative o
culturali.».



 
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