Gazzetta n. 77 del 2007-04-02
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
PROVVEDIMENTO 21 marzo 2007
Disciplinare di produzione della denominazione d'origine protetta «Prosciutto di San Daniele».

IL DIRETTORE GENERALE
per la qualita' dei prodotti agroalimentari
Considerato che con Regolamento (CE) n. 1107/1996 della Commissione del 12 giugno 1996, la denominazione «Prosciutto di San Daniele» riferita alla categoria delle preparazioni carni e' stata iscritta quale Denominazione di Origine Protetta nel registro delle denominazioni di origine protette (D.O.P.) e delle indicazioni geografiche protette (I.G.P.) previsto dall'art. 6, paragrafo 3, del Regolamento (CE) n. 2081/92 (attualmente Reg. 510/06);
Considerato che nel disciplinare di produzione si e' provveduto all'eliminazione di tutti i riferimenti alle normative ed alle procedure preesistenti all'emanazione del Reg. CEE 2081/92 e che risultavano illegittime rispetto all'attuale regolamentazione comunitaria in quanto attribuivano l'attivita' di controllo sulla denominazione agli stessi produttori riuniti in Consorzio;
Considerato che i Servizi dell'Unione europea hanno concordato sul fatto che la richiesta di modifica e' da considerarsi esclusivamente come un adeguamento legislativo del disciplinare di produzione alla normativa comunitaria e nazionale vigente;
Ritenuto che sussista l'esigenza di pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il disciplinare di produzione e i tre regolamenti citati nel disciplinare di produzione e che costituiscono parte integrante dello stesso, affinche' le disposizioni contenute nei predetti documenti siano accessibili per informazione erga omnes sul territorio italiano;
Provvede alla pubblicazione degli allegati disciplinare di produzione e dei regolamenti della Denominazione di Origine Protetta «Prosciutto di San Daniele».
Roma, 21 marzo 2007
Il direttore generale: La Torre
Allegato

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DISCIPLINARE GENERALE
e dossier di cui all'articolo 4 del Regolamento (CEE) 2081/92
del Consiglio del 14 luglio 1992
INDICE

SCHEDA A
- nome del prodotto che comprende la denominazione di origine

SCHEDA B
- descrizione del prodotto mediante indicazione delle materie prime e delle principali caratteristiche organolettiche e chimico-fisiche

SCHEDA C
- delimitazione della zona geografica e rispetto delle condizioni di cui all'articolo 2, paragrafo 4

SCHEDA D
- origine del prodotto in relazione alla zona geografica

SCHEDA E
- metodo di ottenimento del prodotto

SCHEDA F
- legame con l'ambiente geografico

SCHEDA G
- struttura di controllo

SCHEDA H
- elementi specifici dell'etichettatura connessi alla dicitura DOP e diciture nazionali equivalenti

SCHEDA I
- condizioni da rispettare in forza di disposizioni nazionali
ALLEGATI

Documenti di riferimento SCHEDA A
- testo integrale della legge 14 febbraio 1990, n. 30 e del decreto 16 febbraio 1993, n. 298
- elenco dei Paesi presso i quali si e' provveduto alla registrazione di un marchio internazionale di protezione del prosciutto di San Daniele e/o che consentono la protezione della denominazione in forza di accordi bilaterali con l'Italia: dispositivi relativi

Documenti di riferimento SCHEDA B
testo integrale delle direttive n. 14(10)92 del 16 maggio 1992 e n. 17/93 del 19 febbraio 1993 concernenti disposizioni relative al prosciutto di San Daniele affettato e confezionato

Documenti di riferimento SCHEDA C
- testo integrale delle direttive concernenti la codificazione e la certificazione degli allevatori
- testo integrale delle direttive concernenti il riconoscimento dei macellatori e l'uso del relativo timbro
- documentazione integrativa di accompagnamento e di riepilogo delle certificazioni, trasmessa dai macellatori

Documenti di riferimento SCHEDA D
- Note bibliografiche relative alle schede D e F
- testo integrale della legge 4 luglio 1970, n. 507 e del relativo regolamento di esecuzione sulla tutela della denominazione di origine del prosciutto di San Daniele,
- P.L. Rebellato, E. Santese "San Daniele, dal persutto al prosciutto" - Biblioteca Cominiana 1993

Documenti di riferimento SCHEDA E
- Testo integrale della direttiva 15/92, concernente procedure di controllo

Documenti di riferimento SCHEDA F
- testo integrale del Reg. (CEE) n. 3220/84
- testo integrale della Decisione della Commissione CEE del 21 dicembre 1988 e seguenti

Documenti di riferimento SCHEDA G
- testo integrale del provvedimento delle competenti Autorita' nazionali per il rilascio della certificazione per la richiesta della restituzione maggiorata all'esportazione di prosciutto di San Daniele verso i Paesi Terzi

Documenti di riferimento SCHEDA H
- testo integrale dei provvedimenti della Autorita' nazionale per l'approvazione del contrassegno e degli altri timbri e sigilli vigenti nel quadro giuridico nazionale di protezione

Documenti di riferimento SCHEDA I
testo integrale dei seguenti provvedimenti:
- DM. 4 agosto 1984 n. 2555
- L. 14 febbraio 1990 n. 30 e DM. 16 febbraio 1993 n. 298
- art. 14, della legge 21 dicembre 1999 n. 526
- testo integrale della direttiva DAR 03/04 del 9 novembre 2004
- D.Lgs. 27 maggio 2005 n. 102
PREMESSA INTRODUTTIVA E METODOLOGIA

Il presente lavoro si prefigge lo scopo di condensare il panorama normativo e regolamentare posto alla base della denominazione di origine "prosciutto di San Daniele", al fine di consentirne l'accesso a tutti coloro che perseguono una conoscenza dettagliata e specifica della materia.
La metodologia reputata maggiormente funzionale allo scopo suindicato consiste nella suddivisione per materia di alcuni argomenti base o principi generali, accompagnata dalla trasposizione, per ogni singolo argomento, di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che gli afferiscono, anche se previste da diversi e separati dispositivi di legge, regolamenti o direttive esecutive.
Pertanto, il lettore potra' trovare con estrema semplicita', a seguito di ogni argomento esposto, una completa ed esauriente regolamentazione inglobante tutto quanto disposto, nel tempo, sull'argomento stesso.
Il testo che si propone di seguito prende normalmente in considerazione le norme in vigore sia all'epoca della richiesta di registrazione della DOP "prosciutto di San Daniele" (1994) che attualmente; lo stesso testo sara' soggetto alle variazioni del caso ogni volta che il complesso normativo considerato subira' modifiche di rilievo.
Di seguito, per "organismo abilitato" si intende l'organo di controllo autorizzato per le finalita' indicate dall'articolo 10 del Reg. (CEE) 2081/92 ai sensi dell' articolo 14 delle legge 21.12.1999, n. 526.
SCHEDA A

NOME DEL PRODOTTO CHE COMPRENDE LA
DENOMINAZIONE DI ORIGINE
Il nome del prodotto e':
"PROSCIUTTO DI SAN DANIELE"
ovvero
"PROSCIUTTO DI SAN DANIELE DEL FRIULI"
La denominazione di origine " prosciutto di San Daniele " e' stata inizialmente giuridicamente protetta a livello nazionale fin dal 1970 attraverso la legge 4/7/70 n. 507, sostituita dalla legge 14/2/1990 n. 30 ed e' poi stata infine riconosciuta come DOP ai sensi del Reg. CEE 2081/92 con Regolamento CE n. 1107 del 12.06.96.

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DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA A
Legge 4/07/70 n. 507
Legge 14/02/90 n. 30
D.P.R. 23/02/82 n. 307
D.M. 16/02/93 n. 298
SCHEDA B

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO MEDIANTE INDICAZIONE DELLE MATERIE
PRIME E DELLE PRINCIPALI CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE
E CHIMICO-FISICHE

