Gazzetta n. 77 del 1 aprile 2017 (vai al sommario) |
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI |
PROVVEDIMENTO 10 marzo 2017 |
Modifica del disciplinare di produzione della denominazione «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo» registrata in qualita' di denominazione di origine protetta, in forza al regolamento (CE) n. 1107/1996 del 12 giugno 1996. |
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IL DIRIGENTE DELLA PQAI IV della direzione generale per la promozione della qualita' agroalimentare e dell'ippica
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, ed in particolare l'art. 16, lettera d); Vista la direttiva direttoriale 2016 della direzione generale per la promozione della qualita' agroalimentare e dell'ippica del 3 novembre 2016, in particolare l'art. 1, comma 5, con la quale i titolari degli uffici dirigenziali non generali, in coerenza con i rispettivi decreti di incarico, sono autorizzati alla firma degli atti e dei provvedimenti relativi ai procedimenti amministrativi di competenza; Visto il regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 sui regimi di qualita' dei prodotti agricoli e alimentari; Visto il regolamento (CE) n. 1107/1996 della Commissione del 12 giugno 1996 con il quale e' stata iscritta nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette, la denominazione di origine protetta «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo»; Considerato che, e' stata richiesta ai sensi dell'art. 53 del regolamento (UE) n. 1151/2012 una modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta di cui sopra; Considerato che, con regolamento (UE) n. 383/2017 della Commissione del 1° marzo 2017, e' stata accolta la modifica di cui al precedente capoverso; Ritenuto che sussista l'esigenza di pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo», affinche' le disposizioni contenute nel predetto documento siano accessibili per informazione erga omnes sul territorio nazionale:
Provvede alla pubblicazione dell'allegato disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo», nella stesura risultante a seguito dell'emanazione del regolamento (UE) n. 383/2017 della Commissione del 1° marzo 2017. I produttori che intendono porre in commercio la denominazione di origine protetta «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo», sono tenuti al rispetto dell'allegato disciplinare di produzione e di tutte le condizioni previste dalla normativa vigente in materia. Roma, 10 marzo 2017
Il dirigente: Polizzi
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| Allegato
PROSCIUTTO VENETO BERICO-EUGANEO (denominazione di origine protetta) DISCIPLINARE GENERALE e dossier di cui all'articolo 4 del Regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio del 14 luglio 1992 Scheda A
NOME DEL PRODOTTO E DENOMINAZIONE DI ORIGINE
A.1 Il nome del prodotto e': «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo» ovvero «Prosciutto Veneto». A.2 La denominazione di origine e' giuridicamente regolata e protetta dalla Repubblica italiana attraverso la legge 4 novembre 1981, n. 628 «Norme relative alla tutela della denominazione d'origine e tipica del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo», di cui all'allegato 2/A, e dal relativo regolamento di esecuzione approvato con decreto del Presidente della Repubblica 17 febbraio 1988, n. 130, di cui all'allegato 3/A. I dispositivi suddetti s'intendono in vigore sino all'approvazione da parte delle competenti Autorita' CEE del «Testo Unico delle norme per la tutela, la produzione e la commercializzazione del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo» (nel presente disciplinare citato come «Testo Unico»), di cui all'allegato 1/A, che li annullera' e li sostituira' integralmente.
--- Scheda B
DESCRIZIONE DEL PRODOTTO CON INDICAZIONE DELLE MATERIE PRIME E DELLE PRINCIPALI CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE, CHIMICHE E FISICHE
B.1 La denominazione di origine «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo» ovvero «Prosciutto Veneto» e' riservata esclusivamente al prosciutto munito di contrassegno atto a garantirne in via permanente l'origine, l'identificazione e l'osservanza delle disposizioni produttive contenute nel Testo unico e nel presente disciplinare. Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo e' ottenuto esclusivamente dalle cosce fresche di suini nati, allevati e macellati in una delle regioni indicate nell'art. 3 del Testo unico, ed e' stagionato nella zona di produzione di cui all'art. 4 del Testo unico per un periodo minimo di 10 mesi per i prosciutti tra i 7 e gli 8,5 chilogrammi, e di 12 mesi per quelli di peso eccedente gli 8,5 chilogrammi. I pesi sono riferiti ai prosciutti con osso all'atto dell'applicazione del contrassegno di cui sopra; il periodo di stagionatura decorre dalla salagione. B.2 Le specifiche caratteristiche merceologiche del prosciutto Veneto Berico-Euganeo, a stagionatura ultimata, sono: a) la forma esteriore naturale semipressata, privo della parte distale (piedino), privo di imperfezioni esterne tali da pregiudicare l'immagine del prodotto, con limitazione della parte muscolare scoperta oltre la testa del femore (noce) a un massimo di sei centimetri (rifilatura corta); b) peso: normalmente tra gli otto e gli undici chilogrammi circa, fatta eccezione per i prosciutti destinati alla disossatura il cui peso minimo non dovra' essere inferiore ai sette chilogrammi; c) la legatura a mezzo corda passata con un foro praticato nella parte superiore del gambo; d) la carne di colore rosa tendente al rosso con le parti grasse perfettamente bianche; e) l'aroma delicato, dolce, fragrante; f) la rifinitura, con rivestimento protettivo della parte magra scoperta con sostanze alimentari permesse dalla legge e senza coloranti; g) la caratterizzazione mediante l'osservanza di parametri analitici predeterminati. B.3 Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo e' caratterizzato anche dall'osservanza di parametri di seguito riportati, e considerati rappresentativi delle caratteristiche medie del prosciutto munito del contrassegno di cui al punto B.1: l'umidita' percentuale dal 58% al 64%; la percentuale di cloruro di sodio (sale) dal 4% al 6,8%; l'indice di proteolisi dal 24% al 3 1%. B.4 Le cosce fresche utilizzate per la produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo presentano i seguenti elementi di caratterizzazione: non devono essere di peso inferiore ai 10 chilogrammi (preferibilmente di peso compreso tra i 10 e i 15 Kg.); lo spessore del grasso della parte esterna della coscia fresca rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza della testa del femore («sottonoce») con la coscia e la relativa faccia esterna posta sul piano orizzontale non deve essere inferiore, cotenna compresa, a 20 millimetri, in funzione della pezzatura; la consistenza del grasso e' stimata attraverso la determinazione del numero di jodio e/o del contenuto di acido linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo adiposo sottocutaneo della coscia. Per ogni singolo campione il numero di jodio non deve superare 70 ed il contenuto di acido linoleico non deve essere superiore al 15%; qualita' della carne: sono escluse le cosce provenienti da suini con miopatie conclamate (PSE, DFD, postumi evidenti di processi flogistici e traumatici, ecc.), certificate al macello da un medico veterinario; dopo la macellazione le cosce fresche non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, ivi compresa la congelazione. Per refrigerazione s'intende che le cosce devono essere conservate, nelle fasi di deposito e trasporto, ad una temperatura interna tra - 1°C e +4°C; non e' ammessa l'utilizzazione di cosce che risultino ricavate da suini macellati da meno di 24 ore o da oltre 120 ore. B.5 Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo, oltre che intero, puo' essere commercializzato anche disossato e, come tale, anche confezionato in tranci di forma e peso variabili; in questo caso il contrassegno di cui al punto B.1 dovra' essere apposto in modo visibile su ogni singolo pezzo. Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo puo' essere venduto anche affettato ed opportunamente confezionato in atmosfera modificata ovvero sottovuoto; in questo caso il contrassegno viene apposto in modo indelebile ed inamovibile sulla confezione (che puo' essere di dimensioni, peso e forma variabili) sotto il controllo dell'organismo abilitato, ai sensi del Testo unico. Vengono emanate al riguardo specifiche direttive sottoposte all'approvazione dell'Autorita' nazionale competente. Le successive operazioni di disosso, affettamento e pre-confezionamento possono essere svolte al di fuori della zona di cui al punto C1, sotto il controllo dell'organismo di controllo.
--- Scheda C
DELIMITAZIONE DELLA ZONA GEOGRAFICA E RISPETTO DELLE CONDIZIONI DI CUI ALL'ARTICOLO 2, PARAGRAFO 4
C.1 La zona tipica di produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo, cosi' come individuata nel Testo unico, ed ancor prima dalla legge n. 628/1981. E' geograficamente limitata ai territori dei comuni di: Montagnana, Saletto, Ospedaletto Euganeo, Este, Pressana, Roveredo di Gua', Noventa Vicentina, Poiana Maggiore, Orgiano, Alonte, Sossano, Lonigo, Sarego, Villaga, Barbarano Vicentino. Detti comuni sono ricompresi nell'area padana e pedemontana dei colli Berici e dei colli Euganei, nelle province di Padova, Vicenza e Verona del territorio della Regione Veneto (Italia), di cui alla cartografia al punto C.10. C.2 Nella zona di cui al punto C.1 devono essere ubicati gli stabilimenti di produzione (prosciuttifici) e devono quindi svolgersi tutte le fasi di trasformazione della materia prima previste dal presente disciplinare. C.3 La materia prima proviene da un'area geograficamente piu' ampia della zona di trasformazione, che comprende il territorio amministrativo delle seguenti regioni: Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Umbria e Lazio (Italia), - crf. punto C.11. C.4 Tale zona di provenienza della materia prima e' delimitata rigorosamente dalla legge 4 novembre 1981, n. 628, cosi' come modificata dall'art. 60 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e dal Testo unico. C.5 In tale zona hanno sede tutti gli allevamenti dei suini le cui cosce sono destinate alla produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo, gli stabilimenti di macellazione abilitati alla relativa preparazione, nonche' i laboratori di sezionamento eventualmente ricompresi nel circuito della produzione tutelata. C.6 Per soddisfare alle esigenze nella successiva scheda F, per la produzione delle materie prime, cosi' come definite dall'art. 2, paragrafo 5, del regolamento (CEE) n. 2081/92, sussistono le condizioni particolari e le prescrizioni che seguono. C.6.1 Le razze, l'allevamento e l'alimentazione dei suini devono essere idonei a garantire le tradizionali qualita' del prodotto in esito a precise prescrizioni produttive. Sono ammessi gli animali, in purezza o derivati, delle razze tradizionali di base Large White e Landrace, cosi' come migliorate dal Libro genealogico italiano. Sono altresi' ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc, cosi' come migliorata dal Libro genealogico italiano. Sono inoltre ammessi gli animali di altre razze, meticci ed ibridi, purche' provengano da schemi di selezione o incrocio con finalita' compatibili con quelle del Libro genealogico italiano per la produzione del suino pesante. In osservanza alla tradizione, restano comunque esclusi i portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilita' agli stress (PSS), oggi rilevabili obiettivamente anche sugli animali «post mortem» e sui prosciutti stagionati. Sono in ogni caso esclusi gli animali che non producono cosce conformi al presente disciplinare, con riferimento alle prescrizioni di cui alla scheda B. Sono comunque esclusi gli animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spot Poland. C.6.2 I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di pesi elevati con buone efficienze e, comunque, un peso medio per partita (peso vivo) di chilogrammi 160 (piu' o meno 10%). L'eta' minima di macellazione e' di nove mesi ed e' accertata sulla base del timbro apposto ai fini del comma 3 dell'art. 8 del Testo unico. I suini devono essere macellati in ottimo stato sanitario e perfettamente dissanguati. E' esclusa l'utilizzazione di verri e scrofe. C.6.3 Gli alimenti consentiti, le quantita' e le modalita' di impiego devono essere quelle riportate nelle tabelle prescrittive che seguono al punto C.9. L'alimento dovra' essere preferibilmente presentato in forma liquida (broda o pastone) e, per tradizione, con siero di latte. C.6.4 Le fasi di allevamento sono cosi' definite: allattamento: da 0 a 30 giorni sotto scrofa; svezzamento: da 30 a 80 giorni; magronaggio: da 30 a 80 chilogrammi di peso; ingrasso: da 80 a 160 chilogrammi di peso e oltre. Le tecniche di allevamento sono finalizzate ad ottenere un suino pesante, obiettivo che deve essere perseguito assicurando moderati accrescimenti giornalieri, nonche' la produzione di carcasse incluse nelle classi centrali della classificazione UE: classi «U», «R», «O» della categoria H (pesante) della tabella dell'Unione. Le strutture e le attrezzature dell'allevamento devono garantire agli animali condizioni di benessere. I ricoveri devono risultare ben coibentati e ben aerati, in modo da garantire la giusta temperatura, il ricambio ottimale dell'aria e l'eliminazione dei gas nocivi. I pavimenti devono essere caratterizzati da una bassa incidenza di fessurazione e realizzati con materiali idrorepellenti, termici ed antisdrucciolevoli. In relazione alla tipologia dell'alimentazione, tutte le strutture ed attrezzature devono presentare adeguati requisiti di resistenza alla corrosione. C.7 L'unicita' del suino pesante italiano e' stata riconosciuta direttamente dalla Comunita', infatti in sede di applicazione del regolamento (CEE) n. 3220/84 - concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine - ha riconosciuto unicamente all'Italia la presenza sul territorio di due popolazioni suine: il suino leggero, macellato a pesi conformi alle medie europee e destinato al consumo di carni fresche, ed il suino pesante, macellato a pesi superiori ai 150/160 chilogrammi, le cui carni sono destinate all'industria salumiera. Questo ha portato a distinguere le carcasse in «leggere» e «pesanti» e alla applicazione di due formule nettamente diverse nella valutazione commerciale (Decisione commissione 21 dicembre 1988). C.8 Salvo ogni specifico ulteriore approfondimento demandato alla successiva scheda G, il regime di controllo atto a garantire l'osservanza delle condizioni particolari per la produzione delle materie prime nonche' l'osservanza degli obblighi posti a carico di tutti i soggetti ricompresi nel circuito della produzione tutelata dalle norme e dai disciplinari vigenti, si articola come segue: C.8.1 Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna, gli input e gli output. In questo modo e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo, degli allevamenti, dei produttori dei macellatori, dei laboratori di sezionamento, degli stagionatori e dei confezionatori, la tenuta di registri di produzione e di confezionamento nonche' attraverso la dichiarazione tempestiva all'organismo di controllo delle quantita' prodotte, e' garantita la tracciabilita' e la rintracciabilita' del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. C.8.2 L'allevatore riconosciuto nelle forme previste dal punto C.8.1 appone sulle cosce posteriori di ogni suino, entro il trentesimo giorno dalla nascita, un timbro indelebile recante il proprio codice di identificazione. C.8.3 L'apposizione del timbro di cui al punto C.8.2 e' effettuata mediante applicazione, con apposito strumento a compressione, di un tatuaggio indelebile ed inamovibile anche «post mortem», sulla porzione laterale di entrambe le cosce del suinetto posto appena sotto una linea orizzontale che parte dalla rotula ed in corrispondenza della parte inferiore del bicipite femorale. La timbratura riproduce il codice di identificazione di cui al punto C.8.2 ed una ulteriore lettera alfabetica, utilizzata in funzione variabile in relazione al mese di nascita dell'animale. C.8.4 Nelle ipotesi in cui il suino timbrato venga trasferito ad altro allevamento, quest'ultimo deve essere stato preventivamente riconosciuto dall'organismo abilitato e deve apporre un nuovo timbro recante il proprio codice di identificazione su entrambe le cosce dei suini, in modo da risultare indelebile ed inamovibile anche «post mortem». Il timbro suddetto deve comunque essere apposto prima dell'invio del suino alla macellazione. Le modalita' di codificazione e di applicazione dei timbri sono stabiliti dall'organismo abilitato. La timbratura e' apposta sotto la responsabilita' dell'allevatore. C.8.5 Il timbro di cui al precedente punto C.8.4 e' apposto sulla porzione laterale della coscia con una superficie di ingombro non superiore a 45 millimetri (altezza) per 85 millimetri (base), evitando la sovrapposizione con il timbro di cui al precedente putito C.8.2 e, preferibilmente non oltre l'ottavo mese di vita. C.8.6 L'allevatore e' obbligato a rilasciare, per i suini avviati alla macellazione, un certificato attestante la conformita' dei medesimi alle prescrizioni ed alle condizioni particolari previste dal presente disciplinare. A tal fine, all'atto della spedizione dei suini presso un macello riconosciuto, l'allevatore deve compilare, in triplice copia, un esemplare della certificazione di cui sopra, rilasciando un esemplare al macellatore e trasmettendone un altro all'organismo abilitato. Detta certificazione, identificativa dell'allevatore, prenumerata e precodificata (cfr. punto C.8.1), viene datata e sottoscritta dall'allevatore ed integrata, inoltre, dall'indicazione sintetica dei genotipi utilizzati, dal numero dei capi e dalla relativa destinazione. C.8.7 Gli allevatori sono tenuti a consentire ogni forma di controllo volta ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi loro derivanti dal presente disciplinare, ivi comprese le ispezioni necessarie a verificare l'idoneita' dei locali e degli impianti e l'osservanza delle prescrizioni produttive. L'organismo abilitato svolge i propri compiti di vigilanza e di controllo con particolare riferimento alla osservanza delle prescrizioni produttive ed alla regolare apposizione dei timbri, avvalendosi di proprio personale dipendente o di altri soggetti preventivamente incaricati e qualificati professionalmente, come indicato nella successiva scheda G. In base al Testo unico, il veterinario ufficiale competente per territorio mette a disposizione dell'organismo abilitato, su richiesta dello stesso, tutti gli atti d'ufficio ritenuti necessari al controllo del regolare svolgimento delle operazioni previste dal presente disciplinare e dal Testo unico, nonche' tutti gli adempimenti ritenuti necessari. C.8.8 I macelli che intendono fornire le cosce suine fresche destinate alla produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo devono inoltrare all'organismo abilitato domanda per ottenere un apposito riconoscimento. La domanda e' corredata dalla documentazione attestante il possesso dell'autorizzazione sanitaria, nonche' dei requisiti igienico-sanitari richiesti dalle norme vigenti in materia. L'organismo abilitato, effettuati i necessari accertamenti, provvede alla attribuzione di un codice di identificazione del macello e fornisce uno o piu' timbri destinati alla relativa apposizione sulle cosce suine fresche destinate alla produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo. C.8.9 Sulle cosce suine fresche munite del timbro o dei timbri apposti dall'allevatore e pervenutegli con copia della certificazione di cui al punto C.8.6, accertatene la corrispondenza ai requisiti indicati nella precedente scheda B, il macellatore e' tenuto ad apporre un timbro indelebile impresso a fuoco sulla cotenna in modo ben visibile, secondo apposite direttive emanate dall'organismo abilitato. Detto timbro riproduce il codice di identificazione del macello presso il quale e' avvenuta la macellazione. Il macellatore e' tenuto a munire ogni singola partita di cosce fresche sulle quali ha provveduto ad apporre il timbro di cui al presente punto, di un esemplare o di una copia della certificazione rilasciata nelle forme previste dal precedente punto C.8.6. Qualora la certificazione originariamente rilasciata dall'allevatore si riferisca a suini le cui cosce vengono destinate a diversi stabilimenti e, comunque, a separate forniture, il macellatore e' tenuto a trasmettere al prosciuttificio, per ogni singola consegna di cosce fresche sulle quali e' stato apposto il timbro di cui sopra, copia della certificazione stessa nonche' altri eventuali documenti richiesti dall'organismo abilitato. I macellatori sono tenuti a consentire ogni forma di controllo intesa ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi posti a loro carico dal presente disciplinare, ivi comprese le ispezioni necessarie a verificare l'idoneita' dei locali e degli impianti, nonche' l'osservanza delle prescrizioni produttive. C.8.10 I laboratori di sezionamento eventualmente ricompresi nel circuito della produzione tutelata, soggiaciono agli stessi obblighi del macello di cui al punto precedente, e integrano la produzione prevista con fotocopia dei documenti che, ai sensi della vigente normativa amministrativa e sanitaria, hanno accompagnato il trasferimento delle mezzette o degli altri tagli da un altro dei macelli comunque riconosciuti. C.8.11 Valgono, relativamente allo sviluppo delle attivita' di controllo dell'organismo abilitato, e relativamente agli obblighi del veterinario ufficiale, le indicazioni di cui al punto C.8.7. I soggetti, allevatori e macellatori, nei confronti dei quali siano accertate inadempienze od illegittimita', ivi comprese false dichiarazioni o falsificazioni, sono puniti nelle forme previste dal Testo unico, Capo V «Sanzioni». All'accertamento delle circostanze di cui al presente punto provvedono l'organismo abilitato ed altri organi di vigilanza e di controllo nelle forme meglio indicate nella successiva scheda G. L'organismo abilitato provvede inoltre direttamente al controllo ed al sistematico riscontro degli obblighi di timbratura e di certificazione da parte di allevatori e macellatori nell'ambito delle procedure di controllo attuate nella zona di cui al punto C.1. C.9