La denominazione di origine "Prosciutto di San Daniele" ovvero "Prosciutto di San Daniele del Friuli" e' riservata esclusivamente al prosciutto munito del contrassegno prescritto dalla legge 14 febbraio 1990, n. 30, atto a consentirne l'identificazione ed a garantirne l'origine e l'osservanza delle disposizioni produttive contenute nel presente disciplinare (di seguito indicato semplicemente come "contrassegno").
Il prosciutto di San Daniele e' ottenuto esclusivamente da suini nati, allevati e macellati nel territorio delle regioni Friuli-Venezia-Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio, secondo le prescrizioni produttive contenute nel presente disciplinare. E' esclusa l'utilizzazione di verri e scrofe.
I suini devono essere macellati in ottimo stato sanitario e perfettamente dissanguati, non prima del nono mese dalla nascita.
Il prosciutto di San Daniele e' caratterizzato, fino all'apposizione del contrassegno, dalla forma esteriore a chitarra, compresa la parte distale (piedino)
Tale forma deriva dal sistema di preparazione che, tanto per l'arto posteriore destro quanto per quello sinistro dei suini macellati, prevede si proceda sezionando nel modo seguente: dall'avanti all'indietro nella parte superiore per un terzo della fascia lata; nel terzo inferiore del gluteo mediano, nel terzo superiore del gluteo superficiale, nella meta' circa del lungo vasto e nella parte superiore del semimembranoso, con un taglio ad arco. Nella parte mediale va disarticolata l'articolazione cosciofemorale e vanno sezionati i muscoli trasversalmente seguendo la linea descritta con il taglio esterno.
Le cosce dei suini impiegate per la preparazione del prosciutto di San Daniele devono essere di peso non inferiore a 11 chilogrammi.
Lo spessore del grasso della parte esterna della coscia fresca rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza della testa del femore ("sottonoce"), con la coscia e la relativa faccia esterna poste sul piano orizzontale, non deve essere inferiore a 15 millimetri, cotenna compresa, in funzione della pezzatura.
La giusta consistenza del grasso e' stimata attraverso la determinazione del numero di jodio e/o del contenuto di acido linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo adiposo sottocutaneo della coscia. Per ogni singola coscia il numero di jodio non deve superare 70 ed il contenuto di acido linoleico non deve essere superiore al 15%.
Sono escluse le cosce provenienti da suini con miopatie conclamate (PSE, DFD, postumi evidenti di pregressi processi flogistici e traumatici, ecc.), accertate obiettivamente ed accertate, al macello, da un medico veterinario.
Dopo la macellazione, le cosce suine non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, ivi compresa la congelazione. Per refrigerazione si intende che le cosce suine devono essere conservate, nelle fasi di deposito e trasporto, ad una temperatura interna variabile tra -1 °C e +4°C.
Non e' ammessa la lavorazione di cosce suine che risultino ricavate da suini macellati da meno di 24 ore o da oltre 120 ore.
Il prosciutto di San Daniele, a stagionatura ultimata, presenta le caratteristiche che seguono.
a) la forma esteriore a chitarra, compresa la parte distale (piedino), in dipendenza dalle prescritte metodiche di preparazione della coscia suina fresca.
b) le carni presentano il giusto grado di tenerezza, verificabile al sondaggio ed al taglio.
c) la parte grassa e' perfettamente bianca e si presenta in giusta proporzione con la parte magra.
d) la porzione magra si presenta di colore rosato e rosso, con qualche nervatura.
e) il gusto e' delicatamente dolce, con un retrogusto piu' marcato.
f) l'aroma e' fragrante e caratteristico, in dipendenza del prescritto periodo di stagionatura.
Il prosciutto di San Daniele e' altresi' caratterizzato dalla osservanza dei seguenti parametri, verificati mediante analisi chimica e riferiti ai requisiti della composizione' centesimale di una frazione del muscolo bicipite femorale, rilevati prima della apposizione del contrassegno.
g) l'umidita' percentuale non deve essere inferiore al 57%, ne' superiore al 63%.
h) il quoziente del rapporto tra la composizione percentuale di cloruro di sodio e l'umidita' percentuale (espresso in valori numerici moltiplicati per 100), non deve essere inferiore a 7,8 ne' superiore a 11,2.
i) il quoziente del rapporto tra l'umidita' percentuale e la composizione percentuale in proteine totali non deve essere inferiore a 1,9 ne' superiore a 2,5.
l) l'indice di proteolisi (composizione percentuale delle frazioni azotate solubili in acido tricoloroacetato - TCA - riferite al contenuto di azoto totale) non deve essere superiore a 31.
Il peso del prosciutto di San Daniele intero e' di norma ricompreso tra gli otto ed i dieci chilogrammi e, comunque, mai inferiore a 7,5 chilogrammi.
Il prosciutto di San Daniele e' commercializzato intero, disossato e, come tale, anche confezionato in tranci di peso e forma variabili. Tutti, comunque, recano il contrassegno.
Il prosciutto di San Daniele puo' essere venduto anche affettato ed opportunamente confezionato. In questo caso, il contrassegno e' apposto in modo indelebile ed inamovibile sulla confezione, sotto il controllo dell'organismo abilitato secondo la speciale disciplina di cui alla Direttiva di attuazione "Disposizioni relative al prosciutto di San Daniele affettato e confezionato" ed alle successive misure applicative. Le operazioni di confezionamento del prodotto affettato vengono effettuate solo ed esclusivamente nella zona tipica di trasformazione, cosi' come delimitata ed indicata nella successiva Scheda C .

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DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA B
- testo integrale delle direttive n. 14(10)92 del 16 maggio 1992 e n.17/93 del 19 febbraio '1993 concernenti disposizioni relative al prosciutto di San Daniele affettato e confezionato
- Legge 14/02/90 n. 30 e D.M. 16/02/93 n. 298
- Articolo 14 della legge 21/12/1999, n. 526
SCHEDA C
DELIMITAZIONE DELLA ZONA GEOGRAFICA E RISPETTO DELLE
CONDIZIONI DI CUI ALL'ARTICOLO 2, PARAGRAFO 4

La zona tipica di produzione del prosciutto di San Daniele, cosi' come individuata dalla legge della Repubblica Italiana 14 febbraio 1990, n. 30, e' geograficamente limitata negli attuali confini del comune censuario ed amministrativo di San Daniele del Friuli, provincia di Udine, regione Friuli-VG (Italia), in cartografia 1.
Nella zona di cui alla cartografia 1 devono essere ubicati gli stabilimenti di produzione ("prosciuttifici") ed i laboratori di affettamento e confezionamento e devono quindi svolgersi tutte le fasi di elaborazione per essi previste dal presente disciplinare.
I suini e la materia prima ottenuti nelle forme indicate dalla Scheda B provengono da un' area geograficamente piu' ampia della zona di trasformazione, che comprende il territorio amministrativo delle regioni Friuli-Venezia-Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio (cfr. Scheda C), cosi' come indicate in cartografia 2.
Tale zona di provenienza dei suini e della materia prima e' delimitata rigorosamente dalla legge della Repubblica Italiana 14 febbraio 1990, n. 30, cosi' come modificata dall'articolo 60 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e dal decreto 16 febbraio 1993, n. 298.
In tale zona hanno sede tutti gli allevamenti dei suini le cui cosce sono destinate alla produzione del prosciutto di San Daniele e gli stabilimenti di macellazione abilitati alla relativa preparazione.
Per soddisfare alle esigenze indicate nella successiva Scheda F, per la produzione delle materie prime, cosi' come definite dall'articolo 2, paragrafo 5, del Reg. (CEE) 2081/92, sussistono le condizioni particolari e le prescrizioni che seguono.
Le razze, l'allevamento e l'alimentazione dei suini devono essere idonei a garantire le tradizionali qualita' del prodotto in esito a precise prescrizioni produttive.
Sono pertanto ammessi gli animali, in purezza o derivati, delle razze tradizionali di base Large White e Landrace, cosi' come migliorate dal Libro Genealogico Italiano. Sono altresi' ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc, cosi' come migliorata dal Libro Genealogico Italiano.
Sono inoltre ammessi gli animali di altre razze, meticci ed ibridi, purche' provengano da schemi di selezione od incrocio con finalita' compatibili con quelle del Libro Genealogico Italiano, per la produzione del suino pesante.
In osservanza alla tradizione, sono comunque esclusi i portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilita' agli stress (PSS) che oggi sono rilevati obiettivamente anche sugli animali "post mortem" e sui prosciutti stagionati.
Sono in ogni caso esclusi gli animali che non producono cosce conformi al presente disciplinare, anche con riferimento alle prescrizioni ed ai fattori di caratterizzazione di cui alla Scheda B.
Sono comunque esclusi gli animali in purezza delle razze Landrace belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spot Poland.
I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di pesi elevati con buone efficienze e, comunque, un peso medio per partita (peso vivo) di 160 chilogrammi (piu' o meno 10%).
Gli alimenti consentiti, le quantita' e le modalita' di impiego devono essere quelli riportati nelle successive tavole prescrittivc denominate Tabella A e Tabella B.
L'alimento dovra' essere preferibilmente presentato in forma liquida (broda o pastone) e, per tradizione, con siero di latte.
Rispetto alle quantita' indicate nel presente disciplinare sono ammesse tolleranze massime del 10%.
Ai fini di ottenere un grasso di copertura di buona qualita' nell'alimento e' consentita una presenza massima di acido linolcico pari al 2% della sostanza secca della dieta.
Siero di latte e latticello (con cio' intendendosi il sottoprodotto della lavorazione del burro e per "siero di latte" il sottoprodotto di cagliate) insieme non devono superare i 15 litri capo/giorno.
Se associato a borlande il contenuto totale di Azoto deve essere inferiore al 2%.
Patata disidratata e manioca insieme non devono superare il 15% della sostanza secca della razione. Le fasi di allevamento sono cosi' definite:
- allattamento: da O a 30 gg. sotto scrofa
- svezzamento: da 30 a 80 gg.
- magronaggio: da 30 a 80 chilogrammi di peso
- ingrasso: da 80 a 160 chilogrammi e oltre
Le tecniche di allevamento sono finalizzate ad ottenere un suino pesante, obiettivo che deve essere perseguito assicurando moderati accrescimenti giornalieri, nonche' la produzione di carcasse incluse nelle classi centrali della Classificazione CEE.
Le strutture e le attrezzature dell'allevamento devono garantire agli animali condizioni di benessere.
I ricoveri devono risultare ben coibentati e ben aerati, in modo da garantire la giusta temperatura, il ricambio ottimale dell'aria e l'eliminazione dei gas nocivi.
I pavimenti devono essere caratterizzati da una bassa incidenza di fessurazione e realizzati con materiali idrorepellenti, termici ed antisdrucciolevoli.
In relazione alla tipologia della alimentazione, tutte le strutture ed attrezzature devono presentare adeguati requisiti di resistenza alla corrosione.
Onde garantire l'osservanza delle condizioni indicate nel presente disciplinare, gli allevamenti si assoggettano al seguente regime di controllo.
Per essere compresi nel "circuito della produzione tutelata" cosi' come definito dal decreto 16 febbraio 1993, n. 298, gli allevatori devono essere preventivamente riconosciuti e codificati dall'organismo abilitato.
A tal fine, gli allevatori presentano all'organismo abilitato apposita richiesta; questi, effettuati gli accertamenti del caso, assegna ad ogni singolo allevatore un codice di identificazione su base alfanumerica, definita con le modalita' fissate dal piano di controllo; e gli fornisce gli appositi supporti cartacei, prenumerati e precodificati, indispensabili per il rilascio delle certificazioni di cui in appresso.
L'allevatore riconosciuto appone sulle cosce posteriori di ogni suino, entro il 30° giorno dalla nascita, un timbro indelebile che riproduce il codice di identificazione dell'insediamento di origine e quello alfabetico utilizzato in funzione variabile in relazione al mese in cui la nascita e' avvenuta.
L'apposizione di tale timbro e' effettuata mediante applicazione, con apposito strumento a compressione, di un tatuaggio indelebile ed inamovibile anche "post mortem", sulla porzione laterale di entrambe le cosce del suinetto posta appena sotto una linea orizzontale che parte dalla rotula ed in corrispondenza della parte inferiore del bicipite femorale.
Nelle ipotesi in cui il suino timbrato venga trasferito ad altro allevamento, quest'ultimo deve essere stato preventivamente riconosciuto dall'organismo abilitato e deve apporre un nuovo timbro recante il proprio codice di identificazione su entrambe le cosce dei suini, in modo da risultare indelebile ed inamovibile anche "post mortem". Nell' ipotesi suindicata, per soddisfare tutte le esigenze correlate con il benessere animale, la seconda apposizione del timbro puo' essere surrogata dalla indicazione del codice di origine, gia' apposto nelle forme prescritte, sui documenti che accompagnano le partite di suini ad ogni transazione o trasferimento e nell'ambito delle registrazioni e delle verifiche incrociate operate dalla struttura di controllo. La tracciabilita' del prodotto e' garantita anche dalle procedure di registrazione adottate dal macello, soggette ad omologazione e verifica sistematiche da parte dell'organismo di controllo.
Il secondo eventuale timbro e' apposto sulla porzione laterale della coscia con una superficie di ingombro non superiore a 45 millimetri per 85 millimetri, evitando la sovrapposizione con il timbro preesistente e, preferibilmente, non oltre l'ottavo mese di vita ma, comunque, prima dell'invio del suino alla macellazione.
L'allevatore e' obbligato a rilasciare, per i suini avviati alla macellazione, un certificato attestante la conformita' alla prescrizioni ed alle condizioni particolari previste dal presente disciplinare.
A tal fine, all'atto della spedizione dei suini presso un macello riconosciuto, l'allevatore deve compilare, in triplice copia, un esemplare della certificazione i cui supporti cartacei gli sono stati preventivamente forniti dall'organismo abilitato.
La certificazione, identificativa dell'allevatore, prenumcrata e precodificata e da questi datata e sottoscritta, attesta l'osservanza delle prescrizioni produttive disposte dal presente disciplinare e, inoltre, e' integrata dalla indicazione sintetica dei genotipi utilizzati, del numero dei capi e della relativa destinazione.
1 criteri e le metodologie di compilazione, gestione, utilizzazione e circolazione delle certificazioni sono disciplinati nel piano dei controlli approvato.
Gli allevatori sono tenuti a consentire ogni forma di controllo volta ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi loro derivanti dal presente disciplinare, ivi comprese le ispezioni necessarie a verificare l'idoneita' dei locali e degli impianti e l'osservanza delle prescrizioni produttive.
In forza del decreto 16 febbraio 1993, n, 298, il veterinario ufficiale competente per territorio mette a disposizione dell'organismo abilitato, su richiesta dello stesso, tutti gli atti di ufficio ritenuti necessari al controllo del regolare svolgimento delle operazioni previste dal presente disciplinare nonche' per tutti gli adempimenti ritenuti necessari da parte di allevatori e macellatori.
Onde garantire l'osservanza delle condizioni indicate nel presente disciplinare, i macelli si assoggettano al seguente regime di controllo.
I macelli che intendono fornire cosce suine fresche destinate alla produzione del prosciutto di San Daniele devono inoltrare all'organismo abilitato domanda per ottenere un apposito riconoscimento.
La domanda e' corredata dalla documentazione attestante il possesso della autorizzazione sanitaria, nonche' dei requisiti igienico-sanitari richiesti dalle norme vigenti.
L'organismo abilitato, effettuati i necessari accertamenti, provvede alla attribuzione di un codice di identificazione del macello e fornisce uno o piu' timbri destinati alla relativa apposizione sulle cosce suine fresche destinate alla produzione del prosciutto di San Daniele.
Sulle cosce suine fresche munite del timbro o dei timbri apposti dall'allevatore e pervenutegli con copia della prescritta certificazione, accertatane la corrispondenza ai requisiti indicati nella precedente Scheda B, il macellatore e' tenuto ad apporre un timbro indelebile impresso a fuoco.
Il timbro di cui al punto precedente riproduce il codice di identificazione del macello ed e' definito con apposite direttive impartite dall'organismo abilitato; reca il codice di identificazione del macello presso il quale e' avvenuta la macellazione ed e' impresso sulla cotenna.
Il macellatore e' tenuto ad accompagnare ogni singola partita di cosce fresche sulle quali ha apposto il proprio timbro di, con un esemplare o con una copia della certificazione ottenuta dall'allevatore di provenienza dei corrispondenti suini.
Qualora la certificazione originariamente rilasciata dall'allevatore si riferisca a suini le cui cosce vengono destinate a diversi "prosciuttifici" e, comunque, a separate forniture, il macellatore e' tenuto ad accompagnare ogni singola consegna di cosce fresche con copia della certificazione stessa, allegata ad un documento riepilogativo di sintesi od altri documenti comunque richiesti dall'organismo abilitato ed elaborati e veicolari secondo le sue istruzioni.
I laboratori di sezionamento eventualmente riconosciuti soggiaciono agli stessi obblighi del macello disposti dal presente disciplinare ed integrano la documentazione prevista con fotocopia dei documenti che, ai sensi della vigente normativa amministrativa e sanitaria, hanno accompagnato il trasferimento delle mezzene o degli altri tagli da un altro dei macelli comunque riconosciuti.
I macellatori sono tenuti a consentire ogni forma di controllo intesa ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi posti a loro carico dal presente disciplinare, ivi comprese le ispezioni necessarie a verificare l'idoneita' dei locali e degli impianti nonche' l'osservanza delle prescrizioni produttive.
I soggetti, allevatori e macellatori, nei confronti dei quali siano accertate non conformita' gravi ed illegittimita', ivi comprese false dichiarazioni o falsificazioni, sono puniti ai sensi dell'ordinamento vigente e, in particolare, a norma del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297
Alla segnalazione ed all'accertamento delle circostanze sanzionate-provvedono, per quanto di loro competenza, l'organismo abilitato e gli altri organi di vigilanza e tal fine deputati ai sensi delle leggi vigenti.
L'organismo abilitato provvede inoltre direttamente al controllo ed al sistematico riscontro degli obblighi di timbratura e di certificazione da parte di allevatori e macellatori nell'ambito delle procedure previste dai piani di controllo approvati.
----> VEDERE IMMAGINI ALLE PAGG. 22-23 DELLA G.U. <----
Alimentazione dei suini destinati alla produzione
di prosciutto di San Daniele:

TABELLA A - Alimenti ammessi fino a 80 kg. di peso vivo
(tutti quelli utilizzabili nel periodo di ingrasso, in idonea
concentrazione, nonche' quelli sottoelencati) La presenza di sostanza secca da cereali non dovra' essere inferiore
al 45% di quella totale

Semola glutinata di mais e/o | |fino al 5% della s.s. della corn gluten feed |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 3% della s.s. della Carrube denocciolate |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Farina di carne (solo se di | | buona qualita' ed ove ammessa | |fino al 2% della s.s. della dalla normativa comunitaria) |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 1% della s.s. della Farina di pesce |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Farina di estrazione di soia |s.s.:|fino ad un massimo del 20% ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 3% della s.s. della Distillers |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino ad un massimo di 6 litri Latticello |s.s.:|capo/giorno --------------------------------------------------------------------- Lipidi con punto di fusione | |fino al 2% della s.s. della superiore a 36 °C |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 1% della s.s. della Lisati proteici |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 10% della s.s. della Silomais |s.s.:|razione
--------------------------------------------
s.s. = sostanza secca
TABELLA B - Alimenti ammessi nella fase di ingrasso
(La presenza di sostanza secca da cereali nella fase di in - grasso
non dovra' essere inferiore al 55% di quella totale)

| |fino al 55% della s.s. della Mais |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Pastone di granella e/o | |fino al 55% della s.s. della pannocchia |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 40% della s.s. della Sorgo |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 40% della s.s. della Orzo |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 25% della s.s. della Frumento |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 25% della s.s. della Triticale |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 25% della s.s. della Avena |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 25% della s.s. della Cereali minori |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Cruscami e altri sottoprodotti | |fino al 20% della s.s. della della lavorazione del frumento |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 15% della s.s. della Patata disidratata |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 5% della s.s. della Manioca |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Polpe di bietola surpressate ed| |fino al 15% della s.s. della insilate |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 2% della s.s. della Expeller di lino |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 4% della s.s. della Polpe secche esauste di bietola|s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Marco mele e pere; buccette | | d'uva o di pomodori quali | |fino al 2% della s.s. della veicoli di integratori |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino ad un massimo di 15 l. Siero di latte |s.s.:|capo/giorno ---------------------------------------------------------------------
| |fino ad un apporto massimo di Latticello |s.s.:|250 gr. capo/giorno di s.s. ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 2% della s.s. della Farina disidratata di medica |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 5% della s.s. della Melasso |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 15% della s.s. della Farina di estrazione di soia |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Farina di estrazione di | |fino al 8% della s.s. della girasole |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 3% della s.s. della Farina di estrazione di sesamo |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 5% della s.s. della Farina di estrazione di cocco |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Farina di estrazione di germe | |fino al 5% della s.s. della di mais |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Pisello e/o altri semi di | |fino al 5% della s.s. della leguminose |s.s.:|razione ---------------------------------------------------------------------
| |fino al 2% della s.s. della Lievito di birra c/o di torula |s.s.:|razione --------------------------------------------------------------------- Lipidi con punto di fusione | | superiore a 40 °C |s.s.:|fino al 2% della razione
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA C