ALIMENTAZIONE DEI SUINI DESTINATI ALLA PRODUZIONE DI PROSCIUTTO VENETO BERICO-EUGANEO Alimenti ammessi fino a 80 chilogrammi di peso vivo (Tutti quelli utilizzabili nel periodo di ingrasso, in idonea concentrazione, nonche' quelli sottoelencati. La presenza di sostanza secca da cereali non dovra' essere inferiore al 45% di quella totale)
=================================================== |Semola glutinata di mais |s.s.: fino al 5% della | | e/o corn gluten feed | s.s. della razione | +=========================+=======================+ | |s.s.: fino al 3% della | |Carrube denocciolate |s.s. della razione | +-------------------------+-----------------------+ |Farina di carne (solo se |s.s.: fino al 2% della | |di buona qualita') |s.s. della razione | +-------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino all'1% della| |Farina di pesce |s.s. della razione | +-------------------------+-----------------------+ |Farina di estrazione di |s.s.: fino ad un | |soia |massimo del 20% | +-------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 3% della | |Distillers |s.s. della razione | +-------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino ad un | | |massimo di 6 lt. | |Latticello* |capo/giorno | +-------------------------+-----------------------+ |Lipidi con punto di |s.s.: fino al 2% della | |fusione superiore a 36°C |s.s. della razione | +-------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino all'1% della| |Lisati proteici |s.s. della razione | +-------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 10% della| |Silomais |s.s. della razione | +-------------------------+-----------------------+ s.s. = sostanza secca
Alimenti ammessi nella fase di ingrasso (La presenza di sostanza secca da cereali nella fase di ingrasso non dovra' essere inferiore al 55% di quella totale)
===================================================== | |s.s.: fino al 55% della| | Mais | s.s. della razione | +===========================+=======================+ |Pastone di granella e/o |s.s.: fino al 55% della| |pannocchia |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 40% della| |Sorgo |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 40% della| |Orzo |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 25% della| |Frumento |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 25% della| |Triticale |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 25% della| |Avena |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 25% della| |Cereali minori |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Cruscami e altri | | |sottoprodotti della |s.s.: fino al 20% della| |lavorazione del frumento |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | | s.s.: fino al 15% | | |della s.s. della | |Patata disidratata *** |razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 5% della | |Manioca *** |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Polpe di bietola |s.s.: fino al 15% della| |surpressate ed insilate |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 2% della | |Expeller di lino |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Polpe secche esauste di |s.s.: fino al 4% della | |bietola |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Marco mele e pere; buccette| | |d'uva o di pomodori quali |s.s.: fino al 2% della | |veicoli di integratori |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino ad un | | |massimo di 15 lt. | |Siero di latte * |capo/giorno | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s: fino ad un apporto| | |massimo di 250 grammi | | |capo/giorno di sostanza| |Latticello * |secca | +---------------------------+-----------------------+ |Farina disidratata di |s.s.: fino al 2% della | |medica |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ | |s.s.: fino al 5% della | |Melasso ** |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Farina di estrazione di |s.s.: fino al 15% della| |soia |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Farina di estrazione di |s.s.: fino all'8% della| |girasole |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Farina di estrazione di |s.s.: fino al 3% della | |sesamo |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Farina di estrazione di |s.s.: fino al 5% della | |cocco |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Farina di estrazione di |s.s.: fino al 5% della | |germe di mais |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Pisello e/o altri semi di |s.s.: fino al 5% della | |leguminose |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Lievito di birra e/o di |s.s.: fino al 2% della | |torula |s.s. della razione | +---------------------------+-----------------------+ |Lipidi con punto di fusione|s.s.: fino al 2% della | |superiore a 40° C |razione | +---------------------------+-----------------------+ s.s. = sostanza secca 1. Ai fini di ottenere un grasso di copertura di buona qualita' e' consentita una presenza massima di acido linoleico pari al 2% della sostanza secca (s.s.) della dieta. 2. Sono ammesse tolleranze massime del 10%. 3. Siero e latticello insieme non devono superare i 15 litri capo/giorno (*). 4. Se associato a borlande il contenuto totale di azoto deve essere inferiore al 2% (**). 5. Patata disidratata e manioca insieme non devono superare il 15% della sostanza secca della razione (***). 6. Per «latticello» si intende il sottoprodotto della lavorazione del burro e per «siero di latte» il sottoprodotto di cagliate.
Parte di provvedimento in formato grafico -- Scheda D
ORIGINE DEL PRODOTTO IN RELAZIONE ALLA ZONA GEOGRAFICA
D.1 Nella produzione agroalimentare italiana trovano uno spazio importante i prodotti tipici, vale a dire quei prodotti che si distinguono per le materie prime impiegate, per una forte caratterizzazione del processo produttivo ed infine per la delimitazione della zona di produzione; queste produzioni sono, in Italia, ben conosciute dal consumatore. I prodotti tutelati per origine e tecniche di produzione sono sottoposti ad un complesso di controlli che nel loro insieme garantiscono specifiche caratteristiche qualitative che scaturiscono da un concatenarsi di elementi naturali, ambientali ed umani, dovuti alle profonde relazioni che nel tempo si sono create tra la produzione agricola e la trasformazione del prodotto. D.2 L'indicazione degli elementi che comprovano che il prodotto e' originario della zona geografica richiamata dalla denominazione che lo designa, deve necessariamente considerare l'articolazione della delimitazione fissata con la precedente Scheda C. Infatti il prosciutto Veneto Berico-Euganeo e' sicuramente originario della zona geografica descritta nel precedente punto C.1. e le relative caratteristiche sono essenzialmente dovute all'ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani; inoltre la relativa trasformazione avviene esclusivamente nell'area geograficamente delimitata. Nel contempo, la stessa materia prima utilizzata per la preparazione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo e' originaria della zona geografica delimitata come indicato al precedente punto C.3, dove ne viene esclusivamente sviluppata la produzione, e le relative caratteristiche sono dovute essenzialmente all'ambiente, comprensivo dei fattori naturali ed umani. D.3 Per i fini di cui al paragrafo 4 dell'art. 2 del Regolamento (CEE) n. 2081/92 si nota che: la denominazione «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo» e' gia' riconosciuta dallo Stato italiano come denominazione di origine a livello nazionale; i requisiti pregiudiziali indicati nel succitato paragrafo 4 sono stati argomentati e risultano soddisfatti nella precedente Scheda C; le considerazioni svolte al precedente punto D.2 possono essere provate da riscontri di carattere giuridico, storico e socio-economico; sotto il profilo giuridico si richiama il Testo unico, che sara' abrogativo e sostitutivo della legge 4 novembre 1981, n. 628; sotto il profilo storico, si rimanda a quanto descritto dai successivi punti D.4 e seguenti. D.4 Premesso che la lavorazione del prosciutto crudo stagionato appartiene alla cultura storica di tutta l'Italia settentrionale, nel Veneto, come in ogni terra contadina il prosciutto ha antica storia e gloriosa tradizione. I reperti delle tante stazioni preistoriche che costellano il Veneto, ma soprattutto le colline berico-euganee, e tra le quali proprio il castelliero di Montagnana, diedero conto della presenza del maiale gia' in quei tempi lontani; non erano ancora ovviamente figli di allevamento, ma i boschi allora molto estesi, ne ospitavano piu' che a sufficienza per chi avesse astuzia e forza per catturarli. Fu allora che si misero a punto le prime tecniche, ovviamente rudimentali, della trasformazione delle sue carni. Gli storici romani, gia' nel III secolo a.C, accennano alla presenza di maiali nella grande foresta che da Lugo risaliva nel Veneto fino a Venezia (la foresta Litana), e alla fiorente esportazione di carni conservate da quei luoghi verso i grandi mercati di Roma. Fu da allora che il prosciutto Veneto comincio' ad uscire dai suoi confini, un'esportazione che si chiuse con il crollo dell'impero romano e dovette attendere non pochi secoli prima di tornare a fiorire. Il trapasso dall'eta' romana al medioevo non misero tuttavia in grande crisi l'allevamento del maiale. Lo sfruttamento dei terreni abbandonati, di quelli comuni e del bosco diedero infatti vita ai contratti detti di soccida. E' il periodo in cui gli enfiteuti e i coloni si fanno carico dei primi allevamenti comuni, e mano a mano che si afferma l'eta' feudale chiese, monasteri e signori impongono decime e diritti tra cui proprio il maiale o intero o gia' lavorato rappresenta una delle prestazioni principali. Nel XII secolo alcuni bassorilievi del protiro della chiesa di San Zeno in Verona raffigurano scene di lavorazione del maiale; se ne notano altri simili anche sull'archivolto del portale maggiore della chiesa di San. Marco in Venezia: infatti, complice pure il sale che veniva dalle saline di Venezia e Chioggia, la carne di maiale veniva abbondantemente lavorata e trasformata. Mano a mano che il Medioevo cede al Rinascimento, il maiale si vede rinserrato in citta' e stallini, ma ce n'e' sempre in abbondanza per offrire sapidi prosciutti, soprattutto ai signori; entra cosi' nella grande cucina dei tempi e non c'e' quasi testo classico che non ne faccia menzione (si veda, ad esempio, l'Opera di Bartolomeo Scappi del 1570 e un ricettario padovano del '600). In epoche piu' recenti (sul finire del secolo XIX) il prosciutto Veneto, anche per contrastare i prosciutti cotti e/o affumicati d'oltre Italia, comincia ad essere meno salato e si avvia ad essere apprezzato come prodotto allo stato naturale, ossia crudo. Anche il suo pubblico e' ora diverso: da tempo le cosce non sono piu' decime riservate ai signori ma diventano prodotto di mercato. E' nata infatti la borghesia, non necessariamente con terre nel contado. Nascono le prime aziende artigiane, nasce la prima concorrenza, ci si batte per fare un prosciutto che dia risonanza al nome del produttore. Sulle pareti di tante aziende - aderenti all'odierno Consorzio - si possono ammirare i risultati di quello sforzo. Nel 1881 il Ministro Quintino Sella firma un diploma di partecipazione e vittoria all'Esposizione nazionale di Milano di quell'anno. Quando Torino, tre anni dopo, chiude l'Esposizione generale italiana, un altro diploma prende la strada del Veneto. Nel 1904, un diploma verra' da piu' lontano, dal Crystal Palace di Londra nell'ambito dell'International Food, Groeery and Allied Trades. La prima fase prettamente artigianale si e' sviluppata fino ai giorni nostri attraverso un processo di industrializzazione che ha mantenuto intatte le caratteristiche tradizionali del prodotto. Le notizie storiche sono state cosi' sintetizzate per non gravare il presente disciplinare con eccessive notizie e citazioni, peraltro ampiamente documentabili da una bibliografia accessibile a chiunque avesse interesse a consultarla. D.5 Sempre allo scopo di non appesantire il dispositivo del presente disciplinare, si rimanda alla consultazione delle trattazioni in appendice alla presente scheda, ai punti D.6 (G. Ballarini «I fattori di produzione del prosciutto: origine preistoriche e storiche del prosciutto di maiale nell'area padana») e D.7 (A. Caleffi «Il suino pesante italiano: tipo genetico, qualita' delle carni e tecniche di allevamento»), che richiamano la ricerca bibliografica di cui in allegato n. 7/D. E' in ogni caso certo che, acquisita la motivazione storica della differenziazione esistente tra le diverse aree geografiche («micro» quella di trasformazione, «macro» quella della produzione della materia prima) comunque coincidenti in un legame culturale, storico e socio-economico diversamente modulatosi nel tempo, la qualita' e le caratteristiche del prodotto a denominazione di origine dipendono esclusivamente dall'ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali ed umani che hanno esercitato, nel tempo, il loro influsso nell'area delimitata con le modalita' considerate dal presente disciplinare, che definisce un'area della quale il prodotto e' sicuramente originario. Un'ulteriore conferma di cio' si' trovera' nelle indicazioni della seguente scheda F, che riprende e sviluppa parte di quanto fin qui trattato a proposito del legame con l'ambiente geografico. D.6 Premessa I prosciutti padani ed in particolare il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, il Prosciutto di San Daniele, il Prosciutto di Parma e il Prosciutto di Modena prendono le loro origini da due precisi elementi: il maiale domestico e le tecnologie di produzione, che comprendono anche le specifiche condizioni sociali e le tipologie ambientali di allevamento e produzione. Infatti esistono «prosciutti» e cioe' cosce «prosciugatissime» o «perxuctus» di maiale selvatico ed anche domestico, ma prodotti con tecnologie diverse da quelle padane ed in particolare del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, del Prosciutto di San Daniele, del Prosciutto di Parma e del Prosciutto di Modena. Oggi e' stato riconosciuto che da un punto di vista sociale e culturale, ma soprattutto delle tecnologie di produzione sviluppate e conservate dalla tradizione, che la Padania costituisce una unita' anche per quanto riguarda l'allevamento del maiale e soprattutto la lavorazione di alcune sue parti di grande pregio, come la coscia dalla quale si origina il prosciutto. Questa unita' nel tempo si e' differenziata, dando origine al Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, Prosciutto di San Daniele* Prosciutto di Parma e Prosciutto di Modena. Oggi pertanto, pur avendo radici comuni, i quattro prosciutti padani sopra indicati hanno una loro precisa individualita'. Per conoscere la unicita' ed al tempo stesso la diversita' dei quattro «prosciutti padani» bisogna risalire, almeno per rapidi cenni, alla formazione del maiale domestico padano, al suo sviluppo nel tempo e nelle differenziazioni locali, assieme al sorgere ed allo svilupparsi delle tecnologie di lavorazione e produzione dei prosciutti. Un campo di indagine vastissimo, oggi in buona parte esplorato, nel quale anche recentemente si sono avuti importanti progressi ed al quale e' dedicata la presente esposizione. Il maiale padano Origini del maiale domestico Padano Il maiale e' un animale intelligente, abbastanza facile da domesticare, onnivoro e di agevole alimentazione anche con «rifiuti». Per questi motivi e' da ritenere che il passaggio dalla selvaticita' alla domesticazione sia avvenuto piu' volte, in diversi luoghi, a partire da diverse razze suine, varieta' e sottovarieta'. Per questo motivo ogni «regione culturale» ha il «suo maiale» ed a questo principio non fa eccezione la Padania. La domesticazione del maiale, in ogni area o regione culturale, e' stata per lunghissimo tempo parziale. Solo in tempi relativamente recenti il maiale e' divenuto realmente un «maiale domestico» e cioe' completamente dipendente dall'uomo. Recentissimamente poi questa dipendenza si e' ulteriormente accentuata attraverso la tecnicizzazione degli allevamenti, con la quale si e' arrivati al maiale denominato «maiale tecnologico» o «maiale industriale». Tutto questo non fa che complicare la risposta alle domande: quando, dove e come il maiale e' stato domestico (Bokonyi et al., 1973). Secondo Pound (1983) le origini dell'addomesticamento del suino si perdono nella storia. Si ritiene che il primo tentativo si sia svolto verso il 6740 a.C. nell'area oggi identificata come Iraq. D'altra parte uno studioso cinese ha asserito che animali domestici si trovavano nel suo Paese fino al 2900 a.C. Clutton-Brock (1981) identifica invece un'area molto piu' vasta, che si estende dal Giappone al Portogallo ed all'Africa del Nord. Probabilmente l'addomesticamento fu in origine favorito dal fatto che il maiale si presentava come un efficiente spazzino, consumatore di ogni tipo di scarto commestibile. Questo e' il suo ruolo in molti Paesi in via di sviluppo. Inoltre il problema dell'«origine» del maiale domestico e' complicato dal fatto che i maiali, o meglio i suini selvatici, sono numerosi e la loro «classificazione» e' ancora controversa ed in evoluzione, sulla base di sempre nuovi criteri tassonomici (Hoyny, 1973-1974). Marcuzzi e Vannozzi (1981) oltre al Sus scrofa con le sue diverse varieta' (S.s. attila, ferus, nigripes, palustris, ussuricus) ricordano il Sus cristatus, Sus indicus, Sus mediterraneus, Sus meridionalis, Sus palustris (e la sua varieta' S.p. rutimeyeri), Sus vittatus. Si tratta inoltre di classificazioni su base morfologica e tenendo conto della grande plasticita' della specie e' per lo meno molto dubbio trattarsi di vere «specie»; molto piu' probabilmente si tratta di «razze» e «varieta'» locali. Il Sus scrofa selvatico noto come cinghiale era diffuso in tutto il mondo antico (Europa, Asia occidentale, Nord Africa, alcune zone dell'Asia Orientale); il Sus cristanus era diffuso nel Nepal e Nord dell'India; il Sus vittatus era presente nell'Asia Orientale e soprattutto in Cina (Marcuzzi e Vannuzzi, 1981, Forni, 1976; Keller, 1909-1913; Bokonyi et al., 1973). La domesticazione del maiale, o per lo meno l'inizio della sua domesticazione, e' quasi