- testo integrale della direttiva concernete il regolamento di marchiatura
- testo integrale delle direttive concernenti la codificazione e la certificazione degli allevatori
- testo integrale delle direttive concernenti il riconoscimento dei macellatori e l'uso del relativo timbro
- documentazione integrativa di accompagnamento e di riepilogo delle certificazioni, trasmessa dai macellatori
- art. 60 della legge 19 febbraio 1992, n. 142
- decreto legislativo 19.11.2004, n. 297
SCHEDA D
ORIGINE DEL PRODOTTO
IN RELAZIONE ALLA ZONA GEOGRAFICA

L'indicazione degli elementi che comprovano che il prodotto e' originario della zona geografica richiamata dalla denominazione che lo designa, deve considerare necessariamente l'articolazione della delimitazione fissata con la precedente Scheda C.
Infatti:
il prosciutto di San Daniele e' sicuramente originario della zona geografica di San Daniele del Friuli e le relative caratteristiche sono essenzialmente dovute all'ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani: inoltre, la relativa trasformazione avviene esclusivamente nell'area geografica delimitata;
nel contempo, la stessa materia prima utilizzata per la preparazione del prosciutto di San Daniele e' del pari originaria della zona geografica delimitata dal presente disciplinare, dove ne viene esclusivamente sviluppata la produzione, e le relative caratteristiche sono dovute essenzialmente all'ambiente, comprensivo dei fattori naturali ed umani.
Prima del riconoscimento come denominazione di origine protetta, intervenuto con Regolamento della Commissione n. 1107/96 del 12 giugno 2006 ai sensi del Reg. CEE n. 2081/92, la denominazione "prosciutto di San Daniele" era gia' stata riconosciuta dallo Stato Italiano come denominazione di origine a livello nazionale (ed era inoltre riconosciuta quale denominazione di origine nei Paesi con i quali erano stati stipulati specifici accordi bilaterali con l'Italia in tal senso);
i requisiti pregiudiziali indicati nel succitato paragrafo 4 sono stati argomentati e risultano soddisfatti nella precedente Scheda C del presente disciplinare.
Le considerazioni svolte nella presente scheda sono tutte riprovate da riscontri di carattere giuridico, storico, socio-economico.
Sotto il profilo giuridico, si richiama la legge della Repubblica Italiana 14 febbraio 1990, n. 30, avente per oggetto esplicito ed esclusivo la "denominazione di origine del prosciutto di San Daniele" peraltro abrogativa e sostitutiva della precedente legge 4 luglio 1970, n. 507, di pari oggetto.
Sotto il profilo storico, la produzione di prosciutti in San Daniele del Friuli e' documentata fin da quando esiste traccia del passaggio dalla tradizione orale alla trascrizione scritta dei fatti e degli avvenimenti. Infatti:
premesso che la lavorazione del prosciutto crudo stagionato appartiene alla cultura storica di tutta l'Italia settentrionale, in San Daniele la lavorazione del prosciutto viene fatta risalire, per l'appunto, all'influsso esercitato dalla cultura celtica e preromanica di conservare, salandole, le cosce di suino, considerandone il prodotto "il piatto del re" o, comunque, destinato al guerriero distintosi in gesta particolarmente eroiche o coraggiose;
San Daniele del Friuli - insediamento sicuramente precedente all'epoca della colonizzazione romana - sorge in un'arca popolata dai popoli celtici ed il suo territorio e' frequentemente caratterizzato dalla presenza dei resti di "castellieri", costruzioni tipiche dell'edilizia militare celtica;
in epoca romana, San Daniele fu sicuramente il sito di una "villa" (cfr. i ritrovamento effettuati dopo il terremoto del 1976) e subi' per intero i frutti di quella cultura, particolarmente sentita in Friuli ("Forum Julii") fin dal periodo repubblicano;
finita la dominazione longobarda - peraltro senza apportare rilevanti modifiche alle consuetudini consolidate - San Daniele appartenne per lungo tempo al feudo del Patriarca di Aquileia (vescovo-conte ed elettore dell' Imperatore) che promosse l'attuale insediamento urbano e consenti' il progressivo affrancamento della "libera comunita' sandanielese" verso l'assetto di "libero comune", retto da propri ordinamenti giurisdizionali e con autonome, anche se limitate, potesta' giudiziarie;
e' con l'assetto istituzionale del "libero comune" che si reperiscono gli "Annales" della comunita' e, con essi, i primi documenti scritti che consentono di valutare la consistenza, l'importanza ed il ruolo della produzione di prosciutto in San Daniele del Friuli;
ai fini del presente disciplinare e onde non gravarne il dispositivo con eccessive citazioni documentali e bibliografiche, si rinvia alla consultazione di P.L.Rebellato, E:Santese "San Daniele, dal persutto al prosciutto" Biblioteca Cominiana, 1993, che sintetizza l'esito di apposite ricerche storiche ed archivistiche effettuate presso la Civica Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli (monumento nazionale, costituita nel sec. XV);
e' peraltro evidente che la documentazione a supporto della originarieta' del prodotto con riferimento alla denominazione ed alla zona d'origine offre ulteriori, ampie, facolta' di riprova; il dettaglio della relativa bibliografia e' fin d'ora disponibile per chiunque avesse interesse a consultarla.
Ma il dispiegarsi dei fattori e delle motivazioni di carattere storico e socio-economico puo' essere meglio valutato in un contesto di argomentazione complessiva del fenomeno produttivo che considera l'evoluzione parallela delle motivazioni storico-economiche della produzione agricola e della trasformazione del prodotto stagionato, nella modulazione permanente esistente tra il divenire storico della zona d'origine della materia prima ed il puntualizzarsi della zona d'origine del prodotto trasformato.
L' analisi storica congiunta delle relative motivazioni e' indispensabile per "storicizzare" e spiegare il complesso fenomeno economico che contribuisce a definire l'originarieta' della denominazione.
Si rinvia inoltre alla consultazione delle trattazioni in appendice e di cui in A. Caleffi "Il suino pesante italiano: tipo genetico, qualita' delle carni e tecniche di allevamento", che richiamano la ricerca bibliografica acquisita e resa disponibile, ed in G.Ballarini "I fattori di produzione del prosciutto: origini preistoriche e storiche del prosciutto di maiale nell'area padana".
E' in ogni caso certo che, acquisita la motivazione storica della differenziazione esistente tra le diverse aree geografiche - "micro" quella di trasformazione, "macro" quella della produzione della materia prima - comunque coincidenti in un "continuum" culturale, storico e socio-economico diversamente modulatosi nel tempo, la qualita' e le caratteristiche del prodotto a denominazione di origine dipendono esclusivamente dall'ambiente geografico - comprensivo dei fattori naturali ed umani che hanno esercitato, nel tempo, il loro influsso nell'area delimitata con le modalita' considerate dal presente disciplinare - che definisce un'area della quale il prodotto e' sicuramente originario.
Ulteriore conferma di un tanto potra' essere tratta dalle indicazioni considerate nella seguente Scheda F, che riprende e sviluppa parte di quanto fin qui considerato, approposito del "legame" con l'ambiente geografico

L'ALLEVAMENTO SUINO NEL NORD ITALIA E LA SUA EVOLUZIONE NELLA STORIA

Dai molti frammenti ossei provenienti dai vari scavi si deduce che l'allevamento del bestiame suino, bovino ed ovino si e' sviluppato nel Nord Italia nel periodo neolitico.
Inizialmente pero', come risulta dai reperti ossei ritrovati in proporzione omogenea, il bestiame veniva allevato unicamente per soddisfare le necessita' della famiglia o del villaggio.
Solo in epoca Etrusca viene praticato un tipo di allevamento stabile e specializzato, il cui obiettivo e' la produzione di carne suina e bovina, lana, latte e suoi derivati, finalizzati non solo a soddisfare i fabbisogni locali ma anche alla esportazione.
Particolare menzione meritano, a tal proposito, gli scavi del Forcello, un insediamento Etrusco (V° sec. a.C.) posto a Sud di Mantova, sul terrazzo della sponda destra del Mincio, non molto lontano da Andes, localita' che diede i natali a Virgilio.
In detta localita' furono trovati un numero notevolissimo di reperti e, tra essi, ben 50.000 resti di ossa animali, di cui il 60% appartenenti alla specie suina, segno evidente della predilezione degli etruschi per l'allevamento del maiale; seguono in ordine di importanza gli ovini ed i bovini.
Dallo studio delle ossa si pote' dedurre che i maiali erano stati macellati in eta' adulta a 2 o 3 anni ed inoltre che proporzionalmente mancavano molti arti posteriori.
A tal proposito gli esperti di archeologia che studiarono il fenomeno cosi' si esprimono: "poiche' il campione studiato e' ampio e rappresentativo, questo fatto non puo' esser casuale ed induce a ritenere che le cosce del maiale, dopo la salatura e/o affumicatura, venissero esportate" (P. Olivieri del Castillo - Il suino nel Mantovano, cenni storici - 1990).
Gli stessi esperti formularono l'ipotesi che attraverso il Mediterraneo la carne suina salata giungesse insieme al grano ai mercati di Atene. Infatti - essi affermano - fonti greche antiche decantano la varieta' di merci straniere provenienti dal Mediterraneo, fra esse le carni dall'Italia.

La popolazione suina dell'Italia Centro Settentrionale
L'allevamento del maiale ha sempre costituito uno fra i piu' importanti rami dell'industria zootecnica italiana.
Nel censimento del bestiame del 1908, sono indicati presenti in Italia 2.507.798 capi di cui 322.099 scrofe.
Nel 1926, secondo il Fotticchia, i capi allevati in Italia assommano a 2.750.000 di cui ben 1.400.000 in Italia settentrionale e 570.000 nell'Italia centrale (Toscana, Umbria, Lazio e Marche).
All'inizio del secolo, e fino alla Prima Guerra Mondiale, tre sono i sistemi di allevamento tradizionalmente praticati:
- l'allevamento familiare, un tempo il piu' diffuso nella valle padana; esso si basa su un limitato numero di capi, generalmente ben curati, alimentati con residui di cucina e prodotti ortivi. Tali capi sono destinati all'autoconsumo ed in parte al rifornimento delle salumerie locali. Questo allevamento e' andato riducendo via via la sua importanza con il diffondersi della specializzazione;
- l'allevamento allo stato brado o semibrado era preminente lungo l'Appennino ed i suoi contrafforti, nonche' sulle Prealpi lombarde, venete e del Friuli, ove abbondano la macchia ed i boschi di quercia;
- l'allevamento di tipo industriale primeggiava in Lombardia ed in Emilia gia' nel secolo scorso, perche' collegato al caseificio per lo sfruttamento dei sottoprodotti di latteria (siero e latticello), dell'industria molitoria (farinette, crusca e cruschello) e della brillatura del riso (pula di riso).
Il 1872 puo' essere indicato come l'anno in cui ebbe inizio in Italia la moderna suinicoltura. Infatti in quell'anno, per iniziativa del Ministero dell'Agricoltura, che si avulse dell'opera dell'Istituto Sperimentale di Zootecnia di Reggio Emilia, furono importati dall'Inghilterra in alcune province della Valle Padana i primi riproduttori Yorkshire.

Le razze indigene
Esistevano in Italia molte razze indigene, che, con l'introduzione della Yorkshire, a seguito dei ripetuti incroci fatti nell'intento di ottenere maiali con maggiore attitudine all'ingrasso, maggiore precocita' e con scheletro piu' ridotto, finirono per perdere la loro importanza e la loro identita'.
Le razze piu' diffusamente allevate in Italia centro settentrionale ed ancora presenti agli inizi della Prima Guerra Mondiale, divise per regioni, sono le seguenti:
- Piemonte: due erano le razze autoctone, la Cavour, a mantello nero, orecchie pendenti, maschera facciale bianca, allevata sulla riva destra del Po; la Garlasco che si allevava invece sulla riva sinistra; razza un po' piu' ridotta con pelle e setole color rosso giallastro. Le caratteristiche di entrambe le razze erano la robustezza, la precocita' e la buona attitudine al pascolo.
- Lombardia: si allevava la razza Lombarda dal mantello nero rossiccio con varie macchie bianche, di grande mole, facile da ingrassare, che a fine ingrasso raggiungeva il peso di 200-220 Ing.
- Emilia: la razza Parmigiana era diffusa oltre che nel parmense anche nel piacentino ed in parte a Reggio Emilia. Essa era caratterizzata da manto grigio scurissimo con rade setole nere, molto prolifica, alta, robusta, viveva al pascolo per la maggior parte dell'anno.
Altra razza emiliana che occupava un'area assai piu' estesa della parmigiana (bolognese, modenese e parte del reggiano, del mantovano e del Veneto), di taglia ancor maggiore della precedente, era la Bolognese, a setole corte, rade, tra le quali traspariva la cute di color rosso violaceo. Le sue carni, come riferisce il Marchi nel suo testo del 1914 "hanno costituito la fama degli zamponi di Modena, delle mortadelle, spalle e bondiole di Bologna".
- Romagna: vi si allevava una razza mora, castagnina, diffusa in tutta la Romagna e detta appunto razza Romagnola. Lo Stanga (Suinicultura pratica, 1922) la considerava una sottorazza della
Bolognese. Le caratteristiche che contraddistinguevano la razza Romagnola erano il buon sviluppo in altezza (80-90 cm. al garrese), il tronco cilindrico con linea dorso-lombare convessa e soprattutto la cosiddetta linea sparta, "costituita da robustissime irte e fitte setole che trovansi lungo tutta la linea dorsale" (Ballardini).
- Veneto: oltre alle razze lombarda e la romagnola nel veneto troviamo anche la razza Friulana, rustica, facile da ingrassare, sia al pascolo che nel porcile, con carni molto saporite ma di mediocre fertilita', molto affine ai maiali stiriani e croati.
- Toscana: terra ricca di boschi di leccio, quercia, castagno e cerro che costituivano ambiente ideale per il pascolo dei suini; si allevavano tre razze: la Cinta, la Cappuccia e la Maremmana. Di esse la piu' importante era la Cinta senese, maiale lungo ed alto, con tronco cilindrico, con linea dorsale convessa e linea ventrale spesso retratta.
Altre caratteristiche di detta razza riguardano la testa molto lunga, le orecchie piccole portate in avanti, un mantello color nero ardesia a setola sottile e folta, con fascia bianca che, partendo dal garrese, scende alle spalle e cinge tutto il torace estendendosi anche agli arti anteriori. La cinta era prolifica e precoce. Il Dondi ne fa una accurata descrizione e riferisce che "la carne e' ottima e molto saporita e sono noti nel commercio i prodotti senesi di salumeria, in particolar modo salsicce, mortadelle e prosciutti, prodotti in notevole quantita' da stabilimenti locali che di preferenza attingono la materia prima dalla montagna senese". Il Mascheroni (Zootecnia speciale, 1927) afferma che "questa razza e' allevata ed ingrassata al bosco, sia durante la buona che la cattiva stagione e solo alla sera fa ritorno al porcile. L'alimentazione si basa sul pascolo di quercia e di leccio la cui produzione in ghianda e' variabilissima, integrata con beveroni, farina di castagne, granoturco e crusche".
- Umbria: la popolazione suina umbra, genericamente chiamata Perugina variava parecchio dal monte al piano.
In montagna prevalevano i suini "da macchia" a manto scuro e setole abbondanti, con testa lunga e orecchie pendenti; maiali nel complesso rustici e resistenti, che vivevano a branchi nei boschi. Vi erano poi i suini perugini di collina e di pianura, molto simili alla razza Cappuccia della Toscana; erano caratterizzati da alta statura, da testa di media lunghezza con orecchie pendenti, da una linea dorso lombare convessa accompagnata da groppa spiovente e da coscie e natiche non molto muscolose. Il mantello era nero ardesia con setole poco abbondanti ed arti quasi sempre balzani.
In collina ed in pianura, dove esistevano zone boschive, l'allevamento era semibrado; se mancava il pascolo in genere prevaleva l'allevamento da riproduzione per la produzione di lattoni, riservando all'ingrasso solo qualche capo.