certamente avvenuta in piu' luoghi ed in tempi diversi. Il primo di questi pare doversi riconoscere nell'area cinese dove, durante il Neolitico, furono domesticati il Sus cristatus ed il Sus vittatus (Marcuzzi e Vannozzi 1981). In Birmania vi sarebbe il piu' antico ritrovamento di maiali con caratteristiche ritenute di tipo «domestico». Gia' Darwin (1868) aveva segnalato che le forme addomesticate od in cattivita' perdono fino al 20% del peso encefalico e cio' vale anche per l'uomo in prolungata prigionia. Questo criterio permette di supporre se un cranio appartiene ad un suino selvatico o domestico. Un'altra prova di domesticazione a partire da reperti fossili e' la lunghezza della corona del terzo molare, essendo statisticamente provato che la domesticazione influisce negativamente su detta lunghezza (Marcuzzi e Vannozzi, 1981). Secondo Forni (1976) il maiale come animale «grufolatore», antropofilo od almeno come sinantropo gradito o tollerato e con un inizio di domesticazione sarebbe presente in Eurasia dall'VIII-DC millennio a.C. Tuttavia i primi «veri» allevamenti dei suini sarebbero stati effettuati in Mesopotamia, Iran e Iraq circa nel 3500 a.C. o per lo meno a tale data i maiali presentano gia' rilevanti modificazioni morfologiche. Una statuetta sumera datata al 2500 a.C. rappresenta un maiale grasso, privo di setole con le orecchie lunghe e pendenti, completamente diverso dagli esemplari selvaggi coevi. Il maiale non sarebbe stato addomesticato in Europa, ma vi sarebbe giunto in piu' riprese e da varie razze e stipiti dalle regioni dell'Est. Non e' comunque facile stabilire una cronologia, anche perche' in Europa esisteva il maiale selvatico o cinghiale con il quale i maiali semidomestici o domestici si incrociavano, perche' in generale l'allevamento del maiale era di tipo brado o semi-brado. Relativamente scarsi erano i maiali presenti nei villaggi o citta'. Secondo Keller (1909-1913) nelle palafitte svizzere e' presente il S. indicus domestico uguale a quello trovato a Ninive. Alla fine del Neolitico (Marcuzzi e Vannozzi, 1981) in questi insediamenti umani esistono tre tipi di maiali domestici: uno derivato dal Sus scrofa locale, di grande taglia ed adatto al pascolo, evidentemente tenuto in condizioni brade o semibrade, un secondo animale piu' piccolo riferibile al sopracitato indicus mantenuto nell'area palafitticola; un terzo maiale molto piccolo che, come il maialino cinese, vive probabilmente nelle capanne. Di maiali domestici in Europa si puo' parlare con certezza nel Neolitico e precisamente nella Penisola Iberica, Francia meridionale e occidentale. Arene Candide, Renania, Sardegna e nella gia' citata Svizzera. Nell'Europa centrale il maiale e' allevato fin dall'epoca della prima «ceramica a nastro» (Muller-Karope, 1968) ed in Ungheria appare con la cultura del Tibisco. In Italia, oltre ai gia' citati ritrovamenti del Neolitico alle Arene Candide, il maiale domestico si trova nell'eta' del bronzo nelle palafitte di Ledro (Trentino sud-occidentale) (Riedel, 1976). Nelle torbiere del Garda il porco delle miniere o Sus palustris potrebbe forse derivare dal Sus meridionalis, presente in Sardegna oltre che in Maremma, se non e' frutto di addomesticamento (Riedel, 1955-1956). Anche a Barche di Solferino, Isolone (eta' del Bronzo) ed a Colombare (Eneolitico) nel Veneto Riedel (1976; 1948; 1948/50; 1957; 1950) ritrova maiali, cinghiali e forme intermedie giudicate esisti di incroci. A S. Bricco di Lavagno presso Verona (Riedel, 1940/50), nell'eta' del ferro, gli animali domestici sono nettamente prevalenti su quelli selvatici, il maiale ha notevoli dimensioni e forse e' riportabile al Sus palustris (Riedel, 1940-1950). Anche in Venezia Giulia nell'ambito della cultura dei castellieri tarda Eta' del ferro - epoca romana, vi sono resti di maiali domestici (Riedel. 1951; 1950; 1957). Da ricordare anche le ricerche di Moroni e Annermann (1970) sui maiali veneti. Forse il maiale e' stato domesticato in Europa, ma molto piu' probabilmente e' stato importato gia' domestico dall'Est e successivamente sono stati domesticati i suini europei autoctoni (il cinghiale ancora esistente - noto come Sus scrofa ferus sarebbe il residuo di tali maiali). Comunque con incroci tra il Sus vittatus di importazione e il Sus scrofa autoctono, il processo di domesticazione del maiale ha interessato prevalentemente l'Europa mediterranea. E' intatti agevole constatare che in epoca preistorica la domesticazione del maiale e' avvenuta soprattutto nell'Italia del nord (Alpi Pre-Alpi, Pianura Padana) e questo in rapporto al tipo di vegetazione dominante. Il maiale e' infatti un animale «selvatico» che si alimenta largamente dei frutti della selva o bosco come le ghiande. Tutto porta quindi a ritenere che vi sia stato lo sviluppo di una semi-domesticazione nell'Italia Settentrionale del maiale, tipica dell'area culturale padana, soprattutto in ambito della cultura celtica. Nell'area mediterranea invece prevalevano i piccoli ruminanti (pecore e capre) e la pastorizia. Tutto cio' non escludeva la presenza del maiale, ma in misura limitata, anche nell'area piu' propriamente mediterranea. A solo titolo di esempio si puo' ricordare che in Egitto il maiale e' un «animale da lavoro» che dissoda i campi grufolando e camminando tra gli stessi: dopo le piene del Nilo, per stanare i vermi di cui e' ghiotto, con il grifo e gli zoccoli traccia nel limo dei solchi di profondita' perfetta per la semina del grano. Ricerche glottologiche (Devoto, 1962; Benveniste, 1969, 1976) recentemente analizzate da Marcuzzi e Vannozzi (1981) per quanto concerne l'area delle lingue indoeuropee, dimostrano che l'etimo «us» e «sus» indoeuropeo e' usato indifferentemente per il cinghiale (maiale selvatico) ed il maiale domestico. L'etimo «porko» designa invece per l'animale giovane e soprattutto quello lattante (Marcuzzi e Vannozzi, 1981; Benveniste, 1969), piu' frequentemente usato per l'animale da macello, per cui il termine di «porchetta». Il maiale padano nei tempi storici Tutto porta a ritenere che nel lento passaggio tra la preistoria e la storia, nella Pianura Padana esistessero piu' «tipi» di suini, differenziati piu' per le dimensioni e le abitudini che per altri motivi. Tutti inoltre costituivano un'unica «specie» biologica con possibilita' di reciproco incrocio fecondo. Il cinghiale (Sus scrofa ferus) viveva libero nei vasti terreni boschivi e/o paludosi della pianura e nelle boscaglie delle colline e montagne, si alimentava dei frutti del bosco, in particolare delle ghiande, ed era oggetto di caccia. Branchi di animali di relativamente grande taglia e semidomestici, ma con continue possibilita' di incrocio con i cinghiali, vivevano nelle boscaglie attorno agli insediamenti umani; da questi branchi gli uomini prelevavano i giovani per la macellazione. Maiali ancora piu' domestici e di minor taglia vivevano inoltre in stretta vicinanza dell'uomo, nei suoi villaggi e abitazioni, in stretta «antropofilia», alimentandosi di rifiuti. Fin dagli inizi della civilizzazione umana il maiale assume quindi due aspetti: quello di animale «di bosco» in opposizione quindi agli animali «di pascolo» come le pecore, e come animale «di citta'». Per quanto concerne l'allevamento del maiale in periodo etrusco e nella pianura padana, come riferito anche da Dancer (1984) e' necessario riferirsi a Polibio (Storie, XII, 4) ed a M.T. Vairone (De Re Rustica, II, 4,9). Estremamente interessanti sono le recenti ricerche su di un insediamento etrusco a Forcello (Bagnolo S. Vito, nei pressi di Mantova) eseguiti da Olivieri del Castrilo (1990) e riguardanti una citta' etrusca del V secolo a.C. Tra i reperti ossei oltre il 60% riguarda il maiale e seguono nell'ordine ovicaprini e bovini. L'eta' di macellazione dei maiali era verso i due, tre anni. Questo significa che gli Etruschi padani praticavano un tipo di allevamento stabile e specializzato per la produzione di carne suina. Gli studi effettuati dimostrano che si trattava di maiali di piccola taglia (65-75 centimetri di altezza al garrese al momento della macellazione); erano allevati sia i maschi che le femmine, in un rapporto di 1:1,5. Si tratta di maiali simili a quelli allevati in un'altra citta' etrusca padana, Spina, ed analoghi a quelli di razze suine pre-romane, di altezza e robustezza sicuramente inferiori a quelli di razze piu' antiche. Quella ora tratteggiata e' piu' o meno la situazione che nella Pianura padana si trova all'inizio della dominazione romana, quando il gia' citato Polibio ricorda la estensione dei querceti e la conseguente abbondanza di suini. Conferma ulteriore viene da Strabone secondo il quale l'Emilia riforniva di carni suine e di maiali vivi tutta l'Italia: «Tanta e' l'abbondanza di ghiande raccolte nei querceti della pianura, che la maggior parte dei suini macellati in Italia, per le necessita' dell'alimentazione domestica e degli eserciti, si ricava da quella zona» (Polibio, II secolo a.C). Nel periodo romano, e per questo possiamo riferirci a Columella, esistevano allevamenti stanziali e «razionali» di maiali. Le scrofe con i loro maialini sono allevate in parchetti singoli, nei quali Columella consiglia di mettere un gradino davanti a ogni cella. Che questo espediente, atto ad impedire la uscita della scrofa, fosse «reale» e' stato dimostrato dai reperti archeologici nella fattoria di Settefinestre recentemente scavata in Toscana e descritta da Carandini e Settis (1979). Si deve quindi ritenere che, almeno nelle fattorie piu' «moderne», i Romani avessero attuato un allevamento razionale ed intensivo del maiale, nel quale eseguivano una scelta dei singoli riproduttori e quindi una selezione, ed effettuavano un'alimentazione guidata, seppure integrata dal pascolo, come appunto fa supporre l'artificio del «gradino» per impedire o permettere l'uscita della scrofa dal suo parchetto. La grande crisi agricola e demografica del III-IV secolo d.C. vide grandemente estendersi le aree incolte e boschive e di conseguenza rilancio' l'allevamento brado e semibrado dei suini, a scapito dell'allevamento degli animali pascolativi (ovini e bovini). Un'ulteriore spinta in questa direzione venne dalle successive ondate di invasioni di popoli dell'Est e del Nord Europa e decisiva fu soprattutto l'invasione longobarda (anno 569), che a poco a poco diffuse consuetudini economiche e alimentari diverse da quelle romane. Nella Pianura Padana si diffusero le abitudini tipiche di una civilta' seminomade che sfruttava soprattutto cio' che la natura offriva spontaneamente, e quindi utilizzava il bosco con i suoi diversi frutti e «sottoprodotti»: tra questi il maiale era uno dei piu' importanti (Baruzzi e Montanari, 1981). Con l'ingresso in Italia dei Longobardi, dalle Venezie sino alla Pianura Padana, si creo' quindi una «frattura» politica, economica, di usi e costumi. Nei territori orientali e litoranei che i Bizantini riuscirono a preservare dall'invasione longobarda rimasero le abitudini «mediterranee» legate alla pastorizia e piu' propriamente «romane» (Romania, da cui Romagna) dove permane l'uso della carne ovina e soprattutto del «castrato» (Caroselli, 1970). Nelle altre parti della Pianura Padana invase dai Longobardi (Longobardia da cui Lombardia) l'allevamento del maiale subisce un ulteriore rafforzamento e si estende nei boschi, soprattutto di querce. La zona di Parma, Modena e di tutte le Venezie sono comprese nella vasta area di cultura longobarda del maiale. Nel Medioevo fra le attivita' silvo-pastorali un rilievo tutto particolare aveva il pascolo dei maiali, al punto che i boschi venivano «misurati» non in termine di superficie, ma di maiali. Ad esempio si diceva «il bosco di Alfiano puo' ingrassare 700 porci» e con questa unica stima si forniva il dato che si riteneva piu' utile (Baruzzi e Montanari, 1981). I branchi di maiali erano «guidati» da un verro secondo le leggi longobarde, denominato sonorpair quando comanda un gregge di almeno trenta capi, o da una scrofa detta ducaria, sempre secondo le leggi longobarde (Baruzzi e Montanari, 1981; Grand-Delatouche, 1968). I branchi di maiali erano sotto la custodia di un porcaro molto spesso «legato» al territorio (servo della gleba) che inoltre provvedeva ai maiali nei periodi di «difficolta'». Ricoveri provvisori, denominati porcaritie dai documenti altomedioevali, venivano approntati nei boschi quando il tempo si faceva inclemente. D'inverno i maiali venivano riportati a casa, per brevi e provvisori periodi di stabulazione, durante i quali inoltre si procedeva alla macellazione dei soggetti previamente ingrassati. Un significativo segno di importanza del capo-porcaro (magister porcarius) risulta dall'Editto di Rotari del 653: la somma che si pagava al loro proprietario, come risarcimento, qualora uno di questi venisse ucciso o ferito, ha il valore piu' alto in assoluto, uguagliato solo da quello di un maestro artigiano. I maiali medioevali che in Francia sono stati recentemente studiati da Oger (1982) hanno ancora aspetti molto simili ai maiali selvatici e con i quali continuano ad incrociarsi. Sulla base della abbondante iconografia recentemente raccolta e discussa da Baruzzi e Montanari (1981) i maiali padani medioevali erano magri e snelli, con gambe lunghe e sottili, di colore scuro, rosso o nerastro, ma non mancavano anche animali con pelo piu' chiaro o animali con «fasce», ad esempio del tipo della razza «cinta senese». La testa e' grande e lunga, il grifo e' appuntito ed adatto al grufolare, le orecchie sono corte ed erette, le setole sono forti, abbondanti e ritte sulla schiena; i denti canini emergono bene in vista. Da non dimenticare infine che il maiale medioevale aveva anche una vita «cittadina», che si svolgeva nei cortili delle case, nelle vie e nelle piazze. Da tale consuetudine collegata al «riciclo» dei rifiuti urbani, nascevano problemi di igiene e di «ordine pubblico» (Baruzzi e Montanari, 1981). Negli Statuti di Bologna dell'anno 1288 (Fasoli e Sella, 1939) risulta: «Ordiniamo che nessuno tenga troie con i piccoli nella citta' di Bologna, e neppure senza piccoli nei pressi della citta', fino alla distanza di un miglio. E che nessuno lasci andare per la citta' e i borghi scrofe e maiali, se non sono castrati e non hanno l'anello al muso; dal primo maggio alla festa di S. Michele (29 settembre) neppure quelli con l'anello possono circolare per la citta'. Ordiniamo che nessun porco o scrofa entri nella Piazza del Comune o nella Piazza di Porta Ravegnana. Si eccettuano da questa proibizione i greggi di porci ivi condotti dai mercanti, o da altre persone, per essere venduti, le bestie devono pero' essere legate». Il Capitolato per il pubblico porcaro del Comune di San Damele (1574) «assegna a Zuan Rondela di Ragogna il compito di pascolare i maiali (esclusi quelli da latte) di tutti coloro che ne possiedono e stabilisce per questi l'onere del mantenimento del porcaro - un di per porco - il tutto per lire 24 al mese». Ai soli cittadini di San Daniele e' consentito il pascolo sui terreni pubblici e la macellazione nell'apposita struttura comunale; occorrono 20 anni di residenza per acquisire i diritti sui beni pubblici, le deroghe a tale precetto sono eccezionali. (Rebellano e Santese, 1993). Il passaggio dal bosco al porcile avviene con la ripresa dell'agricoltura ed il connesso sviluppo demografico che inizia nei secoli X-XI e continua, sia pine con alterne vicende, in connessione all'estendersi dei territori destinati all'agricoltura ed alla sottrazione all'uso comune dei boschi e delle selve acquisite dai ceti dominanti a favore della selvaggina «Res regalis». Piero De Crescenzi, agronomo bolognese del XIII secolo, scrive che «si devono dar loro le ghiande, le castagne e simiglianti cose, o le fave, o l'orzo, o il grano: imperocche' queste cose non solamente ingrassano, ma danno dilettevole sapore alla carne». Con la comparsa della mezzadria (Roda, 1979-80) l'allevamento del maiale tende a restringersi, ma soprattutto si modifica. Il contadino continua a tenere qualche animale all'interno del podere al quale dedica tutta la sua attivita' non svolgendo piu' attivita' silvo-forestali (Montanari, 1979 - Baruzzi e Montanari, 1981). Tuttavia, come risulta da una relazione del Du Tillot della fine del 1700, relazione riguardante il territorio di Parma e recentemente messa in luce e discussa da Dall'Olio (1983), in tale periodo la produzione del maiale era ancora strettamente legata la pascolo ed alle ghiande, cosi' vi erano annate favorevoli a sfavorevoli in rapporto alla produzione di ghiande. Sempre alla fine del 1700 il consumo di carne di maiale a Parma era relativamente elevato (4.500 maiali circa macellati ogni anno, ad uso soprattutto dei monasteri e conventi) e si propose di allestire due macelli per suini analoghi al Pelatoio di Bologna. In tutto il medioevo e fino alle soglie del 1900, come recentemente ha fatto notare Mondini (1978), la denominazione piu' usata e' quella di «Porco», indipendentemente dal fatto che si tratti di animali selvatici, semidomestici o domestici. L'etimo sus (sonopair longobardo, scroa per scrofa) e' invece riservato agli animali da vita, e dara' origine al termine «suino» ora largamente diffuso e che si affianca a quello di maiale. Per il cinghiale e' in uso il termine di Porci silvestres (Salimbene da Adam). Cenni sull'uso alimentare del maiale nella Padania Il maiale, come maiale selvatico (cinghiale) o semiselvatico o domestico, e' stato quasi esclusivamente un animale «da carne» ed e' sempre stato impiegato nell'alimentazione Europea e Padana, dove non risultano i «divieti» o «tabu'», che invece hanno riguardato altre aree culturali, tra le quali sono da ricordare quella egiziana per taluni periodi storici, ebrea e musulmana (Ballarini, 1981). Precise documentazioni dell'uso alimentare del maiale si hanno dallo studio dei reperti ossei preistorici, davanti alle grotte o nei primi insediamenti umani (terramare). Etruschi, Galli (a questo ultimo riguardo esiste la testimonianza di Ateneo) e soprattutto i Romani della Pianura Padana usavano ampiamente le carni suine. A questo ultimo proposito, come ricorda Susini (1960), poche comunita' romane come quella bolognese, hanno restituito un numero cosi' cospicuo di menzioni artigianali e professionali, e tra queste quella di suarius. Bisogna infatti ricordare che la funzione della citta' come incrocio tra la Via Emilia e le strade dell'Appennino e del Delta del Po cui forse conduceva una via d'acqua, aveva determinato, gia' dalla fiorentissima eta' felsinea etrusca, il formarsi di un cospicuo ceto mercantile ed artigianale. In modo analogo era avvenuto in altri centri lungo la Via Emilia, ad esempio Parma nella quale la Via Emilia si incrocia con il Torrente Parma e con una via appenninica che portava al mare Tirreno; una via quest'ultima che ebbe incremento con lo sviluppo del porto di Luni e da questo le derrate alimentari prodotte nella zona di Parma arrivavano agevolmente via mare fino a Roma. Le menzioni artigianali padane (in questo caso di Felsina-Bononia- Bologna) derivano anche da stele funerarie, tra le quali e' molto importante quella di Q. Valerius Restitutus della prima meta' del I secolo dopo Cristo, che rappresenta la bottega di un macellaio (lanius). Un altro monumento sepolcrale che ha riferimento al commercio ed alla lavorazione della carne di suino e' composto da due steli, una delle quali mostra la figura di mi suarius (allevatore o mercante di proci) che sospinge innanzi a se' sette maialetti; l'altra stele presenta un mortaio con relativo pestello, gli strumenti mediante i quali la carne, il sale e le spezie venivano tirate per dare l'impasto necessario alla preparazione degli insaccati suini, ben noti ed apprezzati anche in eta' romana (Susini, 1958). In proposito non e' superfluo ricordare che il nome moderno di mortadella sembra derivare appunto da quello di «mortarium». Venivano destinati alla macellazione animali di peso limitato (dai 30-40 chilogrammi ad un massimo di 70-80 chilogrammi) (Silcher Van Bath, 1972; Pesez, 1973; Stouff, 1969, Anselmi, 1975; Rouche, 1973; Montanari, 1979), spesso castrati (se maschi) per togliere loro il non gradevole odore-sapore «urinoso» del verro. Si trattava di animali che difficilmente avevano meno di un anno di vita e le ossa riportate alla luce dagli scavi archeologici appartengono il piu' delle volte ad animali uccisi fra il primo e il