Dalle razze autoctone alla suinicoltura moderna
La sostituzione delle popolazioni suine locali con razze selezionate piu' produttive, iniziata gia' alla fine del secolo scorso, fu, soprattutto nei primi decenni, molto lenta e graduale. Cio', non tanto per le difficolta' proprie del settore primario nell'acquisire ed introdurre le novita' emergenti, ma per il fatto che pure molto lenta e graduale e' stata l'evoluzione dei sistemi di allevamento.
Finche' brado e semibrado hanno rappresentato per molte regioni i sistemi piu' comuni e piu' economici per l'ingrasso del maiale la rusticita', la resistenza, l'attitudine al pascolo e piu' in generale la capacita' di procurarsi cibo hanno rappresentato condizioni prioritarie ed irrinunciabili; detti caratteri sono propri delle razze autoctone, affermatesi sul territorio per selezione naturale.
Nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali, anche a seguito della notevole espansione nella valle padana degli allevamenti da latte, andarono via via aumentando le richieste di lattoni e magroni da parte degli allevamenti collegati ai caseifici.
Gli ingrassatori rivolgevano le loro preferenze ai maiali di grande taglia, sufficientemente rustici, dotati di elevata capacita' di utilizzare il siero, i cruscami e le farine; caratteristiche che si riscontra-vano nei prodotti di incrocio delle razze locali con il verro Yorkshire-Large White.
Contemporaneamente, poiche' a causa del disboscamento era andato scomparendo il sistema brado e semibrado per l'ingrasso dei maiali, in Emilia Romagna, in Toscana ed in Umbria si era affermato l'allevamento delle scrofe per la produzione di suinetti, ricercati dagli ingrassatori della valle padana.
Questa suddivisione di compiti tra regioni diverse nell'allevamento del suino favori' ed accelero' il processo gia' iniziato di incrociare le popolazioni suine, e tra esse in primo luogo la Romagnola, la Cinta senese, la Perugina e la Cappuccia, razze rustiche e di buona taglia, con verri della piu' precoce e piu' selezionata razza Large White.
Vi e' da osservare a questo punto che, nonostante l'affermarsi degli allevamenti industriali, permane e si accentua, proprio in questo periodo, la pratica di ingrassare i maiali fino al peso di 160-180 Kg. ed oltre.
Il motivo va ricercato nel fatto che la produzione del suino pesante trova concordi sia i suinicoltori che gli operatori industriali.
L'industria richiedeva, come richiede tuttora, carcasse pesanti per disporre di carni mature, adatte a conferire ai prodotti lavorati e stagionati, primi fra tutti i prosciutti, quelle insuperabili caratteristiche organolettiche che hanno reso famosa nel mondo la salumeria italiana.
I caseifici dell'Emilia e della bassa Lombardia, in grande maggioranza orientati alla produzione del formaggio "grana", iniziavano la produzione a primavera, dopo il parto delle bovine e lo svezzamento dei vitelli, e chiudevano a fine novembre, quando le vacche andavano in asciutta.
I suini, allevati per il consumo del siero e del latticello, venivano percio' acquistati verso il mese di marzo al peso di 35-45 Kg (magroncelli) e venduti dopo la chiusura del caseificio, durante l'inverno, nel periodo piu' adatto per la lavorazione delle carni, considerato che ancora non esistevano i frigoriferi. Durante i 9-10 mesi di permanenza nelle porcilaie il suino raggiungeva il peso di 160-180 Kg. Il suino pesante pertanto soddisfaceva le esigenze del mercato e quelle del caseificio.
Un solo ciclo annuale consentiva, d'altra parte, di meglio ammortizzare il costo della rimonta nonche' di contenere le perdite per malattie e per mortalita', molto piu' frequenti nel periodo di ambientamento. Una critica che viene fatta a questo sistema riguarda l'alto consumo di alimenti necessari, nell'ultima fase dell'ingrasso, per produrre un Kg. di incremento. Pero' bisogna tener presente che, in detta fase, piu' di un terzo del valore nutritivo della dieta era fornito dal siero fresco, disponibile in abbondanza.
La produzione di incroci utilizzando verri Large White e scrofe di razze locali continuo' per alcuni anni anche dopo l'ultima guerra mondiale. Pero', gia' da tempo, le razze autoctone, a seguito dei ripetuti incroci, al fine di ottenere animali piu' adatti al caseificio, finirono, come sopra accennato, per perdere la loro importanza fino a scomparire del tutto, per essere sostituite da una popolazione avente le caratteristiche proprie del Large White.
Soggetti "fumati" (Large White x Romagnola) provenienti dal mercato di Cesena e soggetti "grigi" o "tramacchiati" provenienti dalla Toscana (Large White x Cinta) erano ancora presenti in qualche porcilaia dei caseifici lombardi agli inizi degli anni '50, pero' gia' allora si preferivano soggetti a mantello completamente bianco perche' considerati meno carichi di grasso.
Cambiavano le abitudini alimentari; si riduceva il consumo dei grassi ed aumentava quello delle carni; il mercato si orientava sempre piu' verso soggetti con predominanza di tagli magri.
Per adattare la produzione a questi nuovi orientamenti si ricorse in un primo momento alla importazione dalla Svezia di riproduttori Landrace, particolarmente' magri e dotati di prosciutti ben sviluppati, da usare per coprire scrofe del tipo Large White. Ma i prodotti di questo incrocio, ingrassati nelle porcilaie del Nord, non diedero i risultati sperati. Il Landrace svedese era dotato di una mole e di uno scheletro troppo ridotto per produrre il suino pesante richiesto dal mercato.
Risultati decisamente piu' favorevoli si ottennero da successive importazioni di Landrace olandese di grande taglia.
In questo stesso periodo, in conseguenza delle piu' approfondite conoscenze in fatto di alimentazione e dello sviluppo dell'industria mangimistica, incominciarono ad affermarsi allevamenti specializzati suini non collegati ai caseifici, in quanto il siero non costituiva piu' un elemento indispensabile alla integrazione della dieta alimentare.
A seguito di questi nuovi indirizzi la popolazione suina subisce in Italia, e soprattutto nel Nord, un sensibile aumento.
Contro una consistenza media, nel quinquennio 1951-1955, di 3.320.000 capi si passa nel 1962 a 4.800.000 unita'.
Nella sola Provincia di Mantova, sempre nello stesso periodo, i suini aumentano da 160.000 a 400.000.
Incrementa la produzione lattiera, si potenziano i caseifici e si estende l'ingrasso suino; pero' all'aumento dei capi concorrono pure gli allevamenti specializzati, per lo piu' senza terra, non collegati ai caseifici, gestiti da imprenditori provenienti anche da attivita' extra agricole, dediti di preferenza alla riproduzione piuttosto che all'ingrasso.
Si diffusero gli allevamenti iscritti ai libri genealogici, e con l'aiuto dei centri di controllo genetico istituiti dal Ministero dell'Agricoltura (1960), si diede inizio ad un serio programma di selezione delle razze Large White e Landrace.
Si gettarono pertanto le basi di una moderna suinicultura avendo sempre come traguardo la produzione di un suino pesante, dotato dei requisiti richiesti dall'industria di trasformazione in continua e rapida espansione.
Dal 1960 al 1970 furono molte ed importanti le tecnologie innovative introdotte negli allevamenti, specie in quelli da riproduzione, che ne risultarono del tutto rivoluzionati.
Da allevamenti agricoli, suddivisi in gruppi costituiti da poche unita', condizione irrinunciabile per combattere le pericolose malattie neonatali si passo', nel giro di pochi anni, alla concentrazione di centinaia di fattrici in allevamenti spesso completamente automatizzati.
Dette innovazioni, che consentirono la produzione di suinetti anche negli allevamenti intensivi della valle padana, causarono la rottura degli equilibri, durati per molti decenni, tra le regioni del Nord, prevalentemente dedite all'ingrasso e quelle del centro, specializzate nella riproduzione.
Mentre nel Nord la suinicoltura trovo' motivo per un ulteriore rafforzamento ed espansione, Romagna, Toscana ed Umbria in particolar modo, furono costrette dai nuovi indirizzi ad una completa ristrutturazione dell'intero settore suinicolo.
La consistenza della popolazione suina italiana passa dai 4.800.000 capi nel 1962 ai 9.014.600 del 1981, con un incremento medio annuo del 4,4%.
Negli anni immediatamente successivi e piu' precisamente fino al 1987, si assiste ad un ulteriore incremento dei capi suini, ma con un ritmo di crescita molto piu' modesto rispetto al decennio precedente. Pero', anche a seguito delle difficolta' sopra evidenziate, l'espansione risulta ancora meno accentuata nelle regioni del centro Italia.
Secondo i dati ISTAT il patrimonio suinicolo italiano nel 1970 era localizzato per il 56% al Nord, per il 26,3% al centro e per il 17,7% al Sud.
Nel 1985 la percentuale di suini censiti saliva al 72,2% nelle regioni settentrionali, mentre in quelle centrali e meridionali regrediva rispettivamente al 16,9% ed al 10,9%.
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DOCUMENTI DI RIFERIMENTO SCHEDA D
Note bibliografiche relative alle schede D e F


SCHEDA E

METODO DI OTTENIMENTO
DEL PRODOTTO

I metodi di ottenimento del prosciutto di San Daniele sono contemplati dalla legge della Repubblica italiana 14 febbraio 1990, n. 30 e dal decreto 16 febbraio 1993, n. 298 e, da ultimo, sono stati riconosciuti dal regolamento CE n. 1107 del 12.06.1996. Sono inoltre confermate le metodologie e le prescrizioni relative alla materia prima gia' illustrate nelle precedenti schede B e C.
Sono confermate le metodologie e le prescrizioni relative alla materia prima, gia' illustrate nelle Schede B e C del presente disciplinare.
Il procedimento per la lavorazione delle cosce suine fresche corrispondenti alle prescrizioni e ai requisiti gia' indicati nel presente disciplinare e' illustrato di seguito, mediante la elencazione delle diverse fasi del processo produttivo.

ISOLAMENTO-RAFFREDDAMENTO

Le cosce suine fresche vengono scaricate dall'automezzo che ha effettuato il trasferimento dallo stabilimento di macellazione e subito sottoposte ai necessari controlli;
le cosce fresche ritenute idonee vengono quindi trasferite in apposita cella, dove sostano per uniformare le condizioni di temperatura delle carni attorno agli 0 °C;
tale procedimento consente l'acquisizione di una migliore predisposizione delle carni per le operazioni successive.

RIFILATURA

Al termine del raffreddamento, si procede alla rifilatura, mediante l'asportazione di parti di grasso e di frazione muscolare sul lato interno della coscia;
tale procedimento consente:
a) di correggere eventuali imperfezioni del taglio, rispetto alle modalita' gia' descritte dal presente disciplinare;
b) di agevolare il verificarsi di condizioni ottimali per la successiva azione di penetrazione del sale;
c) di identificare eventuali condizioni tecniche pregiudizievoli ai fini della successiva lavorazione, ivi comprese quelle indicate nella direttiva tecnica di cui al Regolamento di marchiatura DDA n.15/92 ed ai piani di controllo approvati.

SALAGIONE

Le cosce rifilate vengono quindi sottoposte alla salagione, effettuata con il seguente procedimento.
Le cosce vengono asperse con sale "ad libitum' in modo che venga coperta la superficie esposta del lato interno. Per questa operazione la coscia rimane adagiata su un piano orizzontale.
Preliminarmente, le cosce sono massaggiate, con procedimenti manuali o meccanici, onde predisporre la carne al ricevimento del sale e verificarne, con opportune pressioni puntuali, il perfetto dissanguamento.
Per la salagione viene utilizzato esclusivamente sale marino. essendo del tutto vietato, nel corso dell'intera preparazione, l'uso di altre sostanze chimiche, di conservanti ed additivi.
Il processo di salatura ha una durata dosata sulla base del peso medio della partita in lavorazione, essendo definita in un giorno solare per ogni chilogrammo di peso della relativa pezzatura.
Mantenute sempre su un piano orizzontale, le cosce salate vengono sistemate in apposita cella, dove rimangono ad elevate condizioni di umidita' e ad una temperatura variabile tra i 3° e gli 0° C per il periodo indicato sopra, interrotto alla meta' del procedimento per i fini che seguono.
Alla meta' della durata prestabilita per la salagione, le cosce vengono estratte dalla cella, il sale residuale viene asportato dalla superficie, viene ripetuto il massaggio e, infine, viene ripetuta l'aspersione con ulteriore sale, secondo le modalita' gia' descritte.
Riposta in cella, la coscia salata vi rimane fino a compimento della durata del processo, nelle medesime condizioni ambientali.

PRESSATURA

Estratta dalla cella, la coscia viene spazzolata per la rimozione del sale residuale
In questo frangente, la coscia viene sottoposta alla pressatur
4.5. I caratteri e la grafia utilizzati per le indicazioni di cui al punto 4.4. sono scelti dall'azienda in funzione coordinata con l'impostazione grafica dell'etichetta. Del pari, le stesse indicazioni, nel rispetto delle prescrizioni di cui al punto 4.4., possono essere apposte in una qualsiasi porzione omogenea della confezione.
4.6. Per la riproduzione del contrassegno, il produttore riconosciuto utilizza esclusivamente gli impianti grafici trasmessigli dal consorzio.
4.7. Le norme relative all'etichettatura complessiva del prosciutto di San Daniele affettato e confezionato, fatto salvo quanto disposto dal presente punto 4., seguono le norme generali per l'etichettaggio delle sostanze alimentari e quelle particolari disposte dalla legge 14 febbraio 1990, n. 30 e dal relativo regolamento di esecuzione.
5. L'azienda autorizzata comunica al consorzio con 30 (trenta) giorni di anticipo la data dell'inizio delle operazioni di affettamento e confezionamento e concorda con i servizi di vigilanza consortili i piani di produzione delle relative confezioni, allo scopo di assicurare e programmare un ordinato sviluppo dei controlli.
5.1. Eventuali esigenze di collaudo degli impianti di affettamento e confezionamento, comportanti l'utilizzazione sperimentale di confezioni recanti il contrassegno di legge, verranno di volta in volta concordate ed autorizzate dal responsabile dei servizi di vigilanza.
5.2. Nelle circostanze di cui al precedente punto 5.1., l'azienda ed il personale addetto ai servizi di vigilanza assicurano che le confezioni in tal modo realizzate rimangano all'interno del circuito sperimentale dell'azienda autorizzata. La quantita' delle confezioni realizzate in via sperimentale viene annotata, a cura del personale addetto ai controlli, sui registri tenuti ai sensi di legge, dopo l'accertamento della relativa entita' per ognuna delle giornate durante le quali sono stati programmati i collaudi. La relativa menzione viene effettuata con l'indicazione "collaudo", sulla base di apposito verbale redatto a cura del personale addetto al servizio di vigilanza.
6. Tutte le operazioni attinenti l'affettamento e confezionamento del prosciutto di San Daniele, cosi' come di seguito descritte, devono avvenire alla costante e continuativa presenza del personale addetto ai servizi di vigilanza, a tal fine specificatamente incaricato dal consorzio sulla base dei programmi di cui al precedente punto 5.
6.1. Nell'ambito delle procedure ordinarie, l'azienda autorizzata presenta al personale addetto ai controlli i prosciutti, gia' muniti del contrassegno di legge, che intende destinare alla trasformazione per il confezionamento.
6.2. Preliminarmente, il personale addetto ai controlli:
6.2.1. rileva dalla documentazione presentata dalla ditta i riferimenti necessari all'individuazione dei prosciutti presentati (mediante ispezione dei registri di legge od il richiamo alle relative scritture indicate sui documenti di accompagnamento nel caso in cui il confezionatore non sia anche il produttore);
6.2.2. accerta la persistenza dei requisiti di idoneita' previsti dalla legge 14 febbraio 1990, n. 30, dal relativo regolamento di esecuzione, nonche' dalle direttive consortili, per il prosciutto di San Daniele, nonche' la sussistenza dei requisiti particolari previsti dalla presente direttiva;
6.2.3. dispone seduta stante la rimozione del contrassegno nel caso in cui siano accertate condizioni di inidoneita';
6.2.4. dispone la pesatura definitiva dei prosciutti ritenuti idonei per la successiva trasformazione, rilevandone contestualmente il numero;
6.2.5. dispone la rimozione del contrassegno dai prosciutti idonei e pesati, nonche' la contestuale eliminazione della parte distale alta "zampino";
6.2.6. assume tutte le misure necessarie per accertare che i prosciutti, oggetto di successivo disossamento, non vengano sostituiti con altri; a tale scopo, appone in modo indelebile sigle o sigilli, avendo cura di accertare giornalmente la consistenza ed identificazione del prodotto immagazzinato per le eventuali lavorazioni dei giorni successivi.
6.3. Per ogni sessione di affettamento e confezionamento di prosciutto di San Daniele, il personale addetto ai controlli:
6.3.1. accerta che il prodotto preparato per l'affettamento ed il confezionamento coincida con quello identificato a tale scopo nella sessione precedente di controllo;
6.3.2. dispone la pesatura complessiva del prodotto destinato all'affettamento e confezionamento nella stessa sessione giornaliera;
6.3.3. assiste alle operazioni di affettamento e confezionamento, avendo cura che il prodotto trasformato presenti la persistenza delle caratteristiche di idoneita' qualitativa riferite allo standard;
6.3.4. a tale fine, puo' disporre in qualsiasi momento prove ed ispezioni del prodotto in corso di trasformazione, richiedendo, se del caso, l'allontanamento di quello considerato eventualmente inidoneo.
6.4. Nelle circostanze di inidoneita' di cui al precedente punto 6., valgono le procedure di contestazione e di arbitrato previste dal regolamento di esecuzione della legge di tutela.
6.5. Alla fine della sessione operativa - che si intende non superiore ad una giornata lavorativa di otto ore - il personale addetto ai controlli:
6.5.1. accerta la quantita' ed il peso complessivo delle confezioni regolarmente preparate;
6.5.2. accerta la quantita' ed il peso complessivo del prosciutto eventualmente considerato inidoneo nelle forme previste dal precedente punto 6.3.4.;
6.5.3. accerta la quantita' di prodotto ed il numero delle confezioni relativi ad operazioni di confezionamento non perfezionate per disfunzioni operative e tecniche.
6.6. Tutte le operazioni di cui al presente punto 6. sono riepilogate in appositi verbali redatti dal personale addetto ai controlli, con riferimento ad ogni sessione operativa ed alle operazioni disposte e controllate nel corso della stessa.
6.7. Lo stesso personale addetto ai controlli provvede alla tenuta del registro prescritto dalla legge per ogni laboratorio di confezionamento. Su di esso, con riferimento ad ogni singola sessione operativa, sono annotati:
6.7.1. il numero d'ordine progressivo e la data della registrazione;
6.7.2. i riferimenti agli estremi del registro tenuto originariamente dal produttore, per l'identificazione del lotto iniziale di produzione dei prosciutti;
6.7.3. il numero ed il peso complessivo dei prosciutti presentati per la trasformazione successiva;
6.7.4. il numero ed il peso complessivo dei prosciutti eventualmente ritenuti inidonei;
6.7.5. il numero ed il peso complessivo dei prosciutti per i quali e' stata disposta la rimozione di contrassegno e "zampino";
6.7.6. il peso complessivo del prodotto conseguentemente preparato per l'affettamento;
6.7.7. il peso complessivo netto del prosciutto affettato, con apposita annotazione per quello eventualmente dichiarato inidoneo durante le operazioni di allettamento;
6.7.8. il numero complessivo delle confezioni munite del contrassegno regolarmente preparate e di quelle eventualmente eliminate per inconvenienti tecnici.
6.8. Apposita sezione del registro reca la contabilita' di carico e scarico delle confezioni. In essa viene annotata la quantita' iniziale delle confezioni potenzialmente disponibili, dedotta dalla comunicazione originariamente inoltrata dal produttore riconosciuto, implementata per effetto delle successive consegne; in essa, inoltre, vengono giornalmente annotati i valori quantitativi di cui al punto 6.7.8.
7. Il personale addetto ai controlli appone o fa apporre sotto la sua diretta sorveglianza, su ognuna delle confezioni di prosciutto di San Daniele, un apposito supporto adesivo di controllo.
7.1. Tale supporto, in chiaro o mediante l'utilizzazione di un sistema in codice, reca le seguenti informazioni:
7.1.1. numero di identificazione del laboratorio di confezionamento;
7.1.2. numero progressivo della confezione realizzata dallo stesso confezionatore;
7.1.3. data delle operazioni di confezionamento;
7.1.4. codice personale del funzionario addetto ai controlli che ne dispone l'apposizione.
8. La presente direttiva stabilisce i seguenti requisiti di standard accessorio per il prosciutto di San Daniele destinato ad essere affettato e confezionato:
a) stagionatura non inferiore ai 14 (quattordici) mesi;
b) assoluta omogeneita' cromatica del magro.
8.1. Sono inoltre considerati inidonei i prosciutti che presentino anche marginali disomogeneita' rispetto al riscontro dei parametri analitici di cui all'articolo 2, comma 1, lettera f) della legge 14 febbraio 1990, n. 30 e che presentino valori di umidita' relativa superiori al 60%.
8.2. Ai fini del precedente punto 8.1. il consorzio dispone con frequenza da stabilirsi e senza preavviso controlli e campionamenti puntuali.
8.3. Il termine minimo di conservazione delle confezioni del prosciutto di San Daniele e' armonizzato come segue:
8.3.1. da 30 (trenta) a 90 (novanta) giorni dalla data di confezionamento per confezioni in atmosfera modificata;
8.3.2. 90 (novanta) giorni dalla data di confezionamento per confezioni sottovuoto;
8.3.3. 360 (trecentosessanta) giorni dalla data di confezionamento per le confezioni sottovuoto nella tradizionale scatola in banda stagnata.
8.4. II termine minimo di conservazione e' indicato mediante il riferimento di giorno, mese ed anno. Sono tuttavia consentiti termini inferiori a quelli indicati al punto 8.3. Tutti i termini di cui al precedente punto 8.3. sono comunque riferiti alle condizioni obiettive del prodotto, in relazione alle quali il produttore sceglie l'indicazione piu' adeguata, di cui e' comunque unico responsabile.
9. Per le confezioni di prosciutto di San Daniele affettato valgono, in ogni caso, tutte le prescrizioni derivanti dalle norme di carattere generale. In particolare, i materiali utilizzati devono essere tali da assicurare il rispetto della disciplina nazionale e comunitaria in materia di confezioni per alimenti.
9.1 I laboratori per l'affettamento ed il confezionamento, nonche' il processo complessivo di preparazione, devono soddisfare tutti i requisiti igienico-funzionali stabiliti dalla vigente normativa di carattere comunitario.
9.2. Laddove l'autorita' sanitaria competente, nel quadro della propria attivita' di vigilanza, notifica all'azienda ed al consorzio condizioni operative ritenute pregiudizievoli, l'autorizzazione di cui alla presente direttiva verra' immediatamente sospesa fintanto che non sara' stato rimosso l'inconveniente accertato; cio', anche a prescindere dai provvedimenti adottati dalla stessa autorita' sanitaria.
9.3. Ai fini del permanere in essere dell'autorizzazione rilasciata per l'affettamento ed il confezionamento di prosciutto di San Daniele, l'azienda interessata dovra' depositare presso il consorzio, semestralmente, certificati di analisi relativi a:
- carica batterica rilevata sul prodotto e sulle attrezzature;
- umidita' relativa del prodotto, rilevata su un campione non inferiore allo 0,5 % del prodotto complessivamente utilizzato.
9.4. I certificati di analisi sono rilasciati o da un laboratorio aziendale, o da un laboratorio consortile o da un laboratorio esterno e sono comunque sottoscritti da un analista abilitato.
10. Le aziende autorizzate corrispondono al consorzio una tariffa, parametrata sulla base di un valore unitario per ogni confezione di prosciutto di San Daniele prodotta e del costo del personale addetto ai controlli - eventualmente differenziata per scaglioni di quantita' - destinata a coprire il costo del servizio.
10.1. Una tariffa "una tantum" e' invece corrisposta comunque prima dell'inizio delle operazioni di confezionamento in regime controllato.
10.2. Le tariffe sono fissate dal Consiglio di amministrazione del consorzio.
10.3. Valgono, in ogni caso, le prescrizioni della legge 14 febbraio 1990, n. 30, in materia di tariffe.
DAR 03/04
9 Novembre 2004
MISURE REGOLAMENTARI RELATIVE ALLA LAVORAZIONE DI PROSCIUTTI
NON A DOP PRESSO
I PRODUTTORI RICONOSCIUTI AI SENSI DEL DISCIPLINARE DELLA DOP
"PROSCIUTTO DI SAN DANIELE"