secondo anno di vita, ma anche al terzo e perfino al quarto anno di vita (Marcuzzi e Vannozzi, 1981; Barker, 1973; Tozzi, 1980). Il lungo periodo di allevamento era la conseguenza delle caratteristiche genetiche delle razze allevate, ad alta rusticita' ed a bassa precocita' e ad una alimentazione certamente non adeguata e ricca di carenze. Il periodo dell'uccisione era per lo piu' nei mesi di novembre e dicembre, comunque sempre nell'inverno (Marcuzzi e Vannozzi, 1981); vedasi ad esempio la tradizionale fiera di Santa Caterina il 25 di novembre, a Montagnana (Veneto). Da un'ampia iconografia e' anche nota la tecnica di mattazione con stordimento tramite un colpo sulla testa e successiva iugulazione o colpo al cuore; seguiva la raccolta del sangue e la successiva pulitura della pelle con fuoco ed acqua bollente, apertura e divisioni in mezzene e successivamente in parti. I «tagli» erano destinati al consumo fresco od alla conservazione. I prosciutti padani Notizie storiche sui prosciutti padani Una tecnica fondamentale di conservazione della carne era quella della salagione, la cui origine si perde nella notte dei tempi, che certamente e' stata «scoperta» piu' volte ed indipendentemente, applicata su carni di tipo diverso, ma soprattutto su carni prodotte stagionalmente, in particolare di maiale e di pesce. «Nulla e' piu' utile del sale e del sole» scriveva nel I secolo a.C. Plinio Il Vecchio e nel VII ripeteva Isidoro Di Siviglia. La prima importante, anche se «indiretta», testimonianza di cosce salate di maiale (prosciutti o proto-prosciutti) nella Pianura Padana la si ricava dalle gia' citate indagini archeologiche di Olivieri del Castillo (1990) a Porcello (Bagnolo S. Vito di Mantova) e riguardante un insediamento etrusco del V secolo a.C. Infatti tra le numerosissime ossa di maiale ritrovate (circa 30.000 reperti!!) sono sorprendentemente rare quelle degli arti posteriori. Questo fatto non puo' essere casuale e fa ritenere che le cosce di maiale fossero utilizzate altrove e quindi esportate, ovviamente dopo essere state salate e quindi trasformate in prosciutti o «proto-prosciutti». Non e' escluso che questi prosciutti fossero esportati fino in Grecia, dove erano noti. Infatti indizi sulla conoscenza del prosciutto nella Grecia Antica li ricaviamo anche dai termini usati di kolia e perna (Aristofane: Plutus, Luciano: Lessifane XXXIV, 6). I romani conoscevano bene il Prosciutto di maiale, che denominavano «perna» (Vairone, De Lingua Latina) e che ritroviamo anche in una insegna di taverna (Tacca, 1990). E' anche da ricordare Q. Orazio Flaccio (Satira II, w 116-117) e l'uso medicinale dell'osso di prosciutto (Marcello Empirico - De medicamentibus fisycis razionalibus). Columella (I secolo d.C.) nel suo De Re Rustica ricorda che «tutti gli animali, ma specialmente il maiale, devono essere tenuti senza bere il giorno prima della macellazione, perche' la carne risulti piu' asciutta ... Quando avrai ucciso il maiale ... disossalo accuratamente; con questo si rende la carne salata meno soggetta a decomporsi e piu' durevole, salalo con del sale torrefatto, e soprattutto riempi di sale con tutta abbondanza quelle parti in cui sono state lasciate le ossa; dopo aver predisposto le placche o i pezzi sopra dei tavolati, mettili sopra dei larghi pesi, in modo che scolino bene. Al terzo giorno rimuovi i pesi e strofina diligentemente con le mani la carne salata, quando poi la vorrai rimettere a posto, aspergila di sale sminuzzato e ridotto in polvere, e riponila cosi'; non tralasciare di strofinare tutti i giorni col sale finche' sara' matura. Se mentre si strofina la carne ci sara' bel tempo, la lascerai sotto sale per nove giorni; ma se il cielo sara' nuvoloso, bisognera' portare la carne salata alla vasca dopo undici o dodici giorni: dopo i quali prima si scuote il sale, poi si lava accuratamente con acqua dolce, in modo che da nessuna parte rimanga attaccato del sale e dopo averla lasciata asciugare un poco, la sospenderemo nella dispensa della carne, dove giunga un po' di fumo che possa asciugarla del tutto, nel caso che contenesse ancora un po' d'acqua. Questo tipo di salatura si potra' fare molto bene durante l'epoca del solistizio invernale, ma anche nei mesi di febbraio, prima pero' delle idi». E' facile rilevare una serie di consigli tuttora validi: attenzione alle parti vicine all'osso, uso di sale ben asciutto, schiacciamento per estrarre l'umidita', macellazione del maiale durante il periodo freddo (dal 21 di dicembre a meta' febbraio) e cosi' via. Tuttavia qui si parla di carni salate e poi in parte asciugate al calore del fuoco e non affumicate, disossate, e non del «prosciutto crudo» quale ora lo intendiamo, ma con una tecnica analoga a quella ancora attuale per quest'ultimo. Per quanto riguarda la conservazione di cosce intere di maiale tramite «prosciugamento» (da cui il termine di «perxuctus» o prosciugatissimo) bisogna arrivare a Catone Il Censore che nella sua De Agricoltura (II secolo a.C.) indica che le cosce devono venir poste in un doglio a strati, coprendo ogni strato ed il tutto con abbondante sale, avendo l'avvertenza che i pezzi non si tocchino tra loro; dopo una permanenza di dodici giorni i pezzi di carne vengono tolti dal sale, accuratamente lavati, fatti asciugare al vento secco per due giorni, quindi unti con olio ed aceto, ed appiccati ad un palo nei pressi del focolare. «Ne' tarli ne' vermi li toccheranno», dice Catone, in conseguenza del trattamento misto salagione-affumicamento. Anche in questo caso non vi e' alcun affumicamento, ma soltanto un asciugamento favorito dall'aria calda. Nel Medioevo, quando abbiamo ulteriori e piu' precise informazioni, era diffusa l'abitudine di tagliare il maiale a meta' in senso longitudinale, costituendo due «mezene» da cui il termine ancora diffuso di mezzetta, di peso abbastanza limitato (Messedaglia, 1943-44) e che venivano conservate tramite salagione. In Francia tali mezzette, denominate baccones da cui il bacon inglese, a disposizione dei monaci di Corbie nel secolo IX pesavano circa trenta chilogrammi, (Rouche, 1973). Quando il maiale non veniva conservato intero, si salavano le parti piu' pregiate: coscia o prosciutto e «gambuccio», «scamarita» (parte della schiena vicina alla coscia; Sella, 1937), spalla. Non si salvano parti meno pregiate a causa dell'alto prezzo del sale. L'importante ruolo del sale per la conservazione della carne come di altri alimenti tra cui pesci e formaggi, ed equilibratore di una alimentazione umana prevalentemente vegetariana, quindi ricca di potassio, mantenne sempre vivo un intenso commercio di questa derrata. Come anche recenti autori hanno dettagliatamente descritto e discusso (Meyer, 1981) il sale delle saline costiere (Venezia. Cornacchie, Cervia) risaliva all'interno della Pianura Padana orientale, soprattutto tramite le vie fluviali, lungo il Po ed i suoi affluenti. A causa del costo non tanto di trasporto, quanto delle gabelle alle quali era sottoposto, appunto perche' derrata alimentare «indispensabile», si cercava di produrlo in loco sfrattando le miniere di salgemma ed in particolar modo le sorgenti saline dell'entroterra. La Pianura Padana, formatasi lentamente per sedimentazione, contiene nelle sue profondita' e racchiusi tra strati di argilla impermeabile notevoli quantita' di sale marino fossile e per questo acque e pozzi salati pullulano nella bassa pianura, sulle colline e nella montagna (Marenghi, 1963). Famosi erano i pozzi di acque salse della collina parmense attorno ai paesi denominati appunto Salsomaggiore e Salsominore (Baruzzi e Montanari, 1981; Bonatti, 1981). In questi luoghi si svilupparono quelle che furono denominate «fabbriche del sale» che risalgono probabilmente al tempo dei romani (Bonatti, 1981; Drei, 1939). Evidentemente la lavorazione delle carni e la loro conservazione con il sale esigeva una determinata tecnologia e fin dall'inizio del IX secolo il capitolare di Carlo Magno sulla gestione delle Aziende Regie prescriveva che «Omino praevidendum est cum omni diligentia it quicquid manibus laboraverint aut facerint, id est lardum, siccamen, sulcia, niusaltus ... omnia cum summo nitore sint facta vel parata». Il maiale produceva una derrata che doveva servire per una intera annata. Accanto alle frattaglie, sangue e talune parti da utilizzare immediatamente, ve ne erano altre da conservare a lungo, le gia' citate preparazioni salate. La quota intermedia a «media conservazione» era costituita dagli insaccati, il cui mantenimento era affidato a fermentazioni guidate da una serie di fattori e condizioni: alcuni di questi (sale, umidita', temperatura) erano molto efficaci, altri meno. Tra questi ultimi vi sono le spezie, che tuttavia avevano almeno il ruolo di «mascherare» eventuali odori o sapori non completamente graditi, o di servire quali elementi di «controllo» e «repressione» nell'uso alimentare dell'insaccato stesso. Questo e' il caso delle spezie piccanti che inducono a mangiare «molto» pane e «poco» companatico. Tra gli insaccati padani si ricordano i salami, i cotechini e gli zamponi, i cappelli da prete e le bondiole, e cosi' via. Numerose sono le attestazioni iconografiche dell'uso padano di conservare il maiale sotto forma di insaccati. Tra le spezie di cui e' documentato l'uso nei secoli passati e fin dal medioevo (Baruzzi e Montanari, 1981), si possono ricordare il pepe ed altre spezie di origine orientale (cannella, chiodi di garofano, noce moscata, zenzero, comino, zafferano), oppure le erbe aromatiche prodotte negli orti casalinghi: timo, maggiorana, salvia, anice, rosmarino, prezzemolo, coriandolo, ma soprattutto l'aglio (Baruzzi e Montanari, 1981). Il maiale era inoltre una preziosa fonte di grasso. Esiste intatti una «carta geografica dei grassi culinari»: nel Nord Italia (Centro Europea) dominano i grassi animali, mentre nell'Italia Centro-meridionale (Mediterranea) dominano quasi incontrastati i grassi vegetali e soprattutto l'olio di olivo. Fin dal Medioevo nell'Italia del Nord si usavano prevalentemente i grassi di maiale (lardo e strutto) e limitatamente il burro. L'olio non era tuttavia sconosciuto, ed era di olivo per i ricchi e di noce per i poveri. Il lardo fin dal periodo longobardo veniva conservato tramite salatura; i muratori longobardi ricevevano una quota fissa di lardo di circa cinque chilogrammi per il loro sostentamento prima di iniziare il lavoro stagionale (Baruzzi e Montanari, 1981). Fin dall'VIII secolo nella Pianura Padana lo strutto era noto come uncto, grassa, sunzia, assungia (Tanara, 1965; Rosselli, 1518). Da quanto esposto e' facile individuare, della Pianura Padana, una antichissima «vocazione» suinicola, che e' stata intensificata dalla dominazione longobarda. In questa vasta «area», fin dai tempi molto antichi, si sono sviluppate alcune tecnologie di conservazione delle carni, ad esempio la salagione. Contemporaneamente si e' avuta una quasi infinita serie di «varianti», per le quali non e' possibile individuare singole origini e motivazioni storiche. Una di queste e' per esempio tipica dell'area bolognese e risalente almeno al periodo romano. Con la finissima triturazione delle carni e del grasso, si ottiene un impasto da conservare tramite l'aggiunta di sale e spezie ed eventualmente tramite cottura (mortadella), da consumare cruda (salsicce e salami) o dopo cottura (cotechini e zamponi). Piu' ad Ovest, in una zona in cui erano presenti affioramenti di sali iodati con bromo e piccole quantita' di salnitro (Marenghi, 1963), si sviluppa la tecnologia di conservazione di cosce di maiale di dimensioni medie, ma soprattutto elevate, con la sola salagione e la loro «asciugatura» in ambiente asciutto come indicato da Catone Il Censore. I prosciutti padani nel II millennio Con la rivoluzione agraria dell'inizio di questo millennio la Pianura Padana fu disboscata e contemporaneamente le acque vennero regolate: il coltivo prese il sopravvento sull'incolto e di conseguenza il maiale al pascolo ridusse sempre piu' la sua importanza, ma trovo' una nuova opportunita': il siero di latte derivato dalla produzione dei formaggi, soprattutto nelle zone di produzione del Formaggio Grana (Parmigiano, Parmigiano-Reggiano, Grana Padano) e di altri formaggi, come nelle Venezie. La rivoluzione agraria, se ridusse e fece scomparire gran parte degli animali che sfruttavano l'incolto, non influi' sul maiale, che anzi se ne avvantaggio', come risulta ad esempio dalle opere di Tanara (1965) e di Laudi (1969). La evoluzione della alimentazione del maiale padano alla fine del XIX secolo si associo' alla modifica delle popolazioni suine, con la introduzione delle «razze bianche» inglesi, di buona taglia e particolarmente vocate alla produzione di grasso. Caratteristiche queste che influirono positivamente sulla taglia del prosciutto da stagionare. Nonostante i cambiamenti avvenuti nella alimentazione e nelle popolazioni di maiali allevati, rimasero assolutamente costanti alcune caratteristiche indispensabili per la produzione di un prosciutto crudo (stagionato) di tipo padano: accrescimento corporeo «lento» e quindi macellazione di maiali «maturi» e non con carni «giovani»; peso «elevato» dell'animale, ma soprattutto della coscia e buona copertura di grasso sottocutaneo anche a livello della coscia. La salagione delle carni di maiale ed in particolare dei tagli piu' pregiati, come le cosce e quindi il prosciutto, e' sempre stata presente nella Pianura Padana fino ai giorni nostri. Una tecnologia di conservazione fondamentalmente unitaria e che ha avuto una differenziazione territoriale importante secondo anche alcune fondamentali caratteristiche climatiche ambientali e che ha portato ad una certa distinzione tra allevamento e stagionatura dei prosciutti. Allevamento dei maiali In tutta la Padania l'allevamento del maiale ha sempre prevalentemente interessato la parte pianeggiante e collinare. Inizialmente perche' coperta da querceti che fornivano le ghiande con cui il maiale, onnivoro, veniva prevalentemente ingrassato. Successivamente l'allevamento e l'ingrasso si basarono con i prodotti derivati dall'allevamento di bovini (siero di latte) ed altri vegetali, come il grano turco (mais). L'allevamento e' quindi sempre stato prevalentemente di pianura od al massimo di collina. Stagionatura dei prosciutti La salatura delle carni e' possibile in qualsiasi ambiente che abbia talune caratteristiche di temperatura ed umidita'. Non a caso la tradizione riservava la macellazione del maiale e la lavorazione delle sue carni al periodo dicembre-febbraio e gli stessi Autori antichi sopra citati davano periodi di salagione diversi a seconda delle condizioni climatiche. Diversamente e' per quanto concerne la successiva «stagionatura» che necessita di un ambiente non eccessivamente umido (vicino al focolare, ad esempio). In questo contesto di ambiente non eccessivamente umido si comprende come la stagionatura dei prosciutti di maiale nella Padania si sia sviluppata nelle colline che circondano la pianura: verso Sud nelle colline parmensi (anche per la locale disponibilita' di sale) e successivamente modenesi, verso Nord nelle colline venete berico-euganee, e nella parte della padania delle colline di San Daniele. La stagionatura e' quindi una attivita' delle zone collinari od immediatamente ai loro piedi, dove sia possibile avere un clima non eccessivamente umido, soprattutto durante l'estate successiva alla macellazione del maiale. La stagionatura infatti deve permettere di mantenere il prosciutto per almeno un anno. Vi era un detto che «per avere un prosciutto padano il maiale aveva dovuto passare due inverni ed il prosciutto due estati»: un maiale «maturo» ed un «prosciutto maturato». Una chiara linea unisce quindi il prosciutto padano dalle sue origini (probabili nel V secolo a.C; certe nel II secolo a.C.) ad oggi con una precisa distinzione e caratterizzazione dei: territori di allevamento: bassa pianura; aree di stagionatura: pre-collinare e collinare; tipologia del maiale: «maturo» e con sufficiente grasso sottocutaneo; trattamento con limitata quantita' di sale (prosciutti «dolci») in conseguenza della «maturita' del maiale»; assenza di altri trattamenti «conservativi» e soprattutto del fumo; possibilita' di una lunga stagionatura (e quindi di una naturale, elevata aromatizzazione) in conseguenza della «maturita' del maiale», limitata quantita' di sale e caratteristiche ambientali di stagionatura. I prosciutti padani moderni - unico modello e sue «modulazioni» nell'area padana La lunghissima storia dei Prosciutti Padani testimonia della loro origine comune, strettamente legata alla unita' ambientale e culturale della Padania. Le particolari caratteristiche di un allevamento di pianura e di stagionatura collinare e precollinare, unitamente alle caratteristiche qualita' del maiale che, nonostante le modificazioni di popolazioni e di alimentazioni, hanno mantenuta intatta la «maturita'», il peso relativamente «elevato» e una certa copertura di grasso sottocutaneo. Tutti questi elementi sono indispensabili per una «lunga stagionatura», ma ancor piu' per una ridotta quantita' di sale che condiziona una elevata aromatizzazione naturale del Prosciutto. La indubbia «unicita'» del Prosciutto Padano non ha pero' impedito che si siano potute avere delle «modulazioni», alcune delle quali ben definite e con una piu' o meno lunga storia (Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele, Prosciutto di Modena). Questa «modulazione» ha interessato diversi caratteri, ad esempio la forma del prosciutto, ma soprattutto la entita' e la qualita' della sua «aromatizzazione naturale» derivata dai processi maturativi endogeni, guidati da: qualita' (maturita') dei maiali allevati; ambiente di maturazione; tecnologia di produzione. Il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo rientra nel «modello» padano di allevamento del maiale e della stagionatura del prosciutto crudo. I reperti delle tante stazioni preistoriche che costellano il Veneto, ma soprattutto le colline berico-euganee e tra le quali proprio il castelliere di Montagnana, diedero conto della presenza del maiale gia' in quei lontani tempi. Gli storici romani, nel III secolo a.C, accennavano gia' alla presenza di maiali nella grande foresta che da Lugo risaliva nel Veneto fino a Venezia (la foresta Litann), e alla fiorente esportazione di carni conservate da quei luoghi verso i grandi mercati di Roma. Nel Medio Evo gli enfiteuti e i coloni si fanno carico dei primi allevamenti comuni, e a mano a mano che si afferma l'eta' feudale chiese, monasteri e signori impongono decime e diritti tra cui proprio il maiale o intero o gia' lavorato rappresenta una delle prestazioni principali. Nel XII secolo alcuni bassorilievi del protiro della chiesa veronese di San Zeno raffigurano scene di lavorazione del maiale, e cosi' pure se ne notano di simili sull'archivolto del portale maggiore della chiesa di San Marco a Venezia. Infatti, complice pure il sale che veniva dalle saline di Venezia e Chioggia la carne di maiale veniva gia' da allora lavorata e trasformata. I maiali veneti, analogamente a quelli padani, in tempi a noi piu' vicini erano gia' addomesticati, come documenta la perdita di un folto pelame ed il colore roseo della pelle. Infatti nel 1772 Antonio Frizzi nel poemetto La salameide parlava di tre varieta' di maiali: quella a setole bianche, la nera e l'altra di quel color ti piaccia - che mentiscono le donne sulla faccia e cioe' il roseo. Anche nel Veneto e nella zona di San Daniele, come recentemente ricorda Alberini (1992) un tempo l'allevamento del maiale era domestico, poi passo' all'industria casearia per la utilizzazione del siero di latte, con l'aggiunta di sottoprodotti della industria molitoria, in particolare di «grano turco» o mais e con la crusca di grano. L'uso alimentare del maiale nelle Venezie e in Friuli e' ben radicato e di antica data, come tra l'altro indica Gerolamo Savonarola, medicinae professori celeberrimo nel suo Libreto di tute le cose che se manzano (circa 1450), nel quale si citano anche i «persuti». Il prosciutto e' anche citato nell'«Opera» di Bartolomeo Scappi del 1570, in un ricettario veneziano del Seicento (Alberini, 1992). Nella Secchia Rapita di Alessandro Tassoni nel canto VIII e' ricordato che uno dei comandanti di «quei di Montagnana» «i titoli vendea per un presciutto». Questa millenaria storia non si ferma li'. Da tempo, le