1. Ai produttori riconosciuti ai fini del Disciplinare di produzione della DOP "prosciutto di San Daniele" e che operano ai medesimi fini, e' fatto divieto di utilizzare cosce suine munite della parte distale alta ("zampino") per la lavorazione di prodotto non preventivamente omologato ai fini della medesima DOP.
2. Le suindicate misure sono fatte osservare dall'organo di controllo, che accerta le eventuali circostanze non ammesse, anche a tutti i fini applicativi dell'art. 11 del D.Igs. n. 173/98, dal consorzio e da tutti gli altri organismi incaricati della vigilanza.
3. I produttori riconosciuti che contravvengono alla presente direttiva incorrono nelle sanzioni consortili previste dall'art. 18 dello statuto, con le procedure di cui al relativo regolamento applicativo.
4. La presente direttiva e' notificata al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali per l'approvazione.
CONTRIBUTI DI AMMISSIONE, ORDINARI ED ORDINARI
DI VALORIZZAZIONE DELLA DOP
Articolo 1
Ambito di applicazione

1. Il presente regolamento e' adottato, anche ai fini previsti dell'art. 14, co. 15, della legge 29.12.1999, n.526, quale dispositivo applicativo degli articoli 10 e 13 dello statuto consortile vigente.
Articolo 2
Ammissione dei consorziati

1. Le disposizioni dell'art. 10 dello statuto si applicano cosi' come segue:
a. per i soci produttori: vigono integralmente le previsioni statutarie;
b. per i soci ordinari, relativamente alle sole categorie "allevatori e macellatori": le formalita' per l'ammissione dei soggetti corrispondenti sono assolte mediante il pagamento della Quote Associative (QA) di competenza annuale;
c. per i soci ordinari, relativamente alla categoria "porzionatori-confezionatori": si applicano integralmente le previsioni statutarie. Per la categoria "porzionatori-confezionatori" si intendono esclusivamente le imprese che producono nell'ambito di idonei locali, di cui detengono la materiale disponibilita', il prosciutto di San Daniele "affettato e confezionato" ai fini della DOP, certificato con un proprio codice di identificazione diverso da quello del produttore.
Articolo 3
Contributi di ammissione

1. Si richiama quanto disposto dall'art. 13, comma 4 dello statuto, con le seguenti specifiche modalita' applicative dei punti I, IV, V e VIII:
2. Per i produttori:
a. se nuovo socio il contributo di ammissione di cui all'art. 13, comma 4, punto V (parte eguale per tutti) e' fissato dal consiglio di amministrazione una tantum;
b. nel solo caso in cui il produttore al momento della domanda di ammissione dichiari un Potenziale Produttivo Installato che lo qualifichi come piccolo produttore, ai sensi della definizione assunta con corrispondente delibera del consiglio di amministrazione, il contributo di ammissione dovuto ai sensi dell'art. 13, comma 4, punto VIII, lettera a), si calcola applicando all'originaria formulazione statutaria per la stima del contributo in oggetto la riduzione del valore dei moltiplicatori a 1,5, in tutti gli alti casi valgono le previsioni statutarie.
3. Per i soci ordinari delle categorie "allevatori e macellatori": l'obbligo del versamento dei contributi di ammissione al consorzio, laddove venga corrisposto il contributo volontario mediante il pagamento delle Quote Associative (QA) di competenza annuale, e' assolto direttamente con il pagamento dello stesso.
4. Per i soci ordinari categoria "porzionatori-confezionatori": l'obbligo del versamento dei contributi di ammissione al consorzio e' fissato dal consiglio di amministrazione una tantum.
Articolo 4
Contributi ordinari

1. Si richiama quanto disposto dall'art. 13, comma 4, punto II, dello statuto con le seguenti specifiche modalita' applicative:
a. per i soci produttori: si applicano integralmente le previsioni statutarie;
b. per i soci ordinari categorie "allevatori e macellatori": le Quote Associative (QA) annuali assolvono anche alla quota associativa dovuta per l'anno di competenza con cio' dando attuazione anche a quanto previsto dal decreto 12 settembre 2000 n. 410 e dall'art. 13 dello statuto;
c. per i soci ordinari categoria "porzionatori-confezionatori" cosi' come individuata ai sensi dell'art. 1 punto 1.3 del presente dispositivo: il contributo ordinario annuale fissato dal consiglio di amministrazione.
Articolo 5
Contributi ordinari di valorizzazione della DOP

1. Tutte le volte in cui il produttore comunica al consorzio l'avvenuta modifica del proprio Potenziale Produttivo Installato (PPI) e la nuova entita' dello stesso - cosi' come definito dall'art. 9, comma 1, lettera e dello statuto - questi e' tenuto al pagamento di un contributo destinato alla valorizzazione della DOP il cui ammontare si ottiene moltiplicando quattro volte il prodotto tra il contributo ordinario e la differenza tra il nuovo PPI e quello precedentemente asseverato.
2. Qualora si verifichino presso il singolo produttore incrementi delle lavorazioni ai fini della DOP tali da attivare misure di controllo intensificato cosi' come definite nei Manuali nn.1 e 4 della DOP, il produttore interessato sara' tenuto al pagamento di un contributo ordinario di valorizzazione fissato dal consiglio di amministrazione.