cosce non sono piu' decima riservata ai signori: e' nata la borghesia, non necessariamente con terre nel contado, e il prosciutto diventa un prodotto di mercato. Nascono le prime aziende artigiane e ci si batte per fare un prosciutto che dia risonanza al nome del produttore. Sulle pareti di tante aziende aderenti all'odierno Consorzio si possono ammirare gli splendidi risultati di quello sforzo. Nel 1881 il Ministro Quintino Sella firma un diploma di partecipazione e vittoria all'Esposizione Nazionale di Milano di quell'anno. Quando Torino, tre anni dopo, chiude l'Esposizione Generale Italiana, un altro diploma prende la strada del Veneto. Nel 1904, un diploma verra' da piu' lontano, dal Crystal Palace di Londra. Per quanto concerne la produzione del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo si ripete lo schema degli altri prosciutti padani e cioe' l'allevamento dei maiali nelle zone pianeggianti della pianura padana-veneta e la stagionatura dei prosciutti nella zona pedecollinare e collinare. E' inoltre stabilito quanto segue: l'allevamento del maiale e' una antica tradizione che si riallaccia a quella celtica-longobarda padana; l'allevamento del maiale fin dal medioevo ha avuto l'attenzione sia delle istituzioni pubbliche che dei privati; l'allevamento del maiale nel Veneto ha interessato tutto il territorio di pianura, sfruttando i querceti e le ghiande da questi prodotti (allevamento semibrado). Successivamente vi e' stato l'utilizzazione del siero di latte e quindi uno stretto collegamento tra l'allevamento del maiale ed il caseificio per la produzione dei diversi formaggi veneti. Un ulteriore elemento e' derivato dallo sviluppo della maiscoltura (o «polenta»); la salagione delle carni di maiale nel territorio ha una antica tradizione anche per la disponibilita' delle vicine saline; la produzione del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo esclude nel modo piu' assoluto l'uso del fumo o di altri procedimenti conservativi, ad esclusione del sale e del controllo della umidita' e temperatura ambientale; la industrializzazione della produzione del Prosciutto Veneto Berico- Euganeo e' passata attraverso una fase di artigianato che ha mantenuto le caratteristiche tradizionali del prodotto. Conclusioni Sulla base delle notizie archeologiche, storiche, linguistiche, delle tradizioni e della iconografia esistente, nonche' delle conoscenze scientifiche di biologia, allevamento del maiale e tecnologie di trasformazione degli alimenti, in particolare della conservazione delle carni tramite la salagione, e' possibile riconoscere quanto segue. Da un punto di vista sociale e culturale, ma soprattutto delle tecnologie di produzione sviluppale e conservate dalla tradizione, la Padania costituisce una «unita'» anche per quanto riguarda l'allevamento del maiale e soprattutto la lavorazione di alcune sue parti di grande pregio, come la coscia dalla quale si origina il prosciutto. La «unita'» padana ha dato origine ad un unico «modello» di addomesticamento e allevamento del maiale e di produzione di prosciutto stagionato. Questo «modello» nel tempo si e' successivamente differenziato dando origine alle «modulazioni» che oggi corrispondono al Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, Prosciutto di San Daniele, Prosciutto di Parma e Prosciutto di Modena. Pur avendo radici comuni, i quattro prosciutti padani sopra indicati, in quanto «modulazioni» di un unico «modello», hanno una loro individualita'. Nella Padania ed in tempi protostorici vi e' stata una semidomesticazione del maiale, soprattutto in ambito della cultura celtica e successivamente longobarda. La zona di Parma, Modena e tutte le Venezie sono comprese nella vasta area di cultura longobarda del maiale. Nonostante taluni cambiamenti avvenuti nei millenni nella alimentazione e nelle popolazioni di maiali allevati, sono rimaste assolutamente costanti alcune caratteristiche indispensabili per la produzione di un prosciutto crudo (stagionato) di «modello padano»: accrescimento corporeo «lento» e quindi macellazione di maiali «maturi» e non con carni «giovani»; peso «elevato» dell'animale, ma soprattutto della coscia e buona copertura di grasso sottocutaneo anche a livello della coscia. Una chiara linea unisce il prosciutto padano dalle sue origine (probabili del V secolo a.C; certe nel II secolo a.C) ad oggi con una precisa distinzione e caratterizzazione dei: territori di allevamento: bassa pianura e collina; aree di stagionatura: pre-collinare e collinare; tipologia del maiale: «maturo» e con sufficiente grasso sottocutaneo; trattamento con limitata quantita' di sale (prosciutti «dolci») in conseguenza della «maturita' del maiale»; assenza di altri trattamenti «conservativi» e soprattutto del fumo; possibilita' di una lunga stagionatura (e quindi di una naturale, elevata aromatizzazione) in conseguenza della «maturita' del maiale», limitata quantita' di sale e caratteristiche ambientali di stagionatura. Per le diverse «modulazioni» del «modello padano» di prosciutto stagionato e' stato accertato quanto segue: Prosciutto Veneto Berico-Euganeo: l'allevamento del maiale e' una antica tradizione veneto-friulana che si riallaccia a quella celtica-longobarda padana; l'allevamento del maiale fin dal medioevo ha avuto l'attenzione sia delle istituzioni pubbliche che dei privati; l'allevamento del maiale nel Veneto ha interessato tutto il territorio di pianura, sfruttando i querceti e le ghiande da questi prodotti (allevamento semibrado). Successivamente vi e' stato l'utilizzazione del siero di latte e quindi uno stretto collegamento tra l'allevamento del maiale ed il caseificio per la produzione dei diversi formaggi. Un ulteriore elemento e' derivato dallo sviluppo della maiscoltura (o «polenta»); la salagione delle carni di maiale nel territorio ha una antica tradizione anche per la disponibilita' delle vicine saline; la produzione del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo esclude nel modo piu' assoluto l'uso del fumo o di altri procedimenti conservativi, ad esclusione del sale e del controllo della umidita' e temperatura ambientale; la industrializzazione della produzione del Prosciutto Veneto Berico- Euganeo e' passata attraverso una fase di artigianato che ha mantenuto le caratteristiche tradizionali del prodotto. D.7
L'ALLEVAMENTO SUINO NEL NORD ITALIA E SUA EVOLUZIONE NELLA STORIA
Dai molti frammenti ossei provenienti dai vari scavi si deduce che l'allevamento del bestiame suino, bovino ed ovino si e' sviluppato nel nord Italia nel periodo neolitico. Inizialmente pero', come risulta dai reperti ossei ritrovati in proporzione omogenea, il bestiame veniva allevato unicamente per soddisfare le necessita' della famiglia o del villaggio. Solo in epoca etrusca viene praticato un tipo di allevamento stabile e specializzato, il cui obiettivo e' la produzione di carne suina e bovina, lana, latte e suoi derivati, finalizzati non solo a soddisfare i fabbisogni locali ma anche alla esportazione. Particolare menzione meritano, a tal proposito, gli scavi del Forcello, un insediamento Etrusco (V° sec. a.C.) posto a Sud di Mantova, sul terrazzo della sponda destra del Mincio, non molto lontano da Andes, localita' che diede i natali a Virgilio. In detta localita' furono trovati mi numero notevolissimo di reperti e, tra essi, ben 50.000 resti di ossa animali, di cui il 60% appartenenti alla specie suina, segno evidente della predilezione degli etruschi per l'allevamento del maiale; seguono in ordine di importanza gli ovini ed i bovini. Dallo studio delle ossa si pote' dedurre che i maiali erano stati macellati in eta' adulta a due o tre anni ed inoltre che proporzionalmente mancavano molti arti posteriori. A tal proposito gli esperti di archeologia che studiarono il fenomeno cosi' si esprimono: «poiche' il campione studiato e' ampio e rappresentativo, questo fatto non puo' esser casuale ed induce a ritenere che le cosce del maiale, dopo la salatura e/o affumicatura, venissero esportate» (P. Olivieri del Castillo - Il suino nel Mantovano, cenni storici - 1990). Gli stessi esperti formularono l'ipotesi che attraverso il Mediterraneo la carne suina salata giungesse insieme al grano ai mercati di Atene. Infatti - essi affermano - fonti greche antiche decantano la varieta' di merci straniere provenienti dal Mediterraneo, fra esse le carni dall'Italia. La popolazione suina dell'Italia Centro Settentrionale L'allevamento del maiale ha sempre costituito una fra i piu' importanti rami dell'industria zootecnica italiana. Nel censimento del bestiame del 1908, sono indicati presenti in Italia 2.507.798 capi di cui 322.099 scrofe. Nel 1926, secondo il Fotticchia, i capi allevati in Italia assommano a 2.750.000 di cui ben 1.400.000 in Italia settentrionale e 570.000 nell'Italia centrale (Toscana, Umbria, Lazio e Marche). All'inizio del secolo, e fino alla Prima Guerra Mondiale, tre sono i sistemi di allevamento tradizionalmente praticati: l'allevamento familiare, un tempo il piu' diffuso nella valle padana; esso si basa su un limitato numero di capi, generalmente ben curati, alimentati con residui di cucina e prodotti ertivi. Tali capi sono destinati all'autoconsumo ed in parte al rifornimento delle salumerie locali. Questo allevamento e' andato riducendo via via la sua importanza con il diffondersi della specializzazione; l'allevamento allo stato brado o semibrado era preminente lungo l'Appennino ed i suoi contrafforti, nonche' sulle Prealpi lombarde, venete e del Friuli, ove abbondano la macchia ed i boschi di quercia; l'allevamento di tipo industriale primeggiava in Lombardia ed in Emilia gia' nel secolo scorso, perche' collegato al caseificio per lo sfruttamento dei sottoprodotti di latteria (siero e latticello), dell'industria molitoria (farinette, crusca e cruschello) e della brillatura del riso (pula di riso). Il 1872 puo' essere indicato come l'anno in cui ebbe inizio in Italia la moderna suinicoltura. Infatti in quell'anno, per iniziativa del Ministero dell'agricoltura, che si avvalse dell'opera dell'Istituto Sperimentale di Zootecnia di Reggio Emilia, furono importati dall'Inghilterra in alcune province della Valle Padana i primi riproduttori Yorkshire. Le razze indigene Esistevano in Italia molte razze indigene, che, con l'introduzione della Yorkshire, a seguito dei ripetuti incroci fatti nell'intento di ottenere maiali con maggiore attitudine all'ingrasso, maggiore precocita' e con scheletro piu' ridotto, finirono per perdere la loro importanza e la loro identita'. Le razze piu' diffusamente allevate in Italia centro settentrionale ed ancora presenti agii inizi della Prima Guerra Mondiale, divise per regioni, sono le seguenti: Piemonte: due erano le razze autoctone, la Cavour, a mantello nero, orecchie pendenti, maschera facciale bianca, allevata sulla riva destra del Po; la Garlasco che si allevava invece sulla riva sinistra; razza un po' piu' ridotta con pelle e setole color rosso giallastro. Le caratteristiche di entrambe le razze erano la robustezza, la precocita' e la buona attitudine al pascolo. Lombardia: si allevava la razza Lombarda dal mantello nero rossiccio con varie macchie bianche, di grande mole, facile da ingrassare, che a fine ingrasso raggiungeva il peso di 200-220 Kg. Emilia: la razza Parmigiana era diffusa oltre che nel parmense anche nel piacentino ed in parte a Reggio Emilia. Essa era caratterizzata da manto grigio scurissimo con rade setole nere, molto prolifica, alta, robusta, viveva al pascolo per la maggior parte dell'anno. Altra razza emiliana che occupava un'area assai piu' estesa della parmigiana (bolognese, modenese e parte del reggiano, del mantovano e del Veneto), di taglia ancor maggiore della precedente, era la Bolognese, a setole corte, rade, tra le quali traspariva la cute di color rosso violaceo. Le sue carni, come riferisce il Marchi nel suo testo del 1914 «hanno costituito la fama degli zamponi di Modena, delle mortadelle, spalle e bondole di Bologna». Romagna: vi si allevava una razza mora, castagnina, diffusa in tutta la Romagna e detta appunto razza Romagnola. Lo Stanga (Suinicultura pratica, 1922) la considerava una sottorazza della Bolognese. Le caratteristiche che contraddistinguevano la razza Romagnola erano il buon sviluppo in altezza (80-90 cm al garrese), il tronco cilindrico con linea dorso-lombare convessa e soprattutto la cosiddetta linea sparta, «costituita da robustissime irte e fitte setole che trovansi lungo tutta la linea dorsale» (Ballardini). Veneto: oltre alle razze lombarda e la romagnola nel Veneto troviamo anche la razza Friulana, rustica, facile da ingrassare, sia al pascolo che nel porcile, con carni molto saporite ma di mediocre fertilita', molto affine ai maiali stiriani e croati. Toscana: terra ricca di boschi di leccio, quercia, castagno e cerro che costituivano ambiente ideale per il pascolo dei suini; si allevavano tre razze: la Cinta, la Cappuccia e la Maremmana. Di esse la piu' importante era la Cinta senese, maiale lungo ed alto, con tronco cilindrico, con linea dorsale convessa e linea ventrale spesso retratta. Altre caratteristiche di detta razza riguardano la testa molto lunga, le orecchie piccole portate in avanti, il mantello color nero ardesia a setola sottile e folta, con fascia bianca che, partendo dal garrese, scende alle spalle e cinge tutto il torace estendendosi anche agli arti anteriori. La cinta era prolifica e precoce. Il Dondi ne fa una accurata descrizione e riferisce che «la carne e' ottima e molto saporita e sono noti nel commercio i prodotti senesi di salumeria, in particolar modo salsicce, mortadelle e prosciutti, prodotti in notevole quantita' da stabilimenti locali che di preferenza attingono la materia prima dalla montagna senese». Il Mascheroni (Zootecnia speciale, 1927) afferma che «questa razza e' allevata ed ingrassata al bosco, sia durante la buona che la cattiva stagione e solo alla sera fa ritorno al porcile. L'alimentazione si basa sul pascolo di quercia e di leccio la cui produzione in ghianda e' variabilissima, integrata con beveroni, farina di castagne, granoturco e crusche». Umbria: la popolazione suina umbra, genericamente chiamata Perugina variava parecchio dal monte al piano. In montagna prevalevano i suini «da macchia» a manto scuro e setole abbondanti, con testa lunga e orecchie pendenti; maiali nel complesso rustici e resistenti, che vivevano a branchi nei boschi. Vi erano poi i suini perugini di collina e di pianura, molto simili alla razza Cappuccia della Toscana; erano caratterizzati da alta statura, da testa di media lunghezza con orecchie pendenti, da una linea dorso lombare convessa accompagnata da groppa spiovente e da cosce e natiche non molto muscolose. Il mantello era nero ardesia con setole poco abbondanti ed arti quasi sempre balzani. In collina ed in pianura, dove esistevano zone boschive, l'allevamento era semibrado; se mancava il pascolo in genere prevaleva l'allevamento da riproduzione per la produzione di lattoni, riservando all'ingrasso solo qualche capo. Dalle razze autoctone alla suinicoltura moderna La sostituzione delle popolazioni suine locali con razze selezionate piu' produttive, iniziata gia' alla fine del secolo scorso, fu, soprattutto nei primi decenni, molto lenta e graduale. Cio', non tanto per le difficolta' proprie del settore primario nell'acquisire ed introdurre le novita' emergenti, ma per il fatto che pure molto lenta e graduale e' stata l'evoluzione dei sistemi di allevamento. Finche' brado e semibrado hanno rappresentato per molte regioni i sistemi piu' comuni e piu' economici per l'ingrasso del maiale la rusticita', la resistenza, l'attitudine al pascolo e piu' in generale la capacita' di procurarsi cibo hanno rappresentato condizioni prioritarie ed irrinunciabili; detti caratteri sono propri delle razze autoctone, affermatesi sul territorio per selezione naturale. Nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali, anche a seguito della notevole espansione nella Valle Padana degli allevamenti da latte, andarono via via aumentando le richieste di lattoni e magroni da parte degli allevamenti collegati ai caseifici. Gli ingrassatori rivolgevano le loro preferenze ai maiali di grande taglia, sufficientemente rustici, dotati di elevata capacita' di utilizzare il siero, i cruscanti e le farine; caratteristiche che si riscontravano nei prodotti di incrocio delle razze locali con il verro Yorkshire-Large White. Contemporaneamente, poiche' a causa del disboscamento era andato scomparendo il sistema brado e semibrado per l'ingrasso dei maiali, in Emilia Romagna, in Toscana ed in Umbria si era affermato l'allevamento delle scrofe per la produzione di suinetti, ricercati dagli ingrassatori della valle padana. Questa suddivisione di compiti tra regioni diverse nell'allevamento del suino favori ed accelero' il processo gia' iniziato di incrociare le popolazioni suine, e tra esse in primo luogo la Romagnola, la Cinta senese, la Perugina, e la Cappuccia, razze rustiche e di buona taglia, con verri della piu' precoce e piu' selezionata razza Large White. Vi e' da osservare a questo punto che, nonostante l'affermarsi degli allevamenti industriali, permane e si accentua, proprio in questo periodo, la pratica di ingrassare i maiali fino al peso di 160-180 Kg ed oltre. Il motivo va ricercato nel fatto che la produzione del suino pesante trova concordi sia i suinicoltori che gli operatori industriali. L'industria richiedeva, come richiede tuttora, carcasse pesanti per disporre di carni mature, adatte a conferire ai prodotti lavorati e stagionati, primi fra tutti i prosciutti, quelle insuperabili caratteristiche organolettiche che hanno reso famosa nel mondo la salumeria italiana. I caseifici dell'Emilia e della bassa Lombardia, in grande maggioranza orientati alla produzione del formaggio «grana», iniziavano la produzione a primavera, dopo il parto delle bovine e lo svezzamento dei vitelli, e chiudevano a fine novembre, quando le vacche andavano in asciutta. I suini, allevati per il consumo del siero e del latticello, venivano percio' acquistati verso il mese di marzo al peso di 35-45 Kg (magroncelli) e venduti dopo la chiusura del caseificio, durante l'inverno, nel periodo piu' adatto per la lavorazione delle carni, considerato che ancora non esistevano i frigoriferi. Durante i 9-10 mesi di permanenza nelle porcilaie il suino raggiungeva il peso di 160-180 Kg. Il suino pesante pertanto soddisfaceva le esigenze del mercato e quelle del caseificio. Un solo ciclo annuale consentiva, d'altra parte, di meglio ammortizzare il costo della rimonta nonche' di contenere le perdite per malattie e per mortalita', molto piu' frequenti nel periodo di ambientamento. Una critica che viene fatta a questo sistema riguarda l'alto consumo di alimenti necessari, nell'ultima fase dell'ingrasso, per produrre un Kg di incremento. Pero' bisogna tener presente che, in detta fase, piu' di un terzo del valore nutritivo della dieta era fornito dal siero fresco, disponibile in abbondanza. La produzione di incroci utilizzando verri Large White e scrofe di razze locali continuo' per alcuni anni anche dopo l'ultima guerra mondiale. Pero', gia' da tempo, le razze autoctone, a seguito dei ripetuti incroci, al fine di ottenere animali piu' adatti al caseificio, finirono, come sopra accennato, per perdere la loro importanza fino a scomparire del tutto, per essere sostituite da una popolazione avente le caratteristiche proprie del Large White. Soggetti «filmati» (Large White x Romagnola) provenienti dal mercato di Cesena e soggetti «grigi» o «tramacchiati» provenienti dalla Toscana (Large White x Cinta) erano ancora presenti in qualche porcilaia dei caseifici lombardi agli inizi degli anni '50, pero' gia' allora si preferivano soggetti a mantello completamente bianco perche' considerati meno carichi di grasso. Cambiavano le abitudini alimentari; si riduceva il consumo dei grassi ed aumentava quello delle carni; il mercato si orientava sempre piu' verso soggetti con predominanza di tagli magri. Per adattare la produzione a questi nuovi orientamenti si ricorse in un primo momento alla importazione dalla Svezia di riproduttori Landrace, particolarmente magri e dotati di prosciutti ben sviluppati, da usare per coprire scrofe del tipo Large White. Ma i prodotti di questo incrocio, ingrassati nelle porcilaie del Nord, non diedero i risultati sperati. Il Landrace svedese era dotato di una mole e di uno scheletro troppo ridotto per produrre il suino pesante richiesto dal mercato. Risultati decisamente piu' favorevoli si ottennero da successive importazioni di Landrace olandese di grande taglia. In questo stesso periodo, in conseguenza delle piu' approfondite conoscenze in fatto di alimentazione e dello sviluppo dell'industria mangimistica, incominciarono ad affermarsi allevamenti specializzati suini non collegati ai caseifici, in quanto il siero non costituiva piu' un elemento indispensabile alla integrazione della dieta alimentare. A seguito di questi nuovi indirizzi la popolazione suina subisce in Italia, e soprattutto nel Nord, un sensibile aumento. Contro una consistenza media, nel quinquennio 1951-1955, di 3.320.000 capi si passa nel 1962 a 4.800.000 unita'. Nella sola Provincia di Mantova, sempre nello stesso periodo, i suini aumentano da 160.000 a 400.000. Incrementa la produzione lattiera, si potenziano i caseifici e si estende l'ingrasso suino; pero' all'aumento dei capi concorrono pure gli allevamenti specializzati, per lo piu' senza terra, non collegati ai caseifici, gestiti da imprenditori provenienti anche da attivita' extra agricole, dediti di preferenza alla riproduzione piuttosto che all'ingrasso. Si diffusero gli allevamenti iscritti ai libri genealogici, e con l'aiuto dei centri di controllo genetico istituiti dal Ministero dell'agricoltura (1960), si diede inizio ad un serio programma di selezione delle razze Large White e Landrace. Si gettarono pertanto le basi di una moderna suinicultura avendo sempre come traguardo la produzione di un suino pesante, dotato dei requisiti richiesti dall'industria di trasformazione in continua e rapida espansione. Dal 1960 al 1970 furono molte ed importanti le tecnologie innovative introdotte negli allevamenti, specie in quelli da riproduzione, che ne risultarono del tutto rivoluzionati. Da allevamenti agricoli, suddivisi in gruppi costituiti da poche unita', condizione irrinunciabile per combattere le pericolose malattie neonatali, si passo', nel giro di pochi anni, alla concentrazione di centinaia di fattrici in allevamenti industriali completamente automatizzati. Dette innovazioni, che consentirono la produzione di suinetti anche negli allevamenti intensivi della Valle Padana, causarono la rottura degli equilibri, durati per molti decenni, tra le regioni del Nord, prevalentemente dediti all'ingrasso e quelle del centro, specializzate nella riproduzione. Mentre nel Nord la suinicoltura trovo' motivo per un ulteriore rafforzamento ed espansione, Romagna, Toscana ed Umbria in particolar modo, furono costrette dai nuovi indirizzi ad una completa ristrutturazione dell'intero settore suinicolo. La consistenza della popolazione suina italiana passa dai 4.800.000 capi nei 1962 ai 9.014.600 del 1981, con un incremento medio annuo del 4,4%. Negli anni immediatamente successivi e piu' precisamente fino al 1987, si assiste ad un ulteriore incremento dei capi suini, ma con un ritmo di crescita molto piu' modesto rispetto al decenni precedente. Pero', anche a seguito delle difficolta' sopra evidenziate, l'espansione risulta ancora meno accentuata nelle regioni del centro Italia. Secondo i dati ISTAT il patrimonio suinicolo italiano nel 1970 era localizzato per il 56% al Nord, per il 26,3% al centro e per il 17,7% al Sud. Nel 1985 la percentuale di suini censiti saliva al 72,2% nelle regioni settentrionali, mentre in quelle centrali e meridionali regrediva rispettivamente al 16,9% ed al 10,9%.
-- Scheda E
METODO DI OTTENIMENTO DEL PRODOTTO
E.1 I metodi di ottenimento del prosciutto Veneto Berico-Euganeo sono contemplati dalla normativa vigente in materia e dal Testo unico. Sono confermate le metodologie e le prescrizioni relative alla materia prima, gia' illustrate nelle schede B e C del presente disciplinare. Il procedimento per la lavorazione delle cosce suine fresche corrispondenti alle prescrizioni ed ai requisiti gia' indicati nel presente disciplinare prevede le seguenti fasi: 1) isolamento; 2) raffreddamento; 3) rifilatura; 4) salagione; 5) semipressatura; 6) riposo; 7) lavatura; 8) asciugatura; 9) stagionatura. E.1.1 Isolamento: il maiale deve essere sano, riposato e a digiuno da almeno 15 ore. Solamente in presenza di queste condizioni il maiale puo' essere macellato, procedendo in seguito all'isolamento della coscia dalla mezzena. E. 1.2 Raffreddamento: la coscia suina fresca viene portata in apposite celle di raffreddamento per un periodo di 24 ore al fine di portare la temperatura della stessa a 0° C, e perche' il freddo rassodi la carne che puo' cosi' essere piu' facilmente rifilata. Durante la fase di raffreddamento la coscia suina subisce un calo di peso pari a circa l'1%. E. 1.3 Rifilatura: attraverso la rifilatura, asportando parti di grasso, di frazione muscolare e di cotenna, si conferisce alla coscia la caratteristica forma. La rifilatura consente di correggere eventuali imperfezioni del taglio, di agevolare il verificarsi di condizioni ottimali per la successiva azione di penetrazione del sale, e di identificare eventuali condizioni tecniche pregiudizievoli ai fini della successiva lavorazione. Durante questa lavorazione vengono scartate le cosce che presentano ogni minima imperfezione. Con la rifilatura la coscia perde grasso e muscolo per circa il 24% del suo peso. Sigillo di omologazione: prima delle operazioni di salagione, il produttore verificata la corrispondenza della singola coscia fresca ai requisiti prescritti dal Disciplinare, deve apporre il sigillo metallico costituito nelle forme seguenti:
Parte di provvedimento in formato grafico
Il sigillo e' di forma esagonale e reca la scritta «C.VENETO», il mese (in cifre romane) e l'anno (in cifre arabe) di inizio lavorazione. Il sigillo e' elemento indispensabile per il computo del periodo minimo di stagionatura e, inoltre, equivale alla data di produzione ai sensi delle vigenti leggi nazionali in materia di vigilanza sanitaria delle carni. Il sigillo e' conformato in modo che una volta applicato da una idonea sigillatrice, risulta inamovibile. E. 1.4 Salagione: le cosce rifilate vengono sottoposte alla salagione; e' molto importante che questa operazione sia effettuata su cosce con temperatura giusta e uniforme. Preliminarmente le cosce sono massaggiate con procedimenti manuali o meccanici onde predisporre la carne al ricevimento del sale e verificarne, con opportune pressioni, il perfetto dissanguamento. Le cosce vengono quindi cosparse di sale in modo che ne venga coperta la superficie esposta del lato interno. Per questa operazione viene utilizzato esclusivamente sale marino essendo assolutamente proibito l'uso di sostanze chimiche, conservanti o altri additivi; e' altresi' vietato il ricorso a procedimenti di affumicatura. Successivamente le cosce, riposte orizzontalmente su un piano, vengono collocate in una cella idonea mantenuta ad una temperatura variabile tra 1° e 4° C, e con una umidita' di circa 75-95%. La tecnica di salagione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo e' tipica e rispecchia gli usi e i metodi tradizionali: essa infatti si basa sul rapporto tra il peso della coscia fresca e la durata del periodo in cui la stessa riposa «sotto sale», periodo corrispondente a circa un giorno per ogni chilogrammo del suo peso. Verso la meta' del periodo indicato si opera il ripasso, operazione consistente nell'asportazione del sale rimasto sulla superficie esterna della coscia che viene rimassaggiata e ricoperta con ulteriore sale secondo le modalita' gia' descritte. Riposta in cella la coscia salata completa il restante periodo del processo alle medesime condizioni di temperature e umidita'. E. 1.5 Semipressatura: questa operazione, effettuata sulla coscia estratta dalla cella, consiste nell'esercitare una pressione uniforme sulla massa muscolare che finira' per assumere la caratteristica forma semischiacciata. La spinta necessaria viene impressa con supporti meccanici, ad esempio con una massaggiatrice spremivena. Gli scopi della semipressatura sono molteplici: mediante la pressione esercitata si favorisce un ulteriore spurgo della vena femorale e delle sue derivazioni venose; si agevola un assestamento della parte grassa rispetto alla sua distribuzione attorno alla parte magra il che permette, tra l'altro, una migliore, approfondita ed omogenea penetrazione del sale. E.1.6 Riposo: ultimata la salatura e operata la semipressatura, le cosce salate vengono poste in una cella di riposo per un periodo variabile tra i 75 e i 100 giorni, con un'umidita' compresa tra il 70 e l'80% ad una temperatura compresa tra i 2° e i 6° C. Nel corso della fase di riposo prosegue il processo di disidratazione iniziato con il trattamento con il sale e le basse temperature. Il sale assorbito penetra con graduale omogeneita' all'interno della massa muscolare, distribuendosi in modo uniforme. E.1.7 Lavatura: ultimato il riposo la coscia viene sottoposta ad una lavatura della superficie esterna operata con getti d'acqua miscelati con aria, ad una temperatura di circa 40° C. Questa operazione, oltre ad avere un generale effetto rivitalizzante, rimuove le formazioni superficiali ammorbidite precedentemente e tonifica i tessuti esterni. E.1.8 Asciugatura: completato il lavaggio, le cosce vengono trasferite nelle celle di asciugamento dove si procede ad un rinvenimento delle carni mediante ricircolo interno dell'aria, e in condizioni di umidita' di nuovo elevata (90% circa) e temperature variabili tra i 15° e i 24° C. I valori sono variabili in funzione delle tecniche del successivo trattamento, la stagionatura. Il tempo impiegato in questa fase e' mediamente di 7 giorni. E.1.9 Stagionatura: in questa fase si possono considerare tre diversi aspetti: la prestagionatura, la stuccatura e la puntatura-stagionatura. Prestagionatura: in questa fase i prosciutti vengono collocati per un periodo di circa 35-40 giorni in appositi saloni dove proseguono il processo di rinvenimento-acclimatamento delle carni a temperature che passano dai 12°C ai 14°C iniziali ai 14°C-19°C finali, in condizioni di umidita' in progressiva riduzione. Stuccatura: per stuccatura (o «sugnatura») s'intende una operazione che comporta la distribuzione sulla superficie aperta del piatto della coscia, e su eventuali screpolature, di un impasto composto da sugna o strutto finemente tritato, sale, pepe, farina e amidi di cereali, applicato finemente ed uniformemente mediante un massaggio manuale. Tale impasto svolge esclusivamente funzioni di protezione dagli agenti esterni e di ammorbidimento della superficie esterna esposta, senza compromettere la prosecuzione del processo osmotico tra la massa muscolare e l'ambiente esterno. Per questo motivo tale impasto non e' considerato ingrediente ai fini dell'etichettatura (art. 21, comma 3, Testo unico). Puntatura-Stagionatura; in questa fase i prosciutti vengono trasferiti in appositi saloni di stagionatura, locali in cui l'andamento delle condizioni climatiche e' di norma regolato dall'apertura delle numerose finestrature, disposte in funzione trasversale rispetto alla disposizione dei prosciutti, e dipende dalle condizioni atmosferiche esterne; solo quando tali condizioni siano irregolari od anomale rispetto al normale andamento stagionale, e' ammesso l'uso di impianti di climatizzazione, che impiegano comunque l'aria esterna. In questi locali i prosciutti sostano mediamente otto mesi; la durata e' comunque sempre in funzione variabile alla pezzatura della partita, fermi restando ovviamente i tempi minimi stabiliti dal Testo unico. In questa fase si procede, anche piu' volte, alla «puntatura», operazione eseguita con un ago di osso di cavallo che per la sua porosita' ha la proprieta' di trattenere e trasferire gli aromi rilevati all'interno della massa muscolare che sonda con una rapida introduzione in vari punti; tutto cio' viene eseguito da personale specializzato e dotato di particolari caratteristiche olfattive. Nel corso della stagionatura nelle carni si verificano importanti processi biochimici ed enzimatici che completano il processo di conservazione indotto dalle precedenti lavorazioni, determinando le proprieta' organolettiche caratteristiche, grazie all'apporto dell'ambiente naturale esterno. Durante la stagionatura e dopo la sua ultimazione e' vietata qualsiasi ripetizione delle fasi di lavorazioni precedenti, eccettuata la stuccatura e un eventuale lavaggio finale. Rimangono in vigore i divieti dell'aggiunta di qualsiasi sostanza e dell'affumicatura del prodotto. Trascorso almeno il periodo minimo di stagionatura - che, ricordiamo, e' di 10 mesi per i prosciutti di peso finale tra i 7 e gli 8,5 chilogrammi e di 12 mesi per i prosciutti di peso eccedente gli 8,5 chilogrammi - vengono effettuati appositi accertamenti da parte degli ispettori dell'organismo abilitato che autorizzano l'apposizione del contrassegno, di cui al punto B.1 del presente disciplinare, che contraddistingue il prosciutto Veneto Berico-Euganeo. Il contrassegno di conformita' persiste sul prosciutto disossato e sui tranci da esso ottenuti. I prosciutti recanti il contrassegno di conformita' destinati al successivo affettamento e pre-confezionamento devono presentare le seguenti caratteristiche: stagionatura non inferiore a 14 mesi; umidita' percentuale pari od inferiore al 64%; conservazione dei requisiti richiesti per l'apposizione del contrassegno e quindi assenza delle cause di non conformita' di tipo tecnologico, qualitativo ed igienico sanitario. Sulle derivanti confezioni il contrassegno e' apposto in modo indelebile ed inamovibile sulla confezione, sotto la sorveglianza dell'organismo di controllo. Commercializzazione. Porzionamento, affettamento e condizionamento: il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, oltre che intero, puo' essere commercializzato anche disossato e, come tale, anche confezionato in tranci di forma e peso variabili; in questo caso il contrassegno di conformita' di cui alla scheda H, dovra' essere apposto in modo visibile su ogni singolo pezzo. Il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo puo' essere venduto anche affettato, in questo caso il contrassegno viene apposto in modo indelebile ed inamovibile sulla confezione. Le operazioni di porzionamento, affettamento e condizionamento del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo sono assoggettate a controllo per: assicurare l'impiego di prodotto gia' certificato per l'uso della DOP e, in tal modo, confermare i corrispondenti elementi della rintracciabilita' e della prova dell'origine secondo le prescrizioni del Disciplinare; verificare la persistenza dei requisiti tecnico-qualitativi prescritti dal Disciplinare, l'assenza di eventuali pregiudizi ed il riscontro delle condizioni di stagionatura e di aW; attestare il confezionamento con l'uso di vesti grafiche conformi alla disciplina in vigore e rispondenti a tutte indistintamente le prescrizioni per l'uso della DOP; accertare l'esecuzione di attivita' di confezionamento con l'uso della DOP di prodotto affettato in quantita' corrispondente al prosciutto Veneto Berico-Euganeo effettivamente disponibile ed appositamente identificato per tale impiego. I prosciutti interi da disossare sono avviati alla successiva elaborazione unitamente ad apposito certificato rilasciato dal produttore con idonea quantificazione e la descrizione dei corrispondenti elementi anagrafico-identificativi in applicazione del piano di controllo della DOP e, in particolare, di: a) data di inizio della lavorazione (data del sigillo); b) numero e peso; c) codice del produttore. Il soggetto che opera l'attivita' di disosso, affettamento e pre-confezionamento ai fini della DOP e' tenuto a rendere disponibile la documentazione utile alla verifica della conformita' e della congruita' delle operazioni svolte, secondo le istruzioni emanate dall'Organismo di controllo, inoltre deve notificare sempre all'Organismo di controllo la propria condizione di confezionatore per consentire verifiche e sopralluoghi, sostenendone i costi. E.2 Gli stabilimenti (prosciuttifici) che intendono produrre il prosciutto Veneto Berico-Euganeo devono essere preventivamente riconosciuti dall'organismo abilitato e, a tal fine, presentano apposita domanda dal quale risultino: a) l'iscrizione alla Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato competente per territorio; b) la denominazione e la sede della ditta; c) la sede dello stabilimento nonche' la relativa capacita' produttiva, con gli estremi dell'autorizzazione sanitaria in conformita' alle norme vigenti in materia. L'organismo abilitato all'atto del riconoscimento provvede all'attribuzione di un numero di identificazione del produttore; tale numero figura sul contrassegno di cui all'art. 2 del Testo unico. Sono a carico delle aziende interessate tutte le spese derivate dagli adempimenti previsti dal presente punto e le spese per le perizie a tal fine richieste dall'organismo abilitato o dall'interessato. Per essere considerati idonei alla produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo, gli stabilimenti devono essere in possesso delle autorizzazioni igienico-sanitarie prescritte dalle norme vigenti e devono essere muniti di: a) locale per il ricevimento ed il primo trattamento delle cosce suine; b) celle dotate di apparecchiature o sistemi idonei a mantenere l'umidita' e la temperatura ai livelli prescritti dalle leggi vigenti, per le fasi di salagione e riposo; c) altri locali indipendenti per le operazioni di stagionatura. I locali di stagionatura devono essere muniti di superfici finestrate tali da consentire una opportuna ventilazione naturale e un adeguato ricambio dell'aria. Tali locali possono essere muniti di attrezzature idonee a mantenere il giusto equilibrio e le caratteristiche termo-igrometriche, proprie dell'ambiente della zona geografica indicata al punto C.1. E.3 Salvo che nei primi sei mesi della lavorazione, e' consentito il trasferimento delle cosce munite del sigillo presso altro stabilimento abilitato alla produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo. Da parte dell'interessato deve essere presentata preventiva richiesta scritta all'organismo abilitato, che prescrive le modalita' da osservare, esercita i necessari controlli e puo' opporsi al trasferimento con motivato provvedimento scritto. Il trasferimento e' consentito, in deroga a quanto suddetto, ove sussistano provate motivazioni di forza maggiore tali da pregiudicare la lavorazione dei prosciutti o determinare la loro perdita o il loro deperimento; si applicano in tal caso le procedure sopra descritte. E.4 Ogni singolo stabilimento riconosciuto deve tenere un apposito registro, suddiviso in fogli mensili; le registrazioni devono essere effettuate nella parte mensile del registro corrispondente al mese ed all'anno indicati nel sigillo di cui alla scheda H. Su tale registro vengono annotate le scritture relative al prodotto lavorato con le procedure previste dal presente disciplinare, nella forma prescritta dall'art. 18, comma 2, del Testo unico, nonche', in apposita sezione le eventuali decisioni dell'organismo abilitato. Il produttore e' tenuto ad osservare le prescrizioni disposte dall'art. 51 del Testo unico per la conservazione delle certificazioni, dei documenti rilasciatigli dall'organismo abilitato e dei registri, nonche' per la relativa compilazione e tenuta. Il produttore e' inoltre tenuto ad osservare particolari prescrizioni, relative alle procedure di controllo ed ai relativi esiti. E.5 Tutti gli aspetti relativi ai requisiti necessari al confezionamento del prosciutto Veneto Berico-Euganeo affettato ed ai conseguenti controlli dell'organismo abilitato, sono regolati dall'art. 29 all'art. 32 compresi del Testo unico e dalle direttive tecniche emanate dall'organismo abilitato e notificate all'Autorita' nazionale di controllo. E.6 Tutte le procedure di cui alla presente scheda E sono assoggettate ai controlli esercitati dall'organismo abilitato previsto dal Testo unico, che li espleta con le modalita' indicate nella successiva scheda G. Il veterinario ufficiale, competente per territorio e incaricato della vigilanza sanitaria, mette a disposizione dell'organismo abilitato, su richiesta dello stesso, tutti gli atti d'ufficio ritenuti necessari al controllo del regolare svolgimento delle operazioni e degli adempimenti previsti dal presente disciplinare.
-- Scheda F
ELEMENTI COMPROVANTI IL LEGAME CON L'AMBIENTE GEOGRAFICO
F.1 L'inquadramento generale della materia trattata nella presente scheda non puo' prescindere dalle considerazioni generali argomentate nelle schede D e C. e soprattutto di quanto trattato nei precedenti punti D.6 e D.7 qui richiamati integralmente ai fini del presente disciplinare. L'excursus storico descritto nei suddetti punti dimostra ampiamente ed inequivocabilmente quanto sia stretto e profondo il legame tra le produzioni agricole e la trasformazione del prodotto con le rispettive aree di riferimento, geograficamente delimitate, il legame che nel corso dei secoli si e' venuto sempre piu' a rinsaldare attraverso l'evolversi dei fattori socio-economici e produttivi sommati all'esperienza umana. A riguardo dell'area ben delimitata di approvvigionamento della materia prima esistono fattori geo-ambientali e un bagaglio di esperienza produttiva nell'allevamento caratteristici e costanti, come diffusamente trattato nel punto: D.7. - Per quanto concerne la piu' ristretta zona di trasformazione, di cui all'art. 4 del Testo unico, si rimanda al punto F.2. F.2 In questo punto procederemo ad un approfondimento del legame con l'ambiente geografico propriamente riferito all'area delimitata nelle forme indicate al precedente punto C.1, relativamente alla zona di produzione cosi' come individuata dall'art. 4 del Testo unico. F.2.1 Tale area, che presenta condizioni ambientali particolari e precise, e' geograficamente individuata nella parte centro-meridionale della Regione Veneto, comprende i territori di quindici comuni con una superficie interessata di soli Km/q 355,63 ed e' posizionata nella zona pedecollinare dei monti Berici e dei colli Euganei. Tale zona dista sia dalle Prealpi Venete sia dal lago di Garda alcune decine di chilometri, e in linea d'aria solo 45 - 50 chilometri dal mare Adriatico, e piu' precisamente dal golfo di Venezia. F.2.2 Nell'area tipica di produzione sono comprese distinte zone: a) la zona subalpina veneta e' costituita da dei rilievi collinari, che da una parte si incastrano nella zona prealpina e, dall'altra, si allungano verso la pianura, arrivando a comprendere i monti Berici e i colli Euganei. Questa fascia e' molto larga e interessa territori diversi sia per morfologia che per costituzione geologica. Come detto della zona subalpina fanno parte i monti Berici, comprendenti una serie di alture uniformi e per lo piu' con dolci pendii, e i colli Euganei, gruppo che si eleva isolato nella pianura caratterizzato da rilievi a forma di cono spesso di grande regolarita'; b) la zona di transazione tra la montagna e la pianura e' interessata da un considerevole processo di sedimentazione da parte dei corsi d'acqua con la conseguente formazione di vaste conoidi alluvionali; c) la pianura invece ci offre una notevole varieta' di struttura e di aspetto, costituita da una immensa coltre di materiali alluvionali depositatisi, colmandolo, sull'ampio golfo dell'Adriatico nell'era quaternaria: la pianura a sua volta puo' essere distinta in alta e bassa pianura, questo per il diverso comportamento delle acque dei fiumi che depositano dapprima i materiali piu' grossolani e sciolti (ciotoli e ghiaia), creando quindi terreni di natura permeabilissima, e poi, verso le foci, quelli piu' minuti (arenarie, sabbie, argille) dando luogo a terreni meno permeabili. F.2.3 Il clima della zona varia da sub-mediterraneo a sub-montano, a seconda dell'altimetria, ed e' fortemente influenzato dall'andamento dei venti che determinano una particolare e caratteristica aerazione. La provenienza di tali venti e' prevalentemente dai quadranti settentrionali ed orientali per quanto riguarda la pianura, mentre nelle zone collinari arriva dal nord il «fohn», un vento caldo che invade la pianura facendo sentire il suo effetto, seppure attenuato, fino quasi a Venezia. Molto importanti sono pure le brezze, venti che provengono dal mare durante il giorno e che si spingono, per l'assenza dei rilievi, molto all'interno della pianura, fino a raggiungere la zona subalpina. F.2.4 Alla luce di quanto fin qui descritto, si puo' dedurre che la zona di produzione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo si avvale di un microclima costante e caratteristico, effettivamente limitato al contesto geografico considerato, che ha come risultato una vivace ventilazione permanente che, unita alle caratteristiche geo-morfologiche del terreno, assicura un ambiente scarsamente umido, produce elementi caratteristici derivati dai profumi della vegetazione collinare (come ad esempio l'olivo), e determina i tipici aromi del prodotto. Questi requisiti ambientali hanno anche storicamente influito sulla caratterizzazione del prodotto e sulla conseguente formazione della denominazione; cio' e' riconducibile alle linee di valutazione fenomenologica descritte ai punti D.6 e D.7. F.3 Tutto cio' porta alla consapevolezza, al di la' di ogni dubbio, che le condizioni ambientali di questa zona ristretta sono fondamentali per la tipologia produttiva del prosciutto Veneto Berico-Euganeo. Anche nel gia' citato Testo unico si e' voluto sancire specifiche norme per la salvaguardia dell'ambiente in questione, riconoscendone una sorta di funzione strumentale essenziale ai fini della denominazione di origine. Citiamo qui di seguito testualmente l'art. 62 del Testo unico: «1. Ai fini della salvaguardia delle condizioni proprie dell'ambiente di produzione da cui dipendono le caratteristiche organolettiche e merceologiche del prosciutto Veneto Berico-Euganeo, a far tempo dall'entrata in vigore del presente Testo unico, l'insediamento nell'ambito della zona tipica di cui all'art. 4 di industrie insalubri di prima classe, cosi' come individuate a norma dell'art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e di ogni altra attivita' che pregiudichi un equilibrato mantenimento delle condizioni ambientali e' subordinato al preventivo favorevole parere del comitato regionale per l'inquinamento atmosferico competente per territorio. 2. In ogni caso, la salvaguardia delle condizioni ambientali della zona tipica di produzione, con particolare riguardo alla qualita' dell'aria, e' demandata alle regioni competenti, nei modi previsti dall'art. 4, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203.». E' intuibile che l'adozione di cosi' severe misure di salvaguardia (per «azienda insalubre di primo grado» la norma nazionale citata considera praticamente quasi tutte le attivita' manufatturiere e perfino le stalle per bovini), e' giustificata solo da una radicata e condivisa consapevolezza di necessita' obiettive. Vogliamo anche ricordare in questo contesto che la stessa Regione Veneto considera la zona dei monti Serici e dei colli Euganei «Aree di particolare interesse naturalistico» (vedasi allegato n. 9/F). A conferma di cio' e' stata emanata la legge regionale 10 ottobre 1989, n. 38, che istituisce il «Parco Regionale dei Colli Euganei». F.4 Esiste un altro elemento, non certo meno importante, che comprova il legame esistente tra materia prima e zona geografica. Se e' infatti vero che la caratterizzazione produttiva di natura zootecnica e' strettamente funzionale ai requisiti del prodotto a denominazione di origine, tanto da assumere tratti distintivi esclusivi e peculiari con riferimento all'area geografica, deve essere altrettanto vero che il riconoscimento di questa peculiarita', che definisce il legame di cui si discute, interviene a conferma di quanto fin qui sostenuto. L'elemento distintivo che collega il territorio, la produzione agricola e la trasformazione del prodotto a denominazione di origine «prosciutto Veneto Berico-Euganeo» e' senza dubbio sintetizzabile nel concetto di «suino pesante», come gia' specificato ai punti D.6 e D.7. nel Testo unico e sostanzialmente anche nel presente disciplinare. Questo particolare indirizzo produttivo della suinicultura delle aree delimitate e la definizione di suino pesante, e' stato riconosciuto formalmente dalla CEE per mezzo della legislazione per la classificazione commerciale delle carcasse suine: si tratta del regolamento (CEE) n. 3220 del 13 novembre 1984 (allegato n. 10/F), che costituisce l'ultimo aggiornamento in materia. Questo regolamento, in vigore dal 1° gennaio 1989, introduce metodi di misura oggettivi per la valutazione della percentuale di carne magra contenuta nelle carcasse, suddividendole in cinque classi commerciali con le lettere della sigla RUROP e la possibilita', per ogni Paese, di introdurre mia classe speciale denominata «S». Vogliamo ricordare che in sede di applicazione del citato Regolamento, solo all'Italia e' stata riconosciuta la presenza sul territorio di due popolazioni suine: «suino leggero», macellato a pesi conformi le medie europee; «suino pesante», macellato a pesi di 150-160 chilogrammi, le cui carni sono destinate alla trasformazione. Questo ha portato ad una Decisione della Commissione del 21 dicembre 1988 (allegato n. 10/F) che autorizza la distinzione delle carcasse in «leggere» (peso morto < a 120 chilogrammi) e «pesanti» (peso morto > a 120 chilogrammi), a cui si applicano due formule diverse per la valutazione commerciale. Anche sul piano nazionale il competente dicastero ha elaborato un piano di attuazione per l'art. 3, comma 4, del citato regolamento (CEE) n. 3222/84, che focalizza i criteri di valutazione della qualita' della carne che possono essere associati a quelli della qualita' del magro. Se si considera lo sdoppiamento della popolazione suinicola nazionale, accolto in sede comunitaria, come un riconoscimento dell'esistenza di diverse caratteristiche che, con totale sovrapposizione, si identificano con quelle previste dal presente disciplinare, si arriva facilmente alla conclusione che vi e' una identificazione della categoria «suino pesante» con quella esistente nell'area delimitata e ad essa legata da precise motivazioni storiche, economiche e sociali. Ne consegue che il riconoscimento della presenza di due popolazioni cosi' profondamente diverse sullo stesso territorio nazionale costituisce una formale anticipazione del riconoscimento del legame che salda entrambe ai rispettivi contesti geo-economici.
-- Scheda G
CONTROLLI
G.1 Il controllo sulla conformita' del prodotto al Disciplinare e' svolto, da un Organismo di controllo, conformemente a quanto stabilito dal titolo V, capo I, del regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012. G.2 Richiamate e confermate tutte le operazioni controllo sulla materia prima considerate alla scheda C del presente disciplinare, l'organismo abilitato, mediante i propri incaricati, attua un regime di controllo atto a garantire l'osservanza degli obblighi posti a carico di tutti i soggetti ricompresi nel circuito della produzione tutelata dalle norme e dai disciplinari vigenti, che si articola come segue: G.2.1 Durante le fasi della lavorazione, gli incaricati dell'organismo abilitato possono operare controlli ed ispezioni sia per effettuare verifiche ed esami sulle carni, sia per accertare la regolarita' della tenuta dei registri e di ogni altra documentazione, sia per constatare che le modalita' di lavorazione corrispondano alle prescrizioni del presente disciplinare e del Testo unico. In caso di contestazione, ovvero in caso di accertamenti il cui esito non sia immediato, gli incaricati dell'organismo abilitato provvedono ad una speciale identificazione del prodotto. Il veterinario ufficiale incaricato della vigilanza sanitaria mette a disposizione dell'organismo abilitato, su richiesta dello stesso, tutti gli atti d'ufficio ritenuti necessari per controllare il regolare svolgimento delle operazioni e l'osservanza delle prescrizioni previste dal presente disciplinare e dal Testo unico. G.2.2 Per ogni operazione di introduzione di cosce fresche destinate alla preparazione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo presso uno stabilimento riconosciuto, un incaricato dell'organismo abilitato verifica la documentazione sanitaria di accompagnamento, nonche' quella di cui all'art. 12, comma 4, ed accerta: a) gli allevamenti ed il macello di provenienza, l'eventuale laboratorio di sezionamento e la data di spedizione allo stabilimento di lavorazione; b) il numero delle cosce fresche munite dei timbri di cui agli articoli 8 e 12 del Testo unico; c) l'assenza di trattamenti diversi dalla refrigerazione. Per ottenere l'apposizione del sigillo sulle cosce fresche il produttore deve farne richiesta all'organismo abilitato che, mediante i propri incaricati, controlla il corretto svolgimento di tutte le operazioni. L'apposizione del sigillo e' effettuata a cura del produttore, comunque prima della salagione, in modo da rimanere visibile permanentemente. Il sigillo riporta l'indicazione del mese e dell'anno di inizio della lavorazione; tale data equivale alla data di produzione ai sensi delle leggi vigenti in materia di vigilanza sanitaria sulle carni. L'incaricato dell'organismo abilitato vieta l'apposizione del sigillo: a) sulle cosce ritenute non idonee alla produzione tutelata; b) sulle cosce non accompagnate dalla prescritta documentazione o prive dei timbri di cui agli articoli 8 e 12 del Testo unico; c) sulle cosce che risultino ricavate da suini macellati da meno di 24 ore o da oltre 120 ore. Qualora circostanze pregiudizievoli vengano accertate successivamente, il sigillo eventualmente gia' apposto e' rimosso a cura degli incaricati dell'organismo abilitato, che redigono apposito verbale. Il produttore puo' far inserire a verbale sue eventuali ragioni di dissenso in merito all'operato degli incaricati dell'organismo abilitato e chiedere, entro il termine di tre giorni, un nuovo esame tecnico, con l'intervento della Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari di Parma, con facolta' di nominare un proprio consulente. G.2.3 Al termine delle operazioni di cui agli articoli 19 e 41 del Testo unico, viene redatto per ogni partita avviata alla produzione tutelata apposito verbale contenente le seguenti indicazioni: a) gli estremi del documento sanitario di accompagnamento; b) la data della salagione; c) il numero ed il peso complessivo delle cosce fresche sulle quali e' stato apposto il sigillo; d) il numero ed il peso complessivo delle cosce ritenute inidonee od oggetto di contestazione; e) il numero ed il peso complessivo delle cosce sulle quali non e' stato apposto il sigillo, trattenute presso lo stabilimento, ovvero da rendere al macello conferitore, ovvero da avviare ad altro stabilimento. L'operazione di apposizione del sigillo deve risultare distintamente per ciascuna partita nell'apposito registro. Il verbale e' redatto in duplice copia, di cui una e' conservata presso lo stabilimento di lavorazione e l'altra dall'organismo abilitato. Il produttore puo' far inserire a verbale sue eventuali ragioni di dissenso in merito all'operato degli incaricati dell'organismo abilitato e chiedere, entro il termine di tre giorni, un nuovo esame tecnico, con l'intervento della Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari di Parma, con facolta' di nominare un proprio consulente. Qualora, in esito al nuovo esame effettuato, le cosce oggetto della contestazione risultino idonee alla produzione tutelata, la data della relativa operazione e' quella del giorno dell'avvenuta contestazione; le cosce oggetto di contestazione sono custodite con le cautele necessarie per impedire la loro manomissione, previa identificazione, a cura dell'organismo abilitato che le affida in custodia al produttore presso lo stabilimento di lavorazione. L'incaricato dell'organismo abilitato puo' procedere alla identificazione delle cosce ritenute non idonee e che non costituiscano oggetto di contestazione, in tutti i casi in cui lo ritenga necessario, mediante l'applicazione di specifici contrassegni indicati a verbale. G.2.4 Gli incaricati dell'organismo abilitato presenziano alla apposizione del contrassegno, accertando preliminarmente la sussistenza dei seguenti requisiti: a) compimento dei periodo minimo di stagionatura prescritto, previo esame dei registri, della documentazione e del sigillo, e computando nel periodo stesso il mese nel quale e' stato apposto il sigillo; b) conformita' delle modalita' di lavorazione; c) esistenza delle caratteristiche merceologiche prescritte dal presente disciplinare e dal Testo unico; d) rispetto dell'osservanza dei parametri analitici. Gli incaricati procedono preliminarmente alla spillatura di un numero di prosciutti sufficiente per ricavarne un giudizio probante di qualita'; se necessario, possono effettuare l'ispezione del prodotto, mediante apertura di prosciutti fino ad un massimo di cinque per mille o frazione di mille, che restano a carico del produttore. Le caratteristiche organolettiche sono valutate nel loro insieme potendosi operare una compensazione solo per lievissime deficienze. Il contrassegno e' apposto, anche in piu' punti, sulla cotenna del prosciutto in modo da rimanere visibile fino alla completa utilizzazione del prodotto. L'organismo abilitato custodisce la matrice degli strumenti per l'apposizione del contrassegno; gli strumenti devono recare ciascuno il numero di identificazione del produttore, e sono affidati dall'organismo abilitato ai propri incaricati in occasione dell'applicazione del contrassegno sui prosciutti, che puo' essere eseguita anche a cura del produttore. Gli strumenti per l'applicazione del contrassegno possono recare anche speciali segni di identificazione disposti dall'organismo abilitato in finizione delle procedure di controllo. G.2.5 L'incaricato dell'organismo abilitato compila, per ogni operazione di apposizione del contrassegno, apposito verbale da cui risultino: a) il numero dei prosciutti presentati per l'apposizione del contrassegno; b) la data dell'inizio della lavorazione; c) i riferimenti per l'individuazione del prodotto riportati nell'apposito registro; d) il numero complessivo dei prosciutti sui quali e' apposto il contrassegno e la data delle relative operazioni; e) il numero dei prosciutti ritenuti inidonei alla produzione tutelata; f) il numero dei prosciutti eventualmente oggetto di contestazione. I prosciutti oggetto di contestazione sono custoditi, con le cautele necessarie e con l'apposizione di eventuali segni di identificazione, per impedire la loro sostituzione e comunque la loro manomissione, a cura dell'organismo abilitato che li affida in custodia al produttore. Il produttore, al quale viene consegnata una copia del verbale, puo' farvi inserire sue osservazioni e chiedere, entro il termine di tre giorni, un nuovo esame tecnico con l'intervento della Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari di Parma, con facolta' di nominare un proprio consulente. I prosciutti non idonei alla produzione tutelata sono privati del sigillo; l'operazione di annullamento e' compiuta a cura del produttore, alla presenza dell'incaricato dell'organismo abilitato. Le operazioni di apposizione del contrassegno o di annullamento del sigillo devono essere trascritte nell'apposito registro di cui all'art. 18 del Testo unico. G.2.6 Gli incaricati dell'organismo abilitato provvedono alla asportazione del contrassegno in occasione di verifiche da cui risulti che lo stesso e' apposto su prosciutti non idonei o non conformi. Delle operazioni eseguite e' redatto apposito verbale, dal quale risultano i dati identificativi dei prosciutti a cui e' stato rimosso il contrassegno. Il produttore, al quale viene consegnata una copia del verbale, puo' farvi inserire sue osservazioni e chiedere, entro il termine di tre giorni, un nuovo esame tecnico con l'intervento della Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari di Parma, con facolta' di nominare un proprio consulente. G.3 In conseguenza a quanto sopra descritto, ai fini del presente disciplinare e della normativa vigente, per organismo abilitato e/o per organismo di controllo si intende: l'Istituto Nord Est Qualita' - I.N.E.Q., Via Rodeano, 71 - 33038 San Daniele del Friuli (Udine), tel.: 0432/940349, fax: 0432/943357, posta elettronica: info@ineq.it
-- Scheda H
ELEMENTI SPECIFICI DELL'ETICHETTATURA CONNESSI ALLA DICITURA DOP E DICITURE NAZIONALI EQUIVALENTI
H.1 Come gia' precedentemente indicato il vigente dispositivo di legge nazionale ed il Testo unico dispongono per il prosciutto Veneto Berico-Euganeo norme particolari per la identificazione e la protezione giuridica del prodotto, sia nel contesto del circuito produttivo sia al momento della sua preparazione finale, sia al momento della presentazione nella fase commerciale, con elementi diversi da quelli della semplice etichettatura. Il contrassegno previsto dal Testo unico e dal presente disciplinare e' un elemento costitutivo ed identificativo della denominazione del prodotto; tale contrassegno viene apposto sotto la diretta sorveglianza e responsabilita' dell'organismo abilitato, e comprova la rispondenza del prodotto alla disciplina giuridica di protezione. Inoltre il presente disciplinare, ed anche il Testo unico, prevedono, prima dell'apposizione del contrassegno stesso, tutta una serie di timbri, segni e sigilli (non meno di tre e non piu' di quattro), il cui riscontro e' funzionale ed indispensabile per attestare la rispondenza del prodotto, anche in corso di lavorazione, ai requisiti ed agli adempimenti che sono obbligatori per i diversi soggetti produttivi nel sistema di filiera che forma il circuito della produzione tutelata. La verifica di tali elementi e' funzionale a consentire anche una immediata riprova della autenticita' del contrassegno, vista la possibilita' che venga immesso al consumo un prodotto dotato di un contrassegno contraffatto. H.2 Il prosciutto Veneto Berico-Euganeo e' identificato dal seguente contrassegno di conformita' apposto sulla cotenna in maniera permanente ai sensi dell'art. 2 del Testo unico.
Parte di provvedimento in formato grafico
Tale contrassegno raffigura il leone di San Marco sovrastante la parola «Veneto», approvato con decreto ministeriale 5 aprile 1991 e derivato dal primo marchio privato consortile del 1971. Questo contrassegno svolge la funzione di identificare il prodotto tra gli altri prosciutti marchiati e garantisce che il prodotto stesso ha subito tutti i passaggi produttivi previsti. Su tale contrassegno figura anche una sigla, assegnata dall'organismo abilitato al momento dell'abilitazione dell'azienda, che identifica il produttore. Solo la presenza del contrassegno assicura, qualsiasi sia la forma di presentazione del prodotto, la legittima qualificazione del prodotto come prosciutto Veneto Berico-Euganeo. La riproduzione grafica del contrassegno e' riservata all'organismo abilitato come segno distintivo della propria attivita' e in ogni iniziativa volta alla valorizzazione del prodotto tutelato; l'organismo abilitato puo', volta per volta, autorizzare terzi alla produzione grafica del simbolo, ponendo le condizioni e le limitazioni che ritiene opportune e predisponendo i controlli del caso: ogni riproduzione non autorizzata e' perseguibile penalmente e civilmente. H.3 Per ottenere il contrassegno di cui al punto H.1, e comunque anche dopo la relativa apposizione, il prosciutto Veneto Berico-Euganeo deve recare i seguenti timbri e/o sigilli: timbro di cui al punto C.8.2 apposto dall'allevatore; timbro di cui al punto C.8.4 apposto dall'allevatore nelle circostanze consideratevi (se questo timbro non sussiste, quello esistente riporta lo stesso codice di identificazione dell'allevatore prestampato sulla certificazione di cui al punto C.8.6); timbro di cui al punto C.8.9 apposto dal macellatore; sigillo apposto dal produttore prima della salagione di cui al punto H.4. H.4 Prima della salagione e solo sulle cosce fresche provenienti da macelli abilitati e muniti dei timbri gia' descritti, viene apposto un sigillo (vedi scheda E 1.3). Tale sigillo e' stato approvato con decreto ministeriale 5 aprile 1991, e' di forma esagonale e reca la scritta «C.VENETO», il mese, in cifre romane, e ranno, in cifre arabe, di inizio lavorazione. Tale sigillo, apposto dal produttore, e' elemento indispensabile per il computo del periodo minimo di stagionatura e, inoltre, equivale alla data di produzione ai sensi delle vigenti leggi nazionali in materia di vigilanza sanitaria delle carni. Il sigillo non puo' essere apposto sulle cosce mancanti dei timbri dell'allevatore e del macellatore, nonche' non accompagnate dalla documentazione sanitaria e merceologica prescritta e che non rispondano alle caratteristiche sostanziali e qualitative, ivi compreso il rispetto delle parametrazioni oggettive di cui alla scheda B. H.5 Le regole per la etichettatura del prosciutto Veneto Berico-Euganeo non possono prescindere, ovviamente, dal decreto legislativo della Repubblica italiana 27 gennaio 1992, n. 109, (attuazione delle direttive CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicita' dei prodotti alimentari). Come richiesto dal Testo unico e dal presente disciplinare il prosciutto Veneto Berico-Euganeo reca le seguenti indicazioni obbligatorie: a) L'etichetta del prosciutto Veneto Berico-Euganeo intero con osso munito del contrassegno di conformita' reca le seguenti prescrizioni: nel campo visivo principale deve essere indicata la denominazione «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo» seguita dalla menzione «Denominazione di Origine Protetta»; nel campo visivo principale devono essere indicati la ragione sociale o/e il marchio aziendale depositato del produttore iscritto all'Organismo di controllo; deve essere indicata la sede del produttore. b) L'etichetta del prosciutto Veneto Berico-Euganeo disossato, confezionato, intero o in tranci munito del contrassegno di conformita' reca le seguenti prescrizioni: nel campo visivo principale deve essere indicata la denominazione «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo» seguita dalla menzione «Denominazione di Origine Protetta»; nel campo visivo principale devono essere indicati la ragione sociale o/e il marchio aziendale depositato del produttore iscritto all'Organismo di controllo; deve essere indicata la sede del produttore; la sede dello stabilimento di confezionamento e la data di produzione, qualora il sigillo di cui al precedente punto H.3 non risulti piu' visibile. Nel caso di prodotto affettato e pre-confezionato, le confezioni (vaschette e/o gli altri involucri) devono essere realizzate in materiale trasparente ed essere adatte alla conservazione del prodotto. Non si possono utilizzare confezioni composte da materiali che possano, anche indirettamente, alterare le caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche del prodotto. Le etichette delle confezioni devono essere posizionate nell'angolo in alto a sinistra della superficie principale (fronte anteriore) della confezione e devono riprodurre le seguenti menzioni: il contrassegno della DOP raffigurante il leone di San Marco sovrastante la parola «VENETO»; il logo dell' Unione della DOP; la denominazione «Prosciutto Veneto Berico-Euganeo»; la dicitura «Denominazione di Origine Protetta» ai sensi della legge n. 628/1981 e del regolamento (CE) n. 1107/96; la dicitura «Certificato da Organismo di Controllo autorizzato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali». Ogni confezione di prodotto affettato deve riportare all'interno dell'etichetta tecnica e/o dell'etichetta commerciale nella parte bassa a destra: la denominazione sociale dell'azienda produttrice (impresa di lavorazione) oppure del confezionatore che ha affettato il prodotto; la sede dello stabilimento di produzione e/o di confezionamento; nel caso di confezionamento o di commercializzazione da parte di un produttore va indicato anche il relativo codice identificativo dell'effettivo produttore; nel caso di confezionamento presso un laboratorio diverso da quello del produttore va indicata la sede dello stabilimento di confezionamento. Puo' essere riportato un solo nominativo tra i tre soggetti sopra indicati (produttore, produttore che commercializza il prodotto, confezionatore e/o commercializzatore) con l'esclusione di ulteriori riferimenti ad altri soggetti. Per codice identificativo si intende il numero di identificazione attribuito dall'organismo di controllo all'impresa di lavorazione, al momento della sua iscrizione negli elenchi di cui al punto C.8.1. La ragione/denominazione sociale dell'azienda produttrice puo' eventualmente essere fatta precedere dalle sole diciture «prodotto da» ovvero «prodotto e confezionato da» (in italiano o in altra lingua). Diversamente, il confezionatore che non sia anche azienda produttrice, deve sempre indicare il codice identificativo del produttore in abbinamento alla sede dello stabilimento di produzione e far precedere l'indicazione della propria ragione/denominazione sociale dalla specifica «confezionato da» (in italiano o in altra lingua). H.6 Agli effetti del presente disciplinare, valgono inoltre le seguenti regole per l'etichettatura del prosciutto Veneto Berico-Euganeo: e' vietata l'utilizzazione di qualificativi quali «classico», «autentico», «extra», «super», e di altre qualificazioni, menzioni ed attribuzioni abbinate alla denominazione di vendita, ad esclusione di «disossato» e «affettato»; negli imballaggi e nella presentazione del prodotto e' fatto divieto di utilizzo di menzioni qualificanti non previste nel disciplinare di produzione, fatte salve le esigenze di adeguamento ad altre prescrizioni di legge; i divieti di cui al presente punto si estendono anche alla pubblicita' e alla promozione, in qualsiasi forma, del prosciutto tutelato; l'uso delle denominazioni geografiche riferentesi ai comuni compresi nella zona tipica di produzione o loro variazioni, deformazioni, derivazioni o abbreviazioni, e' vietato nella ditta, ragione o denominazione sociale o marchio di impresa, a meno che l'imprenditore interessato non ne dimostri l'utilizzazione (con riferimento al prosciutto) da epoca anteriore alla data di entrata in vigore della legge 4 novembre 1981, n. 628; il contrassegno di cui al punto H.1 puo' essere riprodotto sull'etichettatura del prosciutto Veneto Berico-Euganeo, a condizione che il relativo contesto grafico e di presentazione sia stato preventivamente approvato dall'organismo abilitato, dietro formale richiesta degli interessati.
-- Scheda I
CONDIZIONI DA RISPETTARE IN FORZA DI DISPOSIZIONI NAZIONALI E/O INTERNAZIONALI
I.1 La prima legge di tutela della Repubblica italiana emanata per la protezione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo risale, come gia' ricordato, al 1981. L'esperienza applicativa accumulata in questi dodici anni ha dettato l'esigenza di individuare i presupposti di un piu' funzionale e completo assetto legislativo, che cercasse di armonizzare gli orientamenti e le istanze della base produttiva con gli obiettivi atti a garantire i diritti del consumatore e, contemporaneamente, i contenuti economici e qualitativi caratteristici di una produzione tipica ben regolamentata. A tale scopo si e' pervenuti alla definizione di un quadro normativo evolutivo, che tiene conto delle piu' moderne esigenze di controllo, verifica e conseguenti sanzioni, estendendole a nuovi settori ove risultavano indispensabili o piu' funzionali, e che meglio precisasse le norme che investono il momento della commercializzazione. Si e' giunti cosi' alla stesura del «Testo unico delle nonne per la tutela, la produzione e la commercializzazione del prosciutto Veneto Berico-Euganeo» (in questo disciplinare citato come «Testo unico» ed in allegato n. 1/A), che aggiorna e sviluppa quanto gia' sancito dalla normativa in vigore ed introduce prescrizioni normative severe, chiare e ben applicabili, che, in definitiva, inducono ad una maggiore responsabilizzazione a tutti gli addetti del sistema di filiera, dagli allevatori ai macellatori ed ai produttori, nello spirito di salvaguardia delle qualita' tipiche, di valorizzazione dei contenuti originali, di massima trasparenza del mercato e di piu' efficace tutela del consumatore finale, nella misura in cui gli stessi consumatori ed il mercato interno ed estero legittimamente lo pretendono, in riferimento ad una denominazione di origine di indiscussi prestigio e qualita'. I.2 Al riguardo di quanto sopra descritto al punto I.1 desideriamo richiamare l'attenzione e confermare la validita' anche nei confronti nel presente disciplinare delle norme sanzionatone previste dal «Capo V - Sezione I e Sezione II» del Testo unico e delle relative modalita' di applicazione. Sempre al riguardo ci sia permesso riportare integralmente l'art. 34 «Norme di garanzia» del Testo unico, in quanto assolutamente specifico e caratteristico della tendenza ad individuare tutte le categorie oggetto di divieto per il prodotto non tutelato che possano creare confusione sul mercato e/o trarre in inganno il consumatore: «1. E' vietato porre in vendita e comunque immettere al consumo prosciutto non tutelato, recante sul prodotto, sulle confezioni, imballaggi, involucri, etichette e simili, nonche' sui documenti comunque riferentisi al prodotto medesimo, indicazioni idonee ad ingenerare confusione con il prosciutto Veneto Berico-Euganeo o rivendicare le qualita' tipiche di esso. 2. E' comunque vietato per il prosciutto non tutelato: a) utilizzare la denominazione "Prosciutto Veneto Berico-Euganeo" o "Prosciutto Veneto" nonche' qualsiasi altra denominazione o indicazione facente riferimento al nome "Veneto" o "Veneto Berico-Euganeo" nonche' a qualsiasi altro nome di comune compreso nella zona tipica di cui al precedente art. 4; b) utilizzare espressioni quali "tipo Veneto", "stagionato nel Veneto", anche se riferite ad altri comuni della zona tipica, ovvero quali "stagionato nella zona tipica del Veneto Berico-Euganeo" e "lavorazione alla veneta"; c) utilizzare nella indicazione della ragione sociale e della sede dell'impresa produttrice e dello stabilimento di produzione i nomi dei comuni della zona tipica con caratteri di dimensioni superiori a 4 millimetri di altezza e a 3 millimetri di larghezza; d) utilizzare segni grafici, timbri, sigilli e simili che per ubicazione, colore, grandezza e tipo di caratteri possano trarre in inganno gli acquirenti ed i consumatori con riferimento al prodotto tutelato ed alle qualita' dello stesso. 3. I divieti di cui sopra si estendono, in quanto compatibili, alla pubblicita' ed alla promozione, in qualsiasi forma, del prosciutto non tutelato. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 si applicano anche ai prosciutti le cui modalita' di produzione siano di tipo diverso da quelle del prosciutto tutelato, quali il prosciutto cotto ed il prosciutto affumicato.». I.3 Tutte le direttive tecniche ed applicative emanate dall'organismo abilitato a seguito di quanto sancito dal Testo unico, dalla normativa vigente e dallo statuto consortile, vengono notificate per l'approvazione all'Autorita' Nazionale di controllo. I costi dei controlli previsti dal presente disciplinare sono sostenuti dai soggetti economici interessati, nelle forme previste dal Testo unico. Valgono, in quanto applicabili, le norme sancite dall'art. 62 del Testo unico, relative alla salvaguardia delle condizioni proprie dell'ambiente di produzione.
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